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Capitolo VI

Reck aveva già sentito parlare di un tale Jake Holst. Un Itriamuna, gli avevano detto. Uno di quelli importanti, come a suo tempo lo era stato Ryek il Grande, ossia colui che aveva accolto l'eredità del cavaliere Bearsted e l'aveva usata per combattere il male. Reck si ricordava gli eventi che avevano accompagnato la venuta del giovane Holst: non una vera e propria guerra, come quella che l'Impero di Agder aveva dichiarato agli Aelfar Glauco un mese addietro, ma una serie disorganica di scontri fra tribù e animali, di rivolte nelle città più a nord e a sud.

Lo spettro emanava un'aura brillante e leggermente fredda, che rischiarava una porzione di muro su cui campeggiava, per metà bruciacchiato, il dipinto del trisavolo del re elfico del tempo. Era vestito con una camicia che si gonfiava nel verso opposto a quello in cui spirava il vento, e aveva dei pantaloni bucherellati, che lasciavano intravedere parti dell'eterea pelle somigliante alla volta celeste quando fa notte e appaiono le stelle. Non era possibile distinguere alcun colore: gli occhi, i capelli, gli abiti, ogni cosa era marcata da linee luminose che individuavano i contorni.

Il fantasma fece un passo in avanti, e Reck vide che non aveva piedi: arrivate alle caviglie, le gambe sfumavano ondulatorie verso il simbolo da cui era uscito, come a ricordargli che la sua apparizione era strettamente collegata a esso.

«Sembri sorpreso» disse Jake. «Devi sapere chi sono...»

«Veramente dovresti rinfrescarmi la memoria.»

Reck aveva indietreggiato un poco in modo da poter scappare nell'evenienza. Riteneva inutile combattere contro uno spettro, anche perché era quasi sicuro che nulla di materiale avrebbe potuto danneggiarlo.

«Sul serio non mi conosci?» chiese Jake. «Che strano... Eppure Lynn mi aveva detto che la voce si era diffusa per tutta Flesra...»

«Basta parlare tra te e te» affermò Reck. «Non starò qui un secondo in più, ad ascoltare i tuoi pensieri.»

«Che maleducazione.»

«Cosa mi dovrebbe indurre a portarti rispetto, spettro?» controbatté Reck.

Jake dondolò il capo; gli angoli della bocca leggermente alzati, così come le pupille, e lo sguardo assente, proprio di coloro che si fermano a riflettere. Si toccò il tessuto della camicia gonfiata dal vento e assunse un'espressione fra il dubbioso e il contrariato.

«Sai, il Maestro non mi aveva avvertito che quando sarei morto non avrei seguito più nessuna legge fisica...»

Reck corrugò parzialmente la fronte, alzando il solo sopracciglio destro. «Conosci la fisica?» gli domandò.

«Ehi, vengo da un mondo dove la fisica regna, la conosco anche per forza.»

Reck volle chiedergli una cosa, ma si astenne. Percepì la brezza che gli attraversava i cortissimi capelli e si toccò la testa. Ancora non si era abituato. Un po' gli mancava la chioma nera che incorniciava il suo viso marcato e lasciava solamente intravedere gli occhi verde scuro. Aveva dovuto tagliarsela per volontà del padre. Un generale deve essere sempre curato. Respirò e scacciò ogni riflessione.

«Hai perso l'arroganza?» fece Jake.

«Affatto» rispose Reck. «E poi la mia è risolutezza. Non arroganza.»

«Sicuro te, sicuri tutti.» Il fischio del vento che stava salendo. «Vuoi sapere o no il perché del mio essere qui?»

Reck si fece più attento. «Parla.»

«La strada è avversa, Reck.»

Ciò che Jake aveva detto, lo allarmò. «Come fai a conoscere il mio nome?»

«Lasciami continuare» ordinò Jake. Prese fiato e proseguì: «Devi ancora affrontare le vere sfide che Flesra ti farà affrontare. Nulla ti sottrarrà al confronto con il destino. La via più semplice è bloccata, dovrai usarne un'altra.»

Si zittì. Anche Reck ammutolì. Nessuno parlò per qualche manciata di attimi.

«Cosa significa ciò che mi hai detto?» esordì Reck infine.

«Mi dispiace» rispose Jake. «Qualcuno qua mi obbliga a non rivelarti tutto. Ho dovuto trovare un modo per avvertirti di ciò che sta per succederti. Una cosa, però, che posso dire chiaramente c'è: scappa stasera e porta con te questa pergamena.»

