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Three: Gives you shitty apologies

Mi pentii di aver accettato l'invito di Michael non appena il taxi mi lasciò davanti all'aeroporto da dove il nostro Jet sarebbe decollato. Mi trascinai dietro la piccola valigia che mi accompagnava da quando avevo iniziato a lavorare per Daniel, stropicciandomi gli occhi gonfi di sonno; non avevo dormito tutta la notte, tormentata dagli sguardi di Daniel che mi comparivano davanti non appena chiudevo gli occhi. I suoi occhi non erano mai stati così freddi, almeno non con me, ed io l'avevo visto ormai in ogni modo possibile. Lo scorso weekend il rapporto tra noi due s'era incrinato, non c'era nessun'altra spiegazione plausibile.

Ad ogni modo, finché non si fosse scusato lui io mi sarei stata zitta, avrei svolto il mio lavoro come al solito e avrei cercato di evitare Daniel il più che potevo. Certo, mi sentivo in colpa perché sapevo quanto stesse soffrendo e soprattutto mancava molto anche a me - o almeno mancava al mio stupido cervello annegato in sentimenti che non avrei dovuto sviluppare - ma era lui nel torto, di certo non io. Gli avrei tenuto il muso per sempre, se fosse stato necessario.

Ad ogni modo, almeno per quelle due ore di viaggio che ci separavano da Spielberg avrei dovuto ingoiare la pillola e sopportare la vicinanza quasi tossica - tossica soltanto perché lui mi teneva il muso e faceva finta che non esistessi, a parte qualche frecciatina cattiva - a Daniel. Mi morsi il labbro inferiore prima di sorridere in direzione di Max e Jake, il suo personal trainer, raggiungendoli per salutarli.

Max mi strinse tra le sue braccia quasi sollevandomi da terra; ridacchiai mentre mi metteva giù, abituata ormai a quel tipo di cose. Contrariamente a quanto desse a vedere, Max era un ragazzo dotato di una dolcezza estrema, sempre capace di metterti a tuo agio e prono alla conversazione se ti conosceva abbastanza. Sotto la corazza che lo nascondeva dal mondo esterno celava un cuore grandissimo e un'empatia che raramente avevo visto in una persona; certo, aveva decisamente bisogno di un corso per imparare a gestire la rabbia e di contare fino a dieci prima di parlare, a volte, ma quando non perdeva la bussola era davvero un bravissimo ragazzo.

«Heylà! Sei puntuale come sempre, peccato che Simon, Daniel e Michael non siano come te», notò Jake, salutandomi con un cenno della mano.

Scossi la testa, ignorando il colpo al cuore alla menzione di Daniel. Dovevo darmi decisamente una calmata. «Bisogna conoscere Londra come le proprie tasche per non restare imbottigliati nel traffico», commentai, facendo sbuffare Max e Jake, «Siete rimasti in albergo, stanotte?».

Max annuì stringendosi nelle spalle, per niente abituato alla fredda mattina londinese. «Era inutile tornare a Monaco per poi ripartire e tornare qui», spiegò, «Ci alleniamo al freddo per Silverstone, insomma».

Ridacchiai. «Suvvia, l'Inghilterra non è poi così fredda. A che ora partiamo?».

«Appena gli altri tre arrivano, siamo già piuttosto in ritardo in realtà», borbottò Jake, «Comunque Tessa, tu lo conosci meglio di me quindi saprai rispondere di sicuro. Cosa prende a Daniel, in questi giorni? È intrattabile».

Sgranai gli occhi, sentendo le guance riscaldarsi mentre Max scoppiava a ridere. «Eh? Dio, non ne ho idea- non siamo così intimi», mentii spudoratamente, desiderando soltanto di sprofondare mentre sia Jake che Max mi guardavano intensamente, come se fissarmi potesse costringermi a dire la verità.

«Oh, pensavo lo sapessi. A Michael non posso chiedere, sono troppo legati - di sicuro gli direbbe qualcosa!».

«Io so cosa prende a Daniel in questi giorni», si intromise Max, sorridendo malizioso, «A qualcuno servirebbe una bella scopata».

Mi voltai di scatto verso Max, guardandolo sconvolta. Avrei dovuto darmi una calmata, il mio comportamento era decisamente sospettoso. «Dici?», borbottai, sentendo il sangue ribollire nelle vene. Avevo ragione, non era stata decisamente una buona idea, e più passava il tempo più ne ero consapevole.

«Dico. Lo conosco abbastanza bene da sapere che è così, è il tipo di comportamento che aveva dopo la rottura con Jemma anni fa- certo, è da tanto che non lo vedevo, ma il succo della questione è un altro: Daniel ha bisogno di scopare. E presto anche, prima che mi prenda a pugni per stupidate».

Scossi la testa. «Sarà soltanto per i ritiri e la stagione un po' così, non credo ci siano altre spiegazioni», sbottai, arrossendo leggermente.

Fortunatamente né Max né Jake notarono il mio disagio. «Nah, non credo. Domenica è arrivato secondo, sul podio c'è salito, eppure sembrava la giornata peggiore della sua vita», commentò Max, alzando le spalle, «È l'unica spiegazione plausibile».

«Il sesso non è tutto. E poi Max, pensaci: partiva dalla Pole Position ed è arrivato secondo, è comunque una vittoria sfumata - tu saresti contento?».

Max sembrò pensarci su. «Non direi, no».

«Ecco, quindi dirai che ho ragione io adesso».

«Mai!», borbottò Max, contrariato, «C'è una sola regola a cui mi attengo sempre: mai e poi mai dare ragione agli altri».

«Molto maturo da parte tua, Verstappen», mi lamentai, facendo scoppiare a ridere Jake.

L'atmosfera adesso un po' smorzata tornò cupa nel momento in cui sentimmo qualcuno chiamarci; voltandoci, riconoscemmo Simon, l'assistente di Max, e dietro lui Daniel e Michael. Cercai di focalizzarmi il meno possibile su Daniel ma ovviamente non ci riuscì; cedendo alle mie debolezze i miei occhi si posarono insistentemente su di lui, cogliendo ogni particolare del suo viso, ogni capello fuori posto, le occhiaie un po' pronunciate sul viso cupo. Non aveva una bella cera, ma vederlo mi fece battere il cuore lo stesso, così forte da farmi vergognare.

«Buongiorno. Vi vedo belli pimpanti, evidentemente avete dormito tutti più di me», ci salutò Daniel, stropicciandosi gli occhi, «Sono stato tenuto in piedi da questioni amorose olandesi», continuò, facendo un occhiolino a Max che arrossì veemente.

«Questioni d'amore? Il burbero Max è innamorato?», chiesi, scoppiando a ridere quando Max mi mandò a quel paese nella sua lingua madre - ormai avevo particolare familiarità con l'olandese, specie con le sue parolacce. Lavorare in un posto frequentato da persone di ogni nazionalità ti portava a conoscere quante più lingue possibili.

«Non sono innamorato», sbottò Max, ancora rosso in volto, «Ho solo...».

«Problemi di cuore», lo interruppe Daniel, strizzandogli la guancia, «Come tuo fratello maggiore ho il dovere di aiutarti».

Max alzò gli occhi al cielo. «Piuttosto che farmi aiutare da te arrivo in Austria a piedi. E poi scusa, chi ti ha detto che voglio essere tuo parente?!».

«Andiamo, tutti vogliono un po' di Ricciardo nella propria vita», borbottò Daniel, lanciandomi un'occhiata eloquente a cui risposi voltandomi per salire sul Jet, «Sei in una botte di ferro, Maxie».

«Una botte di ferro piena di chiodi», sbottai, quasi senza neanche accorgermi di aver parlato.

Max scoppiò a ridere. «Mi dispiace amico, ma concordo con Tessa».

Mi voltai verso Max per lanciargli un occhiolino. «Perché io ho sempre ragione, Max. Ricordalo».

L'olandese alzò gli occhi al cielo, ignorando le mie parole mentre salivamo sul Jet. Non appena fummo tutti dentro lo sportello si chiuse e il pilota ci salutò con un cordiale buongiorno, chiedendoci di sederci e metterci le cinture; saremmo decollati a breve. Mi sedetti con il cuore in gola accanto ad uno dei finestrini, sperando fino all'ultimo che Daniel non si sedesse accanto a me, cosa che ovviamente accadde. Le mani cominciarono a sudarmi senza ritegno non appena lui mi sorrise in modo abbastanza finto, un sorriso di circostanza che mi fece tremare il cuore.

«Quindi una botte piena di chiodi, eh?», mi prese in giro, facendo cadere subito il suo sorrisetto per mostrarmi tutto il suo astio nei miei confronti. Per l'ennesima volta mi sentii io dalla parte del torto, nonostante avessi ragione.

