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Il frutto della discordia

Un puzzo che a respirarlo ci avrebbe lasciato le penne. Continuava a ripeterselo, Cornelio, mentre posava cauto un piede dopo l'altro lungo la sottile fila di mattoni che fiancheggiava un canale di scolo sotterraneo, quello della latrina della Certosa del Galluzzo.

Con la camicia tirata su fino al naso, l'uomo boccheggiava e grondava di sudore nell'afa maleodorante di quei cunicoli e di quell'estate impietosa.
Cornelio si era fatto il callo a visitare i sotterranei di Firenze, faceva parte del suo mestiere. Che poi non lo poteva di certo definire "mestiere"... Si trattava semplicemente di "recupero".
Fino a quel momento aveva "recuperato" sette pergamene autentiche, ma nessuna era quella che cercava da più di un anno. Il documento per cui si tuffava nella lordura senza alcun ripensamento era antico, di due secoli sicuramente. Ne era alla disperata ricerca perché doveva arrivarci prima di papa Sisto IV e dei suoi sicari.

Sperava inoltre che il Magnifico non rifiutasse un'udienza a uno scomunicato (e ben presto anche eretico) quella settimana...
Dopotutto, Lorenzo non avrebbe potuto voltargli le spalle: la scomunica aveva bussato anche alla sua porta e da allora il Santo Padre non era più ospite gradito in casa sua. Chissà, magari si sarebbe offerto come suo protettore.

Pregò quindi l'Altissimo per la buona riuscita dell'impresa e per la fine di tutte le sue preoccupazioni, che non erano poche in quel momento. Già sentiva numerosi passi rimbombare alle sue spalle, nel lungo condotto. Svoltò a destra e trovò una grata. Ringraziò il cielo e spinse con tutte le sue forze.

La pergamena gli scricchiolava tra le dita. Rischiarando riga per riga al lume flebile di una candela, Cornelio leggeva e rileggeva senza capirci un accidenti di niente.
Stremato dallo sforzo e dalla terribile giornata, posò il documento sul tavolo e strinse i pugni. Un urlo muto. Tutta fatica sprecata e l'indomani avrebbe dovuto ricominciare daccapo.

Un leggero colpo alla porta e l'"avanti" secco dell'uomo. Attimi di incertezza, poi comparì la notevole pancia di Basilio, suo amico fidato: "A che punto siamo, padre?"
L'interpellato scrollò il capo e si buttò sul letto di paglia: "Nessun progresso. Abbiamo di nuovo quella sbagliata. Il posto era sbagliato".
L'altro alzò le spalle: "Suppongo dunque che domani debba entrare in azione anche io. E forse anche dopodomani e il giorno dopo e quello dopo ancora..."
"Basilio, tu sì che sai come tirarmi su di morale!" ribatté Cornelio, desiderando prendere a morsi il cuscino.

Il suo affanno rabbioso cresceva e non ci poteva fare nulla. La pergamena che cercava non si trovava da nessuna parte, in nessuno dei luoghi indicati dal Codice dei Misteri rinvenuto due anni prima nella cripta della basilica inferiore di San Francesco d'Assisi. Da allora Cornelio aveva risalito la Penisola per recuperare i vari indizi con un'urgenza spasmodica di rinvenire il tassello mancante e con la paura di essere zittito da un momento all'altro.

La mente del frate non trovava pace. Non c'era tempo da perdere, dal momento che era così vicino, dal momento che era braccato. Rimanevano ancora due abbazie da setacciare...

Il giorno dopo avrebbe osservato quella del cavaliere Gianfigliazzi, grande amico di Lorenzo. L'abbazia di Vallombrosa gli era stata data in commendam da diversi lustri ed era divenuta una specie di fortezza a causa della congiura dei Pazzi. Cornelio non poteva chiedere di meglio né di peggio.

Sicuramente tutti i fili d'erba di Vallombrosa erano controllati dalle sentinelle... Sicuramente un frate francescano scomunicato tra dei benedettini avrebbe sollevato sospetti e portato buone notizie ai suoi inseguitori.

Quella notte non chiuse occhio e pregò nella buona riuscita dell'impresa. Sapeva ormai da tempo che gli uomini alloggiati nella stanza accanto alla sua uscivano e rientravano poco dopo di lui, frequentando le sue stesse locande senza tirar fuori un fiorino. Sapeva chi erano, che volevano e quando sarebbero entrati in azione. Sapeva che non ci sarebbe stato nessun compromesso.

Digrignò i denti e li ingiuriò fino all'alba. Quella era la sua pergamena e non sarebbe mai finita nella biblioteca di Sisto IV.

Il cicalare assordante tra le fronde degli alberi. Il sole a picco sui capelli polverosi e le gocce di sudore che colavano sul collo.
Cornelio avrebbe dato qualsiasi cosa per un sorso d'acqua fresca e invece doveva accontentarsi di masticare rabbiosamente quei chicchi gommosi e aciduli. Lì sputò uno dopo l'altro con grande stizza.

Appena l'ultimo seme ebbe toccato terra, si accorse di essere stato così in sovrappensiero da non aver notato l'avvicinarsi di Basilio. Tornò quindi a mostrare un'espressione serena, portandosi un altro chicco asprigno alla bocca.

Basilio lo raggiunse ansimando: "Disgraziato di un frate! Mi avete fatto girare a vuoto per tutta la giornata e, quando alla fine vi becco, mi siete qui a spiluccare una melagrana! Questa me la segno! Oh, se me la segno!"

Cornelio gli sorrise, placido: "E che altro hai fatto, oltre a correre? Ce l'hai dell'acqua?"
A quell'impertinenza, Basilio divenne viola e andò in apnea, non sapendo bene con quale titolo degradante investire l'uomo che aveva di fronte.
"E allora, ne hai?" domandò nuovamente il frate sfrontato.

L'amico sospirò e si accasciò per terra, guardandolo in cagnesco. La mano massiccia scostò con un movimento rude un lembo della giacca senza maniche e porse all'assetato una borraccia colma a metà. Cornelio non ci pensò due volte e se la portò alle labbra. Sputò immediatamente.
"Ma è bollente!"
Basilio sorrise: "Che vi aspettavate, padre?"

Erano di nuovo pari.

Con un'espressione contrariata solo a metà, Cornelio si distese all'ombra di un olivo a osservare il cielo limpido.
"Vi pare questo il momento di rilassarvi?!"
"Anche tu dovresti: a quest'ora nemmeno le formiche si muovono... Tieni" e gli porse l'altra metà del frutto che aveva in mano.

Basilio prese e cominciò ad attaccare i semi: "Uno schifo". Il frate annuì.

Inclinando il capo, l'altro si fece coraggio: "Non è andata bene nemmeno stavolta".
"Che dici? Indovina da dove viene la roba che stai mangiando!" sbottò Cornelio, alzandosi sui gomiti.
"Da dove?"
"Dal melograno dell'abbazia del nostro caro cavaliere..."

"Non ci posso credere... Come...?" Basilio faceva talmente tanta fatica a figurarsi Cornelio camminare indisturbato per i vigneti dell'abbazia che non riusciva neppure a parlare.

"Sai che è da giorni che passo la zona, no?" cominciò il frate, "Passa e ripassa, non vedo che dei mattoni del muretto sono smossi? Mi dico allora: 'Vecchio mio, l'entrata è guardata a vista e non vale tentare, ma qui?'. E ora puoi immaginarti cosa ho fatto". L'improvvisato narratore batté a terra il pugno, soddisfatto.
L'ascoltatore volle però accertarsi di un particolare: "Il posto non è sorvegliato là?"
"Poco e male. C'è solo una sentinella che ha la bocca sempre piena. Non sai che darei per quel vinello che si scola... Ad ogni modo, ho iniziato a scavare un po' sotto alla base del muretto e vedo delle radici..."
"Quelle del melograno".
"Esatto! Insomma, scava e scava, creo un piccolo passaggio che mi consente di andare dall'altra parte del muro e di prendere un frutto..."
"Da far rivoltare il Creatore."
"Appunto".
"E...?"

Cornelio alzò un sopracciglio: "E? Che altro vuoi sapere, scansafatiche?"
"Se siete riuscito o siete stato sorpreso".
"Ovvio che ce l'ho fatta!"
"Diavolo d'un frate".

"Tu, piuttosto, hai recapitato la lettera?"
"Credete che abbia corso per niente tutta la giornata?" s'indignò Basilio. "Non sono mica scemo io, eh! Poi, come mi avete detto, sono andato da Nando".
"Meglio che lo andiamo a salutare, che dici?"
"Dico che è ora di pranzo e che Marta ha già messo ad arrostire due polli".
"Tu sì che sei da sposare, Basilio!" Cornelio gli batté una mano sulla spalla, guardandosi attentamente attorno. Nessun'anima in vista. Controllò per altre tre volte e, quando fu sicuro di non avere occhi indiscreti alle sue spalle, mise un braccio sotto alla tunica e tirò fuori una pergamena impregnata di sudore.

"Che sia la volta buona?"
"Sì, Basilio".

