Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Prova 1 (@Tillyna)

Tillyna lovevoice16 ga3rus8o

Ambientazione: Gita

Genere: Horror

Cover: in alto.

Parole: 2343

Don't die.

Era una piovosa giornata estiva, quando mio padre arrivò a casa, da lavoro, con una notizia, che avrebbe cambiato il mio modo di pensare. Quell'estate fu alquanto traumatica, per me e Kim, la mia sorellina.
A quel tempo avevo all'incirca 16 anni: l'età di mio figlio. Eravamo la classica famiglia americana perfetta: due genitori con lavori importanti, Kim, era studentessa modello all'ultimo anno del college, mentre io giocavo nella squadra di basket della mia scuola.

"Allora ragazzi, vi andrebbe di fare un viaggio?" domandò mio padre a cena. "Vostra madre ed io ne abbiamo già parlato, e abbiamo organizzato una settimana in Sud-America."

A quelle parole, Kim ed io esultammo. Era da anni che desideravamo visitare - se non interamente, almeno in parte - la Foresta Amazzonica. Entrambi eravamo patiti di biologia e animali. Dato che Kim è sempre stata quella viziata nella nostra famiglia, e ogni anno voleva un cucciolo nuovo, si è venuto a creare un viavai di animali; ma un giorno mio padre mise la parola fine a tutto questo, fino a quella sera.

Una settimana dopo eravamo in aereo. Washington dista da Belém, in Brasile circa ottomila chilometri, e ci volle quasi un giorno per arrivare in hotel e riposarci.

"Max!" mi richiamò mio padre, quando stavo per entrare nella mia stanza.

"Sì, papà?"

"Hai studiato bene il programma? Sai che non ci devono essere incidenti durante il percorso di domani, e dei prossimi tre giorni! E con incidenti intendo anche litigi con tua sorella."

"Sì, non preoccuparti." cercai di tranquillizzarlo, ma sembrò impossibile.
Da quando avevamo messo piede in Brasile, diventò agitato tutt'ad un tratto, e non smise di esserlo per tutta la vacanza - se ciò che stava per succedere poteva comunque essere chiamato 'vacanza'.

Me ne andai a letto, sperando nell'aiuto di mia madre nel calmarlo: lei era una psicologa. Molte volte usava il suo lavoro per capire cosa ci stesse succedendo in un momento critico, facendosi così i cavoli nostri, e infastidendoci, perciò si creavano sempre litigi. Si sa, quando un adolescente ha un problema e non te ne vuole parlare, l'unica cosa da fare è lasciarlo in pace. Altre volte, quando ne parlavamo con lei, ci era veramente d'aiuto.

L'indomani alle ore 6 di mattina, eravamo già fuori dall'hotel, con zaini in spalla, sacchi a pelo, e tende. Camminammo per molto tempo nella foresta, finché Kim non si fermò all'improvviso, lasciando cadere a terra tutto quello che portava.

"Che c-c-che cos'è?" balbettò, guardando verso l'alto, su un albero. Alzammo tutti gli occhi al cielo per vedere cosa ci fosse. Il tronco era ricoperto da strisce di sangue, e ai suoi piedi ce n'era una grande pozza. Tra i rami intravidi delle zampe, ma non ebbi il coraggio di pronunciar parola. Osservai con interesse, e paura allo stesso tempo l'animale: era una povera gazzella squarciata, che giaceva lì da due giorni al massimo, di cui gli avvoltoi se ne nutrivano proprio in quel momento.

I miei genitori, vedendomi interessato, si avvicinarono, e mia madre lanciò un urlo, facendo volar via gran parte degli uccelli in quella zona.

"Andiamo via, Sam." si lamentó poi con mio padre.

"No, Liz, questa è una vacanza per i ragazzi, non possiamo già abbandonare il primo giorno." Saremmo dovuti rimanere nella foresta tre giorni, tornare all'hotel, visitare la città e tornare a casa. Ma nel programma ci fu un inconveniente che nemmeno mio padre aveva previsto.

Quale, vi chiedereste voi... Beh, non lo seppi nemmeno io fino al terzo giorno. Era il momento di tornare a casa, ovviamente Kim ed io non ne eravamo molto entusiasti, mentre i miei genitori lo erano eccome. Purtroppo, nonostante avessimo una mappa molto dettagliata, ci perdemmo nella Foresta Amazzonica.

Cosa si fa quando ci si perde in un posto del genere?
PANICO.
Era la fine.

"Mamma, papà, qui ci siamo già stati. Stiamo girando in tondo?!" gridò Kim dopo circa tre ore di camminata. Ci ritrovavamo sempre nella stessa radura, con i soliti sei alberi intorno a noi, nonostante facessimo un percorso dritto.

Il cielo si era scurito velocemente, facendo posto alla luce fioca della luna, che passava tra i rami e le foglie di quegli alberi giganti. Decidemmo di accamparci lì, in quella radura che aveva un non so che di terrificante.
Quella notte non dormii neanche per un secondo, ripensando al fatto che ci eravamo persi, che capitavamo sempre in quel posto, qualsiasi direzione prendessimo, e che avevamo finito le scorte di cibo, persino i marshmallow.

Il mattino mi risvegliai di soprassalto a causa di un urlo. Non mi accorsi nemmeno di essermi addormentato. Di scatto mi alzai e andai nella tenda di  mia sorella, che si era appena svegliata, nel mio stesso modo.
"Kim, tutto bene?"

"L'hai sentito anche tu?" domandò preoccupata, facendomi pensare immediatamente a nostra madre.

Senza dare una risposta, mi allontanai velocemente, correndo nella tenda dei miei genitori. Non ebbi nemmeno il tempo di capire la situazione che, mi buttai sul giaguaro che stava strappando, letteralmente, la carne dalla gamba di mio padre. L'animale cominciò a mordermi il fianco e il braccio sinistro, mentre osservavo mio padre privo di vita. Presi un respiro profondo, e cercai di farmi forza per scappare, ma in quel momento, l'unico mio pensiero era che non ce l'avrei mai fatta. Non sarei uscito da quella foresta, né vivo né morto. La vista iniziò ad offuscarsi, e prima di svenire sentii un colpo ovattato, e vidi la sagoma di mia madre con qualcosa di lungo un mano, in seguito realizzai che si trattava del fucile di mio padre.

Mi risvegliai con un po d'acqua sul volto, sulla riva di un fiume.

"Max!" gridarono sollevate Kim e mia madre, tanto che cominciai ad avere un fortissimo mal di testa, che mi costrinse a chiudere gli occhi. Sembrava un trapano. Non riuscivo a pensare. Poi, iniziai a sentire un bruciore su tutta la parte sinistra del mio corpo, e cercai di focalizzare i ricordi più recenti, come dov'eravamo e che ci facevamo lì. Piano piano, ricordai. La foresta amazzonica, tre giorni, ci siamo persi, il giaguaro...

"Papà!" esclamai a quel punto. I volti delle donne della mia famiglia s'incupirono, e a mia madre scese una lacrima furtiva.

No.
Non poteva essere.
Non saremmo mai dovuti venire qui senza una guida.
I nostri genitori avevano piena fiducia in noi. Mio padre aveva fiducia in me. Gli avevo detto di non preoccuparsi, e invece... C'era da preoccuparsi eccome!

Dicevano che data l'alta conoscenza di piante e animali, Kim ed io potevamo essere le giuste guide, senza dover pagare niente.
E invece abbiamo pagato, papà... Tu hai pagato con la tua stessa vita.

"Max, ce la fai ad alzarti?" Negai con la testa.

"Devi, gli animali ci stanno seguendo. Aspettano solo che.." le si spense la voce. Sapevo cosa stava per dire, ma non pensavo che le mie condizioni fossero così gravi.

"Lascialo stare, tesoro. Adesso dobbiamo bendarlo. Riempimi due bottiglie con dell'acqua, e attenta a non alzare la ghiaia sotto, per non renderla più sporca di quanto non lo sia già." In quel momento era tornata la mamma che conoscevo: autoritaria, ma comunque dolce.

Sentii dei passi allontanarsi, e riaprii gli occhi, giusto per vedere come stavo messo. Avevo tutti i vestiti strappati, e la carne lacerata. Mia madre pose delicatamente un pezzo di ovatta imbevuta di alcool, sui bordi delle ferite. Avevo perso molto sangue, ma almeno gli organi interni erano interi.

Sussultai per il bruciore e mia madre tolse l'ovatta chiedendomi scusa.
"Tranquilla, è solo un graffio" cercai di dire, ma mi fermai a metà della prima parola, cominciando a piangere.

Mamma mi abbracciò, facendo attenzione, e dicendomi parole dolci. Due minuti dopo arrivò Kim, che si uní all'abbraccio, senza nemmeno sapere il motivo. O forse sì?

"Cosa ne avete fatto di papà?" osai chiedere.

"Gli abbiamo fatto una tomba.." rispose mia madre, riprendendo a disinfettare le mie ferite.

Mi alzai leggermente, cercando perlomeno di stare seduto, ma ci riuscii per pochi secondi, giusto per guardare il fiume.

Il fiume... come ci erano arrivate fin qui? Come avevano fatto ad uscire dalla radura? Glielo chiesi.

"Ci abbiamo pensato molto a come fare, ma poi mi è venuto in mente il fatto che noi andavamo sempre dritti, prendendo una direzione a caso." Guardai stranito Kim. "Ora ti spiego. Sapevo di aver già visto alberi simili a quelli della radura, ma non ricordavo dove. Poi mi è venuto in mente un video che mi aveva mostrato una mia amica, in cui c'era uno strano che ballava, in mezzo a una radura identica a quella, esattamente con sei alberi intorno."

"Quindi ti sei messa a ballare?" chiesi sorridendo.

"Si." disse, scoppiando in una fragorosa risata. "Dopo il ballo, fatto a occhi chiusi, ho visto un raggio di sole in mezzo a due alberi, che prima non avevo notato. Abbiamo preso il giusto necessario e ce ne siamo andate... Sei pesante, cazzo!"

Dopo l'ultima frase scoppiai a ridere, ma solo per pochi secondi, perché in seguito cominciai a tossire.

"Non farlo sforzare. E soprattutto non dire parolacce!"

"Scusa mamma." rispose Kim, sorridendo sotto i baffi.

Mi sembrava quai inverosimile che nonostante fossimo in una condizione simile - dispersi da qualche parte in Brasile, nella foresta Amazzonica, e con un lutto più che recente - stessimo lì  a ridere su come abbiamo fatto a sopravvivere. E tutto questo, in quel momento, mi sembrava così naturale e normale. Mi chiesi, se per caso, quel giaguaro si fosse portato via il mio cuore, perché all'improvviso mi sentivo insensibile nei confronti di mio padre.

"AH!" gridai quando cominciò a bendarmi.

"Kim, cosa intendevi prima con 'gli animali ci seguono' ?" domandò mia madre.

"Che sentono l'odore del sangue, che li conduce fino a noi."

"Dobbiamo andarcene." disse assoluta. Concordammo con lei in silenzio. "Avete fame?"

Mezz'ora dopo, mi ritrovai intento ad accendere un fuoco, mentre loro pescavano. Ritornarono con due pesci da cinque centimetri ognuno, e mangiammo quelli.

"Secondo me, per uscire da qui, dobbiamo seguire la corrente del fiume. Magari ci riporta a Belém, tu che dici?" mi chiese Kim.

"Dico che è un'ottima idea. Menomale che qui è pieno di fiumi!"

"Appunto perché è pieno di fiumi, non sappiamo dove ci troviamo." disse mia madre, che mi spiazzò.

"Qualunque esso sia, affluisce nel Rio delle Amazzoni." rispose tranquilla Kim.
Giusto. Il fiume più grande del mondo.

Camminammo per l'intera giornata lungo il fiume, finché, in tarda serata, non trovammo il Rio. Sembrava il mare.. Non si vedeva l'altra costa se non qualche albero. Uno spettacolo da mozzare il fiato. Guardai in direzione della corrente, e vidi degli occhi in mezzo agli alberi, che mi fecero gelare il sangue.

Cercai di avvicinarmi, ma essi sparirono. All'improvviso due uomini saltarono fuori dall'acqua, e altri tre da dietro i tronchi, armati di lance, arco e frecce.

"Indigeni!" urlò mia sorella, che fu subito legata, seguita da mia madre. Notarono la mia situazione e mi presero per il braccio buono, conducendoci in mezzo alla foresta, allontanandoci dal fiume, la nostra unica salvezza.

"Che fate? Dove ci portate?" chiese mia madre in spagnolo, ma loro erano indigeni, non avrebbero capito.

Ci ritrovammo in un piccolo spazio aperto, senza alberi a coprire il cielo, con alcune donne, e qualche bambino. Il motivo per cui fossimo li, non lo conoscevamo, ma immaginavamo ci volessero aiutare, e invece...

Ci chiusero in una gabbietta in legno, togliendoci i nostri zaini. Per fortuna sia Kim che mia madre portavano un coltellino tascabile, quindi cominciarono a tagliare da dietro, mentre io facevo il palo.

Arrivata la notte, cominciammo a sentire fame, crearono un falò, e vennero verso di noi.

"Ferme. Mettete via tutto, forse ci fanno magiare." dissi. Diedero a me i coltellini, che nascosi nei pantaloni. Gli indigeni, intanto aprirono la gabbietta, puntando il dito su Kim. Ci terrorizzammo, quando lei fece no con la testa e loro la presero di forza. Mia madre si intromise: "Prendete me! Lasciatela stare!"

"Come vuoi, donna." disse uno di loro, lasciandomi a bocca aperta. Presero nostra madre, richiusero la gabbietta, e ci lasciarono lì. Cominciammo a gridare e ad agitarci, perciò quello che prima parlò, si avvicinò.

"Se continuate, mangeremo anche voi stasera."

Da allora, niente. Rimasi immobile mentre Kim singhiozzava sulla mia spalla. Non avevo forze, guardando ciò che succedeva alla mia mamma. Non aveva fatto del male a nessuno. Non si meritava tutto ciò.. Le sue urla, poi facevano ancora più male delle immagini. Presi quindi una decisione.

Feci scostare Kim da me, e osservai il lavoro che prima avevano fatto. Bastava una botta e saremmo usciti da quella cosa, ma la botta in questione avrebbe fatto rumore, quindi decisi di aspettare.

Più tardi, si addormentarono tutti, anche Kim, che fino a poche ore prima mi sussurrava nell'orecchio che non saremmo sopravvissuti.
Era ora.
Mi posi l'obiettivo, al contrario di mia sorella, di sopravvivere, di non morire.

Diedi piccole botte al mezzo quadrato che avevano creato, per non fare troppo rumore. Poi cedette. Svegliai Kim e uscimmo da lì, correndo il più velocemente possibile, nella direzione da cui credevo fossimo venuti. E infatti fu così. Arrivammo al grandissimo fiume, e da allora continuammo, camminando in direzione della corrente.

Ci fermammo svariate volte, per mangiare e per rimettermi a posto le bende, ma mai per dormire. Al tramonto del giorno dopo, uscimmo definitivamente dalla foresta, e potevamo dire ufficialmente di essere salvi. Riuscimmo a spiegare tutto alle autorità del posto, che ci aiutarono a prendere i documenti lasciati in hotel, e a tornare a casa.

Dopo la disavventura avuta e i lutti dei nostri genitori, lo zio Jim si prese cura di noi. Purtroppo, mia sorella subì un grave trauma, dopo due anni interi tra psichiatrici e psicologi, mio zio decise di mandarla in manicomio, e tre mesi dopo morì, suicidandosi.

A me, fortunatamente, mi sono rimaste solo le cicatrici - come segno indelebile della perdita della mia famiglia. Mi feci una vita e una carriera. Oggi sono un famoso biologo internazionale, e ho tre figli: Samuel, Elizabeth, e Kim, in memoria dei miei familiari.

***
Spero vi piaccia
Love you
💋

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro