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Capitolo XVIII

Una freccia atterrò a pochi centimetri da lui, ricordandogli che c'era una battaglia oltre il quadrato di apparizioni. Chino su Cardmis, si fece coraggio e alzò la testa. Gli esseri evocati da Goujelt avevano trasformato i propri arti in lame affilate che ora usavano per respingere gli attacchi degli abomini che gli andavano contro. I nemici, nerboruti guerrieri ricoperti dalla polvere bianca di una sostanza simile al gesso, roteavano gli spadoni a due mani e si abbattevano sui difensori lanciando incredibili strilli.

Mentre la prima ondata veniva sconfitta, Nathair tornò a preoccuparsi di Cardmis. Devo ricordarmi l'incantesimo, pensò. Non servono parole. Cardmis era supino e non dava segno di riprendersi. Nathair rifletté a lungo e poi passò ai fatti. Mise le mani sul suo petto e chiuse gli occhi. Tuttavia, quando percepì una freccia rasentargli una tempia, li riaprì.

«Non fermarti!» sbraitò Goujelt, mentre con la spada - ma dove l'aveva presa?, si chiese Nathair, - intercettava un dardo che lo stava per centrare. «Ci serve Cardmis. Questi sono troppi per noi!»

Dunque si concentrò di nuovo sullo scontro. Nathair lo guardò ancora un po', e così lo vide mormorare qualcosa e creare una sorta di mulinello d'aria che risucchiò alcuni dei guerrieri avversari. Con un potere del genere a cosa serviva Cardmis? Nathair smise di farsi domande e continuò a provare a svegliare l'omone.

Usò lo stesso incantesimo per quattro volte, prima di capire che non avrebbe funzionato. Allora pensò. Cosa sarebbe potuto tornargli utile? Quello no... Quell'altro neppure... Trovò la soluzione. Inspirò a fondo e poi sputò fuori l'aria che aveva immagazzinato. Adagiò una mano sul duro e gonfio addome dell'uomo e tentò di estraniarsi da tutto ciò che lo circondava. Per un attimo le grida seguitarono a trafiggergli le orecchie. Poi cambiò qualcosa e fu come se lo avessero spostato in una bolla dove ogni cosa era ovattata. Fu quello il momento in cui diede fondo alle sue energie. Stimolò la sua mente al massimo e una scarica elettrica percorse il suo braccio, raggiungendo Cardmis e svegliandolo di soprassalto.

«Buongiorno, dormiglione!» esclamò Nathair.

«Non scherzare!» gli ricordò Goujelt. «Ora spiegagli velocemente cosa succede. Lui saprà cosa deve fare.»

Le pupille di Cardmis si muovevano rapide dovunque, quasi fossero palline che rimbalzavano all'infinito contro le pareti di una stanza. Esprimevano quella via di mezzo fra la paura e l'incredulità e forse erano condite da un pizzico di delusione. L'omone si mise in piedi e osservò i morti. Uno degli spiriti cadde in quell'istante: non si rialzò più e il quadrato dovette restringersi.

«Ascoltami, Cardmis!» esclamò Nathair. «L'armata del Sacerdote della Magia Dannata...»

«Xriphen, Nathair. Chiamalo Xriphen» lo interruppe Cardmis.

«Xriphen, va bene. In ogni modo, la sua armata ci aspettava al di fuori della cupola per tenderci un agguato. Mi hanno detto di svegliarti.»

Gli occhi di Cardmis furono attraversati da un'ombra di consapevolezza. Si avvicinò a Goujelt e assentirono entrambi. Quindi tornò da Nathair e lo scosse per le spalle. «Ora tu stenditi a faccia in giù e attendi il mio segnale per rialzarti. Dobbiamo liberarci di questi qua!»

«Come?» chiese Nathair. «Tu puoi sbarazzartene così facilmente?»

«Sì, ma non ci sono solo loro.»

