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The X[origin]

Sabato mattina. Due novembre del 2013… Dimitri non capiva per quale motivo suo padre insistesse così tanto per trasferirsi così improvvisamente dalla città…

Sin dalla morte di sua madre, due anni prima, suo padre era divenuto strano, come se fosse ora paranoico, e ciò non era normale per lui. Dimitri si preoccupava, poiché prima della sua morte, sua madre aveva iniziato ad avere delle manie psicotiche e lui a quel tempo pensava si trattasse di qualche problema neurologico o roba simile, ricercava sempre una spiegazione logica.

Ma il punto era che lui non voleva trasferirsi… non che avesse amici, ma c’erano alcuni compagni di classe con cui andava d’accordo a scuola, che lo aiutavano ad uscire dai guai; non era un combinaguai, ma si metteva nei casini perché parlava quando non avrebbe dovuto. Non era totalmente nel torto, quando qualcuno non ha ragione serve che qualcun altro prenda la parola, e in questi casi era sempre LUI a parlare. A quanto pareva, al liceo questo pensiero era completamente disprezzato. Qualunque cosa uno dicesse sarebbe risultata contro le “regole” dettate dai bulli, si sarebbe finiti con l’essere giudicati e, a volte, buttati dentro il cestino della spazzatura.

Dimitri era sempre stato il famigerato “nerd” della classe, ma non il tipo silenzioso che se ne sta isolato dalla classe studiando e rimanendo quasi invisibile, bensì quello odiato, quello che dà sempre le risposte quando l’insegnante interroga, quello che ricorda al professore che c’erano compiti per casa… Era una terribile rottura di coglioni. Ma lui non era sempre stato coì, solo dopo che sua madre morì iniziò a concentrarsi sui suoi studi e sulle cose che lo interessavano, credeva che lo avrebbe aiutato a dimenticare… Ed infatti ciò lo distraeva, ma quando si trovava disteso sul letto, sentiva dolore al suo cuore… faceva male a causa di sua madre… faceva male perché lei era morta senza poter vedere che grande uomo quel ragazzo potesse diventare… faceva male perché lui si era sempre messo nei guai violando le regole che non avrebbe dovuto mentre lei era ancora viva…

Cercava di spendere tutto il suo tempo negli studi, nel baseball, nella robotica e nell’informatica, così non avrebbe dovuto pensare più a quello. Fuori dalla classe era il re dei computer, non c’era alcun codice che non potesse decriptare. Hacking? Ne era un esperto. Una volta aveva trovato un portatile nell’immondizia e se l’era portato a casa, lo aveva completamente aggiustato e, quando questo ricominciò a funzionare, era ritornato alla discarica ed aveva hackerato i server della NASA e dell’FBI solo per divertimento. Non aveva fatto nulla con questo suo “potenziale”, voleva soltanto metterlo alla prova. Era qualcosa di difficile per una persona, ma quando dedichi tutto il tuo tempo in cose del genere, diventa tutto più semplice. In seguito, aveva pulito le sue impronte digitali, rotto e rigettato nella spazzatura il portatile, andandosene senza lasciare alcuna traccia, in fondo non voleva mettersi ancora nei guai.

E ora… si fermò a pensare. Pensò che forse questo era il motivo per cui suo padre aveva deciso di trasferirsi alla fine dell’anno, dopotutto, anche se lo amava molto, non avrebbe lasciato che suo figlio diciassettenne non venisse punito per aver creato casino con la NASA e l’FBI. Oppure era in debito con qualcuno, o lui stesso era in qualche pasticcio. Suo padre non era un uomo favorito economicamente e, a volte, barava nel gioco della vita. Probabilmente queste erano le ragioni che lo avevano reso ancora più paranoico.

Durante il viaggio l’uomo non si fermò nemmeno un attimo, appariva sempre preoccupato e si guardava spesso dietro. Si rilassò e tornò ad essere un “normale” padre quando si rese conto che nessuno lo stava seguendo… fu molto difficile.

Lunedì mattina. Quattro novembre del 2013. Non c’era molto da fare a scuola a novembre, le lezioni sarebbero continuate fino alla fine del mese – fino al venti dicembre per coloro che dovevano recuperare – ma Dimitri era curioso nell’avventurarsi in una nuova scuola. A dire il vero, non vedeva l’ora di tornare a studiare nuove cose, erano passati due giorni da quando aveva avuto un libro davanti alla faccia.

Si vestì come faceva ogni giorno nella sua vecchia città e scese le scale per fare colazione. In questi due giorni di viaggio in macchina, Dimitri aveva costruito un piccolo robot, che tirò fuori dallo zaino e pose sul tavolo. Il robot gli portò un acino d’uva e il ragazzo sorrise. Funzionava bene per essere un robot creato in così poco tempo.

Il ragazzo mangiò e attese che suo padre scendesse le scale per portarlo a scuola… Guardò verso l’orologio, suo padre non era mai stato così in ritardo. E nemmeno lui. Primo giorno di scuola in una NUOVA scuola, e lui era in ritardo.

Stava diventando impaziente.

Alla fine suo padre scese… ma era in pigiama.

“Dimitri… dovrai saltare le lezioni per oggi…” Disse suo padre, passando la sua mano sulla sua fronte, come se stesse sudando. Ma il clima era freddo in tutta la città, e suo padre non aveva accesso il riscaldatore.

“Cosa? Ma devo andare, devo vedere com’è prima che inizi il nuovo anno alla nuova scuola, tralasciando il fatto che devo reintegrare i miei studi.” Esclamò Dimitri un po’ infastidito, non era solito essere nervoso così, ma c’è sempre una prima volta.

“È novembre, non serve che tu vada, a malapena hai delle lezioni.” Rispose il padre, sembrando ancora sudato fradicio.

“Oh andiamo, Nick. Sei tu quello che mi spinge ad andare a scuola, e ora mi stai chiedendo proprio tu di non andarci?” Disse il ragazzo alzandosi dal tavolo ed avvicinandosi alle scale dove c’era suo padre. “io DEVO andare a scuola.”

“Senti, non avrà ripercussioni sui tuoi voti, non ti ho nemmeno iscritto, visto che le iscrizioni apriranno ad inizio gennaio. Ora rilassati e guarda un po’ di TV o gioca ai videogiochi, non lo so. Non ti porterò a scuola oggi.” Concluse suo padre, risalendo verso la sua camera.

Dimitri era arrabbiato, non voleva crederci. Afferrò il suo zaino, il suo cellulare, e lasciò la casa. sarebbe andato a scuola a piedi.

Arrivato a scuola, non c’era molto movimento, ma la cosa importante non erano le altre persone, quanto più lui stesso. Parlò con la direttrice che gli concesse di partecipare alle lezioni anche senza iscrizione, poiché era ormai fine anno e le lezioni non sarebbero continuate ancora per molto.

Come detto prima, c’erano diversi alunni che non sembravano studenti, ed erano ovviamente in ricovero. Ma un trio catturò la sua attenzione… mentre camminava per i corridoi, questo trio di bulli stava infastidendo un ragazzo che assomigliava ad un pollo, piccolo e magro. Ed ecco Dimitri e la sua grande bocca che cercarono di fermarli. Dopotutto, a Dimitri non piacevano cose del genere.

“Hey, perché non la smettete e non lo lasciate in pace? Non vi ha fatto nulla…” Esclamò Dimitri approcciando i bulli… erano grandi…

“Oh wow, qual è il problema, per di carota? Vuoi essere al posto di questo stuzzicadenti qui? Se non ci tieni, vattene via.” Disse il più grande tra loro, che sembrava anche essere il leader, avvicinandosi a Dimitri e dandogli un forte spintone, che lo fece cadere a terra sul suo zaino, rompendo il piccolo robot che aveva costruito durante il viaggio…

“…Dovresti fare un esame di coscienza.” Disse Dimitri rialzandosi e riprendendo il suo zaino.

“E tu dovresti parlare di meno, pappagallino.” Il ragazzo più grande si stava avvicinando ancora, quando la direttrice giunse a salvare la situazione.

“Voi due dovreste essere nelle vostre classi.” Tonò lei, e tutti e cinque se ne andarono nelle rispettive classi.

Ogni lunedì deve essere una grande merda, ed infatti il bullo finì nella classe di Dimitri. Lui tentò di ignorarlo il più possibile. Seduto su uno dei banchi centrali vicino alla finestra, Dimitri tirò fuori le sue cose dallo zaino e fu pronto per la sua prima lezione nella nuova scuola.

Il tempo passava, mancava poco tempo prima che la lezione finisse. In quella scuola nulla cambiò, lui rispondeva sempre correttamente alle domande dell’insegnante, senza nemmeno dare la possibilità di rispondere agli altri – anche perché in ogni caso gli altri non sapevano nulla – ma questa volta riceveva sempre una pallina di carta in testa… lanciata da quel ragazzo. Nella mente di quest’ultimo passavano cose non piacevoli, e quasi spaventose, di cosa avrebbe potuto fare a quell’emarginato. Per un momento, mentre l’insegnante stava correggendo alcuni compiti e gli studenti non avevano nulla da fare, Dimitri poggiò la sua testa contro il muro e guardò fuori dalla finestra. Prese quasi un colpo, non esattamente uno spavento però, forse più una sorpresa per ciò che stava vedendo… Dall’altro lato della strada, vicino ad un palo della luce, c’era un tizio molto alto e magro in giacca. Le sue braccia erano lunghe, molto lunghe… lui era magro, molto magro. Era praticamente alto quanto il palo. Guardò il viso dell’uomo, ma non c’era alcun volto...

Rimase fisso su quella figura per alcuni secondi – o almeno nella sua mente sembravano essere secondi – e un suono statico molto strano pervase le sue orecchie, finché l’insegnante non richiamò la sua attenzione. Quando alla fine batté le palpebre, guardando verso l’insegnante, nessun altro era presente nella classe.

“Le lezioni sono finite, caro. Puoi andare.” Disse la gentile professoressa con un sorriso.

“Oh… sì… grazie.”

Era perplesso, a malapena riusciva a formulare frasi nella sua mente.

Uscì dalla classe come un razzo. Corse per strada, verso il palo della luce dove aveva visto quell’uomo… ma non c’era nulla. Era sorpreso… cercò di prendere in considerazione il fatto di non aver dormito bene, forse si era semplicemente appisolato in classe. Non era una bella ipotesi, ma non poteva essere scartata.

Ritornò a casa. A malapena aprì la porta, poiché suo padre la aprì rapidamente e lo tirò dentro casa, tenendolo stretto, chiudendo lesto la porta, bloccando tutte le serrature. Nicholas lo abbracciò così forte che Dimitri non riusciva quasi a respirare. Cercò di liberarsi dalle braccia di suo padre mentre questi gli parlava disperato.

“Oh mio dio, stai bene? Ti avevo detto di non andare alle lezioni, è pericoloso, oh Dio… Grazie al cielo stai bene…” Suo padre era estremamente preoccupato.

“Calmati” Papà, lasciami andare!” Riuscì finalmente a staccarlo, e lo guardò confuso. “È successo qualcosa?”

“No, nulla… Vai nella tua stanza, vado a prenderti la cena. Però stai lì.” Disse il padre scostandosi dal figlio e dirigendosi verso la cucina a testa bassa.

Dimitri non capì nient’altro. Quello che non sapeva era che suo padre avesse fatto un incubo quella notte. Quell’uomo smilzo aveva avvolto suo figlio con i suoi lunghi tentacoli e se lo era portato via nell’oscurità. Se suo padre avesse saputo ciò che Dimitri aveva visto quel giorno, non lo avrebbe più lasciato uscire di casa.

Dimitri salì in camera sua e chiuse la porta. Per essere un lunedì, era da far schifo. Prese dallo zaino il suo robot rotto. C’era un modo di aggiustarlo, ma era così infastidito dal fatto che fosse stato brutalmente distrutto in quel modo… e niente. In una nuova scuola, e già non gli piaceva quasi nulla.

Calò la notte. Il suo portatile era aperto sul suo letto, con una canzone in riproduzione. Era un ragazzo che si lasciava trasportare dalle canzoni, ed era stato irritato per tutto il giorno, quindi la musica che decise di ascoltare fu del rock, non troppo pesante, ma con forti emozioni. Mentre ascoltava la musica, tentò di studiare sulla sua scrivania, ma non aveva nulla su cui lavorare, non aveva nuovo materiale didattico, tutto ciò che poteva imparare lo aveva già imparato. Provò quindi a disegnare… ripensò all’uomo che aveva visto. Lo abbozzò su un bloc notes. Lo trovava ridicolo.

“Tch… Sei troppo grande per un amico immaginario, Dim” Disse a sé stesso, strappando il foglio e gettandolo nel cestino.

Posò la sua testa sulla scrivania, la penna ancora nella mano. Iniziò a scarabocchiare a caso, era annoiato. Quando risollevò il capo, guardò sul bloc notes. Aveva scarabocchiato uno strano simbolo… un cerchio con una X dentro. Riconobbe quel simbolo, una delle volte che era entrato nella camera dei suoi genitori quando sua madre era ancora viva aveva trovato un foglio con lo stesso disegno, nel cassetto della mamma.

Dimitri era spaventato, non stava pensando a quel simbolo, se lo era dimenticato almeno due anni prima, lo aveva visto una sola volta… Continuò a scribacchiare. La sua testa gli faceva male e non aveva voglia di pensare. Tutti gli scarabocchi che fece in seguito erano simili a quello di prima, o erano alberi, o una strana bambola.

Faceva freddo… il ragazzo dai capelli rossi guardò verso la finestra aperta e si alzò, era tempo di chiuderla, stava diventando davvero troppo freddo. Quando si trovò di fronte alla finestra, pronto a chiuderla… vide ancora l’uomo senza volto, dall’altra parte della strada. Dovette forzare lo sguardo poiché la luce era tenue. Era di certo lo stesso uomo. Ma questa volta era diverso… sembrava avere dei tentacoli venir fuori dalla schiena. Ma non ne era certo, perché la scarsa illuminazione non gli permetteva di vedere bene. Una nuova volta iniziò ad udire il suono di statico, e iniziò a tossire. Non rimase fermo a fissarlo, ma chiuse la finestra e si allontanò da essa, la sua tosse non si fermava, al contrario, peggiorava. Riusciva a sentire i disperati passi di suo padre salire per le scale ed aprire la porta. Suo padre andò per prima cosa verso la finestra e controllò fuori di essa, non c’era nulla… poi andò dal ragazzo.

“Dim?? Stai bene? Che è successo?” Domandò preoccupato, ma Dimitri continuava a tossire, sentiva un sapore metallico in bocca, ma non era sangue.

Dimitri non rispose, ma annuì. Suo padre lo aiutò a rialzarsi e, dopodiché, volse lo sguardo verso la scrivania, al bloc notes con il simbolo… scosse il capo.

“No… no… Ascolta, Dimmy, stanotte dormi con me, okay?” Disse l’uomo spingendo suo figlio verso la sua stanza.

Dimitri era confuso, ma non appena lasciò quella camera si sentì in qualche modo meglio. Dormì con suo padre per quella notte. Ma non riuscì a dormire bene…

Da quel momento non vide più l’uomo senza colto, ma il simbolo lo stava perseguitando… continuava a disegnarlo senza rendersene conto, o lo vedeva ovunque…

Col tempo, cercò di dimenticare tutto ciò, anche se la sua saluta aveva iniziato a diventare cagionevole.

Lunedì mattina. Sei gennaio del 2014. Primo giorno di scuola, ora iscritto. Dimitri poteva andare a scuola solo dopo aver nascosto tutti i simboli che aveva disegnato, e farsi vedere normale da suo padre, che era diventato folle pur di prendersi cura di lui.

A volte, quando suo padre lo sentiva tossire, lo obbligava ancora a dormire con lui. Dimitri non sapeva hi fosse peggio, se lui stesso o suo padre, che inoltre era peggiorato, ma psicologicamente. Obbligava Dimitri a prendere delle medicine…

Quel giorno, si sentiva ottimista. Voleva che la giornata andasse bene, finché non arrivò a scuola e si imbatté nel bullo e i suoi amichetti. Sapeva che nulla sarebbe potuto andare perfettamente... Quel giorno a scuola trascorse come al solito, come alla sua vecchia scuola, rispondendo alle domande, ricevendo palline di carta in testa. Questa volta erano arrivate a più persone, quindi a volte non era l’unico a rispondere e ricevere una pallina di carta… ma non trovava che fosse divertente. Cresceva in lui sempre più odio contro quel ragazzo. Così tanto che, col tempo, perse interesse nel rispondere, rimanendo silenzioso a scribacchiare sul suo quaderno… scribacchiare quei simboli.

Guardava sempre fuori dalla finestra, ma nulla…

In seguito, la sua vita venne costellata da bullismo senza fine, per il quale la direttrice non fece nulla, nulla per fermare il bullo, perché era suo figlio. Dimitri non rispondeva alla violenza poiché, prima che sua madre morisse, aveva promesso che non sarebbe mai più stato coinvolto in una rissa, anche se sapeva come lottare, dopotutto per essere un giocatore di baseball sapeva come colpire, e si allenava a casa. Lui fungeva solo da sacca da box a causa della promessa a sua madre. Lui era veloce, poteva ben colpire quei tre se lo avesse voluto… ma non lo fece. Ed era dura scappare da tre ragazzi. Ma Dimitri in qualche modo rispondeva, aveva sempre qualcosa da dire sulle azioni dei bulli. Erano diventati rivali, ma ovviamente l’unico a venir pestato era Dimitri.

Tornava sempre a casa con un occhio nero o cose simili. Doveva sempre nascondersi, o dire che era casuto, perché suo padre aveva raggiunto livelli assurdi di paranoia. Di norma un adolescente come Dimitri avrebbe raccontato ai suoi genitori cosa stava succedendo, per far finire tutto, ma lui si preoccupava per suo padre… non voleva che finisse come sua madre. Il legame di Dimitri col padre era forte come quello con la madre, non aveva un favorito. Quando sua madre morì, anche una parte di Dim morì con lei, ma aveva comunque suo padre, che lo amava molto, e aveva sempre ricambiato quell’amore.

Il tempo passava. Diciotto anni compiuti il tredici giugno del 2014. Venerdì.

Con suo padre praticamente rinchiuso in casa di sua spontanea volontà, Dimitri doveva andare a comprarsi le cose per il compleanno da solo. Avrebbe preso qualcosa da bere, non per sé stesso – odiava l’alcol – ma per suo padre, che apprezzava la buona vodka e non ne aveva bevuta da diverso tempo.

Stava uscendo dalla bottega con alcune bottiglie di vodka, la strada era deserta… quando vide il trio di bulli per strada, appoggiati contro il muro sul lato di uno svicolo. Oh no. Non nel giorno del suo compleanno. Li avrebbe ignorati e avrebbe fatto finta che non esistessero… ma… una ragazza passò lì vicino. Stava per attraversare la strada; avrebbe distratto quegli idioti. Perfetto, era rassicurato in qualche modo. Ma il suo sollievo si dipanò quando vide che uno di loro si stava avvicinando… uno dei tirapiedi del suo arcinemico afferrò la ragazza da dietro, lei iniziò ad urlare. Dimitri guardò all’interno del negozio da cui era appena uscito, pensando di trovare aiuto, ma quella strada era una pericolosa strada, e non appena l’urlo era partito, la bottega aveva spento tutte le luci.

Dimitri si arrabbiò. Non avrebbe lasciato quella ragazza lì, tra le mani di quei porci. Si approcciò a loro, alzando la voce adirato, con autorità – come se ne avesse avuta.

“HEY! Lasciatela andare…” Esclamò un po’ esitante. Fin troppo esitante. Vide che il trio era completamente ubriaco.

“Guardate chi ha deciso di venire a salvarti. Picchiarello rosso… HAHA” Il grande ragazzo rise fragorosamente e diede segnale all’amico di lasciar andare la ragazza. Lei corse via.

“Puoi fare l’idiota a scuola senza essere punito solo perché sei figlio della direttrice, ma non puoi essere uno stupratore qui senza pagarne le conseguenze.” Disse Dimitri mettendosi le mani nelle tasche.

“Ah sì? Posso fare quel che voglio. Conseguenze, huh?” Disse il ragazzo ubriaco, pieno di testosterone, mentre barcollava verso Dimitri. “Cosa hai intenzione di fare? Picchiarmi?”

“No. Ma la polizia saprà che cosa fare con te, cocco di mamma.” Rispose Dimitri tirando fuori il cellulare dalla sua tasca ed allontanandosi dai bulli mentre chiamava la polizia.

Il suo più grande errore fu volgere le spalle a loro. Uno dei tirapiedi lo afferrò per il braccio, strattonandolo con forza, il che fece cadere la borsa con le bottiglie di vodka che si ruppero. I tre lo presero. Il ragazzo più grande, il suo arcinemico, afferrò Dimitri per la gola e lo sollevò contro il muro.

“Mostragli chi è che comanda, Igor.” Sbeffeggiavano gli amichetti.

Igor prese il cellulare di Dimitri e lo gettò al suolo, calpestandolo e distruggendolo. Rivolse lo sguardo verso Dimitri e strinse la presa al collo.

“Dovresti parlare di meno, pappagallino. Il silenzio ti donerebbe.”

Detto ciò, Igor gettò Dimitri a terra. Dimitri urtò un bidone della spazzatura che cadde, scoprendone il coperchio. Igor prese un tubo di gomma da lì e lo avvolse attorno al collo di Dimitri, tenendolo stretto da dietro mentre i tirapiedi colpivano il ragazzo dai capelli rossi, il quale non poteva difendersi e stava soffocando. Igor non lasciò che Dimitri soffocasse del tutto, voleva che prima soffrisse. Disse ai suoi compari di allontanarsi, avrebbe potuto finirlo da solo.

“Pensi di essere tanto furbo, vero?”

Ma non ci si può tirar fuori da una situazione simile. Si è come topi intrappolati.

Igor iniziò così a tirar calci a Dimitri, più e più volte. Chiese ad uno dei suoi amici di tenere Dimitri disteso sulla schiena e con le braccia in alto. Dimitri non riusciva a muoversi, non avrebbe potuto lottare. La rabbia che sentiva non era al livello del dolore.

Igor colpiva in continuo la sua gola. Poteva sentire il disgustoso suono che produceva, specialmente quando il caldo sangue iniziò a fuoriuscire dalla sua bocca, zampillando lentamente. Igor lo distrusse. Dopodiché, si fermò per un momento e guardò quel ragazzo che si stava strozzando al suolo.

“Sai perché la polizia non farà nulla se lo scoprono? Perché il capo della polizia è mio padre. E mi adora come innocente ragazzo, non farebbe nulla contro di me.”

Igor stava per spezzare il collo di Dimitri quando un assordante rumore statico li paralizzò. Si coprirono le orecchie ma non funzionava. L’unico che riusciva a sopportarlo era Dimitri, disteso a terra, la sua gola distrutta e quasi affogato nel suo stesso sangue. Tutti i presenti in quel momento videro in fondo alla strada l’uomo senza volto. Corsero via, corsero via come formiche. Dimitri non era spaventato. Era arrabbiato. Era ferito.

Guardò verso l’alto ma non poteva muoversi, tossendo e tossendo, sputando ed ingoiando sangue, non riusciva a respirare. Vide l’uomo avvicinarsi a lui, e la faccia senza volto di fronte a lui, dall’alto. Poi scomparve. Dopo esser sparito, Dimitri riuscì a muoversi. Faceva male, ma riusciva a muoversi… in qualche modo, quell’uomo gli aveva tornato della forza.

Per fortuna, la ragazza che era corsa via aveva chiamato la polizia, che arrivò rapidamente. Non avevano il tempo di chiamare ed aspettare un’ambulanza, quindi portarono direttamente Dimitri all’ospedale.

Chiamarono Nicholas, il padre di Dimitri, e gli spiegarono la situazione. Anche se si faceva problemi nell’uscire di casa, Nicholas si affrettò a raggiungere l’ospedale, volendo disperatamente vedere suo figlio. Nella stanza di Dimmy, Nicholas vide suo figlio disteso sul lettino, la sua gola bendata. Chiese al medico cosa fosse accaduto e se suo figlio sarebbe stato bene.

“Beh, signore. La gola di suo figlio era completamente devastata, se non per le ossa della colonna vertebrale, per fortuna. È una fortuna già che sia vivo, ma è sopravvissuto perché nessuna vena o arteria principale è stata rotta. Chiunque abbia fatto ciò deve aver voluto vedere suo figlio soffrire.” Disse il medico mentre controllava le sue carte.

“E… starà bene?”

“Ascolti, con l’operazione per fortuna siamo riusciti a ricostruire la gola, ma ci vorrà tempo per guarire e dopodiché sarà tutto come prima. L’operazione ha richiesto un sacco di tempo ed è stata complicata, per cui costerà di più. Ma dal lato positivo, lui rimarrà in grado di mangiare e respirare normalmente, se guarirà propriamente. Fino ad allora, dovrà avere un respiratore e un tubo per essere nutrito. L’unico problema è che non possiamo ricostruire le corde vocali, quindi suo figlio non sarà più in grado di parlare.”

“Oh… grazie a Dio è vivo. Avete detto che l’operazione costerà di più… quanto?”

“50.000 dollari.”

“Cosa… ma è un sacco!”

“Sì, per un’operazione perfetta.”

“Perfetta? Mio figlio non potrà più parlare!”

“Signore, possiamo abbassare al massimo a 30.000 dollari.”

“…”

Quella cifra di denaro era molto più di quando avessero. Nicholas riuscì a negoziare, avrebbe pagato 10.000 dollari al mese, per tre mesi.

Dopo essere stato dimesso, Dimitri tornò a casa con gli apparecchi dell’ospedale necessari perché potesse respirare e nutrirsi, finché non guarì completamente.

Suo padre doveva lavorare, per cui abbandonò la sua paura di lasciare la casa, dopotutto doveva pagare la chirurgia di suo figlio.

Le settimane passavano, suo padre era già esausto. Non aveva tempo per sé stesso, piangeva ogni notte. Dimitri non riusciva ancora a muoversi troppo. Poteva solo stare disteso sul letto.

Una volta, la notte tarda, si svegliò e guardò un angolo della sua camera. L’uomo senza volto era lì. Dovette piegare un poco la sua testa perché era troppo alto per la casa. Dimitri non era neanche più sorpreso. Continuò a guardarlo. Il rumore nella sua mente formava delle voci basse, voci che gli dicevano cose orribili, voci che lo influenzavano… ed ancora quel gusto metallico. Non era sangue. La tosse tornò una nuova volta. Non poteva tossire a lungo, cercò di trattenersi, ma era straziante. L’uomo smilzo scomparve.

Dimitri non riusciva a ricordare esattamente cosa fosse successo quando si svegliò, nemmeno si ricordava di essere andato a dormire. Non ricordava nemmeno che il bloc notes fosse sul suo letto. Poteva muovere le braccia. Si avvicinò il bloc notes ed una cosa gli venne alla mente…

Iniziò a decriptare alcuni codici. In pochi minuti, era dentro i server dei computer di Igor e dei suoi tirapiedi. E dal cellulare, per giunta. Attivò le webcam in modo da poter vedere ogni cosa. Avrebbe visto ogni passo di Igor e dei suoi amici da lì. Li avrebbe osservati. Hackerò senza problemi creandosi un accesso alle telecamere di sicurezza, e poté quindi vedere qualunque luogo in cui i ragazzi andassero. Analizzò le loro routine quotidiane. Fu ciò che fece per giorni, rinchiuso nella sua stanza.

Anche quando finalmente poté riprendere a camminare, non lasciava la sua camera, ma ci gironzolava dentro, strappando la carta da parati con le forbici, scribacchiando sui dei fogli che poi appiccicava alle pareti. Non era totalmente cosciente di tutto ciò che faceva, aveva la sola sensazione di doverlo fare. E quello che doveva fare, lo faceva. Ogni giorno riproduceva un nuovo simbolo.

Un giorno, rovistando nel suo armadio, trovò una bomboletta spray rossa. Guardò tutti i simboli sui suoi muri, sul guardaroba, sulle tende…

La sua espressione rimase per qualche istante interdetta, non sapeva che altro dovesse fare. Stava impazzendo. Con la bomboletta spray, spruzzò diverse croci rosse sopra gli altri simboli, come se stesse cercando di coprirli.

Lunedì. Cinque gennaio del 2015. Dimitri era ormai guarito e aveva rapidamente imparato il linguaggio dei segni. Era pronto per ritornare a scuola, ma non lo avrebbe fatto. Anche se non c’era più alcun livido, era rimasta un’orribile cicatrice sulla sua gola. Una sua mossa astuta fu quella di coprirla con dei colletti alti.

Delle scure occhiaie potevano essere viste da lontano, a malapena dormiva. Tutto quello che aveva fatto in camera sua era osservare i movimenti, seguirli. Voleva la sua vendetta. Soprattutto dopo aver scoperto che la polizia non avrebbe fatto nulla, poiché il capo del distretto era davvero il padre di Igor.

Dimitri non voleva neanche più andare a scuola. Andava ogni giorno nel bosco, suo padre non capiva il motivo. E difatti, nemmeno Dim lo sapeva, e quando se ne rendeva conto si trovava già nel bosco. Tornava quindi a casa, perché sapeva che non era lì dove doveva essere.

Era nella sua camera da letto, meditando, o almeno provandolo a fare, la sua mente era in un mare di confusione e di rumore, non sapeva più cosa fare. Non sapeva più chi fosse, in fondo non avrebbe mai bramato una vendetta così crudele se fosse stato “sé stesso”. Dimitri si inginocchiò a terra e prese da sotto al letto una scatola, con due pugnali dal fodero rosso, che appartenevano a sua madre quando era ancora giovane, era una collezionista di cose del genere. Era pugnali meravigliosi, da decorazione, ma estremamente affilati.

Dimitri non stava più pensando con la sua testa. Fissò quei due pugnali per molto tempo. Molto più tempo di quanto dovesse. Non sapeva esattamente perché li avesse recuperati, nemmeno se li ricordava di avere.

Si sentiva smarrito.

Delle voci che sembravano essere tutt’intorno a lui gli urlavano, gli sussurravano, gli chiedevano di arrendersi… e, per qualcuno con un tale rancore, abbandonare ogni cosa –tutto per vendicarsi- suonava essere una buona idea. Dimitri non voleva vivere così, come un nerd idiota che non poteva nemmeno parlare. Rinunciò a questa sua vita.

Durante tutto quel tempo, suo padre non entrò mai nella camera di suo figlio, poiché era troppo impegnato a lavorare come uno schiavo. Dopo aver pagato tutto il suo debito, quel lunedì mattina Nicholas decise di vedere come Nicholas se la cavasse. Dopotutto riusciva a vedere Dimitri solo alcune volte, quando usciva dalla sua stanza. Nicholas divenne completamente disperato quando aprì la porta. I muri distrutti erano completamente scarabocchiati con quel simbolo, sotto a delle grandi X rosse. Nicholas capì che fosse ormai troppo tardi, ma non voleva crederci.

Notò qualcosa. Dimitri non era in camera sua. E la scatola dei pugnali era vuota, se non per un foglio di carta con abbozzati degli alberi. Nicholas sapeva dove Dimitri potesse essere.

Guidò come un pazzo fino al bosco, dove vide un giovane con una felpa grigio scuro che si approcciava ad " tra gli alberi. Poteva essere…? Chiamò il nome di suo figlio.

“DIMITRI!!”

Il ragazzo non si girò. Ma Nicholas era certo fosse lui. Nicholas corse verso il ragazzo e lo strattonò indietro, non poteva lasciarlo addentrarsi nel bosco, aveva la sensazione che questa volta Dimitri non sarebbe ritornato a casa. Non appena lo tirò indietro, il ragazzo si voltò. Era Dimitri! Indossava una bandana nera che copriva parte del suo volto, con una X rossa in corrispondenza della bocca. Prima che Nicholas potesse dire qualcosa pur di farlo ritornare, sentì un acuto dolore al petto. Abbassò lentamente lo sguardo. Il pugnale di sua moglie era ficcato nel suo petto. Guardò Dimitri negli occhi… non avevano più la vecchia lucentezza. Prima di cadere a terra, Nicholas afferrò la bandana in modo da poter vedere il viso di suo figlio un’ultima volta, voleva vedere se Dimitri lo avesse fatto contro la sua volontà, se stesse provando una qualche sorta di risentimento. Ma non c’era nulla lì se non un’espressione impassibile, come se non avesse alcuna emozione, come se non gliene importasse di nulla.

“Lui… mi ha perseguitato per tutta la vita… ha preso tua madre da me… e ora vuole prendersi anche te… mi… mi dispiace…” Disse Nicholas piangendo. Non piangeva perché stava per morire, non piangeva perché era ferito. Piangeva perché ciò che lo feriva di più era sapere che suo figlio, colui che amava, se ne fosse andati prima di lui. Quello di fronte a lui non era più suo figlio.

Dopo che Nicholas morì, Dimitri recuperò il pugnale dal suo petto e si riprese la bandana. Per alcuni secondi rimase a fissare il corpo di suo padre morto, lì. In quella espressione impassibile, senza emozioni, senza vita, una lacrima discese lentamente dall’occhio sinistro e cadde sul petto di suo padre. Quella lacrima, l’ultima goccia della sua umanità. O l’ultima goccia dell’anime di Dimitri. Dopotutto, quando ammazzi qualcuno, sei considerato una persona senza cuore. Ma, quando ammazzi una persona che ami così tanto, sei una persona che non ha più un’anima.

Quella notte, lui scomparve nella foresta, e da allora non si è più né sentito né parlato di lui.

O almeno, era quello che tutti credevano…

Venerdì notte. Tredici novembre del 2015.

I poliziotti erano raggruppati attorno ad una casa. La donna che uscì da lì era la direttrice della scuola superiore. Urlava e piangeva contro suo marito, capo della polizia, e gli agenti cercavano di calmarla. I detective entrarono in una delle camere della casa per esaminarla. C’era un bloc notes nell’angolo, con un sacco di fumo emanato da esso, la finestra era aperta. Si guardarono intorno, un corpo morto legato sul letto. Era Igor. La sua gola era sgozzata, non un taglio “normale”, era devastata, come se fosse stata lacerata con le mani e come se tutto fosse stato poi distrutto. La sua bocca era stata cucita.

“…Che cosa malata, il colpevole ha cucito la sua bocca dopo averlo ucciso, aveva mica paura che la vittima potesse dirlo in giro? Haha. Scherzi a parte. È troppo strano.”

“…No, signore… A quanto pare, la vittima non è solo morta per perdita di sangue ma anche di soffocamento, notiamo che il sangue scorre copiosamente dal naso e dagli occhi. Pare che prima sia stata cucita la bocca, e poi abbia devastato la gola…” Affermò il detective, facendo scorrere le sue dita sulla cucitura mal operata, parti delle labbra erano state strappate. Probabilmente aveva dovuto infilzare l’ago più volte, la vittima si muoveva un sacco, ciò conduceva a pensare che per quel motivo era stata legata.

“Detective…” Chiamò l’agente al suo fianco.

“Hm?” Il detective lo guardò negli occhi.

L’agente puntò il dito verso il muro dietro al letto, dove – col sangue – era stata disegnata un’enorme X. La stessa X che era stata disegnata negli svicoli ove gli amici di Igor vennero poi ritrovati, morti della stessa morte.

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