CAPITOLO 8.
Mi alzo e vedo che Jacopo è entrato in casa.
«Rebecca dove sei?!», urla appoggiato al mobiletto vicino alla porta.
«Sono qui, Jacopo. Sono qui», rispondo andandogli incontro.
«Credevo che non fossi tornata a casa», dice quasi cadendo.
Mi precipito per afferrarlo e lui bisbiglia un "grazie".
Il suo alito puzza di alcol. Gli guardo gli occhi: sono iniettati di sangue e al posto dell'azzurro di prima c'è un blu scuro.
«Quanto hai bevuto?», domando a bassa voce.
«Tanto, Rebecca. Tanto». Lo dice come se fosse la cosa più normale al mondo.
«Perché l'hai fatto?».
«Come sei arrivata a casa?», mi chiede mentre si siede sul divano.
«Mi ha dato un passaggio Lorenzo. L'ho incontrato lungo la strada».
«Come?! Cosa?! Lorenzo?! Non ti devi neanche avvicinare a lui!», urla alzandosi dal divano.
«Non decidi tu con chi devo stare!», grido ancora più forte.
«Non devi stare con Lorenzo! Hai capito, Rebecca?!». Poi afferra il vaso al centro del tavolo e lo scaraventa sul pavimento.
«Sto con chi voglio, Jacopo! E smettila di buttare a terra tutte le cose che ti capitano fra le mani!».
Mi guarda. Il suo sguardo è freddo. I suoi occhi privi di emozioni.
Apre la credenza e butta giù tutti i piatti, uno a uno.
Mi ricorda mio padre quando ero bambina. Alle undici di sera tornava a casa ubriaco e se la prendeva con me e mia madre. Rompeva tutto quello che trovava, e toccava a mia madre mettere a posto quel casino.
«Jacopo, fermati!». Gli afferro un braccio, ma lui riesce a divincolarsi.
«Per favore, Jacopo!». Comincio a piangere.
Si gira con un piatto in mano, e d'istinto chiudo gli occhi e mi copro la faccia con le mani.
Sento il piatto rompersi, lancio un urlo.
«Perché ti copri il viso con le mani?» mi chiede. Sembra quasi impaurito.
«Avevo paura che mi colpissi», rispondo tra le lacrime.
I suoi occhi sono tornati azzurri, ma sono ancora iniettati di sangue.
«Io... io non ti avrei mai colpita, Rebecca... mai».
Mi abbraccia, e io rimango ferma.
«Mi dispiace per il casino che ho fatto», dice sottovoce.
«Non importa. Ora vai a riposare. Sei troppo ubriaco».
Sento i passi di Jacopo allontanarsi da me ed entrare in camera.
Osservo i cocci dei piatti per terra e mi metto a pulire.
JACOPO
Che cosa ho fatto?!
Ho sbagliato ancora una volta.
Porca puttana!
All'idea di Lorenzo che sfiora Rebecca con un solo dito rabbrividisco.
Lei è mia. È così. Anche se non lo voglio ammettere, lei è mia. Solo mia.
Nessuno può bearsi di quel sorriso.
E se penso a quegli occhi impauriti che mi guardavano prima, mi sento male.
Io non la volevo colpire. Non l'avrei mai fatto.
Mi tolgo la maglietta e indosso un paio di pantaloncini da tuta.
Sto riprendendo lucidità. Non sono così tanto ubriaco, ora.
Devo scusarmi con Rebecca. Ora.
Apro la porta e vado in cucina.
Sta pulendo il casino che ho fatto.
«Rebecca. Scusami per prima, ma non ero in me. Lo so che è una scusa banale, ma l'immagine di Lorenzo che ti offriva un passaggio o che ti sfiorava con un dito mi fa letteralmente rabbrividire».
Lei si blocca, si alza e si gira verso di me.
«Perché?», chiede senza aggiungere altro.
Cosa le devo dire? Che è mia? Solo mia? Mi prenderà per stupido.
«Perché tu sei mia», dice una voce, e poco dopo capisco che è la mia.
«C-cosa hai d-detto?», balbetta lei.
«Tu sei mia! Sei solo mia!», ripeto quasi urlando e avvicinandomi sempre di più a lei.
«Allora perché mi tratti in questo modo? In questo modo mi stai allontanando da te». Ha un'aria da bambina.
Cazzo, mi fa provare dei sentimenti che non ho mai provato prima.
«Perché io tratto le persone così. Con te però sono diverso, Rebecca». Faccio una lunga pausa prima di continuare: «Tu mi fai sentire un'altra persona. Mi fai provare sentimenti che non ho mai provato».
A quelle parole rimane a bocca aperta e non parla.
«Ti prego di' qualcosa», la supplico.
«Io... io sento le stesse cose. Odio il fatto che piango sempre per colpa tua, ma amo le emozioni che provo quando ti sto accanto. E odio quando cerchi di allontanarmi», risponde guardandomi negli occhi.
«Da oggi in poi, se me lo permetterai, ti terrò vicina», dico sorridendo.
«Ho bisogno di te, Jacopo». E mi bacia.
La tiro più vicina a me, la bacio con più foga.
«Ti voglio. Ora», le sussurro all'orecchio.
«Prendimi», risponde ansimando.
La prendo in braccio e la porto in camera.
La faccio stendere sul letto e comincio a baciarle il collo.
«Se inizi a baciarmi il collo, togliti i vestiti», mi dice a occhi chiusi.
«E quindi sarebbero i baci sul collo il tuo punto debole...».
«Sì, Jacopo».
REBECCA
Jacopo continua a baciarmi il collo lasciando qualche succhiotto.
Quando arriva al mio orecchio, mi morde il lobo e mi lascio scappare un gemito.
Lui ride nell'incavo del mio collo.
Dio, che cosa stupenda è la sua risata.
«Jacopo, per favore», quasi lo supplico.
«"Jacopo per favore" cosa?», chiede mentre mi toglie il maglione.
Si ferma a osservarmi e sorride.
«Prendimi ora», gli dico.
«Eh no, Rebecca. Considerala una punizione per quello che hai fatto con Lorenzo». Mi guarda con un ghigno in faccia.
Comincia a baciarmi la pancia e intanto mi toglie il reggiseno e lo butta giù dal letto.
Prende in bocca il mio seno sinistro e con le dita stuzzica il seno destro.
Una serie di gemiti scappano dalla mia bocca.
Tiro leggermente i capelli di Jacopo e lo sento gemere.
«Ho trovato il tuo punto debole, Jacopo», dico ansimando.
«Sì, Rebecca», ribatte togliendomi i pantaloni.
Lui non indossa la maglia e mi posso beare dei suoi addominali.
Mi toglie le mutandine e rimango completamente nuda.
Comincia a baciarmi l'interno coscia e il mio basso ventre prende fuoco.
«Jacopo sto per venire solo con dei baci».
«È questo l'effetto che ti faccio?».
Gli tiro giù i pantaloncini e i boxer.
«Quanto sei impaziente», dice prendendo una bustina argentata dal comodino.
La apre e s'infila il preservativo.
Mi guarda come per chiedere il permesso e io lo bacio come per dire di sì.
Entra dentro di me.
Dio, che cosa bella.
Inizia con delle spinte lente e io gli stringo le gambe al bacino per essere più vicina a lui. Poi le spinte si fanno più forti e gemiamo entrambi.
Veniamo nello stesso momento.
Jacopo mi dà un bacio sulla fronte e si sdraia accanto a me.
JACOPO
«Sei stata bravissima, piccola», le dico accarezzandole la pancia.
Lei si limita a sorridere.
Quel sorriso che mi fa impazzire così tanto.
«Chi è Rachele?», mi chiede di punto in bianco.
«Rachele chi?», rispondo facendo finta di niente.
«La ragazza del tuo tatuaggio».
Si gira, ora siamo faccia a faccia.
«Ah... È una storia lunga».
«Non dirmi che è la tua fidanzata o qualcosa del genere?!», dice mettendosi seduta.
«No, no, tranquilla, piccola». Le cingo la vita con un braccio e la riporto nella stessa posizione di prima.
«E allora chi è?»
«Davvero vuoi saperlo? Questa storia non l'ho mai detta a nessuno».
Lei fa cenno di sì con il capo e io inizio.
«Be'... quando avevo tredici anni, nella mia famiglia c'è stata una tragedia...».
«Jaco, Jaco! Mi fai giocare con il tuo cellulare?», mi chiese Rachele.
«Rachele, non rompere. Gioca con la bambola», risposi seccato.
«Ma io voglio giocare con il tuo cellulare», insistette lei piangendo.
«No, Rachele! Ti ho già detto di no!».
«Jacopo, comportati bene con tua sorella!», mi rimproverò mia madre.
«Io non le do il mio cellulare. Sia chiaro», replicai.
«Mamma! Jacopo è sempre cattivo con me!». Rachele piangeva ancora più di prima.
«Jacopo, dalle il cellulare. Se non glielo dai, te lo strappo dalle mani. Non mi obbligare a farlo», disse mia madre guardando la strada.
«Provaci, allora», la sfidai.
«Jacopo non mi fare arrabbiare! Sto guidando!», urlò isterica mia madre.
«Hai detto che me lo strappavi dalle mani se non glielo davo. Fallo!».
Mia madre cercò di strapparmi il cellulare dalle mani, ma non ci riuscì. E non si accorse che stava sbandando. Nemmeno io e Rachele ce ne accorgemmo, finché un camion non ci venne addosso.
«Mia madre è morta sul colpo. Mia sorella è stata in coma per due settimane e poi è morta. È stata tutta colpa mia. Se avessi dato il cellulare a Rachele, questa disgrazia non sarebbe successa».
Concludo il mio racconto e mi accorgo che Rebecca sta piangendo. Le asciugo le lacrime con il pollice.
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