Capitolo XIX
Reck si svegliò che stava ancora albeggiando. Nella stalla gravava un silenzio carico di significati. Aveva pensato a lungo la notte, prima di addormentarsi. Accettare o no? E se non lo avesse fatto, cosa avrebbe potuto fare della propria vita? Domande senza risposta lo accerchiavano come uno stuolo di arcieri nemici. Non poteva trovare una soluzione a quei quesiti. Non vedeva il futuro.
Si tirò su dal giaciglio di paglia che gli aveva preparato Balmen. Si diresse all'esterno, dove Uhusyan stava sorgendo inondando il paesaggio della sua luce tra l'arancione e il rosa. Là rifletté. In piedi, immobile, con gli occhi rivolti alla palla di fuoco che si innalzava sconfiggendo l'oscurità. I pallidi rimasugli di Everen si notavano dalla parte opposta, pronti a scomparire sommersi dal chiarore diurno. Un animale, intanto, emetteva il suo verso stridulo, ma era lontano da lì.
Un rumore lo distolse dai suoi pensieri. Si voltò e la vide. Era Lynn. Aveva indossato una larga maglia rossa e aveva dei pantaloni sgualciti. Si stava avvicinando usando la parete come appoggio, e ansimava, ansimava come se avesse appena percorso tutta la foresta in corsa. Lei si fermò a poca distanza da lui, ma Reck non si mosse.
«Mi aiuteresti?» gli chiese.
«Non dovresti essere fuori. Le tue condizioni sono pessime.»
«Ti preoccupi per me?»
Reck tornò a guardare Uhusyan. «No, volevo solo accertarmi che fossi cosciente di quello che facevi.»
Lei si staccò dal muro e si diresse incerta verso di lui. Reck continuò a non muoversi. La osservò mentre, claudicante, lo stava raggiungendo. Quando gli fu vicina, parve crollare sulle ginocchia, e allora Reck si protese e la sorresse. Era così fragile.
«Scusami... Non sto troppo bene...»
Allontanò lo sguardo da lei. «E allora perché sei venuta fin qua?»
«Dovevo parlare con te... e speravo di trovarti alzato.»
Reck la lasciò andare. «Non c'è niente di cui parlare.»
Lei barcollò per qualche attimo, prima di acquistare stabilità. «C'è, invece. Tu non sei sicuro e noi dobbiamo partire il prima possibile. Ma tu devi venire con noi.»
Reck scrollò il capo. «Verrò solo se lo vorrò.»
«Ma è una decisione che non puoi prendere così facilmente...»
Reck si voltò fulmineo verso di lei. «Per questo devo pensarci.» Ritornò con lo sguardo diretto sul cielo arrossato. «Sei qui per convincermi o per sbriciolare la mia pazienza?»
«Io...» disse Lynn, quasi le avessero strappato le parole dalla bocca. «Io...», il suo era sempre più simile a un sussurro, e andava scemando. «Io...», stavolta sembrò l'esalazione di qualcuno che sta per morire.
Reck si girò e vide le ginocchia di Lynn tremolare. Temette che la donna stesse per rovinare al suolo e perdere i sensi, e quando questo sembrò effettivamente accadere, Reck la afferrò. Mise un braccio sotto l'incavo delle sue gambe e la tirò su. Lynn, con le ultime forze che le erano rimaste, congiunse le mani dietro la sua nuca e appoggiò la testa sul suo petto.
«Dove ti porto ora?» le domandò.
«Non in casa. Voglio... ancora parlare con te. Dentro c'è Balmen. Ci disturberebbe», pareva immersa in un sogno a occhi aperti.
Reck si mosse subito. Entrò nella stalla e la adagiò dove aveva dormito lui. Dei due cavalli, lontani da loro, uno stava dormendo sdraiato di lato, mentre l'altro si stava abbeverando in un recipiente rettangolare di legno. Erano gli unici a fare rumore.
«Ti prego... Vieni con noi, Reck» mormorò Lynn.
«E perché dovrei farlo?» rispose lui.
Reck si sedette accanto a lei e pensò che forse aveva ragione. Ogni oggetto che aveva portato con sé era stato smarrito quando aveva sprigionato e in seguito accumulato l'energia di quel fiore e tutti i suoi affetti erano morti. Non aveva senso resistere ancora.
«Perché ci servi. Tu e la ragazzina potreste avere un legame molto forte» fece lei.
«Non addurre scuse inverosimili. Non la conosco nemmeno.»
Lei trasse un respiro. «Vedi, essendo tu ora l'ospite del Flesra, hai sviluppato un sorta di connessione con i Santuari, e se lei ha veramente assorbito la magia di un Santuario, allora voi due siete legati più di qualsiasi persona di questo mondo.»