"E come fate a dirlo?"
"La vedi questa nella ceralacca? È una tau e i benedettini non ne fanno uso. Abbiamo l'originale!"
Senza aspettare oltre, ruppe il sigillo e srotolò il documento. Lesse tutto d'un fiato quanto vi trovò scritto in latino sotto le laudes creaturarum.

"Che significa?" lo interruppe Basilio, la cui conoscenza della lingua si limitava alle preghiere.
"Sono dei commenti che un amanuense ha lasciato sotto. Parte da Adamo ed Eva, va alla Proserpina con la sua melagrana e il numero 6 continua a presentarsi..."

"Ci capite qualcosa?"

"Qualcosa, ma prima di dirti cosa ne penso, voglio addentare un bel cosciotto di pollo".

"Ma va', è impossibile, ve lo dico io" sghignazzava irrequieto Nando, con il pollo ormai freddo sul piatto. Non ne aveva preso un boccone da quando Cornelio aveva iniziato a spiegare cosa aveva trovato nella pergamena. Come Marta del resto, che se ne stava in piedi con la brocca di vino vuota tra le mani. Come Basilio, a cui erano venuti i brividi fin dall'inizio.
"Eppure, se ci pensi, fila tutto, no?" Cornelio aveva quella strana luce negli occhi che indicava guai in arrivo. "Per il nostro commentatore il bene e il male non esistono e la prova più lampante starebbe nel peccato originale, nel frutto simbolo del male, la mela. E se quel frutto non fosse stato una mela, ma una melagrana? E qui entrano i sei chicchi mangiati da Proserpina che la costringono a vivere nel regno dei morti per due stagioni. Segue l'esempio dei seicento chicchi, uguali alle prescrizioni ebraiche per accedere al regno dei cieli..."

"E il bene e il male dove stanno?" Nando aveva preso a grattarsi la barba.
"Da nessuna parte. Il frutto è uno strumento per avvicinarsi più velocemente a Dio, all'aldilà. Eppure nella Bibbia è visto come un affronto e l'uomo è scacciato dal paradiso terrestre, allontanato dal Padre Eterno".
"Perché non l'ha fatto per avvicinarsi a Dio, ma per sfidarlo, disobbedendo" precisò Marta.
"Quel frutto è stato messo apposta perché accadesse, avanti!" sbottò Cornelio.
"Cosa dite?" inorridì la donna, che mai se lo sarebbe aspettata.

"E che cambia allora tra una melagrana e una mela?" tagliò corto Basilio.

"La mela non ha tutti quei semi".

Non se ne andava fuori. Cornelio era convinto che in quella pergamena ci fosse una rivelazione d'importanza universale, altrimenti il Codice sarebbe risultato fasullo e il papa non l'avrebbe cercata con così tanta premura. E quel numero sei, il numero che, se ripetuto tre volte simboleggiava l'Anticristo, continuava a essere menzionato in ciascuno degli esempi che l'amanuense riportava.
Un frutto dunque, ragionò l'uomo, che racchiudeva in sé il bene e il male...

Si ricordò del melograno dell'abbazia e della lotta in corso per il governo di Firenze. Chiesa, soldi, potere... tutti in un'unica città e il melograno che continuava a crescere senza cure, offrendo frutti quasi immangiabili. Sorrise: "Sapete che vi dico? Questo mondo non può che essere sanguinolento".

Gli altri mostrarono un'espressione stupita.
"Pensavo alla guerra in corso," spiegò, "alla morte che mi attende se non trovo protezione, al melograno e ai suoi frutti rossi che ricordano il sangue... Qui ognuno fa i suoi comodi e lascia come trova ai figli, se non fa di peggio. E quel melograno rimane qualcosa di ultraterreno su questa terra senza verità. Pure io mi sto occupando più di me stesso che di voi, anime travagliate. Sfuggo al mio dovere e, ironia della sorte, alla Chiesa. Voi però state qui e ascoltate le stramberie di un povero frate..."

Nando sospirò: "E alla fine, chi mette le cose a posto?"
"Direi che tocca sempre a me, eh?" Marta voleva far notare agli uomini che un piccolo aiuto nello sparecchiare era alquanto gradito.
"Suvvia, Marta..." fece in tempo a risponderle il marito.
Un deciso colpo secco alla porta. L'aria si ghiacciò all'istante. La coppia non attendeva visite e Cornelio si era fatto cinereo. Temettero l'inevitabile.

Un striscia di carta fu fatta passare sotto alla porta: "La gazza ladra verrà messa in gabbia tra due ore". I tre guardarono il frate, spaventati. Cornelio alzò le spalle e sorrise sollevato: "Pare che la risposta alla mia lettera sia arrivata prima del previsto e che le mie preghiere siano state ascoltate".



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