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3°.Seconda prova - Pathos

Say I love you - 1.342  

"Come hai potuto farti rapire senza avvertirci?!"

Era da più di mezz'ora che Gadlar continuava ad inveirle contro, urlando così forte da rendersi il viso rosso come una rapa in ebollizione, e la sua voce si stava alzando sempre di più.
Margot però capiva il suo atteggiamento.
Fino a poche ore prima, infatti, era ancora rinchiusa nella celletta sul carro del suo corpulento e grinzoso rapitore dagli atteggiamenti discutibili. Non che le avesse fatto del male ma lo spavento, più per i suoi amici, era stato quasi fatale.

E Gadlar, uomo sulla trentina dalla coda nera piena di aculei velenosi, non smetteva di ripeterglielo.

Gli altri invece sembravano divertiti dalla cosa: Namdir era steso a pancia sotto sul pavimento della casa e, rumorosamente, stava sgranocchiando noccioline insieme al gemello, Dolte. A gambe incrociate su un cuscino giallo a fiori viola, che avrebbe scommesso essere di Namdir, c'era Lucia con un sorriso sprezzante in volto, sicuramente divertita dalla scena.

L'unico che ancora la guardava con preoccupazione era Enea, l'amico più caro che aveva e protagonista della storia in cui era stata risucchiata, che si grattava distrattamente le orecchie arricciate all'indietro e si mordeva le labbra fini con le zanne superiori.

"E mentre ero a pomiciare liberamente con quel tavolo mi sono chiesto, Margot, perché non sapeva di pino."

"Mhmh..."

"Margot ripeti cosa ho detto"

"Cosa c'è da ripetere?" ribatté con voce esasperata Margot " Eri a pomiciare con un tavol- Oh" e si accorse di aver confermato a Gadlar di non aver ascoltato niente di quello che le aveva detto.

L'uomo si sedette sfinito sulla sedia di legno alle sue spalle, guardandola con uno sguardo rassegnato che la fece sentire in colpa, e mormorò con voce spezzata "Eravamo preoccupati."

Il silenzio che seguì le parole dell'uomo dai capelli neri fu spezzato dalla voce dolce e rammaricata di Margot.

"Dovevo" iniziò inginocchiandosi ai piedi di questo "Dovevo fare più attenzione. Scusami, maestro." e dopo averlo chiamato con l'appellativo che era solita usare gli abbracciò stretta una gamba.

Una mano callosa, percorsa da cicatrici in rilievo, le accarezzò il capo lentamente "Non è stata colpa tua, ho esagerato."

Dopo averle regalato un'altra lieve carezza, il maestro si alzò lentamente e schiarendosi la voce disse a tutti che, stanco com'era, se ne andava nella sua stanza.

Margot però sapeva che non era tutto finito. Infatti lo sguardo dorato di Enea percorreva ogni centimetro della sua figura in modo morboso, come a voler essere certo che fosse realmente lì, e le faceva capire che il momento delle scuse stava per ricominciare. Camminò verso di lui e superandolo gli fece segno di seguirla fuori.

Le stelle quella notte erano coperte da nuvoloni scuri e preannunciatori di tempesta e il bosco era illuminato solo dalla luce proveniente dalla casa alle sue spalle.

"Scusa se ti ho fatto preoccupare." Iniziò senza voltarsi a guardarlo ma sentendo la sua presenza alle spalle.

Silenzio.

"So che non dovevo avventurarmi così all'interno del bosco ma non credevo sarebbe accaduta una cosa simile."

Silenzio.

"Dio, Enea, scusami!" e pronunciando – urlando – quelle parole si voltò.

Enea Rocard si trovava proprio di fronte a lei, così vicino da farle quasi toccare col naso il suo mento, e con uno scatto la strinse in un abbraccio.

Tremava, si accorse Margot, ed era più freddo del solito. Col palmo squamoso le accarezzava la schiena e con il braccio coperto dal maglione di lana la stringeva sempre più forte.

"Non farlo mai più" fu il sussurro che le arrivò roco mentre l'amico le solleticava il viso coi suoi lunghi capelli rossi.

E stringendolo a sua volta risponse con un piccolo "Lo giuro" alla richiesta fatta.

Rimasero così per un altro po', non volevano staccarsi troppo presto, ma quando lo fecero lui le diede un caldo bacio sulla fronte.

"Cosa devo fare con te, Maggie?" rise lui.

Margot cercando di non spezzare la calma ritrovata cercò di stare al gioco.

"Beh credo non molto. Ai guai sto simpatica." rispose con un'alzata di spalle.

E lui rise ancora, annuendo a quella verità provata più volte, fermando il tremore che fino a quel momento lo aveva scosso.

"Hai deciso di farti rapire proprio il giorno della torta." Disse ghignando Enea.

Un'espressione allucinata fece capolino sul volto della ragazza "Non dirmelo..." disse con voce tremante.

Lui sorrise.

"Enea Rocard! Come hai potuto mangiarti la mia fetta di torta! Il giorno del mio rapimento, poi." lo spinse leggermente sul petto.

"Sai che gli zuccheri mi aiutano a pensare" canticchiò ridacchiando lui.

E continuando a guardarlo male Margot si avviò verso la casa che negli ultimi mesi di stranezze l'aveva ospitata.

"Non fare così Maggie" le stava dicendo Enea mentre le veniva dietro.

"Oggi te ne cucino un'altra."

E mentre lei si accingeva a sedersi accanto ai gemelli il rumore di una finestra frantumata interruppe il gioioso momento.

Una freccia rossa e lunga aveva colpito la gamba di Lucia.

"Lucia!"

Un rumore di passi e di urla allarmò il gruppo che, come un unico corpo, iniziò a muoversi per mettersi vicini, spalle contro spalle. Lucia rantolava e gemeva per il dolore all'arto anche se, aveva notato, Dolte stava cercando di assorbirne il più possibile. La mano calda di Enea presse la sua che, sudata e fredda, era percorsa da tremori.

"C'è qualcuno in casa?" chiese una voce sarcastica da fuori. Il rumore di stivali che camminavano con passo cadenzato precedette lo sbattere ritmico alla porta. "Vi sento respirare" continuò con lo stesso tono l'uomo – perché la voce era senza dubbio maschile – mentre smetteva di bussare "Anche se non lo farete per molto, temo."

La porta venne bruscamente scardinata con un calcio dall'uomo dalla voce sarcastica che, si accorse, più che un uomo era un ragazzo. Questo camminava adagio verso di loro, con uno stuolo di uomini muscolosi a seguirlo, mentre incrociava mollemente le braccia con un sorriso sardonico.

"Salve" disse con voce strascicata il ragazzo "E addio."

Con uno schiocco di dita tre uomini dietro di lui, tutti e tre con gli occhi completamente neri e una lingua biforcuta che saettava ogni minuto dalle labbra, scoccarono due frecce ciascuno.

Una sagoma nera si parò loro di fronte e con un movimento della coda deviò ognuna di loro salvandoli, Margot ne era certa, dallo divenire spiedini.

"Fuori da casa mia, Simon."

Simon, ancora sorridente, fischiò e gli altri due uomini che lo seguivano, altrettanto muscolosi degli altri, spalancarono due ali da pipistrello ed una folata li fece cadere inermi a terra.

La stretta di Enea, ancora più forte di prima, iniziò a farle male ma contro ogni buon senso la strinse a sua volta. Sapeva che era spaventato, lo sentiva, e voleva farlo rimanere calmo il più possibile.

"Ci sono io." gli sussurrò Margot all'orecchio mentre, l'intero gruppo, cercava di rialzarsi.

"Andate" fu l'ordine diretto e conciso di Gadlar.

Ed anche se non voleva lasciarlo solo, anche se voleva rimanere ed aiutarlo come poteva, i gemiti di Lucia le fecero accettare che l'uomo avrebbe saputo badare a se stesso.

Corsero tutti e cinque fuori dalla porta sul retro e, finalmente nel bosco, si avviarono velocemente tra le fronde degli alberi.

Un sibilo fece girare Margot su se stessa e, quando lo fece, vide arrivarle contro una lancia.

Era spacciata, non sarebbe riuscita a scansarsi in tempo, e il suo ultimo pensiero andò ad Enea.

Ti voglio bene, sussurrò nella propria mente, prima di chiudere gli occhi e aspettare il dolore.

Un dolore che non arrivò, come non arrivò neppure la fatidica lancia mortale.

Spalancò gli occhi scuri di scatto e, sentendo la vista sbiadirle, vide il corpo di Enea farle da scudo e la punta dell'arma fuoriuscirgli dalla schiena.

Il corpo dell'amico si afflosciò su se stesso, lento come una foglia in autunno, e il tonfo che seguì la caduta si unì a quello che Margot sentì nel proprio petto.

Gli voleva bene, ora che aveva il suo cadavere di fronte e sentiva quel freddo pungente torcerle lo stomaco ne era più che certa, ma quando si inginocchiò sull'erba scura e allungò una mano per toccarlo, vedere il suo dolce sorriso di sempre scomparso sia dagli occhi spalancati che dal volto, le fece capire che glielo avrebbe dovuto dire più spesso.

"Ti voglio bene" fu il singhiozzo che l'uomo a pochi metri da loro sentì, prima di scoccare la seconda lancia. 

Emma-Blues
baanshe
ballerinafralestelle

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