6
JACOPO'S POV
"Allora, cosa faremo dopo la cena?" Chiede Elizabeth mentre beve un sorso di vino.
Questa sera indossa un vestito di velluto blu, che le arriva a metà coscia e che le aderisce perfettamente al corpo.
"Non c'è molto da fare qui, in realtà." Rispondo un po' deluso.
Ancora non capisco il motivo per cui siamo veuti in questo posto isolato dal mondo, quando potevamo fare un viaggio in Europa, in qualsiasi città a nostro piacimento.
Non replica, ma si limita a mangiare ciò che ha ordinato.
Io, invece, mi guardo intorno con la speranza di vedere di nuovo una chioma castana.
Ma rimango con l'amaro in bocca non vedenedola da nessun'altra parte.
"Volevo stare tranquilla. Mi sono stufata del caos delle grandi città. Per calmarmi vengo sempre in luoghi come questo." Sussurra e per la prima volta mi rendo conto che anche lei ha un lato umano.
"Non ti manca Londra?" Le chiedo per concentrare il discorso su altro.
"A dire la verità, sì."
Guardo i suoi movimenti diventati improvvisamente lenti. Trascina la forchetta sul piatto come se fosse diventata tutta d'un tratto pesante, creando dei cerchi immaginari.
"Cosa ti manca di più?" Continuo.
Nel frattempo, con lo sguardo, continuo a cercare Rebecca.
Mi si blocca il respiro appena pronuncio il suo nome e se penso che ieri sera l'ho avuta a pochi centimetri da me, mi manda fuori di testa.
"La mia vita lì, sostanzialmente, ma soprattutto mia madre." Fa un sorriso triste e mi pento subito di aver approfondito questo discorso.
Per quanto io la consideri una persona meschina, so a mie spese che anche la persona più spregevole al mondo è in grado di provare sentimenti.
"Non voglio entrare nel personale, quindi..." Non mi da il tempo di finire che mi interrompe.
"Credo che mi faccia bene parlare con qualcuno che non sia un autista, un'assistente di volo o il personale di un hotel." Fa una risata malinconica e prende un altro sorso di vino.
È al terzo bicchiere di vino e lo si nota dal rossore delle guance.
"Sempre se a te non dispiace, ovviamente."
"Certo che no." Rispondo continuando a mangiare il mio piatto ormai freddo.
"Ero consapevole che se avessi seguito mio padre nel mondo degli affari avrei dovuto rinunciare a parecchie cose. Potessi tornare indietro non accetterei mai e poi mai quella proposta."
La situazione si fa sempre più interessante.
Per un secondo lascio perdere l'idea di trovare Rebecca e mi concentro sulla bionda davanti a me.
"Per quale assurdo motivo? Fai una bella vita, hai molti soldi, ti puoi permettere tutto ciò che vuoi, dico bene?"
"Oh, andiamo. Non dirmi che fai questo lavoro per puro piacere. Te lo si legge in faccia che vorresti scappare da tutto questo."
Rimango sbalordito davanti alle sue parole, ma le ignoro.
Senza che io le dica una parola lei continua il suo discorso "I soldi non sono la mia felicità. Insomma, sì, mi piace viziarmi in ogni modo possibile, ma non è questa la vita che volevo.
È da quando sono nata che sono stata gettata in questo mondo fatto di gente con la puzza sotto al naso, falsità e avarizia.
Sono stata cresciuta da donne che non erano mia madre, perché il suo passatempo preferito era passare da un centro di disintossicazione all'altro."
Mi si forma un groviglio allo stomaco sentendo ciò che mi sta dicendo.
Mi aspettavo che fosse la solita figlia di papà con una famiglia e una vita modello.
"Io volevo soltanto essere una bambina normale. Me ne fregavo delle numerose ville che mio padre continuava a comprare in tutta Europa e dei vestiti costosi, io volevo soltanto potermi sedere davanti a una cioccolata calda e passare pomeriggi interi insieme alle mie amiche. Purtroppo il fato ha voluto punirmi."
Il suo accento inglese è diventato più marcato e penso che sia per colpa del vino che le sta circolando in corpo.
"Non pensavo che fossimo così simili." Confesso.
"Perchè? Qual è la tua storia, Jacopo?" Scandisce bene il mio nome, tanto che dei brividi mi percorrono la schiena.