Nathair volle domandargli qualcos'altro, ma Cardmis lo costrinse a stendersi. Per dei secondi una sensazione di incombenza permeò l'ambiente. Il vento crebbe di potenza, la terra tremò, così come il cuore di Nathair, che aveva sempre più paura. Unì le mani e fece una cosa che non faceva da molti, forse troppi anni: pregare. Pregò con tanto sincero struggimento da illudersi che una divinità qualsiasi lo avesse ascoltato e avesse acconsentito alle sue richieste. Ma non è così che vanno le cose. Bisogna conquistarseli, i risultati positivi. Rifugiarsi nel sovrannaturale non è la soluzione. E poi credeva veramente che, se fosse esistito un dio, questi lo avrebbe ascoltato? Ma chi voleva prendere in giro?

D'un tratto l'aria si fece pesante, come se qualcuno l'avesse riempita con qualcosa. Nathair percepì le spalle spinte verso il basso. Provò a sollevare il mento, ma gli risultò impossibile. Riuscì appena a dare un'occhiata a ciò che lo attorniava. Anche Goujelt, Jonah e la moglie di Cardmis erano proni. Respiravano piano e tenevano il naso a contatto con il suolo; le palpebre chiuse. Loro sanno cosa fare, si disse Nathair. Eppure non li imitò. Compì uno sforzo immane e girò il capo verso Cardmis. Vide i suoi pantaloni, resi ancora più scuri di quello che erano dalla notte. Prima, quando la battaglia era incominciata, non si era neanche accorto che era notte. Chissà quanto tempo avevano trascorso dentro la barriera, probabilmente più di quello previsto.

Continuò a sforzarsi e riuscì a sollevare di un po' il volto. Non appena vide la marmorea schiena dell'uomo - che aveva gettato via la maglia - tendersi e le braccia dirette verso l'alto, comprese che quella pesantezza era dovuta a lui. Dopo un secondo, il viso di Nathair aderiva nuovamente al terreno. La gravità aumentava a dismisura, tanto che sentì le membra lacerarglisi.

Un urlo di dolore si riverberò. Era Cardmis. Ora aveva capito perché avevano bisogno di lui. Nessuno degli altri aveva nel contempo abbastanza magia e forza fisica da sopportare quella sollecitazione inumana. Udì Cardmis rovinare sulle ginocchia. Poi lo sentì pronunciare alcune parole, sempre più forte, mentre lamenti sofferenti pervadevano il luogo. Non erano solo loro a essere stati obbligati a rimanere stesi. Anche i nemici percepivano quel carico sovrumano che sbarrava i loro respiri.

«Quando...» esordì Cardmis, presumibilmente con i denti digrignati per contrastare la propria magia. «Quando... vi urlo... di alzarvi... fatelo.»

Alzarsi? Nathair fece un tentativo per assicurarsi che fosse possibile, ma tutto l'impegno che ci mise fu sprecato. Provò di nuovo e il risultato fu lo stesso. Scacciò ogni dubbio e si ripeté di fidarsi di Cardmis. Era tutto quello che poteva fare.

«Non...», Cardmis dovette prendere fiato, «opponetevi alla magia. Dovete... avere... tutta l'energia...»

Nathair avvertì il corpo sfibrarsi sotto quel peso distruttivo. Serrò le labbra per non strillare e resistette. Il fiatone di Cardmis era così forte e frequente da rumoreggiare come le ventate di una bufera, da ruggire come l'impatto dell'acqua di una cascata con un grande torrente.

«Alzatevi!» gridò Cardmis.

Nathair non pensò, si tirò su di scatto. E ci riuscì. Fu come se ogni ostacolo fosse svanito in quel secondo. Si voltò immediatamente verso Cardmis. Aveva inclinato le mani in avanti, mentre gli avversari si contorcevano ancora sotto il suo incantesimo. Nathair capì: l'omone aveva trasferito la gravità sopra di loro sull'armata di Xriphen, che in poco morì di atroci sofferenze.

«Abbiamo vinto!» esultò Nathair subito dopo.

