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Russia, il gelo d'inverno

Russia si avvicinava con quel sorrisetto inquietante, battendo a terra il tubo, seguendo il ritmo scandito dai suoi passi

Ero pietrificato. Se c'era qualcosa che mi spaventava più del vedere Polonia soffrire era lui. Pensare poi che fosse proprio Russia la causa di nuove sofferenze al mio Polonia! Quelle cicatrici sulla mia schiena erano la prova della crudeltà e della sadicità di Ivan, che di gran lunga superavano quelle di Germania e Prussia. Avevo capito, quel 23 Agosto, che Russia non avrebbe partecipato direttamente all'invasione ma che si limitasse a non attaccare Germania in cambio di una parte del territorio polacco. Invece, per spezzare la tenacia e la forza di volontà del mio debole Polonia, erano arrivati anche a questo. Una doppia invasione. Un esercito distrutto impegnato su due fronti. Un ragazzo, dato che, prima di essere nazioni, noi siamo persone, costretto a sopportare la crudeltà di tre uomini disposti a tutto pur di raggiungere il proprio obiettivo.

Stringevo forte Polonia, iniziando a piangere. Davanti alla vista di Russia poco poterono i miei sforzi di fermare le lacrime. Lo stringevo tremante. Non avevo un muscolo che stesse fermo. Mi tremavano perfino i capelli. Avevo paura, troppa paura. Cosa voleva fare al mio Feliks? Le mie cicatrici facevano ancora troppo male per permettermi di dimenticare ciò che è capace di fare.

Io stavo andando, letteralmente, nel panico, mentre Polonia sembrava tranquillo. Aveva sofferto tanto queste settimane, cosa poteva essere ora l'intervento di Russia, sicuramente era questo il suo pensiero. Neanche io, che tanto conoscevo la crudeltà di Russia avrei pensato che potesse arrivare a ciò che fece quel giorno per sottomettere al suo volere anche il fragile Polonia.

- Polonia, fai il bravo... non voglio diventare cattivo!- Russia rigirò un paio di volte il tubo tra le mani, per poi avvicinarlo fino a sfiorare il viso del polacco.

Feliks aveva uno sguardo tranquillo, la presenza del russo sembrava non suscitare in lui interesse. Lo fissò per qualche secondo per poi voltarsi verso di me, incurante della chiara minaccia di Ivan. Incrociò il suo sguardo luminoso col mio, grigio e spaventato. Percepì i miei muscoli tremare, mentre, dalle le labbra tremanti, uscivano dei singhiozzi strozzati.
Mi guardò stupito, non capiva quanto avessi paura di lui, nessuno può capirlo finche non prova ciò che provato io, per poi accarezzarmi la guancia con la mano.

- Liet... - mi chiamò con quella vocina dolce che si ritrova, con tono quasi impercettibile.

Tenevo la testa bassa, poggiata appena sulla spalla del mio polacco. Lo sguardo basso e le palpebre appena socchiuse, giusto quanto servisse per far uscire le lacrime. Non avevo il coraggio do sollevare lo sguardo verso Russia. Il solo vederlo mi faceva paura. La sua corporatura imponente, la pelle bianca, ma non come quella candida e delicata di Polonia, la sua era fredda, fredda come la neve ed il ghiaccio che aveva negli occhi.Non lo vedevo, ma sentivo i suoi passi. Uno, due e tre. Gli bastarono tre passi per arrivare proprio davanti a noi. Sentivo la sua presenza accanto a me, nonostante non lo vedessi direttamente. Quando Russia ti si avvicina porta con se l'inverno. Senti attorno a te, anche d'estate, il freddo gelido delle regioni Siberiane e la tristezza e l'angoscia di un bambino che non si è goduto l'infanzia. Perché questo è Russia. Un bambino in cerca d'amore, dell'affetto che non ha mai avuto. Un bambino in cerca di qualcuno con cui giocare. Peccato che il suo modo di vedere la frase "qualcuno con cui giocare" non fosse dei migliori. I suoi "amici" erano i suoi giocattolini. Lui ci si divertiva, ma loro... Esperienza mia...

- Polonia... hey, che vogliamo fare?- non mi accorsi che stava allungando la sua fredda mano alla guancia di Polonia. - Se vuoi ci possiamo divertire, ma sai... sono stanco.- mi accorsì dello sgradito contatto tra il gelo della mano del russo con la guancia del mio polacco quando quest'ultimo ebbe un sussulto. Quel gelo faceva quasi male al tocco, lo so bene. - Arrenditi ora, e siamo felici entrambi!- ed eccolo, in quel momento, l'inquietante sorriso di Russia. Lo stava sfoggiando con tanto entusiasmo, con tanta euforia, da sembrare quasi un sorriso sincero. Lo notai sollevano per un attimo il sguardo. Non lo avessi mai fatto. Quel sorriso era il tormento dei miei sogni.

Intanto il viso di Polonia aveva assunto una nota di fastidio. Distolse lo sguardo dal russo, quasi sbuffando al sentire, per l'ennesima volta la parola "Arrenditi". Non ne aveva alcuna intenzione, chiaro. Per come la pensava avrebbe sopportato le torture per sempre, o almeno finché quei due non si fossero convinti che non c'era modo di smuoverlo. Ma ciò che pensava lui e la realtà erano cose ben distinte. Germania, Prussia... e anche Russia da quel momento... quanto avrebbe potuto resistere il mio fragile Polonia?

Russia era in attesa di una risposta. Lo guardava interrogativo, quasi a chiedere il perché di tanta esitazione. La risposta che aspettava era ovvia, ma male che andasse aveva il suo tubo.

Polonia non lo degnò di uno sguardo. Si limitò a voltarsi lentamente verso di me, sistemandosi meglio, anche con il mio aiuto, tra le mie braccia. Lo tenevo stretto, sussurrando il suo nome con un tono talmente roco che anch'io facevo fatica a sentirmi. Non volevo chiedergli di arrendersi, sarebbe stato stupido ed inopportuno, ma cosa potevo fare, guardarlo soffrire? No. No. Russia non lo doveva avere. Nessuno lo doveva avere, ma quel russo in particolar modo avrebbe dovuto stargli alla larga. Polonia è sacro, e Russia, comunista fino al midollo osseo, non aveva il minimo rispetto le le cose sacre. Ma a quanto pare neanche il creatore, quella volta, aveva deciso di aiutare il mio polacco. Perché lui? Cosa aveva fatto per meritarsi questo? Non aveva sofferto abbastanza in quei 123 anni in qui era stato spartito tra tre nazioni, una più crudele dell'altra? Era una punizione quella che il cielo mandava sul mio Polonia? Qual'era la sua colpa, però? Perché, invece della vita felice e tranquilla che avevamo progettato insieme, dovevamo vivere una vita di sofferenza?

- Polonia.- lo richiamò Russia, spazientito e desideroso di una resa.

- Fot-Fottiti.- mandò anche il russo a farsi fottere con un eleganza ed una dolcezza che stonavano molto con la parola volgare che aveva appena pronunciato. La sua unicità si riflette anche in questo.

Mentre io lo tenevo stretto al mio petto, dandogli un bacio sulla fronte appena disse quella secca parola. Ammiravo quel coraggio, coraggio che io non avrei mai avuto, sono sincero, ma la mia mente continuava a materializzarmi davanti agli occhi scene di morte. Brutti ricordi che piano piano, con il russo che vantava cattive intezioni accanto, stavano diventando sempre più nitidi e chiari.

Ivan, ricevendo quel inaspettato colpo, si alzò in piedi spazientito, mentre quel falso sorriso abbandonava il suo viso lasciando spazio al vero volto di Russia. Le labbra sottili e screpolate si appiattiscono, mentre, sollevando il mento, ti scrutava con quegli occhi ghiacciati. Non traspariva alcuna emozione da quell'espressione, neanche la rabbia che probabilmente provava verso quell'atteggiamento di Polonia nei suoi confronti. Oh si che era arrabbiato. Si teneva per bene la rabbia dentro, così da sfogarla meglio mentre "giocava". Non sollevai lo sguardo per vederlo meglio, in quel momento in cui era in piedi. Non avrei sicuramente retto quello sguardo che, senza il sorriso che, anche se anch'esso inquietante, lo alleviava, era ancora più pesante.

- Molto bene.- disse solamente. La sua voce non era più acuta, non era più, apparentemente, docile e tenera, era ritornata quella del vero Russia. Era tornata quella voce spaventosa che troppe volte avevo ascoltato nei secoli precedenti e che, di nuovo, aveva rifatto la sua comparsa la mattina prima che partissi per Berlino.

Ivan, poi, ci diede la spalle e, con passi lunghi e decisi, si avviò fuori dalla tenda, lasciando che il drappo si richiudesse dietro di lui.

Io rimasi immobile, al centro del pavimento della, senza mai lasciare polacco. Gli accarezzavo i capelli agitato, spaventato da ciò che, secondo il mio pensiero, sarebbe successo di li a poco. Cosa aveva intenzione di fare? Perché era uscito? Quanto sarebbe stato fuori?
Tante, troppe, domande mi annebbiarono la mente in quei pochi attimi che rimasi solo con Polonia. Troppe domande che trovarono la loro risposta neanche un minuto dopo.

- Po...- riuscii a dirgli solo questo prima che due uomini, in alta uniforme sovietica, entrassero a loro volta nella tenda, circondano me e Feliks.

Erano, evidentemente, uomini scelti. Alti, robusti, con gli occhi di ghiaccio, come quelli della loro nazione, che non lasciavano trasparire alcuna pietà per le condizioni di Polonia. Cosa volevano quelli? Altre domande, solo domande nella mia mente. Domande che cercavano di coprire quel sentimento di paura che mi stava divorando dall'interno. Il mio stomaco bruciava, faceva male. Ma, sentendo tra le braccia la sofferenza del mio polacco ferito, che diritto potevo sentirmi di star male?
Quei due uomini rimasero in attesa accanto a noi giusto qualche altro secondo prima che nella tenda tornasse anche il ben più inquietante Russia con ancora quel maledetto tubo in mano. Non aveva un espressione particolare in viso mentre percorreva la distanza tra l'entrata della tenda al punto in cui io, inginocchiato, tenevo il corpo di Feliks. Si fermò giusto qualche centimetro da noi, talmente alto che per osservarci per bene doveva chinarsi, osservando con sguardo malizioso il corpicino tra le mie braccia.

- No... - sussurravo. - No..!- detto con talmente poco fiato che sembrava quasi un lamento insensato.

Le lacrime mi offuscavano la vista, mentre, inconfondibili, riuscivo a vedere solo i capelli sempre lunimosi, nonostante il sangue, dei Feliks. Po, non riuscivo ad immaginarmi cosa volessero farti... eppure, ad oggi, quelle scene sono impresse nella mia memoria e, ogni volta che oggi Polonia mi cede un sorriso, uno dei tanti, mi tornano in mente i giorni in cui i suoi sorrisi erano spariti, sostituiti da smorfie di dolore.

Un rapido gesto della mano di Russia diede il segnale ai due ufficiali in alta uniforme rimasti in attesa.

Solo allora capii quale fosse il compito dei due ufficiali. Uno mi prese per le braccia ed uno per il busto. Mi tiravano con una forza, a mio avviso, sovrumana, cercando di tirarmi via da Polonia. In due cercavano di tirarmi via. In due belli grossi, devo dire. Non so con quale forza, non so come, ma io non cedevo. È impossibile piegare il volere di un uomo disperato, di qualcuno che ha perso tutto, o quasi. Perché io avevo perso ogni speranza, ma sentire il corpo di Polonia al sicuro tra le mie braccia mi dava forza. Dopo qualche attimo lo stesso russo capì che non sarebbe bastata la forza dei suoi uomini per allontanarmi da Feliks. Mi guardo con quegli occhi di giaccio che sembravano volermi rimproverare per la mia insolenza. Abbassai la testa, serrai gli occhi, concentrai la mia mente sui miei muscoli, cercando di non pensare ad altro, se non ad opporre resistenza.
Poi un passo davanti a me. Un altro ed un altro. Il rumore di quei pesanti stivaloni da neve era inconfondibile alle mie orecchie. Russia era arrivato in pochi secondi davanti a me. Con la testa bassa riuscivo a scrutare solo i suoi anfibi, impiantati al suolo, a pochi centimetri dal corpo di Feliks e dal mio. Non sollevai la testa, ma lentamente iniziai a riaprire gli occhi. Feliks, con la testa poggiata ancora sul mio petto, mi stava guardando con i suoi smeraldi lucenti. Aveva le palpebre socchiuse, mentre con le braccia mi stringeva in un abbraccio, aiutandomi nell'intento di non lasciarlo. Non voleva essere separato da me. Voleva essere sicuro che non l'avrei abbandonato. Ma io ero la, con due uomini che cercavano di strapparmi via da lui e con lo sguardo gelido di Russia sul mio corpo, ma ero comunque la. Lo stringevo e, chissà come, avevo trovato la forza di trattenere le lacrime, la forza che il mio Polonia non aveva perso in tutti i secoli che lo conoscevo.

Il calore del corpo di Polonia stretto a me si ritrovò poi in contrasto con il freddo tocco di una mano sulla guancia. Alla mia pelle il gelo di quella mano era tutt'altro che sconosciuto. Non volevo sollevare lo sguardo. Non volevo smettere di bearmi della luce sublime degli occhioni del mio Feliks e soprattutto non volevo incrociare lo sguardo con quello di Russia. In pochi secondi sentii la presa dei due uomini farsi più debole, così riuscii a rilassare i muscoli e potei stringere di più Polonia a me. Nonostante la superficie che quella mano occupava sulla mia guancia fosse minima rispetto a quella occupata dal tocco con il corpicino di Feliks, il calore del suo corpo, però, non riusciva a rendere meno percettibile il freddo della pelle del russo. Io, ancora con la testa bassa, mi ritrovai costretto ad incrociare lo sguardo di Ivan quando quest'ultimo, affondando le unghie nella carne della mi guancia, mi sollevò il mento con uno scatto rapido e violento. Si chinò, arrivando a pochi centimetri dal muo viso mentre, da quella distanza, il suo sguardo faceva ancor più paura di prima, cosa che, sinceramente, ritenevo impossibile. I miei occhi, incapaci di reggere lo sguardo dei suoi, si riempirono tutt'un tratto di lacrime, che offuscarono un po' la mia vista prima di iniziare a scivolare lentamente lungo le guance, per poi socchiudersi appena, cercando rifugio dietro le palebbre.

- Liet, non ci siamo capiti...- Russia tirò a se il mio viso, avvicinando le labbra al mio orecchio, al fine di farmi ascoltare bene quella sua voce cupa e fredda. Con la mano libera iniziava a sfiorarmi la schiena, ridacchiando appena ogni volta che le sue dita scorgevano una delle cicatrici che loro stesse avevano lasciato sulla mia pelle nei secoli precedenti.

Sussultai, incapace di rispondere, e mi limitai a mordermi il labbro inferiore, cercando di placare il dolore dei ricordi che mi ripassavano davanti agli occhi e mi bruciavano lo stomaco.

- Te lo ricordi a quanto vedo...- una risata uscì dalle sue labbra, senza che lui facesse il minimo sforzo per trattenerla, nonostante fosse alquanto inappropriata in quella situazione. - Te lo ricordi come ci divertivamo!- disse poi, lasciando libero il mio mento dalla sua presa e alzandosi in piedi, facendomi segno di alzarmi a mia volta.

Polonia sussultò appena il russo si alzò, stringendo la stoffa della mia camicia piuttosto inquietato. Probabilmente aveva cercato di caoire cosa mi stava dicendo, ma il russo sussurrava talmente piano che gli dev'essere stato impossibile sapere cosa mi ha detto. Sicuramente avrà notato, però, le lacrime che mi riempivano gli occhi alle sue parole. A Polonia non sfugge mai nulla, anche se non te lo fa capire.

- Alzati e magari avrò pietà di te.- mi ordinò, contraendo le labbra in un ghigno crudele. A me sembrò una cosa un po' contraddittoria. Russia non ha pietà, lo sapevo, nulla sarebbe cambiato. Molto meglio rivivere il dolore del passato che veder soffrire Polonia.

Di conseguenza non mi mossi. Avevo paura, certo, ma non m'importava cosa avrebbe fatto a me. Le cicatrici, anche se "chiuse", bruciavano. Non m'importava se quel giorno potessero essere riaperte.

- Uffa, rendi sempre tutto più difficile.- sbuffò Russia, sollevando lo sguardo al cielo. Si rigirò di nuovo il tubo tra le mani, per poi posare lo sguardo sui due uomini. - Tiratelo via, impegnatevi.- non capivo. Perché si ostinava a volermi strappare via da Polonia? Non doveva far del male a me? Perché voleva ancora Polonia?

I due uomini si rimisero all'opera stringendo di più la presa sul mio corpo, tirandomi via più forte che riuscivano. Io, certamente opponendo resistenza, non potevo tenera nascosta una certa confusione. Osservavo Russia con aria stupita ed interrogativa, non capendo perché, perché mostrava ancora interesse per Polonia.
Lui mi sorrise, per puro modo di dire, sottolineando con il suo sguardo la mia ingenuità.

- Sai, Lituania... è stato Germania a farmi capire una cosa importante.- Russia mi guardava con quel sorrisetto inquietante, sicuro delle sue idee. - Mi ha fatto capire che tu tieni più a Polonia che a te...- continuò poi avvicinandosi nuovamente, continando a guararmi negli occhi. Certo, ovvio che tengo di più a lui... cosa voleva fare? - Quindi penso che vederlo soffrire varrà come cento torture per te, mi limiterò, quindi, a divertirmi con lui più del previsto... Lo trovo stupido, ma sfogarsi su un corpicino talmente debole penso sia anche più divertente... non trovi?- Russia di mise a ridere di gusto al solo pensiero.

No... no! Il mio Feliks no!

Per un attimo il mio cuore cessò di battere ed il mio cervello smise di funzionare, elaborando ciò che aveva appena sentito. Quei secondi bastarono ai due uomini per allontanarmi da Polonia quel poco necessario per lasciare a Russia libero sfogo su di lui. Feliks non reagì. Subito prima di perdere contatto col suo corpo lo sentii sospirare sollevato. Che fosse felice di essere lui quello dei due a soffrire? Mollò immediatamente la presa su di me, rendendo più facile il lavoro dei due uomini, quando capì che le intenzioni di quest'ultimi non erano farmi del male.

Appena "ripresi coscienza" di ciò che stava accadendo capì quale disastro si era scatenato in quei pochi secondi di stupore. No, no... l'avevo lasciato nelle sue mani...

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