13
Feci un brusco salto all'indietro con la sedia ed incastrai le mani tra i capelli. Iniziavo sul serio a spaventarmi e a non sentirmi più al sicuro. Era evidente che qualcosa o meglio qualcuno, mi stava controllando ma non credevo fino a questo punto. Come diavolo era possibile che un attimo prima che finissi di digitare il suo nome mi abbia bloccata? Tutto ciò aveva dell'incredibile e, cosa ancora più frustrante, non potevo parlarne con nessuno e non potevo chiedere aiuto.
Provai nuovamente a cercare il profilo di Niall ma niente, era scomparso, almeno per me. Era evidente mi avesse bloccata e, cosa ancora più sconcertante, era a conoscenza che stessi guardando il suo profilo proprio il quel momento. C'erano delle telecamere? Il mio computer era sotto controllo? Milioni di domani presero a girarmi in testa e prima di scoppiare nuovamente in lacrime mi costrinsi a fare un'enorme respiro.
Dovevo distrarmi e, soprattutto, restare concentrata. Mancava circa un'ora e mezza alla fine del turno ma sapevo non sarei riuscita a riportare l'attenzione sul lavoro, così uscii per l'ultimo caffè della giornata.
Come sempre i corridoi erano silenziosi e ben in ordine. Con estrema lentezza e calma terminai la mia bevanda per poi gettatare l'involucro nella pattumiera.
Ritornai nel corridoio e dopo aver sbadigliato sonoramente girai verso il mio ufficio. Ero stanca, non solo fisicamente e sentivo che questa faccenda iniziava a prosciugarmi tutte le forze. Avrei voluto urlare e spaccare ogni cosa ma, non lo feci. Dovevo resistere.
Svoltai l'angolo ma un tratto sentii le ginocchia farsi molli ed inciampai.
Chiusi istintivamente gli occhi ma, invece di capitolare a terra, caddi tra le braccia di qualcuno. Una mano mi si posizionò sulla bocca e poco venni trascinata di peso in una stanza che non riconobbi. L'ambiente era soffocante, totalmente immerso nel buio e si respirava un odore pungente d'inchiostro.
Sentivo il petto dell'altra persona alzarsi ed abbassarti contro la mia schiena e mi ritrovai a singhiozzare con la sua mano ancora premuta sulla bocca. Non riuscivo a gridare e nemmeno a muovermi, sentivo tutti i muscoli irrigidirsi e il respiro farsi sempre più veloce. L'unica cosa che mi teneva con i piedi per terra e che certificasse ancora la mia sopravvivenza erano le lacrime.
Poi una lampadina.
Con tutta la forza che avevo gli calpestai un piede e quando si abbassò per il dolore mi voltai e gli sferrai una ginocchiata nelle parti basse. Lo sentii imprecare sottovoce e contorcersi sul pavimento. Non credevo mi sarebbero mai servire le lezioni di autodifesa ma, a quanto pare, dovevo ringraziare mia madre per avermici portata.
Lo scavalcai cercando l'interruttore e quando la luce illuminò la stanza, impallidii. A terra con il viso contratto dal dolore e le mani chiuse tra le gambe c'era il mio capo. Avevo preso a calci il sr. Styles nella sua azienda e nel bel mezzo del mio turno di lavoro.
Feci un passo indietro e portai le mani sul viso. Non credevo a quanto fosse appena successo e, incapace di formulare frasi logiche, mi accasciato al suo fianco preoccupata.
«Cristo sei una fottuta psicopatica» bofonchiò dolorante con la mascella contratta e gli occhi ancora chiusi.
«Credi che nella mia azienda ci siano altri maniaci oltre me? Come cazzo ti è venuto in mente» ripetè in agonia ma con una nota di divertimento nella voce.
Oh.
«S-sono mortificata, io non immaginavo f-fosse lei e...mi dispiace davvero tantissimo...»
Le mie facoltà linguistiche si erano ridotte a quelle di una scimmia ubriaca e mi ritrovai, inevitabilmente, a pensare a quanti scatoloni portare per raccattare le mie cose dall'ufficio. L'avevo fatta grossa ma, dopotutto, trascinarmi di peso fingendosi un maniaco non era stato un bel gesto.
Ad un tratto iniziò a ridere riempiendo il silenzio che si era creato. Era ancora steso a terra ma questa volta teneva le mani sul ventre, come se la cosa l'avesse divertito anziché provocato dolore.
«Devo ammetterlo, anche dopo avermi maciullato le palle resti fottutamente appetibile. Sei tosta ragazzina» disse sorridendo mentre dolorante si rimetteva in piedi. Ora ci trovavamo l'uno di fronte all'altro e dal suo viso era sparito ogni traccia di ilarità.
Mi ritrassi istintivamente avvicinandomi alla porta ma fu più veloce e mi bloccò con entrambe le mani ai lati della mia testa. C'erano solo pochi centimetri a separarci e d'un tratto mi ritrovai nuovamente a tremare.
«Non mi dai nemmeno un bacino farti perdonare?» sussurrò rocco contro il mio orecchio. Non stava affatto scherzando.
Deglutii rumorosamente e quando vidi il suo viso farsi sempre più vicino chiusi gli occhi. Non so se per paura o, semplicemente, per istinto ma volevo che finisse e anche in fretta.
«Sai in ogni stanza, persino nel tuo ufficio, sono installate telecamere di sorveglianza e credo non ti farebbe piacere che qualcuno vedesse quello che è accaduto qui dentro» soffiò ad un palmo dal mio naso.
«Ti ho lasciata riflettere abbastanza piccola Megan, ora esigo una risposta» disse in fine rimettendo, fortunatamente, più distanza tra i nostri corpi.
Solo in quell'istante mi accorsi di star trattenendo il fiato e cercai di spingermi il più possibile verso l'uscita. Dovevo andare via di qua. So che non avrei potuto dirlo a nessuno, anche perché dubito sarei stata creduta, ma niente valeva così tanto la pena. Neanche un lavoro come questo.
«Accetta, concedimi una sola cena» disse con voce quasi implorare puntando i suoi occhi nei miei. Sorrise debolmente, quasi a volersi scusare e fece un passo indietro. Raccolse i capelli in un codino disordinato e allentò la cravatta color avorio. Sembrava essersi appena svegliato nel corpo di un'altra persona, come se non fosse stato mentalmente presente fino a cinque minuti prima.
«Non posso» sibilai.
«Per favore, concedimi di portarti fuori una volta e vediamo come va. Non farò niente che tu non desideri» sembrava l'ultima richiesta di un condannato a morte e, improvvisamente, mi sembrò diverso.
Che forse fosse bipolare?
Sospirai rumorosamente poggiando la schiena alla parete. Sarei voluta scivolare a terra e piangere finché ne avessi avuto le forze. Non ero in grado di reggere un peso del genere, tantomeno sapendo che c'era Harold a controllarmi.
«Va bene, verrò a cena con te»
Il suo sorriso si allargò scoprendo due fossette a solcargli le guance e senza aggiungere altro, uscii.
Io invece, ancora incapace di muovermi, rimasi lì dentro per non so quanto tempo. La testa mi stava scoppiando nonostante non riuscii ad elaborare nessun tipo di pensiero. Mi sentivo svuotata e raggirata. Avevo venduto la mia dignità per un misero posto di lavoro e per evitare che gli altri sapessero che il mio capo mi faceva la corte. Era un prezzo giusto da pagare?
Alla fine, con gli occhi gonfi e lo sguardo basso, riemergersi nei corridoi brulicanti di dipendenti. Raccattai le mie cose e alla velocità della luce tornai a casa.
***
Harold:
Occhio per occhio, dente per dente Megan
Harold:
Io ti avevo avvertita
Tu:
Di che diamine stai parlando?
Attesi risposta per diverse ore finché le palpebre divennero troppo pesanti e il corpo dolente e bisognoso di lasciarsi andare.
SPAZIO AUTRICE
Hello!
Capitolo più corto del solito lo so e mi dispiace ma mi farò perdonare. Commentate mi raccomando, a presto ❤
Ig: redkhloewattpad/ _saradevincentiis
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