Capitolo III
Reck ascoltò le grida di giubilo del suo esercito. Dopo anni di addestramento ed esperienze sul campo, l'imperatore gli aveva finalmente concesso di condurre l'esercito alla vittoria. E in effetti aveva vinto. Chi l'avrebbe mai creduto? Reck Dren, un ventiseienne che guida un'armata alla volta della conquista di Cosanama, il baluardo degli Aelfar Glauco situato più a occidente. Reck Dren, un giovane che riesce a sbaragliare le difese elfiche e a minimizzare le perdite. Se si ricordava bene, nemmeno suo padre era mai riuscito a ottenere un successo così schiacciante sul Regno di Siverden.
Puntò la sua fidata spada alla gola del governatore della contea di Cosanama. Le pupille minuscole, affogate dal mare luminescente che avevano attorno, si diressero su Reck, che ci lesse una tacita implorazione. L'elfo stava facendo appello a una pietà che Reck non aveva mai posseduto.
«Prego la sua bontà, ho una figlia» disse il governatore parlando in Aruan.
I capelli lunghi, di un grigio brillante, gli ricadevano fin sotto le spalle. Da inginocchiato, la veste turchese toccava abbondantemente la pavimentazione lucida e rifinita. Lo stava supplicando nel modo tipico degli elfi: il pugno sinistro congiunto al palmo destro, e il mento adagiato sulle dita. Doveva essere un tipo disciplinato e dal temperamento pacifico. Nella voce non aveva quel tono peculiare di un governatore, pronto a patteggiare a qualsiasi costo e, nel caso, ad affrontare la morte.
«E allora?» controbatté Reck. «Questo cosa mi dovrebbe importare?»
«Non può uccidermi. Sono l'unica famiglia che le rimane.»
Reck ritrasse l'arma e la rinfoderò. Iniziò a vagare per il grande ufficio dell'essere. Sulle pareti, così pulite quasi da riflettere le immagini delle persone lì dentro, erano appese opere che ritraevano scene quotidiane d'allegria. In quel momento gli fecero riconsiderare le sue intenzioni. Ma fu qualcosa di passeggero. Reck non aveva paura di sporcarle con del sangue.
«E dimmi, vecchio» fece Reck, «perché dovrei risparmiarti e farti tornare dalla tua bambina?» Gli si avvicinò e gli prese il mento fra le mani. «Dammi un buon motivo, oppure giuro su Envainar che ti spedisco nel suo regno seduta stante.»
«Vedo nell'azzurro dei tuoi occhi una bontà sopita. Prego essa affinché mi ascolti e non dia retta agli ordini ricevuti.»
Reck deglutì. «Io non ricevo ordini!» sbraitò. «Vecchio, non sollazzarti con il mostro, oppure manterrò fede al giuramento fatto poco fa.»
L'elfo respirò, poi serrò le labbra.
«Signore, si calmi» disse uno dei subordinati di Reck, lì accanto per accertarsi che al governatore non venissero strane idee in mente.
«Non dirmi cosa fare, soldato. Sono padrone di me stesso e faccio quello che voglio. Otterremo le informazioni da qualcun altro.» Reck sfoderò la spada e guardò l'elfo. «Ti sei rivolto a qualcosa che in me non esiste.»
Ebbe un ripensamento, che sparì in un istante. Lo trafisse. La spada lo trapassò facilmente e il sangue bagnò presto la veste turchese. Il corpo del governatore cadde in avanti. Poi Reck tolse con un panno il rosso dalla lama e la ripose nel fodero. Infine distolse lo sguardo e, lanciando il panno a terra, disse: «Pulite, se il sangue ha imbrattato il pavimento. Poi mettete a posto tutto. Domani qui dentro ci verranno mio padre e l'imperatore Brenin.»
I guerrieri annuirono; smorfie schifate sui loro visi.
Reck uscì. Percorse i corridoi di quello che appena il giorno prima era stato il posto più influente di Cosanama. E ora cos'era? Una congerie di sangue, cadaveri e qualche statua in marmo. I suoi soldati avevano oltrepassato il confine da non superare durante una battaglia. Si uccide la popolazione solo se costituisce un pericolo, è inutile farlo sennò. Anzi, così facendo avevano persino tolto dei potenziali schiavi ai proprietari terrieri. Ultimamente ne richiedevano sempre di più e andavano pazzi per le femmine elfiche, così belle e sensuali da infiammare di passione persino l'uomo con l'animo più effeminato di Flesra. Lui conosceva bene le loro doti e la loro bellezza: da quando il padre gli aveva portato quella stupenda serva da Hesandie, aveva passato notti così calorose quasi da avere una febbre perenne.
Spalancò i battenti del portone d'ingresso e fissò per qualche secondo la rappresentazione del trionfo. Le abitazioni crollate, i massi infuocati dentro gli edifici, le carcasse della milizia di Cosanama, le cui armature risplendevano per via della luce pomeridiana di Uhusyan. Una bambina era appoggiata all'imponente muro della struttura da cui era appena uscito Reck. Aveva affondato la faccia tra le ginocchia, tirate al piccolo petto. Un arciere stava giocando con i suoi capelli giallo acceso mentre uno spadaccino le sfiorava le gote con la spada in dotazione.
«Voi» esordì Reck. «Cosa state facendo?»
Gli uomini, due smilzi dalla faccia spigolosa, assunsero una postura fiera e si voltarono verso Reck. Entrambi levarono al cielo le proprie armi e le riabbassarono.
«Ghokre, generale» disse lo spadaccino.
«Stavamo solamente... divertendoci dopo la vittoria» completò l'altro.
Reck si avvicinò loro e li studiò. «E con lei cosa volevate fare?»
«Signore...»
«Sapete quale punizione spetta ai pedofili? Secondo me, è una delle pene più crudeli che siano mai state approvate. Se volete provarla, accomodatevi, ma vi consiglio di avere un po' di considerazione per il vostro onore.»
«C'è stato un malinteso... signore» mormorò l'arciere.
«Nessun malinteso, soldato. Tornate al campo fuori città e fate ammenda.»
I due se ne andarono subito. La bambina lo stava fissando con i suoi occhi glauco.
«E tu cosa vuoi?» se ne uscì Reck.
«Ghokre, generale» fece qualcuno dietro di lui.
Si girò e vide un gruppetto di soldati; le lance sollevate a rifrangere il chiarore rosato.
«Vedete questa giovane elfa?» chiese loro, e annuirono. «Dovete portarla al campo e darla come schiava a una delle compagnie che passano da queste parti.»
«Certo, signore» risposero all'unisono.
Il più grosso di loro si levò l'elmo e liberò una criniera mora, che scosse esattamente come se avesse voluto provocare qualcuno dei presenti. Aveva lineamenti equilibrati e magnetici occhi di un azzurro glaciale. Si chinò sulla bambina e le rivolse un sorriso. Lei si spostò a sinistra, si alzò e si attaccò a una gamba di Reck.
«Togliti subito, bambina» disse lui.
«Ghanc man y the» fece lei.
Era da un po' che Reck non rispolverava il Dynmia, ma era quasi sicuro che l'elfa avesse detto: "Grazie di tutto". Guardò la truppa che si era soffermata lì e si accorse che dei risolini erano spuntati sui loro insolenti volti.
«Invece di ridere» cominciò, «ditemi se qualcuno di voi conosce il Dynmia. Io non sono più così ferrato da riuscire a formulare una frase di senso compiuto.»
«Io, generale» rispose l'uomo di prima, che si era rialzato.
«Allora dille di staccarsi e di raggiungerti. Non tollererò ancora questa mancanza di rispetto.»
Il soldato si schiarì la voce e fece: «Nebesn eu, ğa senesn'rie almhadi.»
La bambina diresse lo sguardo su Reck. Negli occhi grandi e limpidi le mareggiava qualcosa, così Reck riesumò le proprie nozioni di Dynmia e aggiunse: «Genenn y egue.»
