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Capitolo XVI

Risate. Risate a non finire. Prima fanciullesche. Poi demoniache. Come pugnali infilati nelle orecchie, che sanguinano, e non smettono, e sembrano sgretolarsi alla stregua di una zolla di terra. Fu questo che sentì Reck mentre il buio invadeva il suo mondo. Rintocchi di campane che riecheggiavano facendo pulsare di dolore il suo cuore. Soffici piume che scendevano nella loro leggiadra danza e si trasformavano in lente armi abrasive, che percorrevano il suo corpo invisibile facendolo soffrire immensamente. Qualcuno stava artigliando la sua carne. Come se lo stessero divorando vivo. Eppure lui non si vedeva. Non vedeva nulla attorno a sé.

«Combatti» fu il sussurro che si disperse nell'aria. «Non lasciare che il Flesra vinca. Tu puoi contenerlo, lo so.»

Era una voce maschile. Aveva un tono aggraziato, più adatto a una donna che a un uomo. Giovanile. Come quella di un giovane che tarda a divenire adulto. Lo stava confortando. Lo stava supportando. E forse, anche se non lo avrebbe mai ammesso, era ciò di cui Reck aveva bisogno. Necessitava un aiuto, qualcosa che lo spingesse a proseguire. Dopo la morte di Nimniail, quella di suo padre e quell'oceano di nero che lo aveva sommerso, di ragioni per continuare a vivere, ce n'erano poche. Forse, come ogni essere umano, voleva soltanto qualcuno che credesse in lui. Non lo volle confessare neanche a se stesso, ma aveva capito che era proprio ciò che gli serviva.

Si ribellò alla forza che lo tratteneva. Sembrava una sostanza oleosa e appiccicosa, induritasi tanto da poter intrappolare anche il più grosso dei Tyrwol. Reck tirò, lo fece con tutta l'energia che aveva in corpo. Non ebbe successo. Provò ancora. Lo stesso risultato. Tentò finché non percepì la sofferenza pervadergli le membra. Non vedeva nulla, udiva solo questo mormorio di incitamento che lo induceva a seguitare.

A un certo punto dovette urlare per sopportare lo sforzo. E si sentì, e questo gli infuse una tenacia senza pari. Devo vivere, si disse. Devo farlo per coloro che mi hanno amato. Non devo deluderli. Loro non vorrebbero che morissi tanto stupidamente. Io non posso lasciare Flesra così stupidamente. Spinse ancora e sentì i muscoli lacerarsi. Eppure continuò.

«Ci sei quasi!», la voce giunse più forte di prima. «Stai per risvegliarti!»

Reck lo sapeva. Per questo le sue urla crebbero d'intensità accompagnate dal tremore delle braccia, che si contraevano sempre di più nello strappare quell'oscura materia che lo immobilizzava. Comparve della luce. Piccoli chiarori che punteggiarono le tenebre che lo sovrastavano. Divennero numerosi. Alcuni vennero inglobati da altri, formando buchi più ampi, e in essi spuntarono dei grandi occhi che lo osservavano. Iridi azzurrine, così impersonali ma anche così rilassanti, giganteschi laghi in cui tuffarsi e riposarsi, riprendersi dopo le intemperie.

Reck diede l'ultima strattonata e sentì qualcosa spezzarsi. Non era il suo corpo stremato, non era la sua anima corrotta. Era quello che stava cercando di rompere. E ci era riuscito.

Uno straordinario calore lo investì e si tirò su col busto. Era in una abitazione, sopra un letto sfatto. Alla sua sinistra aveva un caminetto che scoppiettava, mentre alla sua destra c'era una persona. Probabilmente era lo stesso che lo aveva esortato a combattere e gli aveva dato quel motivo mancante per opporsi alle avversità. Lo guardò. Le stesse iridi che lo avevano fissato spiccavano su un viso pallido con qualche lentiggine, incorniciato da capelli ramati che parevano essere disposti a caso. Era un ragazzo. Vent'anni circa, forse uno in più o in meno.

«Sì! Ce l'ha fatta! Lynn, ce l'ha fatta! Lynn! Lynn!»

Senza aspettare oltre, si alzò dallo sgabello su cui era seduto e corse in un'altra stanza, lasciando la porta socchiusa. Reck esaminò l'ambiente circostante. Le pareti erano di mattoni. Di mobili ce n'erano pochi: un tavolo, alcune sedie, il letto su cui era lui. C'era una specie di contenitore di un materiale insolito, con del legname all'interno, probabilmente per cucinare i pasti.

Reck si mise a sedere sul materasso. Sospirò; le sussurrate parole di coloro che si trovavano nell'altra camera. Si alzò e si affacciò alla finestra che fiancheggiava il caminetto. Di fuori, Uhusyan stava calando e il cielo assumeva una tinta di un arancione rosato. Chi era la gente che lo aveva trovato? Cosa gli era successo? Una cosa, però, la sapeva: il ragazzo aveva nominato Lynn.

«Lynn ti vuole vedere» disse questi, fermo davanti alla porta e con le pupille addossate su Reck.

«La Lynn che conosceva Jake?» fece Reck.

«La Lynn che conosceva Jake» ripeté il ragazzo quasi con disprezzo.

Il suo tono era così diversa da prima. Ora... sembrava che odiasse Reck. Lo mirava con il disgusto di chi sa di avere la feccia più fetente davanti a sé.

«E cosa vuole da me, ragazzo?»

«Sono Balmen, se non ti dispiace. Non avremmo poi così tanti anni di differenza. Comunque, vuole quello che vuole. Non farti pregare... soldato.»

Reck notò di avere un'ampia maglia bianca al posto di quella che indossava precedentemente. «Che senso ha cambiarmi la maglia e non i pantaloni?» chiese.

«Lynn non voleva essere sfacciata. E' una brava persona.»

Reck annuì. «Lo sospettavo.» Accostò Balmen e lo guardò. «Per di qua?» disse, indicando la stanza dalla quale era appena uscito il giovane.

«Sì, per di qua.»

Reck entrò. Su un letto, sotto un insieme di spesse coperte di uno smorto celeste, una donna stava fissando il soffitto. Gli occhi spalancati rivelavano il tenue viola delle iridi, che si abbinava alla perfezione con la pelle della giusta tonalità e con i fluenti capelli neri. Respirava adagio, quasi temesse di non poter reggere un ritmo più alto. Sorrise. Poi le belle labbra si mossero tacite, pronunciando qualcosa che Reck non comprese. Il rumore della porta che si richiudeva lo colse impreparato, ma non trasalì, rimase immobile a osservare la deliziosa creatura che tentava di dire qualcosa.

«Quindi tu sei Lynn» esordì lui.

«Proprio così.»

La sua voce era rovinata ma si sentiva.

«Cosa volevi dirmi?»

Lei si appoggiò su un gomito e cercò di tirarsi su. Una prima volta sembrò non riuscirci. Eppure Reck stette fermo e aspettò che avesse fatto quel che voleva fare, ovvero sollevare il busto. Allora Lynn spostò il sedere all'indietro finché la debole schiena non aderì alla testata del letto. Riprese fiato. Aveva una fasciatura a coprirle il seno e sotto di essa c'erano delle bende sotto macchiate di un rosso che andava sparendo. Era ovvio che fino a qualche giorno prima doveva essere stata in punto di morte.

«Vorrei... sapere il tuo nome.» Inspirò ed espirò. «E anche... come fai a... conoscermi.»

«Mi chiamo Reck.»

«Reck... Mio padre aveva chiamato Reck... il mio fratellino. E' morto che era piccolissimo, però.»

Reck non si scompose. «Mi dispiace.»

