11/10/1981
Cara Emily,
Ad essere sincera non so cosa mi abbia spinto ad impugnare una penna e a impregnare questi fogli dei miei pensieri e della mia storia, forse perché sei un personaggio di quella storia, una figura presente in ogni mia giornata per tutta la mia infanzia. Oppure forse il motivo è che semplicemente mi sento sola.
Lo scorso mese ho avuto il piacere di ritrovare in un vecchio album fotografico una nostra foto: eravamo una accanto all'altra, le tue mani appoggiate sulle mie spalle e su quelle di mio fratello, stringevo la tua gonna e i nostri visi erano infastiditi dall'insistente Sole di quella giornata. Quella foto è una delle poche cose che ho avuto il tempo di infilare in valigia.
A settembre i miei genitori hanno deciso di mandarmi in Inghilterra, quasi fossi un pacco da spedire. Non hanno speso parole quando hanno parcheggiato davanti all'entrata della casupola di mia zia e mi hanno salutato con un semplice bacio sulla fronte. L'hanno dichiarata una soluzione necessaria a correggere i miei atteggiamenti rozzi e poco femminili. A scuola mi sento un pesce fuor d'acqua; la ragazza con l'accento strano. Provo costantemente a confondermi con la folla, lasciando spazio agli altri.
Parlo con qualche ragazza con cui ho stretto una sorta di amicizia e poi torno a casa.
Sinceramente non credo di essermi mai annoiata tanto in vita mia; ad Holmes Chapel non c'è niente. Solo un mucchio di gente noiosa.
Mia zia mi ha incoraggiata ad uscire la sera ed è solo grazie a lei se non sono sola come un cane, mi ha presentato il figlio della vicina: una ragazzo alto, corti capelli ricci, pelle abbronzata, allegre fossette, occhi verdi, bello come pochi.
Forse Holmes Chapel non è così male.
La tua vicina,
Diana
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