Si guardò intorno e notò che nessun altro era entusiasta quanto lui. Come mai?, fu la prima cosa che gli venne da chiedersi. Poi si ricordò le parole di Cardmis: «Non ci sono solo loro.» Il terrore lo avvolse in un manto gelido e allora rabbrividì. Chi stava arrivando? Jonah lo accostò e scrollò il capo. Poi additò la spada che il giovane aveva perso prima, quando era stato costretto a stendersi. Nathair assentì e andò a riprenderla.

Esaminò i suoi compagni. Cardmis era seduto e si stava stiracchiando, cercando forse di riacquistare un po' di mobilità muscolare. Goujelt era corso in casa il più velocemente possibile e il quadrato di spiriti - che ora contava cinque membri in meno - si era sparpagliato nelle vicinanze. Jonah, intanto, si era messo in ginocchio e aveva chiuso gli occhi. La moglie di Cardmis, infine, aiutava il marito. Anche Nathair si mise a fare una sorta di stretching. I muscoli gli dolevano, ma sentiva di essere in grado di proseguire.

Goujelt tornò con una mazza ferrata fra le mani. La consegnò a Cardmis, che si rialzò, e drizzò la propria arma mettendosi in posizione da combattimento.

Un gravoso passo riecheggiò come un tamburo percosso all'interno di una piccola grotta senza uscita. Nathair saltò all'indietro, e si girò quando ne udì un altro provenire dalle sue spalle. Identici rumori si propagarono in numero sempre maggiore, facendo temere al giovane che quella che avevano salito fosse la rampa di scale più breve.

«Forse non ne usciremo tutti vivi, ragazzo» gli disse Goujelt. «Ma dobbiamo provarci. Stai pronto. Arrivano i Tyrwol.»

Immensi esseri dalla folta peluria scura sbucarono dall'intrico di alberi; le grandi asce stritolate nelle mani umane, gli sguardi infervorati dal desiderio di sangue. Avevano mostruosi musi caprini e la maggior parte di loro li fissava con le iridi giallo acceso. Un giallo spaventoso. La loro stazza li faceva superare senza troppa difficoltà le chiome degli alti alberi.

«E ora?» chiese Nathair.

«Sono in dieci» considerò Goujelt. «Forse possiamo scappare. Ma non possiamo ucciderli tutti. Non siamo riusciti a ucciderne dodici con l'aiuto di Jake. Che speranze abbiamo contro questi?»

Uno spirito scattò in avanti.

«No!» lo anticipò Goujelt. «Rimani con il gruppo! Voi, schieramento a cerchio! Lo voglio il più stretto possibile, con due strati.»

Gli esseri ubbidirono e composero un cerchio di protezione attorno a loro. Intanto i Tyrwol si avvicinavano a passi lenti, quasi volessero far pregustare loro la consistenza e il sapore dell'idea di morte.

«Ci hanno accerchiati» commentò Cardmis. «Non abbiamo vie di fuga.»

«Troverai una soluzione, amico mio» rispose Goujelt.

Jonah disse qualcosa, a Nathair parve che fosse d'accordo con Goujelt.

«E' vero. Hai sempre un trucco da sfoderare» disse la moglie.

«Non stavolta.»

Nathair deglutì. Respirò a fondo e pensò alla propria vita. Rivide ogni scena che lo aveva marchiato. Rivide il suo primo bacio, casto, a stampo, dato all'età di dieci anni. Rivide suo padre morire. Rivide la madre che si ubriacava. Rivide i suoi amici che gli offrivano una birra. La sua ragazza che, nel letto, gli posava il capo sul petto nudo. Sua sorella che si prostituiva. Rivide i suoi taciti sogni, velate illusioni di un'esistenza dilaniata dal fato. Rivide quel gran pezzo di donna della professoressa Jackson che diceva a sua madre che non sarebbe mai riuscito a fare niente. Quindi tutto scomparve, e dinanzi a sé rimase solamente la terribile visione di un mondo che cercava di espellerlo, di proibirgli qualsiasi cosa. La visione di bestie che erano sempre più vicine, in un crescendo di tensione e paura che gli provocava un pandemonio nello stomaco e gli ostruiva la gola.