Lynn rise. Dopo, tossì. «Sei un duro, eh? Jake non lo era... Mi è sempre piaciuta quella sua parte ottimista che lo faceva rimanere quel simpaticone che era da sempre. Lo hai... visto?»

«Sì.»

«E... com'è stato?»

La ferita causata dalla scomparsa di Nimniail si fece sentire. «Ha distrutto la mia vita.» Chiuse gli occhi cercando di ricostruire l'immagine dell'elfa nella mente. «Ora ascoltami, Lynn. Io non so chi tu sia, non so cosa c'entri con quella pergamena, non so cosa sta succedendo a questo mondo, così come non so cosa vuoi da me. Non sprecare il mio tempo. Spiegami tutto.»

«Non ne ho le forze, Reck» rispose lei. «Ma se dici a Balmen di venire qua, lo farà lui al posto mio.»

Reck tacque. Si voltò e andò da Balmen. Lo trovò vicino al camino. Teneva nelle mani un bastocino su cui era stato infilzato del cibo. Lo stava abbrustolendo. Solo in quel momento si accorse di Reck. Appoggiò tutto sul ripiano davanti al focolare e si avvicinò a lui.

«Che vuoi?» gli disse.

«Devi spiegarmi quello che sta succedendo.»

Balmen fece una smorfia di fastidio, come se per lui fosse troppo difficile parlare con Reck. Prima, però, gli era parso tanto gentile e confortante. Peggio per lui, in ogni modo. Reck non era lì per fare nuove amicizie.

«Bene. Torniamo di là, però. Voglio che ci sia anche lei.»

«A me non cambia.»

Dopo qualche istante erano entrambi vicino a Lynn. Avevano preso delle sedie e ci si erano messi. Balmen era chinato in avanti; i gomiti sulle ginocchia, lo sguardo abbassato e dolente. Reck lo scrutava dall'alto della sua fiera postura.

«Come ti chiami?» chiese Balmen.

«Reck, ragazzo. Ora sbrigati.»

«Non hai molta pazienza, eh?» se ne uscì Balmen, fulminando Reck con le pupille grondanti di astio. «Dovrai averne, comunque.»

«Smettila di temporeggiare» insistette Reck. «Non sono qui per farmi prendere in giro da te.»

«Io ti ho salvato!» esclamò il giovane, additando Reck a mo' d'accusa. «Quando hai liberato il potere della pergamena, l'onda d'urto di magia ha disintegrato molte cose in un lungo raggio d'azione. Ti ho trovato privo di sensi sull'orlo di un cratere che dava su uno strapiombo.»

«E quindi?»

«E quindi» proseguì Balmen, «dentro di te ora hai qualcosa d'inimmaginabile. E sei riuscito a contenerlo. Solo Bearsted, Mikkel e Jake ci erano riusciti.»

Reck si fece più attento. «Questo mi interessa» commentò. «Dimmi di più.»

«Si tratta del Flesra» intervenne Lynn, respirando pesantemente. «Credo che tu sappia che la rete energetica e magica si basa sugli Otto Santuari e su un fiore primordiale.»

Reck annuì. «Così dicono le leggende. E allora?»

«Quello è uno strumento dei Padri dei Popoli» riprese Balmen. «La pergamena, intendo. Può racchiudere grandi poteri, talvolta anche degli spiriti, se sono connessi a tali poteri. Jake, prima di essere ucciso dalla Sacerdotessa della Luce, ha deciso di riversare la propria essenza nella pergamena e ha fatto sì che questa andasse persa. Credeva nel destino. Credeva che essa sarebbe giunta a chi la meritava.»

«E, fatemi capire, la pergamena conteneva il... Flesra?» domandò Reck.

«Esatto» rispose Lynn, che poi tossì.

Balmen le fece segno di zittirsi. «Fai dirlo a me. Va bene?»

Lei accettò senza opporsi.

