Mr. Jackson amava la musica.
Non poteva farne a meno.
   «Vado nello studio, Heather».
Questa frase, rivolta alla sua domestica, era il segnale: nessuno doveva per alcuna ragione avvicinarsi al pianerottolo del secondo piano.
Il campanello non doveva suonare e, se lo faceva, Heather Hills non era autorizzata ad aprire.
Nei momenti in cui si ritirava nella stanza, Mr. Jackson non esisteva.
   Fu così anche quel giorno. Mr. Jackson salì le scale, caricandosi dietro una pesante sacca sportiva.
Si affacciò al pianerottolo e pronunciò la solita frase.
Poi, rapidamente, scivolò all'interno della porta più piccola tra quelle che si affacciavano sul pianerottolo.
Respirare l'aria della sua stanza era sempre un piacere.
   La stanza di Mr. Jackson era uno di quegli studi angusti e polverosi, ingombri di fogliacci, arredati all'antica.
Era quadrata, con la porta su uno dei lati più lunghi.
Sulla parete destra, sotto una piccola finestra dalla cornice bianca, una scrivania sorreggeva il peso di centinaia di spartiti musicali, insieme a giganteschi tomoni in pelle e varie penne stilografiche.
Un enorme tappeto rosso a ricami dorati, a contrasto con le pareti verdi e oro, ricopriva la maggior parte della stanza, rendendo difficile muovere avanti e indietro la gigantesca sedia in pelle da scrivania.
Il pavimento era quasi invisibile sotto strati di fogliacci, polvere e fili del tappeto.
Sul lato opposto alla porta si apriva un'enorme porta-finestra rivolta su una piccola terrazza, affacciata sul mare.
   Subito Mr. Jackson corse alla porta finestra e tirò le tende dorate, facendo scivolare la stanza nella luce artificiale del lampadario di cristallo.
   Si voltò con le spalle alla scrivania, la pesante borsa caricata sulle spalle.
Davanti a lui, una piccola libreria a muro, due o tre quadri e il suo prezioso violino, adagiato sul sostegno.
   Che emozione! pensò l'uomo, avvicinandosi alla libreria sto per comporre!
Ma non afferrò violino, come molti di voi potrebbero pensare.
   Superò il sostegno in ferro dello strumento e si avvicinò alla libreria.
La cornice della libreria, nei suoi elaborati ghirigori e cornucopie in stile ellenico, nascondeva due maniglie.
   Mr. Jackson afferrò le maniglie e tirò con forza, finché la libreria non cominciò ad emergere dal muro.
Quando fu completamente fuori, la spinse di lato, quanto bastava per far passare lui e la sacca dentro al varco nel muro.
   Entrò nel varco, buio e umido, ritrovandosi in una piccola stanza, immersa nell'oscurità.
Sopra di lui, una catenella in ferro tintinnava silenziosa.
   Mr. Jackson tirò la catenella, accendendo l'unica lampadina presente in tutta la stanza.
Una fredda luce bianca illuminò la piccola sala.
   Sia il pavimento che le pareti erano bianche, piastrellate con piccole mattonelle, simili a quelle usate nei bagni.
Al centro della sala, sotto la lampadina, c'era un lettino da sala operatoria, di quelli vecchi, dotati di cinghie in cuoio per i polsi e per le caviglie.
Sulla parete di fondo, una credenza in legno scuro e un lavandino di ferro erano addossati alla parete.
   Mr. Jackson trascinò la sacca verso il tavolo. La aprì e ne estrasse il contenuto, adagiando sul tavolo un bambino sui cinque anni.
Nel silenzio della sala, Mr. Jackson poteva sentire il suo cuore battere.
   Legò i polsi e le caviglie del bambino al tavolo, aspettando che il bimbo si svegliasse.
Quando il bambino fu sveglio, Mr. Jackson era pronto per l'operazione: bisturi, guanti in lattice e camice bianco.
   «Ciao Isaac» sussurrò Mr. Jackson «io sono il Dottor Jackson. Ho bisogno del tuo aiuto per comporre»
Isaac non riusciva a trovare il coraggio nemmeno per respirare.
  «Il mio nuovo brano parla di dolore e amarezza, Isaac, tanto dolore» disse il dottore, sollevando il bisturi sopra la testa del bambino «Perché non mi fai sentire un po' del tuo dolore?»