«Ora attenti!» disse Goujelt. «Alla massima grandezza!»

Gli spiriti si ingrandirono fino a raggiungere quasi l'altezza dei Tyrwol. La corrente si raccolse nel palmo di Cardmis, su cui si formò una specie di piccola sfera vorticosa. Jonah rinvigorì la presa sull'unica spada che aveva. La donna incoccò una freccia, puntando verso l'alto. Goujelt si limitò a impartire ordini ai fantasmi azzurrini da lui evocati. Allora il secondo scontro ebbe inizio.

Il primo Tyrwol, uno di quelli dietro Nathair, si avventò sul cerchio, che riuscì a fermarlo grazie a due dei suoi componenti. Il mostro berciò e tutte le altre bestie lo seguirono. In poco, un accerchiamento di giganteschi caproni umanoidi - perché era questo ciò che erano - stava pressando lo schieramento difensivo dettato da Goujelt. La moglie di Cardmis fu la prima ad attivarsi. Dardo dopo dardo, tre Tyrwol arretrarono tastandosi gli occhi feriti. Poi fu il turno di Cardmis: lanciò la sfera su un quarto Tyrwol, che volò all'indietro e ricadde al suolo privo di sensi.

«Non sono forti quanto credevo!» urlò Goujelt. «Forse ce la possiamo fare!»

Non l'avesse mai detto. Nathair temette che sarebbe accaduto qualcosa di brutto. Uno dei tre mostri trafitti dalla donna si levò la freccia e, infuriato, latrò rivolto al cielo, quasi stesse invocando un aiuto. Fu allora che l'angosciante suono di uno sbattere d'ali si palesò come i rintocchi di un cuore tormentato. Le poderose appendici comparvero un attimo dopo, portandosi dietro dieci creature ancor più tremende delle bestie con cui si stavano scontrando. Alla luce di Everen, Nathair riuscì a scorgerne l'aspetto immondo, rassomigliante a uno di quegli orrori di sculture che svettavano su Notre-Dame. Ne guardò le corporature toniche e la mole pari a quella dei Tyrwol, se non superiore. 

«Ha siye Elmunar...» disse la moglie di Cardmis, smettendo di combattere.

«I Dulsca!» esclamò Goujelt. Fece guizzare le pupille un po' ovunque, quasi fosse incerto sul da farsi, poi si rivolse a Nathair: «Ragazzo, non preoccuparti. A te non faranno del male. Gli servi.»

«Allora sarebbe opportuno che scappassi. Non credi?» ribatté Nathair, che si stupì di come riuscisse a sdrammatizzare anche una situazione come quella. 

«Ed è quello che cercheremo di fare.»

Goujelt impugnò la propria arma con più energia e, iniziando a correre, gridò: «Rompete il cerchio! Si combatte a coppie!»

Gli esseri lo fecero: si sparsero per la radura e la lotta occupò un maggior spazio. Ora non avevano più protezione, ma probabilmente era necessario per trovare un modo di fuggire. Il posto era pieno del cozzare delle lame e dei profondi versi dei demoni. Un Tyrwol si diresse verso Nathair, ma Jonah si frappose tra i due e fendette il ventre dell'animale senza battere ciglio. La stridio del metallo graffiò le orecchie del giovane. Poi Jonah afferrò Nathair per un braccio e lo portò lontano.

«Jedilet gen» gli fece.

Lo trascinò fino al limitare della radura su cui sorgeva l'abitazione di Cardmis. Un Dulsca, però, atterrò davanti a loro e li obbligò ad arrestarsi. Questi spalancò le fauci, mostrando i denti aguzzi, e protese gli artigli verso di loro.

«Nulcil-asset, Dulsca!» ringhiò Jonah.

Spinse Nathair indietro, allontanandolo, e iniziò a fronteggiare il gigantesco demone. Nathair, preso dal panico, si voltò e vide sopraggiungere un secondo Dulsca. Poi si accorse di un Tyrwol che, ammazzati due spiriti, si stava dirigendo verso di lui. Guardò Jonah. Il mostro lo stava quasi sopraffacendo, nonostante Jonah fosse un guerriero valoroso e dalle abilità stupefacenti. Una freccia interruppe la corsa del Tyrwol che, già ferito, si accasciò al suolo gettando rochi versi di dolore.

«Nathair, resisti!» lo supplicò Goujelt da lontano.

Il Dulsca avanzò. Aprì le maestose ali, oscurando il chiarore di Everen. Ma una di quelle ali venne bucata da qualcosa. Da una lama. Goujelt. La creatura si scansò, ritraendo la grande appendice, e Goujelt accostò Nathair. In lontananza Nathair vide l'affluire di altri Tyrwol, che provenivano dalla foresta. Dietro di sé, eccetto il Dulsca che stava affrontando Jonah, la strada era spianata. Adocchiò il campo di battaglia: la moglie di Cardmis giaceva esamine al suolo e il marito era lì, pronto a custodire il cadavere di lei fino alla morte. In quell'attimo, però, le pupille di Nathair incontrarono quelle di Cardmis. Altri Tyrwol stavano raggiungendo lui e il manipolo di spiriti, ora ridotto a dodici unità. Fu come se avessero comunicato e Nathair comprese che stava per succedere qualcosa di impressionante. 

«Dove sei, Chiaroveggente?!» ruggì una voce raschiante e gutturale, quasi rovinata da qualcosa.

«Non è possibile» mormorò Goujelt.

«Cosa?»

Indicò il retro della casa di Cardmis; il braccio vacillante, la bocca semiaperta. Non riusciva a a parlare. Ogni modulazione veniva soffocata dal suo terrore. Poi, dopo aver preso un respiro, disse: «Xriphen è ancora vivo. Siamo spacciati.» 

Improvvisamente un fulgore accecante seguì un rumore stordente. Tutti i Tyrwol e i Dulsca si coprirono le orecchie e in poco sembrò essersi costituita un'orchestra di muggiti e di fragori demoniaci, che si innalzavano come la miriade di colonne di fumo di uno sconfinato focolaio. Il continuo berciare affollò la notte e persino gli alberi sembrarono palpitare dalla paura. Nathair cercò di capire cosa stava succedendo. Scorse Cardmis. Aveva posato le mani a terra e stava recitando qualcosa. Era lui a generare i fasci di luce e quell'indecifrabile rumore assordante. Ma niente di ciò che l'omone stava causando danneggiava in qualche maniera Nathair o i suoi compagni. Cardmis alzò il viso e ricambiò lo sguardo del giovane. Stava piangendo. Cristalli acquei gli aravano le guance tentando di dare un messaggio che Nathair non ricevette. Che non volle ricevere. 

«Vieni!» gli comandò Goujelt.

Lo strattonò verso la foresta, e assieme a Jonah presero a correre quanto più rapidamente poterono. Quando raggiunsero l'ampio fiume, Jonah si diresse verso il capanno di Cardmis e prese la sua barca. La misero in acqua; ancora si sentiva la magia consumare l'udito e la vista dei mostri. Remarono tutti e tre energicamente. Quando furono sull'altra sponda, Goujelt fendette la barchetta con la spada e la lasciò andare al largo, così da affondare. Nathair rimase immobile; lo sguardo sedimentatosi sulle distanti luci che affioravano dalle chiome. Perché avevano abbandonato Cardmis? E fu in quell'istante che un silenzio impregnato di verità sostituì l'incantesimo dell'amico. Un silenzio quasi incolmabile. 

«E Cardmis?» chiese Nathair. 

«Domandalo a Jonah. Essendo legati da un voto, hanno una sorta di connessione spirituale che consente loro di sentirsi anche a grande distanza.»

Nathair scrutò Jonah, che si stava dirigendo nel verso opposto, intento a scappare.

«Fermo!» gli intimò, e Jonah lo ascoltò. «Cosa è successo a Cardmis?»

«Lo sai anche tu cosa gli è successo» gli rispose l'uomo; i muggiti delle creature che si effondevano. 

E la certezza venne a galla. 

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