Reck arretrò un po'. Poi si arrestò. Guardò a destra e sinistra: un'ampia strada contornata da caseggiati di varie altezze. Le abitazioni elfiche gli sembravano simili a quelle di Damadin, solo che lì non c'era una luce afosa che picchiava su tutto per gran parte del giorno. Afferrò l'orlo del mantello che svolazzava e lo fissò. Non aveva tempo da dedicare a quello che gli stava dicendo Jake, qualunque cosa essa fosse stata.

«Non voglio» asserì.

«Devi, Reck» replicò Jake. «Se non lo farai volontariamente, sarà il fato a importelo.»

La figura di Jake iniziò ad abbassarsi. Le gambe stavano facendo lentamente ritorno alla pergamena; la sua immagine si indeboliva nell'avvincinarsi al simbolo. Era come se una forza ignota lo stesse risucchiando, come se lo stesse costringendo a rientrare da dove era uscito. E forse era così; forse, se soltanto avesse potuto, sarebbe rimasto per spiegargli qual era il significato delle sue parole.

«Vuoi dire che non ho scampo?»

«Esatto.» Tacque e poi soggiunse: «Ricordati di leggerla, quando sarà il momento. E prenditi cura della mia Lynn.»

E, in uno scatenarsi di sferzanti e gelide folate, sparì. Reck rimase da solo, nel mezzo degli ululati dei refoli che si insinuavano in ogni pertugio. Si avvicinò alla pergamena e si inginocchiò. La prese fra le mani. Saggiò la consistenza del materiale con cui era stata prodotta. Era la pelle di un animale che non conosceva. Era troppo liscia. Non pareva nemmeno che fosse pergamena. Ma Reck era certo che non fosse né carta né uno di quegli strumenti utilizzati nell'estremo Nord-Est.

Un ruggito si riverberò nell'aria. Un brivido scosse Reck, che si alzò di scatto e mosse lo sguardo dovunque con fare irrequieto. Era ora di tornare all'accampamento. Quel posto non sembrava più tanto sicuro. Fece ciò che gli aveva detto Jake e si diresse verso il campo. Avrebbe deciso più tardi se ascoltare pienamente le sue indicazioni o se guardare se le sue previsioni si sarebbero avverate.

***

«Sei tu, Reck?» sussurrò Nimniail; la voce influenzata dal sonno.

Era sotto le coperte rosse assieme a Nenil, e la stava abbracciando come se la bambina fosse stata un cucciolo bisognoso di calore. Un impercettibile fremito la colse, quando Reck le andò vicino e le carezzò una guancia.

«Mi hai preparato un giaciglio?» chiese Reck, svestendosi del mantello e prendendo gli indumenti con cui soleva dormire.

«Sì, è nell'angolo più lontano. Che Deinhà custodisca il tuo riposo.»

Reck si bloccò. Inspirò ed espirò più volte, prima di dirle: «Non nominare gli dèi in mia presenza.»

«Scusami, ma lo sai che...»

«Non esiste alcun dio. Solo la morte e il dolore sono veri, solo Envainar ha motivo di esistere, e anche lui è soltanto una finzione.»

Eppure, se non mediante gli dèi, non riusciva a spiegarsi ciò che era accaduto. Gli altri l'avrebbero chiamata evidenza. Ma nulla è evidente, e tutto complicato. Era questa una delle tante massime di Reck.

*****

Uhusyan era in procinto di sorgere, e Reck era abbigliato come si confaceva a un generale. Il mantello era stato messo sopra l'armatura, che nella sua completezza pesava come un macigno. Reck, di solito, quando combatteva usava quella più leggera. In uno scontro corpo a corpo preferiva la velocità alla protezione; anzi, la velocità stessa era sempre stata la sua protezione.

Qualche sottile colonna di fumo si innalzava nel cielo ancora infetto della notte, dove i residui languidi delle stelle riuscivano appena a brillare a dispetto della rosea luce dell'aurora. I soldati si stavano svegliando: qualche manipolo girava già per il campo, qualcuno preparava il terreno per l'arrivo dell'imperatore e del padre di Reck. Un odore di freschezza mattutina unita alla puzza lasciata dagli uomini ubriachi appestava l'attendamento.

Nimniail uscì e lo abbracciò da dietro, cingendogli i fianchi e appoggiando il mento su una sua spalla. «Ciao» esordì.

«Ciao» rispose Reck.

«Sei pronto a incontrare tuo padre?»