Reck sentì un fruscio e fece segno a Lynn di tacere. Si alzò e si avvicinò cauto all'entrata. Si posizionò a lato di essa e si mise in ascolto. Udì un passo, poi un altro. Era qualcuno che non si voleva far sentire: appoggiava i piedi con misurata precisione, calpestando la rada erba sempre con lo stesso ritmo. Sicuramente una persona normale non se ne sarebbe neanche accorta, ma Reck non era normale. Aveva passato la giovinezza a sviluppare un udito che cogliesse qualsiasi suono, per quanto piccolo e fievole potesse essere. Aveva trascorso mesi a soppesare le variazioni dell'aria attorno a lui, e quel maldestro tentativo di non farsi sentire era quasi un insulto alle sue abilità. Quando l'individuo in questione fu quasi arrivato, Reck si catapultò all'esterno e gli sferrò un pugno in pieno viso. L'uomo cadde all'indietro, e solo allora Reck capì di aver colpito Balmen.
«Che male!» esclamò il giovane, massaggiandosi la guancia. «Ma che hai di sbagliato nel cervello?»
«Nulla» rispose Reck. «Ho sentito qualcuno che si avvicinava a passi felpati e l'ho fermato. Potevi essere un nemico, ritieniti fortunato che non ti abbia fatto di peggio.»
«Sì, certo. Dov'è Lynn, soldato?» gli chiese Balmen.
Reck si chinò su di lui e lo prese per la maglia. «Non chiamarmi più soldato, ragazzo, oppure te la dovrai vedere con me e ti assicuro che non ti conviene.»
Balmen si tirò su e lanciò un'occhiata furente a Reck. «E tu non chiamarmi ragazzo. E dimmi dove si trova la mia amica.»
Reck indicò la stalla facendo un cenno col capo. Balmen si tolse la polvere dalla fine giacca che indossava. Indirizzò lo sguardo dove gli aveva detto Reck ed entrò nella stalla.
Reck si allontanò. Ora poteva finalmente stare in pace. Forse avrebbe avuto l'occasione di guardarsi intorno. E lo fece: andò al limitare della radura e osservò il posto in cui era finito. Davanti a lui c'era solo la foresta, ma dietro, il terreno s'inclinava leggermente verso l'alto e gli alberi diminuivano a favore di qualche pascolo. Più in là c'era la vetta di una montagna che si stagliava imponente quasi solleticando le nuvole; il picco innevato, il cielo più denso.
In poco la visione del paesaggio sbiadì al confronto con i dilemmi che lo affliggevano. Sul serio ora aveva un legame speciale con quella ragazzina? Reck si sedette a terra. Perché a lui? Perché proprio a lui? Perché, quando gli si era presentata l'opportunità di scappare, non aveva scelto di rimanere al campo e di aderire alla causa di suo padre? Aveva carbonizzato una vita già pronta, una vita nella quale ci sarebbe potuta essere anche Nimniail. Sarebbe potuto andare fino a Damadin e capeggiare la rivolta progettata da suo padre. In tal caso, o sarebbe sopravvissuto o no. Non ci sarebbero state mezze vie. Sapeva quanto odio provassero nei suoi confronti i fratelli dell'imperatore, così come sapeva che, se lo avessero avuto nei dintorni, non ci sarebbero state torture o attese di sorta. E soprattutto Nimniail sarebbe stata ancora viva. L'avrebbe mandata lontano e le avrebbe detto di aspettare sue notizie, prima di andare a cercarlo. Così, anche se lui fosse morto, lei avrebbe continuato a vivere.
E ora, invece?
Adesso Nimniail era morta e lui aveva un potere gigantesco al suo interno. Un potere che lo stava portando pian piano verso il baratro. Un potere che lo avrebbe dilaniato e si sarebbe impossessato della sua esistenza, che avrebbe affondato i taglienti artigli nella carne della sua mente. Ogni sogno di gloria, ora, era sparito. Non c'era più il Reck che a ventisei anni guidava un esercito immenso: quella persona era stata inghiottita dai fumi velenosi dell'oblio, e non ne sarebbe mai stata risparmiata.
«Reck...»
Reck si girò e vide Lynn. Dietro di lei, valido appoggio, c'era Balmen.
«Allora?» disse il giovane. «Hai deciso?»
Quell'ennesima domanda innescò un meccanismo in Reck. Sapeva di essere una persona impaziente, forse irascibile, ma non credeva che mai avrebbe provato il desiderio di sfogarsi su qualcuno. Eppure in quel momento tutto il suo essere gli strillò di farlo, di esprimere le sue emozioni, di liberare i cani della sua rabbia.
«Tu capisci che la mia vita è stata distrutta in qualche giorno?» gli chiese Reck. «Capisci che l'unica persona che io abbia mai amato è morta per via degli avvertimenti di un maledetto spettro? No, certo che non lo capisci. Non lo sapevi, non puoi capirmi. Ma io lo capisco, e sento in me quei residui del mio passato che galleggia ancora. Sono come delle spine conficcatesi nel mio cuore, in quel punto in cui credevo di non provare nulla. E sai invece cos'ho scoperto? Che ho anch'io dei sentimenti! Posso piangere, ci credi? Reck, il mostro sanguinario, può piangere e soffrire per una donna. E sai cosa ho compreso, inoltre? Che questo mio reprimere qualsiasi emozione ha fatto sì che esse mi ferissero più del dovuto.» Prese fiato. Percepì un formicolio alle braccia, ma lo ignorò. La sua anima aveva iniziato a parlare e nulla l'avrebbe interrotta. «E non è tutto. Ora ho dentro di me ho qualcosa che per me è inconcepibile. Un potere che non so utilizzare e che potrebbe impadronirsi della mia volontà. E tu mi chiedi se ho deciso? No, non ho deciso!»
Balmen arretrò. Sussurrò qualcosa a Lynn, che si allontanò verso l'abitazione seguitando a occhieggiare Reck. Quando fu entrata, Balmen fece un passo in avanti. Stava diventando caldo. La leggera brezza, lascito della notte, aveva cessato di spirare. O almeno a Reck sembrava così.
«Ora calmati o sarà difficile controllarlo...»
«Controllare cosa?» ringhiò Reck, e si avvide che la sua voce era più roca di prima.
«Il Flesra.»
Era sempre più caldo. Reck si tolse la maglia e rimase a torso nudo. Eppure il calore non si decideva ad abbandonarlo. Il Flesra... Cosa stava dicendo Balmen?
«Tu deliri...» mormorò Reck. Sentì le gambe cedergli. «Tu stai delirando...» Cascò in ginocchio e si portò le mani alle tempie, che bruciavano, così come stava facendo il resto del suo corpo. Sembrava quasi che un demone avesse acceso un rogo sotto di lui e che ora la sua pelle si stesse trasformando in carbone. «Cosa stai...»
Non aveva più il fiato per parlare. Il respiro era irregolare, tutto quello che lo attorniava lo ustionava come ferro incandescente. Udì con certezza Balmen che parlava, ma non capì cosa stesse dicendo. C'era un ronzio insistente che gli corrodeva i timpani e, quasi sotterrati da cumuli di pensieri, remoti echi gli giravano attorno. Si guardò un braccio e vide qualcosa che lo fece scattare all'indietro. Su di esso erano comparse striature nere che formavano simboli dai contorni arrossati e roventi.
«Cosa sta succedendo?» gridò. «Cosa sta succedendo!? Dimmelo!»
Fissò la figura sfocata di Balmen che gli si avvicinava. Sentì una mano che veniva appoggiata sulla sua spalla e sbraitò, inveì contro il cielo finché la violenza fisica non prese il sopravvento e si avventò sul ragazzo. Gli prese i polsi e lo immobilizzò con la schiena premuta a terra. Erano faccia a faccia; gli occhi di Reck vedevano l'immagine di Balmen come un essere sotto un velo d'acqua. I contorni del suo corpo ondeggiavano come tessuti sospinti dal vento e la sua voce gli giungeva alla stregua di un bisbiglio che si perpetua dall'eternità.
D'un tratto tutto tornò alla normalità.
«Reck, calmati» stava dicendo Balmen. «E' una crisi di nervi. Il Flesra sta distruggendo la tua volontà.»
Reck voleva rispondere che non era vero, che ora era tutto finito. Eppure non riuscì a parlare. Ogni tentativo fu inutile. Volle allontanarsi, scusarsi per averlo trattato così, forse maledirlo per aver lasciato che quella pergamena agisse sulla sua coscienza senza alcun limite. E non riuscì a fare nulla, di nuovo. Anzi, le sue mani strinsero con più veemenza i polsi di Balmen, che si lasciò sfuggire un verso di dolore; il viso pitturato di una smorfia.
«Non è il mondo. Non è il mondo» disse la voce di Reck, senza che lui lo volesse.
Improvvisamente Reck riebbe il controllo di se stesso. Percepì una scossa attraversargli i muscoli e urlò. Davanti a sé apparve Nimniail, che gli sussurrò qualcosa. Lui allungò una mano in avanti, tentando di toccarla, ma le sue dita oltrepassarono la sagoma di lei. Allora la vide sorridere, prima che il buio oscurasse i suoi sensi.
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