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Capitolo I

Principio

Raccontato da: Thial e Violet.


Stava arrivando il pomeriggio, quando Thial osservò il re suo padre scendere dalla carrozza e dire qualcosa al cocchiere. Qualche minuto prima le aveva assicurato che sarebbero tornati alla reggia in tempo per mangiare, ma ora che il cavallo preferito di lui si era ferito ricevendo una freccia in una zampa, lei sapeva che non ci sarebbero riusciti. Tutta colpa di quei maledetti ragazzini che si stavano divertendo a tirare con l'arco. Dopo l'incidente, erano sbucati dal bosco a lato e si erano scusati dicendo che stavano giocando e avevano sbagliato mira. Mealwine li aveva guardati e li aveva lasciati andare in un atto di misericordia. Era sempre stato molto buono, suo padre, e ne era fiera.

«Tesoro» disse lui.

Thial si allungò per prendere la maniglia e la ruotò. Quando ci fu uno spiraglio, fece: «Ditemi, padre.»

«Vuoi andare a fare un giro nei dintorni? Credo che noi qua ci metteremo un po'.»

Thial non aveva voglia di camminare ma, in effetti, non era nemmeno disposta a rimanere lì chiusa. Facendo attenzione scese dalla carrozza e si avvicinò a suo padre. Gli prese la mano. «Come mai, padre?»

«Credo che il cavallo non potrà tornare a correre per un'altra mezz'ora. Intanto tu puoi benissimo fare qualcos'altro. Noi qua parleremo di cose da grandi.»

Thial stava per cambiare idea. Voleva ascoltare suo padre mentre discuteva dei fatti riguardanti il reame. Eppure notò il suo sguardo. Lei sapeva di essere una persona abbastanza sveglia, per la sua età, e vide che il padre la guardava nello stesso modo di quando le aveva chiesto di uscire dalla camera prima che la madre di Thial morisse. Non c'era maniera di scappare a quegli occhi, così Thial acconsentì.

I sassolini sotto le scarpe scavavano piccoli solchi nel terreno reso limaccioso dalle recenti piogge. Dalle foglie aghiformi delle conifere circostanti cadevano gocce che si frangevano a terra riempendo l'aria di un gocciolio cupo. Lontano, sull'isola dove c'era quella bella città che piaceva tanto a sua sorella Violet, un fulmine si schiantò, producendo un brontolio.

Si sedette su una roccia così regolare da sembrare arrotondata da uno scultore e guardò il ciondolo che portava al collo. Il minuscolo ritratto di sua madre l'aveva accompagnata in molti brutti momenti, e alcune volte, quando era da sola e la noia la prendeva, Thial lo scrutava. Le piaceva pensare che sua madre non era morta, ma che si trovava dentro quell'oggetto, in attesa che qualcuno la salvasse.

Si distrasse per un attimo nel vedere un fiore in mezzo alla melma. Il suo accentuato colore viola l'aveva strappata a ogni precedente pensiero con brutalità, non appena ci aveva posato la coda dell'occhio. Rimise il ciondolo sotto il vestitino. Si alzò. Si recò dal fiore e lo accarezzò. Lo raccolse. Li aveva sempre adorati, e ora avrebbe potuto portarne uno bellissimo a casa per piantarlo e farlo vivere in un ambiente più adatto. Nel Reame di Ereald era ormai estate, eppure il freddo si aggrappava dovunque per impedire al bel tempo di fare la sua comparsa.

Più in là ne vide un altro. Aguzzò la vista: ce n'erano molti altri. Formavano una specie di sentiero viola e bianco, che Thial seguì. Lo fece finché non raggiunse la falesia: le spumose onde si abbattevano contro la grande facciata rocciosa con un fragoroso sciacquio. Sulla punta estrema di essa c'era una scalinata pietrosa che collegava la falesia a un faraglione a una ventina di metri da lì. Scendeva con un'ampia angolazione e terminava in uno spiazzo rupestre dietro cui c'era una grotta.

Thial valutò se andarci. Tanto non aveva nulla da fare e quella scalinata le pareva discretamente sicura. Poi, tuttavia, ci ripensò. No, lei non era come Violet, non si gettava in qualunque impresa senza pensarci due volte. Non voleva dar problemi a suo padre ad appena sette anni. Scorse qualcosa, però. Una saetta, che precipitò non molto distante da lei facendola trasalire, rischiarò una parte dell'antro, e Thial poté distinguere il profilo di bellissimi e rarissimi fiori di cui lei aveva soltanto letto.

Uno in particolare valse le sue attenzioni. Il suo nome era Ğeraia va sert, ovvero bocciolo del deserto. Cresceva solo in luoghi molto caldi, assorbendo il calore per non morire assiderato durante la notte. Sapeva che era impossibile che si trovasse lì.

Senza riflettere più a lungo, iniziò la discesa e, nel frattempo, sentì una certa forza che che l'attraeva come mai nessuna cosa al mondo aveva fatto. Aumentò la velocità e si ritrovò dinanzi alla caverna in pochissimo tempo. Volle raccogliere il Ğeraia va sert, ma fu deconcentrata da qualcosa. Le pareti erano trapunte di rune - Thial non esitò ad attribuirle ai Padri dei Popoli - e sul fondo, dove la roccia era più levigata e dunosa, un gigantesco fiore copriva gli altri quasi a volerli proteggere. Era straordinario: più alto di Thial, aveva stupendi petali rosa solcati da arzigogoli lattescenti. Era sicura di non averne mai letto.

«Che meraviglia...» disse lei.

Un sussurro si innalzò nell'aria. Thial impiegò qualche secondo ad afferrare le parole racchiuse in quel vocio crescente.

«Thial...»

La stavano chiamando.

La bambina indietreggiò di scatto. La voce che aveva udito, simile a un coro angelico che fondeva i vari timbri in un celestiale assolo, l'aveva spaventata. Si guardò in giro ma non vide nessuno. Chi aveva parlato? Sperò che non ci fosse qualcuno che la spiava. Che fossero stati i... petali?

«Chi siete?» chiese.

«Siamo gli spiriti del sesto nome...» rispose lo stesso coro di vocine fanciullesche. «Ci serve il tuo aiuto...»

I contorni dei petali presero a sfavillare e Thial si inginocchiò dinanzi a loro, gli occhi sgranati e la piccola bocca aperta dallo stupore. Un vento tempestoso si incuneò all'interno dell'antro, giungendole e facendola stringere nelle spalle. Sbatté i denti. «E perché vi serve il mio aiuto?» domandò.

«La magia sta morendo...» alitarono gelidamente gli spiritelli, quasi si trovassero già nell'aldilà. «Devi aiutarci a salvare quella che conteniamo noi.»

Da quanto desiderava conoscere qualcosa in più riguardo alla magia? Tanto, troppo tempo. Sin da quando era una bambinetta di due anni che ascoltava meravigliata le leggende narratele dal padre. Non avrebbe negato il suo aiuto a entità tanto gentili e protettrici di fiori straordinari come quello.

«E come devo fare?»

«Toccaci!» la supplicarono insieme. «Graziaci con la tua pelle di porcellana...»

Thial, raggiante, annuì. Protese il braccio e socchiuse le palpebre, consentendo alla magia di donarle la sensazione di benessere delle favole. Le sue dita lambirono i petali e Thial rabbrividì per l'ennesima volta. Ma di piacere.

«Brava» dissero. «Non fermarti e la nostra vita sarà eterna.»

Thial, però, desiderava qualcosa di più concreto. Voleva un contatto vero, con il quale potesse sperare di appoggiare i polpastrelli per intero. Lei non era mai stata così. Le sue maniere regali e misurate l'avevano sempre caratterizzata meglio di qualsiasi altra cosa. Eppure era convinta che quel miracolo della natura meritasse più di ciò che gli stava dando. Dunque canalizzò la propria determinazione nella mano, e la poggiò del tutto.

«No!» esclamarono. «Perché lo hai fatto?»

Thial percepì un'energia illimitata fluirle all'interno. Capì presto che ciò che stava ricevendo era troppo e cercò di allontanarsi, ma qualcosa di potente la trattenne. In poco fu ridotta allo stremo, e le tenebre causate dalle palpebre serrate si propagarono fino a raggiungere e a contagiare gli altri sensi. E allora svenne.

*****

Violet stava guardando fuori dalla finestra. Avrebbe voluto uscire a giocare con gli altri bambini, ma suo padre non l'avrebbe mai lasciata andare senza Thial, soprattutto con un tempo così. Che situazione scomoda. Il vento spirava impetuoso e i figli del personale erano là, nel cortile della residenza della sua famiglia, a divertirsi come non mai, a interpretare i personaggi del gioco che lei stessa aveva creato. Streghe e maghi. Durante giorni di tempesta come quello era un vero piacere assumere le fattezze di una fattucchiera che malediceva qualche insolente cavaliere un po' troppo coraggioso. Il vento rendeva le magie più realistiche.

Violet spinse lo sguardo fino alla strada principale, quella oltre le mura del palazzo, alla ricerca della carrozza del padre. Non appena avesse scorto Thial, le sarebbe corsa incontro trascurando totalmente il povero Aylmer, il fratellino di due anni che il padre voleva che lei controllasse. Ma per quello c'era Isolde, la giovane governante. Violet voleva bene ad Aylmer, ma se qualcuno doveva badare a lui per lavoro, perché lei sarebbe dovuta stare lì al suo posto? Era ingiusto.

A un certo punto un'ombra comparve in fondo alla via e Violet, seduta vicino al vetro, si rizzò come un cane quando il padrone tiene in mano la sua leccornia preferita. Aveva i piedi già pronti a scattare verso la porta. Le bastava solo la punta delle scarpine della sorella che spuntavano dalla carrozza, per schizzare per i corridoi, farsi strada tra i servitori che aprivano il portone per il padre e lanciarsi sui due famigliari. Nell'istante in cui vide il re uscire, il cuore le batté all'impazzata. Si preparò nuovamente a quello che sarebbe seguito. Qualche altro secondo e poi...

E poi nulla.

Thial non è in sé, fu l'unica cosa che pensò Violet. Perché sta dormendo e si fa portare in braccio da nostro padre? Perché lui sta correndo? Le domande nella testa di Violet erano tante; stavano affollandosi come aveva fatto la popolazione del Reame durante i funerali della regina sua madre.

Violet rimase immobile per qualche altro attimo, incapace di comprendere cosa stesse accadendo. Poi, quando il padre scomparve totalmente dal campo visivo che le concedeva la finestra, decise di andare nell'atrio per aspettarlo e scoprire perché Thial fosse così stanca. Sperò che non fosse perché aveva giocato senza di lei. Non glielo avrebbe mai perdonato, se così fosse stato.

Re Mealwine si fece strada fra i domestici, con Thial fra le braccia. Nel vedere Violet, le disse: «Piccola, vai in camera con tuo fratello!»

Violet non capì. Prima rivolgeva ogni premura possibile alla sorella e ora le diceva di andarsene? Ma come? Tuttavia qualcosa le venne in mente. E se fosse come la mamma?, si chiese. E se Thial stesse male?

«Papà!» esclamò. Ma lui era già diretto verso la stanza di sua sorella. «Cosa succede?»

I lunghi capelli neri sciolti, Isolde la prese con sé e le fece: «Non è niente, tesoro.» Sorrise rassicurante e aggiunse: «Perché adesso non andiamo in camera, da Aylmer, e leggiamo una bella fiaba?»

«Ma io voglio stare con Thial!» protestò Violet.

«Su... Thial ora ha bisogno di riposarsi.»

Violet cominciò a piangere, per poi smettere subito dopo. «No! Thial sta male e voi non volete dirmelo!»

«Ma no...» le mormorò Isolde, «cosa dici mai?»

A Violet non importava ciò che Isolde sosteneva. Non riteneva importante nemmeno ciò che la donna voleva fare. Nei pensieri di Violet ora c'era soltanto la sorella. Si infilò sotto le gambe di Isolde e iniziò una corsa disperata verso la camera di Thial. Isolde l'avrebbe sicuramente riacchiappata, se in giro non ci fosse stato il personale a bloccarle il passaggio e la visibilità. Violet approfittò di tutto ciò e aggirò con grande maestria chiunque tentò di prenderla. Quando ebbe superato ciascuno dei presenti, inciampò in uno di quei piccoli rialzamenti che detestava tanto e, rialzatasi, tornò a correre.

Il padre non era stato poi così accorto: la porta della stanza di Thial lasciava uno spiraglio da cui si intravedevano gli orli degli svolazzanti vestiti di alcune persone. Violet si tuffò dentro, incurante del medico che stava visitando la principessina.

«Maestà, non so cosa le sia successo, ma è molto strano» stava dicendo. «Qui bisognerebbe rivolgersi a un ma...»

«Non dirlo nemmeno per scherzo!» ruggì il re. «Mia figlia starà bene anche senza l'aiuto della magia.»

Il medico si inchinò e gli comunicò che sarebbe andato a recuperare qualcosa con cui combattere la febbre. Violet camminò esitante fino al letto di Thial, dove vide la sorella dormiente, sotto le calde coperte dai ricami dorati.

«Thial...» mormorò, e il padre si girò verso di lei. «Thial...» pronunciò con più decisione. Perché non rispondeva? «Thial!» esclamò infine; le lacrime che le bagnavano le guance.

Anche il cielo incominciò a piangere, percuotendo il braccio di mare su cui davano tre lati del palazzo reale. Il padre le andò incontro. Si accovacciò e, coprendole la faccia con le poderose spalle, la abbracciò. «Non è niente, piccola. Tua sorella starà bene, vedrai.»

«Cosa ha fatto?»

«Nulla di preoccupante. Ora vai con Isolde.»

Violet sarebbe voluta rimanere con Thial. Forse, però, le avrebbe procurato troppo dolore vederla nella stessa posizione in cui era stata la madre pochi giorni prima di morire. Thial gliela ricordava incredibilmente. Magari non per i capelli e il volto - quelli erano decisamente più simili ai suoi, - ma per la postura e i modi. Per le parole. Per lo sguardo materno che le abitava gli occhi ogni volta che andavano da qualche parte a giocare. Forse sarebbe stato troppo doloroso rammentare.

Annuì, tirò su con il naso e tornò indietro, dove Isolde la stava attendendo. Si lasciò accompagnare per i corridoi e, appena entrata nella camera di Aylmer, fissò i ciclamini che sua madre le aveva regalato un anno e mezzo addietro.

O almeno volle farlo.

Con orrore assistette ai fiori che appassivano velocemente. Che fosse un segno del destino? Poi si ricordò una cosa. Non era stato proprio il padre a spiegarle che i fiori connettevano l'energia magica del mondo? E allora perché stavano morendo?

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