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(19)...#SPECIALE

POV KELLY

Quella sera, prima di andare a letto dovevo fare un ultimo controllo a Jake e Thunder: avrebbero potuto morire da un momento all'altro, senza il minimo rumore.
Appena ero entrata nello stanzino c'era mancato poco che cacciassi fuori un urlo. Tesa com'ero anche la figura esile di Karima mi aveva spaventata. Era raggomitolata sul letto di Jake, accanto a lui, con un braccio che cingeva dolcemente il petto del ragazzo. Dormiva profondamente, ignara della mia presenza. Aveva un sorriso sincero sulle labbra; chissà, magari stava sognando che Jake potesse sentire il calore del suo abbraccio.
Ero arrabbiatissima con lei, ma non riuscivo a non considerarla ancora la mia migliore amica.
Senza pensarci mi diressi verso la branda di Thunder. Non seppi il perché, ma quando lo vidi lì, immobile con quella fascia che gli avvolgeva il lato destro del volto, una fitta lancinante si propagò nel mio stomaco. Mi dispiaceva molto per entrambi i feriti, ma provavo qualcosa in più per Thunder. Non amore, ovvio, quello mai. Più che altro, un'attrazione particolare, verso i misteri che il suo sguardo cupo celava, verso quel lato buono e vulnerabile che possedeva ma che cercava di nascondere con quell'aria da duro.

Capii solo in quel momento che non potevo perderlo. Silenziosamente mi avvicinai al suo letto e mi sedetti sulla sponda morbida. Osservai i lineamenti rilassati di Thunder: era la prima volta che lo vedevo senza il broncio o uno sguardo strafottente e derisorio.
Con un sorriso gli accarezzai la guancia e solo allora notai i suoi occhi che si muovevano sotto le palpebre. Sembrava stesse sognando...o avendo un incubo.
Mi chiesi cosa avesse passato per diventare così, un guscio umano impaurito da se stesso.

POV THUNDER

12 anni prima...

Le tempeste non iniziano tutte con tuoni e fulmini...alcune semplicemente con un cielo sereno e un bel sole splendente...

Eravamo una delle famiglie più agiate di tutta Krehia, la piccola cittadina di Normali e Changeling a nord della Germania. I miei genitori avevano fatto i soldi con la vecchia fabbrica dello zio defunto, rendendoci privilegiati e felici come non mai.
Eravamo una famiglia unita, talmente unita da riuscire a comunicare ciò che non andava con uno sguardo.
Ma suppongo che tutto iniziò quel fatidico giorno, il 13 febbraio.
Pensavamo che la nostra piccola cittadina fosse al sicuro dai Carcerieri. I pochi Changeling che stazionavano a Krehia riuscivano ad amalgamarsi con i Normali, apparendo come persone semplici e senza poteri. Un esempio perfetto ne era la mia famiglia. Tutti mi avevano sempre detto che puoi diventare un Changeling se anche tua madre e tuo padre lo sono, ma i miei non avevano niente di speciale. Si erano accorti che ero un Mutaforma dopo una semplice visita dal medico locale. Chissà, forse anche mia sorella lo era, ma era troppo piccola per essserne certi.
Comunque, il mio potere non si era ancora manifestato, perciò la vita scorreva tranquilla.
Ma invece, il 13 febbraio, durante un'escursione scolastica di un gruppo esteso di bambini sulle montagne ai confini della città, accadde ciò che tutti temevano in silenzio.
Gli alunni sparirono misteriosamente e il corpo dell'insegnante non fu mai più ritrovato.
La cosa fece maggiormente scalpore quando si scoprirono le identità dei ragazzi spariti: erano Mutaforma dal primo all'ultimo. Gli altri scolari Normali non erano stati toccati ed erano stati salvati in mezzo al bosco vicino al mio quartiere.
Si suppose fosse opera dei Carcerieri.

La notizia apparve sulle prime pagine di tutti i giornali ed in città, quell'aria spensierata che la caratterizzava era sparita nel nulla, risucchiata dal terrore e l'angoscia.

Un giorno sarebbe toccato anche a me, secondo ciò che urlava il nonno al papà e alla mamma in una delle loro devastanti litigate.

Le mamme dei miei compagni dell'asilo incominciarono a non mandare più i loro piccoli a scuola, per paura che fossero rapiti o uccisi. In un solo mese dall'incidente della scolaresca, la mia classe si era dimezzata. Molti degli amici che avevo se ne erano andati, lasciando sedie vuote che mi soffermavo a guardare con malinconia e confusione durante una delle storie che la maestra ci leggeva.
Avevo solo 6 anni...ed il mondo che conoscevo e di cui mi fidavo aveva già iniziato a cambiare.

Le sparizioni continuarono, ma grazie alla mia sorellina Anne e a Grace -le due persone che amavo di più al mondo- riuscii ad andare avanti.
Grace era la mia vicina di casa. La notai per la prima volta poco dopo il secondo rapimento.
Era una bella bambina bionda, magra e leggiadra; amavo i suoi occhi azzurri e le sue guance rosate.
Tutte le mattine ci mandavano un bacio con la punta delle dita dalle finestre delle nostre camerette. Ogni giorno, dopo l'asilo, andavamo nel cortile davanti a casa mia a giocare, ad inventarci storie di cui io ero il principe e lei la principessa da salvare imprigionata nella torre.

Proprio uno di quei giorni, io e Grace stavamo raggiungendo il Campo delle Favole. Lo chiamavamo così perché era che la nostra immaginazione prendeva vita.
Una volta che fummo arrivati, il sole stava già iniziando ad avere sonno e andare a letto, dietro le montagne.
<< E adesso?>> chiesi interrogativo io, prendendo la mano della mia amica nella mia. Lei sorrise maliziosamente e disse: << Mike Kraber dice che corri veloce...>>
Un adulto, un compagno dell'asilo o chiunque altro non avrebbe mai potuto capire cosa aveva detto la bambina bionda accanto a me. Una persona qualunque avrebbe semplicemente risposto: " Ah, okay...bene!"
Ma noi eravamo legati da un intreccio di emozioni, ricordi e giochi tale da riuscire a leggere fuori dalle righe.
Quando scattai, iniziando a rincorrere Grace per il campo mi sentii spensierato come mai prima di quel momento. Il vento mi accarezzava i capelli, mentre l'erba mi solleticava quel poco di pelle che la maglietta non copriva.

Entrambi ridevamo come pazzi, il sole che creava riflessi dorati sui capelli di lei e ramati sui miei. I fiori viola incorniciavano il vestitino bianco latte di Grace, mentre il suo sorriso illuminava dove la luce non arrivava.
Alla fine, riuscii ad acchiappare la mia amica, ma le caddi addosso, spingendola a terra. Il mio viso strisciò sul terreno.
Quando mi rialzai, la guancia mi doleva e volevo piangere, ma io ero il principe azzurro di Grace e i principi, quelli veri, non piangono. Feci fare dietrofront alle lacrime.
Sentii la mia amica scoppiare in una fragorosa risata, in piedi e talmente vicina a me che potevo sentire il suo respiro sul volto.
<< Be'? Che c'è da ridere?>> domandai in imbarazzo. Lei, con quella leggerezza e dolcezza di cui solo un essere ultraterreno è dotato, mi tolse i fili d'erba che mi erano rimasti appiccicati sotto il naso.

<< Sembravano degli strani baffi verdi!>> rise ancora. A quel punto, anch'io scoppiai a ridere, senza contegno.
Dopo un paio di minuti, ci trovavamo sdraiati in mezzo all'erba, osservando le nuvole. Ad un tratto, lei si voltò verso di me e mormorò: << Lo sai che ci sono riuscita?!>>
Non capii a cosa si stesse riferendo.
<< Di che parli?>> domandai. Ma non mi ci volle molto per afferrare il concetto. Mi portai le mani alla bocca per lo shock.
<< No, non ci credo!>> esclamai a voce un po' troppo alta.
La bambina ridacchio' e borbotto': << Se non ci credi, guarda!>>
In un attimo si tuffò tra le sterpaglie alte. Sentii dei fruscii, ma non riuscii a vedere cosa le stava succedendo per via dell'erba giallastra. Passarono i minuti e lei ancora non si vedeva.
<< Grace?>> domandai con voce tremante e che trapelavano ansia.

Fu allora che un muso rossastro di volpe sbucò tra i fiori. Era lei. Era riuscita ad evocare il suo spirito animale! Adesso era un Changeling vero! Quanto la ammiravo!
L'animale mi saltò in grembo, accoccolandosi sulle mie gambe. Io le accarezzai la testa, guardando il tramonto in lontananza.
<< Ti voglio bene, Grace.>> mormorai. La volpe drizzo' le orecchie.
Quella fu l'ultima volta che dissi "ti voglio bene" a qualcuno.
***

Il giorno dopo, mi svegliai piuttosto presto. C'erano dei rumori striduli fuori dalla mia finestra. Mi affacciai al balcone e vidi ciò che non avrei mai voluto vedere: auto della polizia e ambulanze stazionavano davanti alla casetta di Grace.
Nonostante fossi in pigiama, corsi fuori, seguito dalla mia dolce sorellina Anne. Nonostante avesse solo 4 anni, era come un ombra: mi accompagnava in ogni dove.
Nel vialetto di ghiaia, vicino al giardino riconobbi la madre e il padre dei Grace. La donna era in lacrime, mentre l'uomo cercava di calmarla come meglio poteva. Una agente in divisa stava cercando di fare loro delle domande.

Appena fui un po' più vicino alla coppia, tentai di domandare cosa fosse accaduto, ma mi bloccai: il padre mi stava osservando con uno sguardo infuocato e carico d'odio. Tutto accadde al rallentatore.
L'uomo si diresse a passo deciso verso di me e quando mi fu abbastanza vicino mi afferrò violentemente per le spalle, scuotendomi con foga.
<< È colpa tua! È solo colpa! Se non l'avessi portata al campo e non vi foste separati per tornare a casa, lei sarebbe ancora qui e non con i Carcerieri!>> sbraito', mentre le vene sul suo collo si ingrossavano e i suoi baffi si sporcavano di saliva.
Ero troppo scioccato, ferito nel profondo per avere paura. Grace era stata portata via...per colpa mia?
Notando che non lo stavo più guardando, il padre della mia amica mi tirò uno schiaffo in pieno viso, facendomi voltare verso sinistra. Le lacrime iniziarono a scendere sulle guance arrossate.

Sentii Anne afferrare come meglio poteva il braccio muscoloso dell'uomo, urlando con quella sua debole vocina infantile: << Lascia stare mio fratello! Non lo toccare!>>
Ma il nostro vicino la colpì allo stomaco, facendola rotolare a terra. Volevo evitare tutto ciò, ma non ci riuscivo. La mia sorellina era la cosa più importante che mi rimaneva.
Fu allora che qualcosa, una rabbia mai provata prima, uno strano fuoco si accese dentro di me.
Trovai il coraggio di tirare un pugno potente sul naso del padre di Grace. Il tempo sembrò fermarsi dopo il croc mostruoso di un osso che viene rotto. L'uomo si portò le mani al volto, emettendo urla di dolore animalesche e terrificanti, mentre il sangue zampillava e colava tra le pietre del vialetto.

Sul mio viso giovane balenò un sorriso subdolo, demoniaco, crudele. Il piacere che provavo era indescrivibile, troppo grande per limitarsi a rinchiuderlo in delle semplici parole.
Nonostante il bruciore alle nocche, i tagli sulle dita per l'impatto sulla faccia del mio vicino, mi avvicinai alla mia sorellina a terra, con le ginocchia sbucciate ed arrossate e la aiutati a rialzarsi.
<< Tutto bene, Anny?>> le chiesi dolcemente, sperando che non avesse visto l'atto violento che avevo appena compiuto. Lei mi scrutò minuziosamente, mi guardò negli occhi ed io mi sentii svuotato, rendendosi conto che avevo perso il controllo su me stesso. Non ero più stato io in quel breve lasso di tempo.
Ed inoltre, dove avevo trovato tutta quella forza? Ero sempre stato piuttosto magro e fragile.

Successivamente i miei genitori ed il poliziotto accorsero, portando via me ed Anne, in casa nostra e il padre della mia amica con loro, probabilmente all'ospedale più vicino.
Fu l'ultima volta che vidi quell'uomo e sua moglie. Si trasferirono in una settimana e sparirono, lasciando il ricordo di Grace nella loro vecchia abitazione, come una ferita che sapevano non si sarebbe mai più cicatrizzata.
***

Due mesi dopo l'incidente del vicino e del naso rotto, di cui i miei genitori non sapevano niente.
Proprio quando avervi bisogno di aiuto a superare tutto e di conforto, i miei cambiarono e abbandonarono me ed Anne.
Ogni sera li vedevo tracannare da lucide bottiglie gialle o verdi. Passavano la notte ad urlare, se eravamo fortunati. A volte, si sfogavano picchiandoci.
Da una parte li odiavo, li odiavo talmente da desiderare che sprofondassero nelle fiamme cocenti dell'Inferno, quello vero, rappresentato con demoni e mostri dalle lingue biforcute e la pelle rossa.
Ma dall'altra parte li capivo: per loro lo stress era troppo. Ogni giorno c'erano nuove scomparse. Io e mia sorella non eravamo ancora stati presi semplicemente perché eravamo ricchi. I Carcerieri non si azzardavano a toccare bambini di famiglie importanti, rischiavano di passare brutti quarti d'ora.

Mi sentivo sempre peggio, terribilmente divorato dal senso di colpa che mi schiacciava, gravava sul mio esile corpo di seienne. Ero davvero convinto che Grace fosse stata rapita a causa mia, che i suoi genitori si fossero trasferiti per il naso rotto che avevo provocato al mio vicino. Ormai intorno a me esisteva solo il grigio, pressante e malinconico, che pareva intrappolarmi in una di quelle vecchie foto risalenti ai tempi in cui le macchine fotografiche ignoravano i colori.

Una sera, la sera peggiore della mia vita, tutto cambiò... E stavolta per sempre.
Come al solito, papà era tornato dal lavoro stanco e deluso: la sua azienda stava per fallire.
Ma in mano aveva una busta di carta marroncina, di quelle che ti danno nelle botteghe.
Ne aveva estratto due bottiglie piene di alcool.
Io ed Anne eravamo in salotto, sul tappeto persiano a cui mamma teneva tanto. Stavamo guardando con evidente interesse uno di quei documentari che gli adulti chiamano "istruttivi". Di solito, non mi interessavano quelle cose, ma il tema era appassionante.
<<...questa è la legge della giungla: uccidi o sei ucciso, attacca per primo o sarai attaccato, mangia o vieni mangiato. Prendiamo in esempio il più spietato predatore della savana, il leone. Quando individua la preda, non la perde mai di vista, ne studia ogni più piccolo movimento, percepisce le sue debolezze. Quando assalta sa già dove infliggere il danno. Non c'è pietà per chi non ne merita.>>
<< Smettila di guardare quello schifo e metti qualcosa di un po' più da sani di mente!>> esclamò papà alle mie spalle. Mi voltai. Era stravaccato sulla poltrona nera di pelle, con la bottiglia di nuovo attaccata alle labbra, mentre il liquido che essa conteneva finiva giù per la sua gola o ai lati della bocca, per poi gocciolare sul mento barbuto.

Lo fissai finché non smise di bere e, con la sua voce impastata e rabbiosa ripeté: << Cambia. Canale.>>
<< Perché, papà? Mi pia...>> stava cercando di dire Anne, prima che la brutta copia di nostro padre le tirasse un calcio con la punta della scarpa che colpì la schiena fragile della figlia. La piccola gemette, cercando di trattenere le lacrime a stento.
<< Se non fate quello che vi dico di fare siete morti, chiaro?!>> sbraito' papà.
<< No>> mormorai, mentre quella rabbia improvvisa e inquietante, iniziava a sedare il mio lato dolce e remissivo.
<< Come hai detto?>> domandò scandalizzato l'uomo, guardandomi con furia maligna.
<< Ripetilo, se ne hai il coraggio. Forza, ripetilo, Thunder.>>
<< Ho detto di no! Devi smetterla di fare l'ubriacone, di picchiarci e maltrattarci! Un genitore non si comporta così! Tu ci dovresti proteggere!>> urlai, alzandomi in piedi e parandomi davanti a mio padre. Lui cercò di spostarmi per vedere lo schermo del televisore, ma non glielo permisi.
Allora, decise di passare alle maniere forti. Mi scagliò la bottiglia addosso, facendomi urlare di dolore. I pezzi di vetro caddero a terra, finendo vicino ai piedi di mia sorella, che cercava di avvicinarsi a me per coccolarmi come faceva sempre quando sapeva che stavo male.

<< Va' via, Anne! Scappa!>> esclamai, guardando la bambina negli occhi e rivedendo lo stesso sguardo tenero di Grace.
Non feci in tempo a finire la frase che mio padre si alzò e mi colpì con il piede, facendomi rotolare tra i vetri. Sentii la mia pelle lacerarsi in alcuni punti, mentre il sangue sgorgava.
Quando papà mi mise le mani sulle spalle, bloccandomi al suolo, mi dimenai, cercando di sfuggire alla sua presa ferrea. Lui se ne accorse e chiamò anche mia madre -ubriaca fradicia- per aiutarlo.
<< Rose, aiutami! Sta facendo il ribelle!>> urlò l'uomo. La mamma sopraggiunse barcollando e una volta che si fu inginocchiata vicino a me, iniziò a schiaffeggiarmi vigorosamente.
Urlavo, urlavo e piangevo, pur sapendo che nessuno sarebbe giunto in mio soccorso.

Sentii mia madre chiedere a mio padre: << Dov'è l'altra? Devo sistemare anche lei.>>. Anne.
Nonostante le guance rosse e bollenti per le troppe botte, mi alzai di scatto dal pavimento con una forza inaudita e urlai il nome di Anne, come un avvertimento.
Quando mio padre cercò di colpirmi di nuovo, accadde qualcosa. Fui percorso da una strana scossa, mentre la mia schiena si inarcava ed emmettevo gemiti di dolore.
Vidi i miei genitori indietreggiare scioccati e forse spaventati.
Dei peli scuri spuntarono fuori dalla mia pelle, mentre le zanne emergevano dalla bocca.
In un attimo ero diventato proprio uno di quei grizzly del documentario. Ironia della sorte!

La mia testa sfiorava il soffitto, mentre un ruggito usciva dalla mia gola. Mamma e papà mi fissavano ad occhi sgranati, pensando magari di aver bevuto troppo e di essere succubi delle allucinazioni...ma non era così.
Non riuscii ad estinguere quella rabbia che mi bruciava dentro da troppo tempo, perciò, nonostante le suppliche strazianti dei miei ubriachi genitori, allargati la zampa e caricati il colpo. Gli artigli affondarono nei loro crani.
Il sangue schizzò sul muro.
Continuai a sfogare la mia rabbia sui loro corpi senza vita, simili ormai a manichini o a statue di cera. Andai avanti a tagliare e affondare, finché la mia furia non scemò lentamente e mi resi conto di quello che avevo fatto.
Tornai subito umano, chissà come e cercai di rimediare al mio terribile atto. Ma non ci riuscii. Piansi e continuai a farlo anche quando la polizia parcheggiò nel nostro vialetto. Non alzai neanche la testa quando i poliziotti, non udendo risposta, buttarono giù la porta.

Alla fine, fui separato da Anne, con le lacrime agli occhi, fragile nel suo pigiamino bianco sporco del sangue dei suoi stessi genitori.
<< Stanno solo dormendo, non li hai uccisi, vero, fratellone?>> fu l'ultima cosa che sentii uscire dalle sue labbra, prima che mi trascinassero via.
Essendo troppo piccolo per finire in carcere, decisero che il modo migliore di punire il mio "atto tremendamente incivile" era mandarmi in un'Arena. Ma a me importava solo di mia sorella, finita in chissà quale orfanotrofio, delusa dall'unica persona di cui si fidava: io.
Per Krehia divenni "Monster Boy", "il terrore animale" o "il nuovo Uomo Nero".
Fortunatamente, le voci morirono quando me nero andai dal mio paesino natale nel camion dei Carcerieri, chiuso in una gabbia a riflettere sul fatto che magari i soprannomi che la gente mi aveva dato erano azzeccati.
Quando arrivai all'Arena i Carcerieri mi fecero partecipare a dei corsi privati di controllo del potere che gli altri bambini non frequentavano, cosa che mi fece sentire ancor più diverso.
Feci finta di non aver ancora scoperto il mio spirito animale per non allarmare gli altri ragazzini in stanza con me per ben due anni.

Ma per tutto quel tempo non feci altro che pensare alla mia innata cattiveria, a Grace ed alla mia adorata Anne. Il mio carattere divenne sempre più introverso e menefreghista, i soprannomi dei giornali mi avevano aiutato ad entrare nel ruolo per cui ero nato.

Il mio passato era come la tela di un ragno: una volta che ne fai parte non ti puoi più liberare.

PRESENTE

Il mio sogno-ricordo sparì, scoppiò come una bolla di sapone e finalmente aprii gli occhi.

Spazio autrice:

OK, come avrete probabilmente capito questo è uno speciale. Dovevo farlo, perché...

RAGAZZI, GRAZIE A VOI SONO A PIÙ DI 100 STELLE!!! GRAZIE, VI AMO!
(E , anche voi, cari lettori silenziosi!😘😉)
Spero non vi abbia deluso questo capitolo sul passato di Thunder! E...ringrazio @iladel per avermi dato l'idea per questo "approfondimento" su di lui (mi riferisco a tutti i bei commentucci che fai sul nostro amato Thunder!😂😉)! Quindi, diciamo che questo capitolo è dedicato specialmente a te! Spero ti sia piaciuto!
GRAZIE MILLE! DAVVERO!😍😘

Bye bye!

ILTSASID7🌹

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