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Capitolo IX

Reck assaporò la fresca aria dell'alba. Pensò che quella sarebbe stata l'ultima volta che l'avrebbe sentita, se non avesse combattuto con tutte le sue forze. L'ultima volta che avrebbe visto Nimniail. E quello fu sufficiente a dargli la spinta necessaria. La propria vita, in definitiva, non valeva chissà che; ma quella di Nimniail era inestimabile e non avrebbe permesso che un borioso, sciocco e sadico imperatore la terminasse senza un'apparente motivazione.

«Tu, scendi» ordinò Brenin.

Il primo uomo a partire da sinistra scese da cavallo. Si sistemò l'arco dietro la schiena ed estrasse la spada. Si girò e prese ad agitarla con movimenti flessuosi e raffinati, quasi stesse creando un motivo di linee curve per un arazzo imperiale. La visiera gli occultava il volto; solo gli occhi, due gemme di un grigio chiarissimo, erano visibili.

Reck e il milite iniziarono a girare in tondo, studiandosi a vicenda. Sembravano tracciare una spirale: un passo dopo l'altro, si avvicinavano sempre di più. Reck rafforzò la presa sull'impugnatura della propria spada e pensò che, se non fosse morto quell'oggi, non sarebbe morto più. Menò il primo fendente. Mai essere il primo ad attaccare, gli avevano insegnato. Ma il soldato lasciava punti indifesi e gli pareva uno spreco non provarci. Il colpo non andò a segno e l'uomo cercò di spingerlo con un calcio. Reck già sentiva il piede di lui che lo toccava e la vita di Nimniail che spirava. Tuttavia riuscì a schivare il calcio e si rialzò in piedi. Fulminò il suo avversario con uno sguardo. Lo vide che tentava di riacquistare un po' dell'equilibrio perduto e allora partì nuovamente all'attacco. Quando gli fu a poca distanza, capì che il milite avrebbe parato il colpo senza grandi difficoltà; e se così fosse stato, avrebbe anche avuto la possibilità di toccarlo. Panico. Poi l'illuminazione. Si voltò, facendo scivolare la schiena dove il soldato non poteva arrivare senza voltarsi. Ora l'uomo gli si prospettava come un piatto prelibato. Le mani che stringevano morbosamente la spada, gliela conficcò fra le scapole e spinse come un dannato affinché penetrasse il busto. Il primo morto ornò il terreno, che iniziò a diventare rossastro.

Brenin applaudì. «Tuo padre me l'aveva detto che sei bravo. Io non gli ho creduto, e probabilmente ho fatto male.» Rise. «Ora, però, correggerò il mio sbaglio.»

Fece un cenno a un altro individuo, che scese dal proprio purosangue dardeggiando Reck con gli occhi scuri come la perdizione. La corazza di questo sembrava più robusta, così come pareva che possedesse una muscolatura più massiccia del precedente e degli altri che aspettavano. L'uomo tirò fuori un'ascia bipenne piena di iscrizioni e fregi artistici e prese a guardarla come se fosse stata una sua creatura. E forse era così. Forse quell'uomo maneggiava armi simili fin da quando era un bambino. Chissà quante persone aveva ucciso con quell'ascia, chissà quante teste aveva tagliato. L'omone si tolse l'elmo e un sorrisetto sprezzante comparve in mezzo alla massa irsuta che gli ricopriva la mascella. Scosse il capo per liberare i lunghi capelli biondi raccolti in una spessa treccia.

«Ghokre, generale. Siete pronto a morire?» chiese questi.

Reck temeva che Brenin avesse deciso di far finire subito il divertimento. «Dovresti avere una considerazione un po' più alta della tua vita» disse.

«Non è la mia ad essere in pericolo, ve lo assicuro.»

Con un grido barbaro si avventò su Reck, che rotolò a destra e lo evitò. Ma l'uomo non era disposto a interrompere. Appena vide che aveva eluso il suo tentativo, caricò il braccio che come una catapulta lanciò l'ascia. Questa roteò pericolosa e precisa fin dove si trovava Reck, che però la schivò, e si confisse al suolo. Allora il milite ne prese una seconda da dietro la schiena e tornò all'attacco. Tentò di colpire Reck, ma lui si gettò a lato e tornò subito in piedi. Poi prese coraggio e diede un pugno in faccia al milite. Questi indietreggiò tenendosi il labbro inferiore, dal quale fuoriusciva un po' di sangue. Ma non era finita. L'individuo sbraitò ancora e provò a mozzargli le gambe, e con grande agilità Reck saltò portandosi le ginocchia fino al petto e riatterrò con le piante dei piedi sull'arma dell'uomo. Lo aveva bloccato. Il soldato mollò la presa e tentò di assestargli un pugno, però un calcio di Reck lo convinse ad arretrare. Reck raccolse l'ascia, così come fece il milite con quella che aveva lanciato in precedenza.