«Oggi ti sei svegliato dalla parte sbagliata del letto? Max ha ragione, una scopata ti farebbe proprio bene», sbottai, volgendo lo sguardo al finestrino per non guardare Daniel. Non volevo cedere e cadere nella sua trappola, l'avevo fatto fin troppe volte e ormai sapevo che non ne valesse la pena.

«Il lato del letto era giusto, la compagnia un po' meno - il sesso non mi manca affatto, ma se ti consola ti dirò che nessuna è come te e tutte quelle cazzate. Contenta adesso? Potresti anche smetterla di tenermi il muso».

Mi voltai verso Daniel, celando la rabbia e la delusione con l'indifferenza. Non volevo capisse che ci tenevo anche troppo per il mio bene. «Ho tutto il diritto di tenerti il muso, dal momento che ho capito che razza di persona sei. Non mi importa il fatto che devo tenerti tra i piedi da adesso fino a lunedì mattina, posso tenerti il muso fino alla fine del mondiale e penso proprio che lo farò».

Daniel alzò un sopracciglio. «Che razza di persona sono? Un commento innocente fatto in buona fede ed ecco che divento un mostro!», sbottò, cercando di tenere la voce bassa, «Non ti facevo così permalosa, Tessa. Volevo solo essere simpatico, in Francia, invitarti da me a passare un po' di tempo... non pensavo che l'avresti presa così male».

«Hai insinuato che uscissi con Günther soltanto per scopare, e che Günther mi avesse chiesto di uscire perché aveva secondi fini! Avrei dovuto prenderla bene, secondo te?!», esclamai, incrociando le braccia al petto, «Non era un commento innocente, tantomeno fatto in buona fede, e mi hai fatto sentire un cazzo di oggetto. Ti sembra una cosa normale?».

Daniel alzò gli occhi al cielo. «Se avessi saputo quanto sei suscettibile mi sarei stato zitto, così magari al Paul Ricard saresti venuta da me come al solito e tra noi due non ci sarebbe tutta questa tensione sessuale irrisolta».

Alzai un sopracciglio. «Tensione sessuale che senti soltanto tu, direi. E sinceramente credo sia stato molto meglio, cercavo un motivo per smetterla e tu me l'hai offerto su un piatto d'argento», mentii, mordicchiandomi il labbro inferiore. Erano tutte scuse, persino il mio essere così fredda e scostante, ma semplicemente non potevo smettere di mentire e di fare finta che Daniel non mi mancasse. Ero disposta a dimenticare le parole sconvenienti che mi aveva detto, ma non potevo mollare. Non in quel momento. Non finché non si sarebbe scusato.

Daniel scosse la testa ridendo divertito dalle mie parole. «Non mentire, piccola. La senti anche tu, ti sento tremare da qui! Qualche giorno senza sesso e già sei in crisi di astinenza, quasi come una droga», borbottò, abbassando la voce ed avvicinandosi pericolosamente a me, «Mi piace pensare di avere questo effetto su di te, non mentirò».

Sbuffai. «Tu non mi fai nessun cazzo di effetto, scendi da questo piedistallo che ti sei creato», sbottai, infilando le cuffie e facendo partire la musica sul cellulare, decisa più che mai a sbarazzarmi di Daniel.

Daniel mi ignorò per il resto del viaggio, alzandosi poco dopo il decollo per raggiungere Max e gli altri. Ma sinceramente, a me non importava affatto. O almeno, così volevo far credere persino a me stessa.

***

Mi buttai a peso morto sul letto subito dopo essere uscita dalla doccia, ancora in accappatoio. Ero distrutta dalla giornata: il giovedì era sempre un momento critico, soprattutto durante il Gran Premio di casa per la Red Bull; dopo aver passato la giornata ad inseguire Max e Daniel, rilasciando interviste e filmando cose stupide avevo bisogno di non vedere nessuno almeno fino al venerdì, la giornata delle prove libere. Almeno non avrei dovuto vedere troppo Daniel.

Dal mercoledì in cui eravamo arrivati l'avevo visto pochissimo, lo stretto necessario per lavoro, ma mi aveva fatto star male lo stesso. La vicinanza a lui ormai era venefica, riusciva a farmi del male sia psicologico che fisico - tutto ciò era assurdo, me ne rendevo conto pienamente, ma ormai avrei dovuto convivere con il disagio e l'odio che provavo verso lui e me stessa.

Stavo per addormentarmi quando sentii bussare alla porta. Andai ad aprire sbuffando sonoramente, sperando che non fossero seccatori; chissà, magari era Günther...

Ovviamente, però, non potevo essere così fortunata. Non appena aprii la porta sgranai gli occhi, ritrovandomi Daniel avanti quasi come un miraggio. Aveva addosso ancora la maglietta del Team e un sorriso di scuse, più genuino di quello che mi aveva riservato negli ultimi giorni, stampato in faccia. Arrossì leggermente non appena notò che fossi in accappatoio, facendomi alzare un sopracciglio.

«Uhm... disturbo? Posso passare più tardi se vuoi», borbottò, grattandosi la nuca.

Scossi la testa. «No, tranquillo. Cosa ti serve? Ti ho lasciato il programma per domani prima che salissimo in albergo», chiesi, passandomi una mano fra i capelli nel vano tentativo di sistemarli. Certo, Daniel mi aveva vita in condizioni ben peggiori, ma al momento non ero di certo molto attraente... non che a lui importasse, comunque.

«Non sono qui per parlare di lavoro», rispose Daniel, mordicchiandosi il labbro inferiore, «Quanto per... beh, chiederti scusa? Sono stato un po' un cazzone in questi giorni - dalla Francia, in realtà. Non meritavi di essere trattata così e mi dispiace. Capisco solo adesso il perché tu fossi arrabbiata con me, e avevi tutti i motivi per farlo», spiegò, arrossendo veemente.

Un sorriso si fece strada sulle mie labbra. «Era ora, signor Ricciardo! Ho aspettato le tue scuse come si aspetta il Natale», dissi, facendolo imbronciare.

«Non chiamarmi signor Ricciardo, mi fai sentire vecchio».

Sorrisi maliziosa. «Strano, di solito ti piace anche troppo», gli feci notare, facendogli sgranare gli occhi, «Comunque, scuse accettate. Puoi lasciarmi sola adesso, ci vediamo-».

«Aspetta», mi interruppe, facendomi alzare un sopracciglio, «In realtà ho portato anche un'offerta di pace con me».

«Ti prego, non dirmi che è il tuo pene con un fiocco», mi lamentai, facendo scoppiare a ridere Daniel.

«Ci avevo pensato, non mentirò... ma non mi sembra il caso. Teniamoci in caldo per quando la macchina mi lascerà a piedi di nuovo, che dici?», borbottò, entrando nella mia stanza con due cartoni della pizza in equilibrio su una mano, «Il mio piano B era questo, offrirti del cibo riparatore. Cosa c'è di meglio di una pizza per far pace?».

«Daniel Ricciardo, sei l'uomo migliore della storia», sospirai estasiata, sentendo il profumo della pizza penetrarmi le narici.

Daniel mi guardò con un sopracciglio alzato. «Quindi basta corromperti con del cibo per passare da un mostro all'uomo migliore della storia? Bene, lo terrò a mente», borbottò ridacchiando, «Mangiamo sul letto?».

Annuii. «Non mi aspettare se hai fame, vado un attimo in bagno a cambiarmi».

«Ma potresti cambiarti qui. Insomma, ti ho già vista nuda...».

Mi voltai verso Daniel prima che entrassi in bagno. «E darti la soddisfazione di vedermi nuda ancora, specie dopo avermi fatta incazzare? Ti ci vorrà più di una pizza per questo, Daniel», sbottai in tono di sfida.

Daniel mi sorrise destabilizzandomi. «Ho anche la birra, non prendermi per uno sprovveduto».

«Mi dispiace, ma questa sera guardare ma non toccare. Sei già fortunato che non ti abbia cacciato via - l'ho fatto per la pizza, sia chiaro».

«Certo, per la pizza. Dirai mai che ti sono mancato?».

Sorrisi tra me e me mentre mi chiudevo la porta alle spalle. Certo, mi era mancato. Ma lui questo non l'avrebbe mai saputo.

***

[A/N] SONO TORNATAAAAAAA! spero vi ricordiate di me ahahah

Mi sono presa una pausa dalla scrittura causa sessione estiva (che mi ha ucciso, siamo onesti) ma ora la sessione è finita, quindi ora sono tutta vostra 😏 (finché non mi reclamerà quella di settembre, almeno)

Non voglio dilungarmi troppo visto che vi ho fatto aspettare parecchio, so... buona lettura, ci vediamo al prossimo aggiornamento ahah❤

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