Reck aveva pensato che lei avesse voluto discutere riguardo quello che era avvenuto quella stessa notte. Era tipico di Niminiail soffermarsi su ciò che non le andava a genio: lo faceva sempre con quella gentilezza che eclissava ogni velata accusa. Ma quella volta non era successo.

«No» ammise Reck. «Temo che possa rinfacciarmi il fatto che abbia ucciso la persona più importante in tutta la contea di Cosanama, che in conclusione la mia non sia stata una vittoria, ma un inutile spreco di sangue. E sai cosa ti dico? Forse ha ragione. Non avrei dovuto essere così impulsivo.»

«Sai che non gli potrei dar torto, in questo caso» precisò lei.

«Sì, e nessuno te lo chiede. Ora vado a partecipare ai lavori. Un buon generale deve sempre aiutare i propri uomini, oppure essi non lo riterranno più loro capo.»

E, detto questo, si allontanò, lasciando Nimniail davanti alla tenda. Al pensiero di lei che, in veste da notte, lo osservava con quello sguardo inspiegabile, che poteva essere definito come un misto tra incomprensione, rinuncia e speranza, il glaciale cuore gli si crinò e si formò l'ennesimo squarcio ottenuto nell'arco degli anni. Reck lo percepì come se dal cuore questo si fosse propagato all'interno di tutto l'organismo e avesse attaccato ogni cosa.

*****

Era ormai il picco diurno del giorno, e la folla era in visibilio. Reck riusiciva a udire la contentezzza dei più lontani persino da davanti il portone del palazzo del governatore. I suoi uomini avevano pulito tutto quello che c'era di sporco, e levato tutto quello che c'era di offensivo; per accertarsene, lui lo aveva visitato subito dopo essersi svegliato. Molti degli oggetti dentro l'ufficio del governatore sarebbero potuti parere denigratori, o anche dissacratori del solenne e inviolabile potere dell'imperatore Brenin. Per esempio, quando il giorno prima era tornato al campo, un suo uomo gli aveva riferito che aveva trovato la casacca di un grande condottiero di Agder, ammazzato in battaglia poco tempo addietro. Sarebbe stato un oltraggio all'effigie dell'Impero, se Brenin la avesse trovata. Così era stato tolto molto di ciò che c'era stato ed era stato messo un grande tavolo ovale con quattro posti. Il quarto era riservato al suo vice in comando, un uomo rude, scontroso e critico.

Il corteo che scortava l'imperatore non tardò a giungere. Reck e Irtra erano in piedi in mezzo al passaggio lasciato dall'esercito, stipatosi ai lati delle strade di Cosanama. Alcuni erano seduti sulle macerie delle abitazioni distrutte, altri si erano arrampicati fino a svettare sopra chiunque altro; Uhusyan che metteva in controluce i loro profili. Due file ordinate di lancieri precedettero la carrozza che trasportava i due eminenti personaggi. Questa proseguì lenta fino ad arrestarsi dinanzi al portone, dove Brenin e Darniar scesero. Suo padre indossava il completo bianco con cui aveva presenziato alla condanna a morte di sua madre. Reck rammentava ancora il suo volto rigato dalle lacrime e dalla sofferenza mentre assisteva all'esecuzione di Lune, che ripetutamente lo aveva tradito durante i lunghi periodi di assenza per via del compito di condurre le armate di Agder al trionfo. L'imperatore, invece, un trentenne allampanato che assomigliava a un ragazzino, era agghindato con una veste ufficiale nera abbellita da alcuni ornamenti dorati. Gli occhi azzurri si muovevano senza una logica e recavano stoccate di disprezzo e repulsione dovunque si posassero.

Dopo poco erano tutti seduti attorno al tavolo ovale, che Reck aveva creduto più grande. Lui si era accomodato fra Darniar e Brenin, e davanti a sé aveva il fedele Irtra. I servitori misero le prime posate accanto ai piatti che erano stati già portati e annunciarono che le pietanze sarebbero arrivate a breve. Brenin si infilò con cura l'ampio fazzoletto da bavaglio sotto il colletto della veste e impugnò una forchetta. I vecchi utensili erano stati sostituiti da posate più moderne, dopo l'afflusso di Itriamuna di qualche secolo prima.

«Sai, Reck, io e tuo padre stavamo parlando del tuo successo» esordì l'imperatore. «Lui crede che l'uccisione di una personalità così rilevante come quella del governatore sia diffamatoria per l'Impero. Io la penso diversamente: secondo me può trasformarsi in una dimostrazione di forza. Dopotutto, ci vuole coraggio per eliminare uno degli elfi gerarchicamente più vicini al loro re, e questo li costringerà a ricredersi su ciò che siamo disposti a fare per schiacciarli del tutto. Quindi puoi tranquillizzarti: nessuno ti dirà di aver commesso uno sbaglio.»

Poi, quando una ragazza pallida, dai capelli rossicci e gli occhi chiarissimi, gli versò la zuppa di Cargalion, Brenin abbassò lo sguardo, cambiò la forchetta con un cucchiaio e lo immerse nel liquido. Reck guardò di sfuggita Darniar, che senza emettere un suono pronunciò la parola riconoscenza. Reck avrebbe voluto alzarsi e strangolarlo in quello stesso momento, ma si trattenne e disse: «Vi devo ringraziare, mio imperatore.»

«Non preoccuparti» continuò questi, «non voglio essere trattato come un tuo superiore. Fai finta che io sia tuo amico e parlami normalmente. Oggi sei tu colui al quale vanno rivolte le migliori maniere di cui siamo capaci.»

Tutti iniziarono a mangiare. Terminata la zuppa, la servitù disse che il secondo sarebbe stato pronto in poco, e Darniar ne approfittò per cominciare il discorso che, secondo le usanze, doveva essere fatto dopo la fine del pranzo. «Mio imperatore» modulò.

Brenin, che si stava asciugando le labbra, sollevò il mento e gli fece cenno di procedere.

«Dobbiamo pensare al prossimo assedio e a come coordinare il mio esercito e quello di mio figlio. Per conquistare la capitale economica dovremo fare questo e altro, e la sua trattazione necessita molto più tempo di quello che può parere.»

«Quindi suggerisci di iniziare fin da ora?» fece Brenin.

«Sì, mio imperatore.»

Brenin si tolse il primo bavaglio e si mise il secondo. «Reck, fra quanto i tuoi uomini potranno riprendere a combattere?»

«Fra una settimana potremo riprendere il cammino, mio imperatore. Non prima, però. Cosanama è stata una città difficile da espugnare e la mia armata è provata. Abbisogniamo di un po' di riposo.»

Brenin alzò una mano, come a interrompere Reck, che obbedì. Poi aspettò che gli avessero servito la carne e fece: «E tu, Irtra, cosa ne pensi?»

Irtra, che era rimasto da parte, rinvenne all'improvviso e il viso, che pareva quasi scolpito nel marmo, gli si contrasse in una smorfia di indecisione. «Mio imperatore, senza nulla togliere al giudizio del mio generale, credo che ci vorranno quattro giorni al massimo.»

«Ti fidi del tuo secondo in comando, Reck?» aggiunse in seguito Brenin.

Reck, quasi obbligato, annuì.

«Allora partirete fra quattro giorni. Poi vi incontrerete in un punto della costa che vi rivelerà un mio messaggero nel bel mezzo del viaggio. Vi dirigerete verso il litorale e costeggerete adagio l'oceano finché non sarete resi edotti della vostra destinazione.» Ingoiò una polpetta e la masticò con un vistoso movimento di mandibola. «Visto, Darniar? Non ci voleva così tanto tempo.»

Il pasto si concluse nel silenzio, poi i commensali si scambiarono qualche parola estranea agli oscuri meandri della guerra e si accomiatarono. Brenin restò un istante a parlare con Irtra, e Darniar accostò Reck. Lo accompagnò forzatamente fuori dalla sala, dove c'erano le guardie che presiedevano il perimetro, si allontanò un po' e gli sussurrò: «Tieni pronti i tuoi uomini.»

«E perché?» ribatté Reck.

«Perché sto organizzando una sovversione. Il mio esercito mi è devoto, e ti ricordo che il tuo prima lo guidavo io. Tutti patiscono la fame e si sentono costretti a combattere per un Impero che li riduce a inconsapevoli schiavi. Noi daremo voce alle loro richieste. Prenderemo la parte più ribelle di ogni uomo e la aizzeremo contro Damadin. Fra tre giorni, invece di partire alla volta della costa, vi metterete in cammino verso la capitale.»

«E perché non ucciderlo ora che è qua? Come faremo con gli elfi? Si approfitteranno del momento di debolezza dell'Impero.»

«No, non lo faranno. Ieri notte mi sono incontrato con il re elfico, che, dopo la presa di Cosanama, ha capitolato e mi ha assicurato il suo appoggio nell'annientamento del potere imperiale agderiano. Non hanno le forze per contrastare la nostra armata e sanno che non potrebbero mai uscire vittoriosi da un conflitto simile. Noi, dalla nostra, abbiamo bisogno di un alleato in più per penetrare nelle difese di Damadin. Con tre schieramenti sotto un'unica bandiera fonderemo un nuovo Stato di pace, che governerò io e poi tu. Giustizieremo Brenin e condanneremo i sue due eredi ai lavori forzati per tutta la loro vita.»