«Dentro di te hai un nucleo di magia così potente che potrebbe spazzare via l'intero mondo, se liberato del tutto. Hai la possibilità di creare e di distruggere. In te scorrono la parte pura della magia e anche quella Dannata. In te ci sono le anime di coloro che sono vissuti in ogni epoca. Possiedi capacità incredibili, ora. Ma non hai modo di controllarle. Potrebbero portarti alla pazzia, oppure potrebbero prendere il sopravvento ed eliminare la tua coscienza. Potrebbero decretare la tua fine.»

Reck sentì un immenso onere gravargli sulle spalle. «E come faccio a sapere che dici la verità?»

«Forse in questo momento non lo percepisci, ma fra qualche giorno capirai che ho ragione.»

«Va bene. Ammettiamo che tu sia nel giusto: e se io volessi sbarazzarmene?»

Balmen ridacchiò e scrollò il capo. «Penso che sia impossibile.»

«E perché? Se ho capito bene, mi basta uno di quei contenitori. Potrei rifare quello che ha fatto Jake, senza ovviamente metterci anche il mio spirito.»

«Non puoi» disse con una nota di irritazione Balmen, come se lo avessero interrotto. «Non puoi perché la magia di Flesra sta scemando. Diminuisce giorno dopo giorno. E quando - e se - i tuoi poteri e quelli dei Santuari saranno cancellati, l'oscurità si impossesserà di ogni cosa. Le barriere erette dai Siyew cadranno e nulla eviterà alla Sacerdotessa della Luce di portare delle armi dai mondi proibiti dai Siyew.»

«Tanto i Santuari sono otto, no?»

«Lo erano» mormorò Lynn. «Ne hanno già distrutti sette.»

«Qui entriamo in gioco noi» fece Balmen. «Nostri informatori ci hanno detto che, nell'estremo nord, una bambina - una principessa - manifesta sintomi di un qualche genere di infestazione magica. Sembra essere posseduta da un demone, ma sono fermamente convinto che sia l'ultimo Santuario che, avvelenato dalla Dannazione, ha optato per trasferire il suo potere a una creatura che ne fosse degna.»

«E tu e Lynn dovreste proteggerla?» chiese Reck, alzandosi dalla sedia.

Diede un'occhiata a Lynn e si allontanò. Si mise a passeggiare per la stanza. I suoi passi risuonavano lievi sul pavimento levigato. Tutta quella responsabilità accresceva l'inquietudine che aveva provato i giorni precedenti. Era certo che ogni fatto era reale, che non c'erano menzogne. Sperava, però, che fossero solo bugie. O forse, più che sperarlo, pensava che fossero impossibili. Un potere tanto nobile non poteva avere scelto lui fra milioni di individui.

«Non solo io e lei.»

Lui scosse la testa. «Non contate su di me.»

«Dobbiamo tenerti al sicuro. Non possiamo permetterti di andartene. Devi seguirci, Reck. Dobbiamo salvare questa bambina e tu devi aiutarci.»

Reck non rispose. Non lo volle fare. Si diresse verso la porta, afferrò la maniglia e l'aprì. Prima di uscire si girò verso Balmen e Lynn, che lo guardavano attoniti. Forse si aspettavano un semplice sì. Se era questo ciò che avevano creduto, si erano sbagliati.

«Sarebbe bello avere un giaciglio per questa notte. Grazie.»

E uscì. Andò all'esterno, dove la notte aveva quasi sopraffatto il chiarore di Uhusyan, di cui rimaneva un leggero alone che veniva tagliato dalla chioma degli alberi. La casa era solo una parte di un edificio in rovina. La mia vita è proprio come questo posto, pensò. In rovina. Mentre la corrente serale sferzava la fine maglia a maniche lunghe, Reck rifletté su ogni lettera di quella conversazione. Avrebbe accettato. Oppure poteva non farlo, disinteressarsi di tutto e fuggire. Ci avrebbe pensato l'indomani. 

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