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{1. Panic disorder}

✓ Primo racconto
Scritto e ideato da elereg

•|Panic disorder|•

(Thriller)

Parole obbligatorie da utilizzare: Manifestazione; mano amputata; orripilante; mignolo del piede.

L'autrice ha utilizzato tutte le parole richieste.

24 Dicembre 2017, ore 22:00

La casa è riempita a festa. Nell'aria si respira odore di cannella e ciccolato.

Ci raccogliamo tutti in salotto per un film e sulle prime note della colonna sonora la stanza cala in un silenzio quasi magico.

Le vicende del signor Scrooge si susseguono sullo schermo e ogni tanto una risata rimbomba contro le mura. Stringo la mano al mio fidanzato seduto accanto a me che subito mi guarda con occhi carichi d'amore.

Cerco di mettermi più comoda. Mi sistemo un paio di volte sussultando sul morbido cuscino, come se non riuscissi a trovare la posizione più consona. La mano stretta attorno a quella del mio ragazzo sta iniziando a sudare, così come l'altra. Quindi la sfilo e la passo sulla stoffa dei miei pantaloni nel tentativo di asciugarla; ma qualcosa non va.

La sensazione di mille formichine che camminano sui miei palmi mi pervade, divampandosi in egual modo sulle gambe. Una mano mi preme sul petto riducendo la mia capacità di respirare correttamente.

È lui, lo so... è venuto a prendermi ancora una volta.

- Vado un attimo al bagno- dico rivolgendomi a C.

- Tutto bene?- domanda preoccupato.

Annuisco accompagnandoci un sorriso che spero non desti alcun sospetto, dopodiché mi allontano.

Salgo le scale di fretta sbattendo il mignolo del piede contro il gradino. Dolorante mi fermo e mi accorgo di come lo spazio che mi circonda abbia preso a restringersi. Le pareti si fanno sempre più vicine, quasi a volermi soffocare.

È lui, è la sua manifestazione. 

Cerco di fare più in fretta per raggiungere la stanza prima che queste quattro mura possano farmi loro prigioniera.

Boccheggio, quasi fossi un pesce, in cerca di ossigeno. La sua mano sta premendo sul mio petto causandomi dolore. Le gambe sono ormai gelatina e stentano a reggermi.

Arrivo.

Mi aggrappo al marmo del lavabo e guardo, per una frazione di secondo, la mia immagine riflessa allo specchio.

Le pupille sono quasi fuori dalle orbite, la fronte è imperlata di sudore e qualche goccia ricade lungo il viso ormai pallido. Ciò che lui mi provoca è così forte che preferirei una mano amputata. Chiudo gli occhi e lascio che mi prenda.

Quando li riapro tutto intorno a me è nero; nessuna luce, nessun bagliore, solo un manto nero come la pece a regnare incontrastato.  Dovrei conoscerlo, ma ogni volta è sempre come se fosse la prima.

Giro un paio di volte la testa a destra e a sinistra alla sua ricerca, ma di lui ancora nessuna traccia; eppure li sento i suoi effetti su di me, dev'essere qui vicino.

- Ciao.

Una mano si appoggia sulla mia spalla facendomi schizzare automaticamente in avanti per lo spavento. La sua voce metalicca e ovattata, per via della maschera che copre il suo viso, si insinua nelle mie orecchie facendomi accapponare la pelle. Il cuore inizia a battermi ancora più forte andando a cozzare contro la cassa toracica e provocandomi forti dolori.

Mi volto lentamente e lui è lì davanti a me. È avvolto nel suo cappuccio nero e la maschera a fissarmi. Le guance imporporate di rosa, la bocca tirata in un sorriso spregevole, gli occhi ridotti a dure fessure, i baffi neri. Sul petto sono incise le lettere: A.D.P.

Voglio combattere questo mostro che mi assilla da ormai troppo tempo, questa volta sono pronta.

Fa qualche passo verso di me, mentre io rimango immobile come una statua.

Mi aggira.

Sento il suo respiro caldo sulla mia pelle.

Mando giù un boccone pesante. 

- Ho vinto ancora una volta- riprende a parlare, - mia cara, non sarai mai abbastanza forte da sconfiggermi, ovunque tu andrai io sarò lì a cercarti, ti sorprenderò quando meno te lo aspetti, mi prenderò tutti i tuoi momenti di felicità più belli e lì renderò un vero inferno.

La sua mano percorre la mia schiena. Sono come paralizzata.

- So cosa stai facendo- trovo infine il coraggio di dire.

- Cosa starei facendo?- domanda retorico ridendo.

- Stai giocando con la mia stabilità, vuoi cercare di piegarmi come hai sempre fatto, ma tu non sei altro che un frutto della mia mente.

Mi volto di scatto cogliendolo di sorpresa e mi getto su di lui. Cadiamo a terra, lui sotto e io sopra. Sento di potercela fare e con una mossa gli sfilo la maschera, ma nello stesso momento in cui lo faccio caccia un urlo orripilante che mi costringe a coprirmi le orecchie. E così si libera di me iniziando a correre.

Cerco di riprendermi da quel suono assordante e provo ad alzarmi per inseguirlo.

Inizio a correre a mia volta. Lui è a pochi passi da me.

- Devi soccombere.

La sua voce riempie tutto lo spazio che mi circonda, seguita dalla sua perfida risata. Poi scompare nel nulla e al suo posto appaiono tanti specchi che riflettono in simultanea la sua immagine.

Mi arresto di colpo confusa da tutto questo e mi muovo in circolo per tentare di capire dove lui sia veramente.

- Sei debole, piccola E.

- Io vincerò sempre.

- La tua vita è mia.

- La tua felicità è mia.

- Sei tu che mi hai creato, sei tu che mi hai permesso di entrare dentro di te... tu e solo tu hai costruito tutto questo.

- BASTAAAAA.

La sua risata satanica si affievolisce a questa mia protesta e insieme ad essa scompaiono anche tutti gli specchi. Ne rimane soltanto uno, quello di fronte a me, con una figura al centro.
Faccio qualche passo verso di lei e la scruto immobile al centro dello specchio. È lui, è A.D.P. Ha la testa china e le mani stese lungo i fianchi.

Poi all'improvviso scatta su mostrandomi il suo volto e gli occhi mi schizzano fuori dalle orbite.
Lui, è una lei e quella lei sono io.

- Io sono la tua paura, tu sei la tua paura.

FINE

Nota rivolta ai giudici: Ricordatevi di valutare questo racconto soltanto come Thriller.

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