Lei si allontanò e prese la mano dell'uomo che si era offerto di accompagnarla. Lui le sorrise di nuovo; in un palmo l'elmo annerito e nell'altro la manina di lei. Poi, assieme alla truppa, si incamminarono.
Reck si gustò la carezzevole brezza che si mescolava alle fiamme residue. Si tolse l'armatura e si sedette sul rialzamento del portone. Abbandonò tutto a terra. Infine chiuse un'anta e ci adagiò la stanca schiena. Socchiuse le palpebre. Gli era sempre piaciuto il caldo. Il freddo non faceva per lui. Ricordava con angoscia l'ultima volta che era dovuto recarsi al nord, nell'Ethudia. Anche quelle zone dell'estremo Sud normalmente erano più miti dei ghiacciai e delle copiose nevicate dell'Ethudia Settentrionale.
All'improvviso qualcosa si incagliò sul suo naso. Controllò cos'era. Un foglietto. Anche se era strappato, si potevano riconoscere le rune dell'alfabeto del Dynmia. Un fatto era rammentare un verbo e un pronome per poter dire: "Ascoltalo"; e un altro fatto era saper distinguere le varie lettere. Da quanti anni non studiava una virgola di Dynmia? Da almeno sei.
Si sforzò; lo fece per molto tempo, anche mentre i suoi subordinati se ne andavano dall'edificio dopo aver pulito. Chiese loro un aiuto; nessuno seppe darglielo. Alla fine gli tornarono alla mente i trentatré simboli dell'alfabeto elfico, o almeno la maggiorparte. Abbastanza per decifrare quel pezzo di carta.
"Anem, hovanc y the", ovvero: "Padre, ti voglio bene". Non è che forse... Un'idea si fece largo in Reck. E se la bambina fosse la figlia di cui parlava il governatore?
Scattò in piedi; aveva bisogno di passeggiare. Lasciò che il foglietto svolazzasse e si imbattesse in un fuocherello che stava spegnendosi. Si scordò anche di prendere l'armatura.
In momenti come quello avrebbe voluto odiarsi. Ma non ci riusciva. Non ci riusciva perché per lui era impossibile provare un'emozione che travalicasse il semplice desiderio sessuale. O forse no? Dopotutto quella non era un'emozione? Non stava forse percependo qualcosa nel rigettare la parte distaccata e insensibile di sé? Sì, in effetti aveva sempre desiderato essere diverso. Da quando era un ragazzo si ripeteva di permettere al proprio alter ego emotivo di manifestarsi. Eppure, ogni volta che gli si presentava l'occasione per farlo, il rischio di arrendersi alla debolezza che ne sarebbe conseguita glielo impediva, e probabilmente la stessa cosa sarebbe successa più in là, se si fosse ritrovato in una situazione simile.
«Ghokre, generale» esordì un soldato semplice; un crepitio soffuso nell'aria.
Era molto giovane e magro. Presumibilmente non era intervenuto di persona nella battaglia. Data la sua età, doveva star solo perlustrando il perimetro per sgombrare le strade dai cadaveri e appurare che non ci fossero superstiti, oppure si stava occupando di soffocare il fuoco rimasto.
«Cosa fai qua?» gli chiese Reck.
La luce diurna si stava svigorendo; la sera era quasi giunta. Illuminate dagli ultimi sprazzi dello splendore di Uhusyan, le iridi del ragazzo rilucevano di un verde valorizzato da un tenue rosso.
«Finisco di perlustrare l'area, generale. Lei non ritorna al campo?»
Reck sospirò e disse: «Sì, adesso lo faccio.» Si voltò. Sentì il giovane compiere qualche passo. «Come ti chiami?»
Egli rimase imbambolato per degli attimi. «Evandriar.»
«Evandriar, rispondi sinceramente» proseguì Reck. «Mi consideri un sanguinario senza un'anima?»
Evandriar tentennò. «Affatto, signore...»
«Puoi andare.»
Il ragazzo si defilò e lasciò Reck da solo. Gli aveva mentito. Avrebbe pensato più tardi a una maniera per punirlo.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro