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{3. Asinello monello}

✓ Terzo racconto
Scritto e ideato da Janice-Hill

•|Asinello monello|•


Alfredo sentì suonare il citofono. Avrebbe continuato a dormire beato, ignorando quel trillo metallico, ma l’insistenza battè il menefreghismo dieci a zero.

-  Chi è?

- Corriere.

- Non ho ordinato niente.

- Consegna testamentaria.

- E chi è morto?

- Suo zio.

- Quale zio?

- Lo zio d’America.

- Come, lo zio d’America non è una leggenda metropolitana?

- Non saprei, io sono solo un corriere. Già sono incazzato perché mi fanno andare in giro con i calzoncini corti e la maglietta color merda… E sta iniziando a piovere… Non è che potrebbe venire giù a firmare?

- Certo, certo, scendo subito.  

Alfredo infilò maglia e pantaloni e si fiondò giù per le scale.

Capì quale fosse il corriere dalla divisa e dall’espressione agonizzante sul suo volto.

- Buongiorno.

- Buongiorno.

- Una firma prego.

Alfredo scarabocchiò qualcosa di illeggibile sulla ricevuta.

- Arrivederci.

- Arrivederci… Ma il pacco?

Il corriere, con un piede nella fossa e uno già sulla frizione, pronto per la consegna successiva, con un cenno del capo indicò un idrante al quale era legato un asino.

- Mio zio mi ha lasciato un idrante??

- No, le ha lasciato l’asino.

- E che me ne faccio? Mica vivo in campagna…

- Lei non si è mai sposato, vero?

- No… mai… Perché, cosa c’entra questo?

Il corriere assunse un’aria zen e da grande saggio donò all’uomo l’aforisma più azzeccato di sempre:

- I parenti fanno sempre dei regali del cazzo e ingombranti. Se si fosse sposato lo saprebbe!
Il furgone si allontanò di gran carriera rilasciando una pesante scia di gas di scarico.
Alfredo si avvicinò all’animale che ragliò non appena l’uomo gli fu vicino.

- Dio! Che puzza! Ma dove vivi, in una stalla?! E ora dove ti metto?

Se avesse ascoltato la vocina nella sua testa che gli suggeriva di ignorare il citofono sarebbe stato ancora spalmato sul materasso a sognare donne nude. Invece adesso si ritrovava lì con quel quadrupede dal piglio di sfida negli occhi.
- A noi due! - gli disse rimboccandosi le maniche.

L’avrebbe portato un po’ nel garage e lì avrebbe capito come risolvere il problema.   
Si ricordò della favola del gatto con gli stivali, quella che sua nonna gli raccontava quand’era piccolo, del mugnaio che lasciò in eredità ai tre figli il mulino, l’asino e un gatto.

Era la stessa storia della “sindrome del figlio di mezzo”: di sicuro il maggiore con il mulino aveva tirato su del grano DOP e si era fatto dare l’IGP; il minore, grazie a un gatto stivalato, era diventato marchese del paradiso fiscale di Carabas e si era trombato una dolce principessina con cui era entrato in comunione dei beni; e il mezzano… beh… a lui era rimasta un’inutile bestia da soma.

Chissà se suo zio aveva anche un mulino e un gatto e, se sì… A chi erano andati?

Avrebbe indagato su questo… Non era la prima volta che i suoi cugini avevano la meglio su di lui, fin da quando la nonna faceva i bignè alla crema la domenica.

Era ora di finirla!

Snodò la corda e iniziò a tirare il somaro verso di sé. Sembrava aver piantato gli zoccoli nell’asfalto: nonostante lo sforzo non era riuscito a smuoverlo nemmeno di un centimetro.

- Vuoi camminare, brutta bestiaccia?

Il somaro si tirò indietro e le briglie per poco non gli sfuggirono di mano.

- Guarda un po’ cosa doveva capitarmi! Adesso chiamo il “somarile” e ti faccio venire a prendere!

L’asino ragliò, quasi comprendendo le minacce dell’altro, e iniziò a recalcitrare; sbattè le zampe posteriori così forte contro l’idrante che questo si staccò dal terreno e iniziò a schizzare acqua contro Alfredo.

- Ma diavolo d’un ciuco! Vuoi darti una calmata?!

Per ripararsi dal getto freddo e potente mollò la presa, le redini gli caddero e l’animale fu finalmente libero. 

Con gli occhi che gli brillavano per aver sconfitto la prigionia iniziò a saltellare avanti e indietro, in una danza a metà tra lo schuhplattler tirolese e il can can del Moulin Rouge… Ah! Il Moulin Rouge, quello sì che sarebbe stato un mulino figo da ereditare!

Alfredo, nel vedere i movimenti convulsi e ritmici dell’asino si spaventò e, camminando all’indietro, perse l’equilibrio e cadde a terra.

- Aspetta, aspetta, pazzo d’un ciuco! Proviamo a calmarci, okay? Io mi chiamo Alfredo e tu… Ti chiamerò Sylvester, come Stallone, ti va bene?

L’asino ragliò forte mostrando i denti… Aveva bisogno di una bella pulizia: i denti erano così gialli che o era un fumatore incallito o un gran bevitore di caffè. Ma “a somar donato non si guarda in bocca”, quindi Alfredo rimandò la visita dal dentista – anche perché non era nemmeno il mese della prevenzione Mentadent – e pensò a qualcosa di più pregnante in quel momento.

Carote, servivano carote.

E bastoni, molti.

Bastoni e carote per risolvere la questione.
Il fruttivendolo dall’altra parte della strada stava scaricando le casse dal camion proprio in quel momento.

- Brando! Portami delle carote! - gridò Alfredo, ma Brando era noto a tutti per la sua sordità, per cui non lo sentì.

I bastoni ce li aveva in garage, ma nel garage di fianco al suo c’era un animalista attivista con una Panda a metano… Gli avrebbe attaccato una pesantissima ramanzina.

Meglio un ronzino che una ramanzina prima di mezzogiorno. 

Mentre era ancora a terra, con il sedere sull’asfalto bagnato, l’asino camminò verso di lui.

“E’ fatta!” pensò Alfredo, sperando che l’equino di bassa lega si fosse mosso a compassione. D’un tratto Sylvester ruotò su se stesso offrendogli le pudenda.

Alfredo, a pochi centimetri da quelle escrescenze penzolanti, intuì di botto che suo zio gli aveva lasciato in eredità un “somaro alpha”.

L’ultimo pensiero che gli attraversò la mente fu quello che, finalmente, aveva capito perché i “coglioni del mulo” – pregiati insaccati umbri – avessero quel nome.

Poi l’asinello monello gli stampò uno zoccolo dritto in fronte.

E Alfredo tornò a dormire, beato, mentre la sua eredità trotterellava via, verso l’agognata libertà.

FINE

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