«Ti ripeto: e perché non ucciderlo qua?» chiese Reck.

Darniar attese che passasse un messaggero, che si stava dirigendo rapido verso la sala nella quale Irtra intratteneva ancora l'imperatore. Reck posò un piede sulle scale e incominciò la discesa.

«Un omicidio qua svelerebbe il complotto e darebbe ai figli di Brenin il tempo per preparare qualcosa.»

«Quindi non ci sarà più bisogno di far guerra?» domandò Reck, quasi incredulo nel profondo del suo animo.

«Esatto, figliolo. Tutto questo sangue smetterà di scorrere. Solo Brenin desidera questo folle e insensato scontro.»

Reck adocchiò il portone e disse: «E con Irtra come facciamo?»

«Lui è già al corrente di tutto. Non te ne curare. Ma stai attento a non farti scoprire da nessun altro. Informa solo coloro a cui affideresti le sorti della tua vita, velocizza il riarmo del tuo esercito con la scusa della conquista della capitale economica elfica e annuncia a tutti le tue intenzioni solo quando sarai già in viaggio. Lo dovrai fare nell'esatto momento in cui ci incontreremo, ovvero fra quattro giorni sulla strada per Damadin. Con gli elfi dalla nostra, tutti abbandoneranno i falsi entusiasmi per una belligeranza che non vogliono e spalleggeranno i nostri intenti.»

Uscirono; il chiarore che ravvivava il tetro paesaggio della città devastata.

«Ricordatelo, Reck» finì Darniar.

Reck guardò il padre rientrare nella carrozza, mentre gli uomini, che si erano messi a pranzare al sacco per le vie di Cosanama, si rialzavano. I lancieri riafferrarono le lance e si disposero nuovamente in due file. Brenin lo raggiunse poco dopo. Affiancò Reck e gli rivolse un gesto di saluto.

Reck li guardò allontanarsi nella carrozza, e in quell'istante, mentre la calca si ammassava dietro il corteo, Irtra comparve all'improvviso e mormorò: «Il generale ti ha detto tutto?»

«Sì.»

Nella mente di Reck aleggiava ancora il presagio di Jake, e sapeva che non voleva avere niente a che fare con la ribellione che sarebbe scaturita dalle azioni di Darniar. Sapeva di non volere lo stesso potere che aveva indirizzato l'imperatore verso il baratro.

*****

«Vestiti e prepara le tue cose» disse Reck, e iniziò a fare lo stesso. «Scappiamo questa sera.»

Nimniail si rizzò sul letto; Nenil si stava specchiando e non prestava la minima attenzione.

«Come?» fece lei.

«Esatto. Tutto è già stato preparato. Ho incaricato il mio fedele Karvael di portare personalmente la bambina da mio zio, e Irtra si approprierà del mio ruolo. Noi fuggiremo insieme verso il Regno di Vnasj, oltre il muro.»

Nimniail gli si avvicinò. Gli sfiorò una guancia con il dorso di una mano e lui si fermò. Lei lo baciò con passione, come se lui le avesse appena chiesto di sposarlo. Una lacrima le scese dagli occhi e un sorriso le increspò le guance.

«Vuoi lasciare la guerra, il tuo orgoglio e la tua posizione per avere una vita normale con me?»

«C'è stata una cosa che mi ha indotto a scappare, ma... sì. Con te. Probabilmente non abbandonerò le armi del tutto, a conti fatti sono il mio essere. Ma sono sicuro di voler lasciare questo posto, questa carica, tutto questo in generale.»

Lei si allontanò e cominciò a racimolare la sua roba. «Allora facciamolo. Andiamocene.»

Tacquero mentre inserivano i propri oggetti nelle borse che Karvael aveva dato loro. Quando ebbero finito e Nenil se ne fu andata, stava calando la sera, ed Everen, l'astro della notte, che si stagliava nel cielo appena rannuvolatosi, come un riflesso tremulo sulla superficie di un lago dall'acqua colpita da un sasso, si contrapponeva già al morente Uhusyan.

Prima di partire, lei gli sorrise e gli bisbigliò: «Posso dirti una cosa?»

Reck stava sellando i cavalli. Annuì.

«Ti amo.»

Non le rispose, ma sapeva che anche lui provava qualcosa di simile. 

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