«Cosa dici ora?» fece Reck.

«Dico che è più forte di quanto credessi, generale» rispose l'altro. «Ma non abbastanza.»

Gli si fiondò addosso. Reck parò uno, due, tre colpi. Ora era lui a indietreggiare. Adagio, aveva perso il controllo dello scontro. L'uomo proseguì imperterrito a menare fendenti con la gigantesca ascia bipenne. A un certo punto riuscì a far volare via quella che teneva in mano Reck, che fu costretto a riprendere la spada e a parare l'ennesimo colpo. Si stupì che la sua fidata compagna avesse resistito a una potenza del genere. Ma il soldato non demordeva. Seguitò ancora, e la spada perdurò eroicamente a dar man forte a Reck.

Perché non lo finiva? Era alla sua portata: avrebbe potuto toccarlo e Nimniail sarebbe morta, avrebbe potuto ferirlo e suo padre sarebbe morto. Eppure non fece nulla di tutto ciò. Era come se stesse puntando a... disarmarlo. A disarmarlo, certo! Reck allentò la presa sull'impugnatura e la spada cozzò contro il terreno. Dunque il milite si fermò. Rise sguaiatamente. Gli sfiorò il collo le mani. Reck sperò che avesse valutato bene la situazione e le sue intenzioni.

«Inginocchiati» gli comandò l'omone.

Reck guardò Brenin. «Fai ciò che ti ha detto» disse questi.

Allora si inginocchiò.

«La testa alta!» fece l'altro.

Reck sollevò il capo e fissò il suo avversario con tutto l'astio che il proprio cuore custodiva. E ce n'era molto. «Perché questo trattamento?» gli chiese. «Perché non mi finisci subito?»

«Perché sarebbe troppo facile. Non vedresti morire coloro a cui tieni. Sta arrivando tuo padre ora, lo stanno scortando. Appena ci avrà raggiunti, ti toccherò e vedrai la tua amata che viene sgozzata come la puttana che è. Poi ti farò un insignificante buco sulla mano e, quando la prima goccia di sangue bagnerà l'erba, assisterai a tuo padre che viene massacrato come un animale da macello.» Un ampio sorriso mostrò i denti bianchi come l'avorio. «Poi ti sventrerò e ti decapiterò. E sai perché tutto questo? Per farti provare lo stesso dolore che provai quando tuo padre uccise tutta la mia famiglia a sangue freddo.» Soffiò sul metallo dell'ascia. «Quando ero un bambino, tuo padre attaccò un avamposto dove si diceva ci fosse un traditore. Il precedente imperatore non gli aveva dato alcun ordine, ma lui ammazzò tutti gli occupanti dell'avamposto. Tutti tranne me, che mi nascosi in un vano della mia abitazione e osservai mia madre, mio padre e mia sorella morire anche se erano innocenti. Poi tuo padre se la cavò perché si venne a sapere che c'era veramente un traditore, ma è da quel giorno che io voglio la vostra dipartita. Il mio unico desiderio è sentire il sangue della vostra stirpe che scorre fra le mie mani.»

Reck prese respiro. «Non mi importa.»

L'uomo sgranò gli occhi. «Ti dovrà importare, demone!»

Sviò per un momento lo sguardo da Reck, che se ne approfittò, abbassò il busto e recuperò la spada. Con un movimento sinuoso gli ferì le gambe, e il milite cadde a terra urlante. Reck si rialzò rapidamente e gli affondò la spada nel cranio. Probabilmente l'individuo si era levato l'elmo cosicché Reck vedesse il suo volto mentre uccidevano i suoi affetti. Aveva fatto male i suoi calcoli.

Adocchiò le macchie sulla propria maglia a maniche lunghe. Eccolo, quell'uomo aveva avuto ciò che voleva. Sangue. Anche se non apparteneva a chi aveva sperato.

«Vogliamo continuare?» domandò Reck.

Brenin ridacchiò. «Non fingere, Reck. Non hai più forze.»

«Mandatemene contro un altro e scopriamolo insieme.»

Un concitato galoppo si palesò improvvisamente. «Guarda un po' chi arriva, Reck!» esclamò l'imperatore. «Tuo padre. Quel verme, infingardo e infame di tuo padre. E... visto che desideri così tanto continuare, non te ne manderò uno, ma tre.»

«Tre? Ma avevate detto...»

«Il gioco è mio!» strillò Brenin. «Le regole, le faccio io.»

Tre uomini balzarono a terra. Si armarono rispettivamente di due spade e di una lancia. Reck scorse gli zoccoli del cavallo che stavano sbucando dall'intrico dei fusti. Quello che vide lo lasciò attonito. Suo padre, su un destriero nero, stava maneggiando un arco lungo la cui corda era già pronta a rilasciare un dardo. Era da solo. Mirò ai tre che stavano per iniziare a combattere e ne uccise due. Poi Reck udì un gridolino. Era Brenin. Nimniail aveva tirato fuori un coltellino da chissà dove e l'aveva piantato nell'avambraccio dell'imperatore.

«Insolente puttana elfa!» urlò Brenin. «Maledetta!»

Darniar scese da cavallo e brandì il suo spadone; la faretra dietro la schiena era vuota. Allora prese a fronteggiare i due uomini che non erano ancora stati chiamati in causa. Li tenne a bada per un po', prima di scatenare uno dei suoi attacchi a sorpresa e toglierne di mezzo uno. L'altro, però, sembrava un tipo difficile. Quello di Reck non era da meno. Era stanco e aveva dormito poco, e così messo gli parve un'impresa continuare a lottare.

Prese una decisione. Buttò la propria arma e si tirò su le maniche. Senza il peso della spada avrebbe potuto battersi più agevolmente. Scartò il fendente del milite e gli tolse l'elmo di forza. Poi gli mollò un pugno. Lo fece di nuovo, e ancora, e ancora. L'uomo assunse un'espressione confusa. Reck non desisteva. Si sentiva sempre più leggero e veloce. Si chinò e lo centrò nella gola. L'altro arretrò boccheggiando. Allora Reck riprese la spada e gliela conficcò nella fronte. La estrasse e andò subito da suo padre. Doveva aiutarlo. Sapeva che non avrebbe resistito oltre; dopo essersi liberato della propria scorta e aver ucciso un componente della milizia personale dell'imperatore.

E così fu. Reck era arrivato troppo tardi. I due sfidanti giacevano entrambi al suolo. Si erano dati la morte a vicenda, come se avessero soddisfatto una mutua e tacita richiesta. Sentì qualcosa opprimergli il cuore, quasi il gelo che lo attorniava si fosse sciolto e questo fosse tornato a pulsare e a provare vere emozioni. Oppure era il segno che non ne sarebbe stato più capace? Ricordò ciò che avevano passato insieme e percepì una sofferenza indescrivibile.

Reck si avvicinò al cadavere di colui che lo aveva generato, ma una voce lo fece girare.

«Guardami, mostro!» gridò Brenin.

Stringeva il collo di Nimniail con un braccio e con l'altro teneva il coltellino premuto sulla gola di lei.

«Non farlo, Brenin» disse Reck. «Sai che poi non avresti possibilità di sopravvivere.»

Fece un passo verso di lui e Brenin tese i muscoli del braccio.

«Stai lontano!» gli intimò. «Ora io mi allontanerò con lei e tu mi lascerai andare.»

Reck annuì e l'imperatore si mosse lentamente. Dopo un po', era quasi giunto al proprio cavallo. Reck lo aveva fissato durante ogni attimo che aveva impiegato. Aveva cercato un modo per far concludere tutto. Sarebbe bastato solo un... pugnale. Un pugnale! Si tastò il cinturino che aveva addosso per controllare se avesse ancora il pugnale che aveva presa prima di partire. Sì, c'era ancora. Fece aderire le dita all'elsa. Si fidava della sua mira. Non aveva mai sbagliato in vita sua. Si focalizzò su Brenin e lanciò.

Ma non andò come aveva progettato. Il pugnale ferì sì Brenin a un braccio, ma la reazione involontaria che provocò il dolore determinò ciò che Reck voleva evitare. La morte di Nimniail. Il coltellino venne sfilato a gran velocità e il sangue incominciò a zampillare dalla gola di lei. Si accasciò e si portò le mani tremanti al collo. Guardò spaventata il liquido rosso che le imbrattava i palmi e una sua lacrima pugnalò Reck nell'animo. Lui si catapultò su di lei e la prese fra le braccia. Nimniail tentò di parlare, ma ogni parola era poco più di un sussurro travolto dal vento. Poi il teschio della morte la privò di quel soffio vitale che Reck aveva tanto amato, e ogni frase su un'esistenza da spendere insieme, ogni dolce sguardo rivoltogli, ogni carezza e ogni bacio; ogni cosa si crinò come lo specchio di un'anima bersagliata dal destino. Avrebbe dovuto ascoltare gli avvertimenti di Jake. Sarebbe dovuto scappare quando ne aveva avuto l'opportunità. Ora il sipario era calato e la parte emotiva di sé, quella che aveva tanto voluto sentire, si era sciolta nell'acido più corrosivo.

Per la prima volta in molti anni, pianse. Nemmeno si accorse di star piangendo, quando prese il pugnale e lo lanciò di nuovo contro Brenin, che stava fuggendo sul suo destriero. Centrò una delle zampe dell'animale, che rovinò a terra e fece finire Brenin contro un tronco. Sbatté con la testa e morì immediatamente.

Ora era tutto concluso. Ma non come aveva desiderato Reck. 

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