"Non ho mai voluto fare questo lavoro e continuo a non volerlo." Rispondo versandomi da bere.
"Non ci vuole molto a capirlo." Fa una piccola risata innocente.
Più la guardo e più non mi capacito di come possa avere il carattere che ha rivelato di avere da quando l'ho conosciuta.
"Sono sempre stato un ragazzo particolare, oserei dire e con l'arrivo del Liceo le cose sono peggiorate notevolmente. Ho iniziato a frequentare giri di persone che era meglio non frequentare, sono iniziati i conflitti tra me e mio padre, cambiavo una ragazza ogni settimana. Insomma, non avevo una vita del tutto stabile, ma non mi dispiaceva tutto sommato."
Per un attimo mi proietto nel passato e un senso di nostalgia inizia ad insinuarsi nella mia testa.
"E poi cos'è successo?" Chiede curiosa.
Mi libero di questo grandissimo peso che mi porto dietro dietro da cinque anni e le racconto bene o male la mia storia con Rebecca, omettendo, ovviamente, la sua identità.
"Il classico clichè." Conclude Elizabeth al posto mio.
Annuisco in silenzio e continuo a guardare la sala che, con il passare delle ore, ha iniziato a svuotarsi.
"Che vogliamo fare?" Chiede lei, abbozzando un sorriso.
Improvvisamente mi viene un lampo di genio.
"Hai detto che non ti sei goduta a pieno la tua adolescenza, no?" Chiedo conferma.
Lei mi guarda stranita, ma annuisce.
Ripenso alla mia prima sbronza all'età di sedici anni e mi convinco che ciò che sto per fare è un ottimo modo per dare una svolta alla serata.
"Andiamo." Mi alzo dalla sedia facendo rumore, ma non mi curo degli sguardi della gente intorno a me.
"Dove vuoi andare?" Chiede senza mostrare nessuna intenzione di muoversi da lì.
"Voglio fare qualcosa di diverso ricordando anche i vecchi tempi."
Corruga la fronte, non capendo, ma mi segue lo stesso.
Paghiamo il conto velocemente e usciamo dal ristorante.
"Dove stiamo andando, Jacopo?" Chiede ridendo.
La prendo per mano per aumentare il passo e, con occhi attenti, cerco uno di quei supermercati aperti ventiquattro ore su ventiquattro.
"Devi sapere che la mia prima sbronza l'ho presa a sedici anni. Mi ricordo tutto perfettamente, anche se sarebbe soltanto una serata da dimenticare.
Era una sera d'estate; eravamo tutti seduti in cerchio sopra la sabbia quando, il più grande della comitiva, ha tirato fuori dal suo zaino due bottiglie di Vodka alla menta. Hanno iniziato a fare un gioco alcolico, ma io non capivo di cosa si trattasse, però l'idea di bere per la prima volta mi entusiasmava." Prendo fiato "Diciamo che la Vodka non mi ha fatto un bell'effetto e il mattino dopo mi sono trovato con un forte mal di testa e una nausea che è durata per giorni."
"Bellissimo racconto, ma questo cosa c'entra con noi?" Riconosco il suo sarcasmo e mi faccio scappare una risata.
"Voglio fare la stessa identica cosa con te, questa sera." Confesso e mi fermo non appena mi trovo davanti all'entrata di un piccolo supermercato.
"Sei fuori di testa, fattelo dire." Mi urla dietro non appena entro.
Non mi divertivo così da anni, diamine.
Ho quasi ventitrè anni e mi sento come un animale in gabbia.
Senza essermene reso conto ho afferrato le prime due bottiglie d'alcolici che ho mi sono capitate sotto mano. Non ho la più pallida idea di che cosa siano.
Senza troppi ripensamenti e perdite di tempo, esco fuori e trovo Elizabeth seduta su una panchina.
Fissa il vuoto, ignorando la mia presenza.
"Nessuno si è comportato così con me." Spezza il silenzio.
"Forse perchè tutti si fermano davanti alla tuo lato meschino ed egoista." Confesso, senza peli sulla lingua.
"Non sono stupida, so che anche per te sono così e che se stai qui con me è soltanto per chiudere l'affare." Mi guarda dritto negli occhi e continua "Però te non sei come gli altri, perchè?"
"Perchè so come ci si sente ad essere emarginati per l'immagine che ci si è creati. Tu non sei così realmente e lo sai pure tu, questo è soltanto il personaggio che ti piace intrpretare per chissà quale assurdo motivo."
Rimane in silenzio.
So di aver colpito e di aver fatto centro. In questi anni ho conosciuto persone di tutti i tipi e, ormai, sono in grado di leggere chiunque.
Mi piace pensare che le persone siano libri aperti da leggere. Alcuni sono interessanti a tal punto da non poterti staccare dall'oceano di parole che ha inondato quelle pagine bianche. Altri, invece, sono come quei libri scontati e prevedibili, che non consiglieresti a nessuno.
Però, la cosa buffa ma allo stesso triste, è che io mi considero un lungo, pesante e insignificante libro bianco. Sento come se avessi perso le mie parole per strada o come se fossi privo di una storia.
"A cosa stai pensando?" Elizabeth interrompe il mio monologo interno.
"Sto decidendo quale spiaggia scegliere per bere queste." Dico scuotendo il sacchetto che ho in mano.
"Allora fai sul serio!" Esclama divertita.
Annuisco e mi alzo dalla panchina.
Ora, questa pazzia, è diventata anche un modo per svagarmi non solo per fare un piacere a lei.
"Che ne dici di questa?" Chiedo indicando con la testa la spiaggia alla nostra destra.
Annuisce convinta e, in silenzio, raggiunge l'ammasso di spiaggia lungo il mare.
Si toglie i tacchi vertiginosi e senza curarsi di me raggiunge gli scogli che danno sul mare.
La seguo e quando la raggiungo mi siedo vicino a lei.
Non mi guarda, come se viò che le ho detto prima l'avesse segnata in qualche modo.
Non voglio influire ulteriormente, quindi apro la prima bottiglia e gliela passo.
"Bevi e non pensare." Le dico soltanto, serio.
Mi fa un sorriso visibilmente finto e si attacca alla bottiglia.
MI sembra così indifesa e sola al mondo, che, per un millesimo di secondo, per la testa mi passa l'idea di prendermi cura di lei, ma non posso. Non riesco a prendermi cura di me stesso, come posso pretendere di salvare qualcuno?
Faccio un lungo sorso dalla mia bottiglia e il bruciore dell'alcol che scende lentamente nella gola, mi distrare dal rumore dei miei pensieri.
Potrei descrivere la mia vita con due parole: caos e monotonia.
Mando giù altro liquido e mi sembra di stare meglio, ma è soltanto un'impressione.
La bionda accanto a me posa la bottiglia di vetro sulla sabbia e si stende sulla sabbia.
"Grazie." Sussurra guardandomi, finalmente.
Sorrido debolmente e mi metto su un fianco, senza curarmi di non sporcare il mio colpleto costoso.
"Non ringraziarmi." Replico portandole una mano sulla guancia.
Lei si lascia trsportare dal mio tocco e chiude gli occhi.
Rimango destabilizzato dalla sua bellezza che continuo a considerare una bellezza comune e scontata.
"Vorrei qualcuno che mi amasse." Il suo accento marcato si fonde con il rumore delle onde del mare.
Non rispondo; anche io vorrei qualcuno che mi amasse, ma non posso rimpiazzare questo vuoto che ho dentro con chiunque.
"Baciami."
Rimango interdetto davanti a questa sua richiesta.
"Ne ho bisogno, Jacopo."
Sento la sua voce spezzarsi pronunciando il mio nome.
Mi avvicino a lei lentamente e posso le mie labbra sulle sue.
So per certo che questo non è il mio posto e che lei è la ragazza sbagliata, ma non posso farne a meno.
Continuo continuamente a cercare un modo per alleviare il dolore che la mora che invade i miei pensieri ha lasciato.
Cazzo, Rebecca, ti sei presa il mio cuore, ma ti sei scordata di ridarmelo.
/////////////////////////////
Sono viva più o meno!
Ho deciso, finalmente, di creare una specie di calendario per gli aggiornamenti.
Allora, durante il corso della settimana sono piena di impegni tra scuola e corsi extrascolastici.
Se aggiornassi ogni venerdì, andrebbe bene per voi?
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro