La fuga (prt. 2)
Studiai la situazione per qualche momento. Ascoltavo attentamente il fruscio dell'acqua che scorreva, osservavo il corso del torrente e pensavo al da farsi. Nelle vicinanze non c'erano ponti, dovevamo attraversarlo, ma era il caso? Quella povera bestiola che stavamo cavalcando avrebbe retto lo sforzo? L'acqua era così violenta da essere di grande ostacolo? Pensai poi anche al mio Polonia. Se ne stava la, stretto tra le mie braccia. Teneva gli occhioni appena socchiusi, respirava lentamente, rilassato, mentre si rannicchiava meglio tra le mie braccia. Sembrava avesse freddo, tremava leggermente. Sapevo quanto odiasse il freddo, come si sentiva giù ogni volta che tremava o aveva i brividi, così lo abbracciai. Quella notte effettivamente la temperatura si era piuttosto abbassata ma, sentendo il calore del mio abbraccio, Feliks smise immediatamente di tremare. Le sue palpebre si chiusero per riposare qualche secondo, per poi riaprirsi a fatica. Decisi fosse meglio per tutti riposare. Il cavallo aveva davvero bisogno di un po' di tranquillità, per riacquistare le forze per andare avanti il giorno dopo. Feliks poi, in primis, era evidentemente stanco, anche lui doveva dormire una notte tranquilla. Ero certo che ormai fossimo relativamente al sicuro. Se prima la sensazione di non essermi per nulla allontanato dall'accampamento mi perseguitava, in quel momento sentivo la sofferenza che avevamo vissuto lì lontana, mi sentivo così al sicuro che quello mi sembrava un ricordo lontano, un ricordo passato. C'eravamo allontanati molto in quel bosco fitto, il mio lato ottimista aveva preso il sopravvento persuadendomi all'idea che non sarebbero riusciti a trovarci, almeno per quella notte.
- Feliks...- gli accarezzai il viso, chiamando dolcemente il suo nome, sfiorandogli la guancia con il palmo della mano e aiutandolo a sollevare il viso, facendo incontrare i nostri occhi. - Continuiamo domani?- gli sorrisi, poi, accarezzandogli il viso, concedendogli un sorriso dolce, il più dolce che riuscii a fare, rassicurandolo col mio sguardo. - Siamo al sicuro, ormai...- sussurrai infine, stringendolo di nuovo a me con delicatezza appena lo sentii ricominciare a tremare.
Eravamo al sicuro, le mie braccia lo avrebbero fatto star al sicuro, sarei stato il suo castello quella notte, se non sono riuscito a proteggerlo dai mostri che gli avevano fatto del male lo avrei protetto dal freddo.
Feliks socchiuse gli occhi e mi sorrise dolcemente, con un sorriso che, finalmente, sembrava del tutto sincero. Non sembrava si stesse sforzando di apparire sereno, quella sensazione di tranquillità lo rendeva davvero felice, rassicurato.
- M... Mi piacrebbe...- mi sussurrò con voce tremante, non per il dolore delle ferite, ma probabilmente per il freddo, mentre cercava a stento di tenere gli occhi aperti, per guardarmi ancora un po'.
- Bene...- dissi io ricambiando il suo sorriso, mostrando quanto anch'io fossi davvero sereno e sollevato. - Ti faccio scendere.- sentite queste parole Feliks si staccò a malincuore dal mio abbraccio, dandomi la possibilità di scendere da cavallo, poggiando il busto sul collo allungato dell'animale.
Messo piede a terra tirai un sospiro profondo, sollevato di sentire finalmente, dopo la fuga a cavallo, il terreno sotto i piedi. Allungai immediatamente le braccia verso Feliks cercando di prenderlo in braccio senza fargli del male.
- Attenzione...- sussurrai prendendolo in braccio come fosse una sposa, mentre il mio povero amato Feliks cercava di trattenere qualche gemito. Cercavo di non fargli del male, ma quel fragile corpo era delicato, delicato come poche cose su questo mondo, dovevo maneggiarlo con cura. Era molto leggero, Feliks, essendosi indebolito ed essendo dimagrito tanto a causa del trattamento dei tedeschi, quindi non ebbi alcuno problema nel sollevarlo dal cavallo.
C'era un grande albero di quercia lì vicino, con le radici che fuoriuscivano dal terreno formando quasi dei piccoli cuscini di terra, abbastanza comodi per passarci la notte. Lo portai fin sotto il grande albero, adagiandolo poi, delicatamente a terra, tra le sue radici. Gli feci poggiare la testa su uno di quei "cuscinetti" di terra, distendendomi poi al suo fianco subito dopo. Feliks tremava ancor più di prima ed io non esitai a stringerlo forte tra lei mie braccia, cercando di scaldarlo nuovamente.
- Tutto bene..?- gli chiesi preoccupato dal fatto che, nonostante lo stessi abbracciando, lui non riusciva a smettere di tremare. Perché il mio abbraccio non gli portava più sollievo?
- S...si...- come immaginavo Feliks mi mentì per non farmi preoccupare. Abbassò lo sguardo, cercò di serrare le labbra per non farle tremare più, ma questo non servì a nascondere ai miei occhi che in realtà non stava affatto bene. Aveva le guance arrossate, e gli occhi verdi erano rigati da una sottile striscia di lacrime. Ma Feliks non era triste, almeno penso. Perché allora quelle lacrime?
- Feliks, cos'hai?- cominciai a preoccuparmi ancora di più dopo aver ascoltato quella bugia, mi staccai un attimo da lui, poggiandogli una mano dietro la nuca ed avvicinando le mie labbra alla sua fronte. Appena avuto contatto con la sua pelle ebbi conferma della mia paura: Polonia aveva la febbre. Mi allarmai immediatamente, dopotutto nelle sue condizioni ed in quella notte fredda far finta di nulla e non intervenire lo avrebbe fatto solamente peggiorare. Come avrei fatto, poi se la febbre fosse salita? Sapete, non che la medicina all'epoca fosse quella che abbiamo oggi, avevo seriamente paura di perderlo per una sciocchezza, paura che dopo ciò che aveva passato fosse la febbre a portarmelo via. - Feliks sei bollente...- sussurrai io andando quasi nel panico, spaventato e preoccupato com'ero.
Polonia abbassò la testa, mordendosi le labbra quasi arrabbiato con se stesso. Arrabbiato di essere un peso, di avere così tanti problemi, di essere per me una preoccupazione costante, arrabbiato con se stesso per la sua sofferenza.
Non potevo starmene lì con le mani in mano, non c'era tempo da perdere, non avevamo tempo per riposarci come speravo. Dovevo portarlo al fronte dove qualcuno lo avrebbe aiutato, dovevamo ripartire subito. Presi Feliks in braccio facendolo salire nuovamente sul cavallo, per poi stringerlo di nuovo a me cercando di proteggerlo dal freddo per non farlo peggiorare.
- Scusa...- gli sussurrai, dispiaciuto per non avergli dato modo di riposare come voleva. - Ho paura...- sussurrai io a testa bassa con le lacrime agli occhi. Si, avevo paura di perderlo. Non potevo perderlo, non volevo. Non per una stupidaggine simile.
Feliks sollevò la testa con uno sguardo misto tra il rassegnato ed il grato. Mi parve di sentirgli sussurrare un lieve "grazie" alle mie parole mentre, appena il cavallo iniziò a muoversi, si stringeva di più a me, quasi aggrappandosi al mio corpo. Guidai il cavallo all'estremità della sponda del torrente, esitando un attimo prima di spingerlo tra le acque. Se l'aria era fredda non osavo immaginare l'acqua. Immaginavo fosse gelida, quasi ghiacciata, nel peggiore dei casi, e, più che per l'attraversata, ero proprio preoccupato per la temperatura dell'acqua. Feliks avrebbe dovuto per forza bagnarsi, e avevo paura di questo. Paura che il contatto con l'acqua gelida lo avrebbe fatto star peggio. Ma cosa potevamo fare? Dovevamo assolutamente attraversare o sarebbero stati guai.
- Feliks...- lo chiamai, mentre il polacco sollevava debolmente lo sguardo verso i miei occhi con aria preoccupata. - Resisti, avrai freddo, ma sarà una cosa veloce... ok?- cercai di sorridere per non mostrarmi preoccupato, spaventato, o comunque per rassicurarlo, per farlo sentire al sicuro. Feliks in risposta cercò di ricambiare il sorriso, annuendo debolmente. Speravo fosse una cosa veloce, ma ce l'avrebbe fatta il nostro cavallino?
Tirai un sospiro profondo, mettendo da parte i miei dubbi e le mie preoccupazioni cercando di pensare positivo. Strinsi tra le mani le redini del cavallo, diedi un'occhiata al torrente per poi, senza pensarci due volte, battere le redini, guidando il cavallo verso l'acqua. "Non si torna più indietro" pensai subito prima che il cavallo entrasse in acqua. I miei dubbi si rivelarono sfortunatamente esatti. Le mie gambe, appena entrate in contatto con l'acqua mi diedero prova di quanto fosse gelida, mentre sentì il mio Feliks trasalire al sentire quel freddo sulla sua pelle. Mi fece una pena tremenda, mi sentii in colpa per averlo condotto lì, ma dovevamo farlo, non potevamo tornare indietro. Con un braccio stringevo Feliks a me, con l'altro tenevo salde le redini, incitando il cavallo ad andare avanti. Inizialmente sembrava andare tutto bene, seppur con difficoltà il cavallo affrontò coraggiosamente il primo tratto in acqua, ma arrivati a metà percorso dove l'acqua era più alta, le cose cominciarono chiaramente a peggiorare. L'acqua in quel punto mi arrivava quasi al bacino, Feliks tremava, soffriva quel gelo, io incitavo il cavallo, ma questo dopo un po' iniziò a cedere alla forza della corrente. Avanzava lentamente, a fatica, mentre nitriva a vuoto in cerca d'aria quando per poco l'acqua non lo ricoprii del tutto. Sapevo che era esausto, che quello era chiedere troppo a quella povera bestiola, ma il mio Feliks che gemeva tra le mie braccia la sua sofferenza, mi facevano perdere completamente la ragione. Per me nulla era più importante di Feliks e, anche se provavo pena per quel povero cavallo, non potevo che chiedergli disperatamente di continuare, di non fermarsi. La lotta con l'acqua fu uno strazio, una tragedia, un ostacolo enorme, e fu proprio quando sembrava che avessimo vinto noi la sfida... ecco che fu l'acqua a vincere noi. Ormai la traversata era finita, le zampe anteriori del cavallo già poggiavano sulla terra ferma quando, per la stanchezza, il cavallo urtò un masso sulla sponda con la zampa posteriore. Non ricordo molto di quanto accadde immediatamente dopo, so solo che nel giro di poco mi ritrovai steso a terra, a pancia su, con il cielo stellato davanti e dolori in praticamente tutto il corpo. Feliks era sopra di me, anche lui dolente ancor più di prima, ma fortunatamente stava ancora bene. Ringraziai il cielo di avergli fatto da materasso e di aver "attutito" la sua caduta, meglio che fossi io a farmi male che lui. Rimasi qualche attimo in quella posizione, incantato forse dalle stelle o chi sa cosa. Avevo sicuramente battuto la testa. Ogni suono, ogni sensazione mi appariva così lontana, così sfocata, come se mi trovassi in un sogno, sembrava non fossi in me. Stringevo Feliks a me in maniera spontanea, senza neanche accorgermene, ma quel corpicino stretto al mio, anche in quegli attimi di dispersione, mi rendeva sicuro, felice in un certo senso. Feliks stava in silenzio, probabilmente sfruttando quel momento per riposarsi. Tutto mi sembrava tranquillo, come se nulla fosse mai accaduto, come se fosse, appunto, tutto un sogno.
Fu il nitrito del cavallo a "svegliarmi". Inizialmente il verso giungeva alle mie orecchie come un sussurro appena percettibile, poi, ma mano che riprendevo coscienza di me, diventava sempre più forte e vivido, sempre più reale. Mi alzai dolorante, stringendo a me il corpo del mio Feliks. Mi faceva molto male la testa, avevo delle leggere vertigini, ma nulla di trascendentale. Nell'alzarmi mi massaggiai appena la nuca, fortunatamente né io né Feliks eravamo feriti, e aiutai anche Feliks ad alzarsi, facendolo poggiare su di me. Il cavallo era a terra sofferente accanto alla riva del torrente. I suoi nitriti erano rauchi, muoveva le zampe anteriori a vuoto, mentre, con orrore, capì che una delle zampe posteriori era rotta. Ed in quel momento mi sentii crollare il mondo addosso. Perché, perché era tutto contro di noi? Cosa diavolo avevamo fatto per meritarcelo, cosa aveva fatto Feliks per meritarselo?
Con Feliks appoggiato su di me, mi avvicinai al povero animale sofferente, pensando a cosa fare. Sapevo, sapevo che non potevo fare nulla per lui, che un cavallo con la zampa rotta non può guarire, un cavallo con la zampa rotta può solamente soffrire tutta la vita. Dovevo ucciderlo io, in fretta, se volevo risparmiargli quel dolore.
- L... Liet...- Feliks, sollevò la testa, aggrappandosi a me, guardandomi con quegli occhioni spaventati, preoccupati, che s'incrociarono con i miei disperati, cupi. Io abbassai lo sguardo, chinandomi per raccogliere la pistola, anch'ella caduta a terra vicino alla bestiola sofferente.
- Devo...- sussurrai io, squadrando la pistola con sguardo triste. Non volevo, non volevo ucciderlo, ma sapevo che era la cosa giusta da fare per lui. - Devo...- sussurrai di nuovo caricando lentamente e a fatica, cercando di tenere Polonia stretto a me, l'arma con un proiettile. Ne avevamo due, solo due, dopo aver sparatoal cavallo dovevo conservare l'altro per ogni eventualità.
Feliks abbassò lo sguardo, serrando le palpebre, come se non volesse vedere altra sofferenza, altro dolore. Lo strinsi di più a me, cercando di estraniarlo a quanto di brutto avveniva accanto a lui, cercavo di non far soffrire lui.
Piansi un po', mi dispiaceva quello che stavo per fare, cercavo di convincermi che stavo facendo la cosa giusta, ma uccidere non mi è mai piaciuto. Che fosse un uomo o un animale, per un motivo o per un altro, odiavo uccidere. Potete immaginare però, come guerriero, nazione, ex cavaliere ho ucciso molte persone. Me ne vergogno, odio il mio passato, ma il destino crudele di una nazione non poteva essere altrimenti. In quel momento mi trovai nella posizione di dover uccidere quella povera bestiola innocente che aveva fatto tanto per noi, ci aveva portato lontano. Dovevo ucciderlo e mi odiavo. Stringevo l'arma tra le mani, puntata verso la testa dell'animale. Tremavo, sudavo, esitai qualche secondo, poi serrai gli occhi, la mia mente, il mio cervello si spensero. Tirai il grilletto, i nitriti strazianti cessarono. Non potevamo tornare indietro, non potevamo contare più su alcun aiuto. Dovevo portare Polonia in salvo e, ora che il nostro cavallo giaceva morto sulla riva del torrente, dovevo salvarlo da solo.
Appena sentito lo sparo, Feliks aprii esitante gli occhi, cercando di tenersi in piedi da se, in quel momento di mia "incoscienza", sollevando debolmente la mano, poggiandola sul mio viso.
- Liet...- sussurrò il mio nome con quella vocina debole, acuta, quella vocina angelica che, come una ninna nanna, mi fece riprendere coscienza.
Lo guardai qualche attimo mentre migliaia di pensieri mi attraversavano la mente. Quel faccino, quel corpo così debole, come faceva quella creaturina proseguire la fuga da se?
Lo abbracciai forte, poggiando la testa sulla sua spalla, lasciandomi sfuggire qualche lacrima disperata.
- E ora..?- sussurrai tra me e me, disperato all'idea di non riuscire a portare in salvo il mio Polonia. Sarei stato le sue gambe e lui sarebbe stato la mia forza, il mio motivo per andare avanti. Giurai a me stesso, giurai a Dio, se per caso ancora volesse ascoltarmi, che l'avrei salvato, costi quel che costi. Promisi a me stesso che nulla me lo avrebbe portato via, nulla e nessuno, non potevo permetterlo.
***angolo dell'autrice***
AHAHAHAH ok no ciao.
Giuro che un giorno troverete la cura per la mia deficienza.
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