8. Will Sol-ass is a crazy motherfucker.
Cari Michael, William e Kayla, bambini miei.
Leggere il nome di mio fratello mi causò un senso di nausea, quella donna era così fuori dal mondo da non sapere neanche che suo figlio fosse morto quasi un anno prima.
Non ebbi il coraggio di continuare a guardare quella lettera. Era stata aperta, e immagino letta, senza che mi venisse detto niente, qualche motivo doveva pur esserci.
Anche solo quella prima frase bastava a mandarmi in frantumi completamente. La infilai di nuovo al suo posto alla rinfusa, lanciandola sul tavolo in direzione di mia sorella, le mani mi tremavano e gli occhi iniziavano a bruciare, le lacrime sarebbero arrivate presto. Scossi la testa, lasciai il mio portafogli sul tavolo e scappai in camera mia, volevo stare lontano da tutti e dormire. Il pensiero che mia madre, nostra madre, stesse vivendo tranquillamente convinta che suo figlio Michael fosse ancora vivo mi devastava. Presi delle cuffie e inizia ad ascoltare musica a caso per cercare di eliminare il mondo esterno, finché tra il tepore del mio adorato letto e la lieve pioggia che era appena iniziata a cadere, il sonno mi inghiottì completamente, ancora con la musica che proseguiva indisturbata.
Il mattino seguente mi svegliai, o meglio, i miei occhi si aprirono. Ero steso sul fianco dando le spalle alla porta d'ingresso della camera. Il mio corpo non rispondeva ai comandi, non riuscivo a muovermi, a parlare, ad alzarmi. Notai che il cellulare e le cuffie erano stati sparpagliati per il letto e sentivo una cuffia premere fastidiosamente contro il mio fianco. Avevo freddo, non perché facesse davvero freddo, ma perché mi sentivo freddo, inerme. Aprendo gli occhi venni investito dalla debole luce dell'alba, al di là della finestra, tristemente grigia e nuvolosa. Chiusi gli occhi per difendermi da quella visione desolante. Avrei voluto andare sul tetto per godermi l'alba come ogni giorno, cacciare Apollo se ce ne fosse stato bisogno, alzarmi per preparare la colazione ai piccoli, aiutare mia sorella con la spesa, andare a trovare Lou, cercare un lavoretto per il week end (cosa che avrei dovuto già fare in settimana, dettagli), trovare una sede dei tossici anonimi per Jake, portare i miei fratellini al parco, controllare che i Di Angelo stessero bene, recuperare i sonniferi per Nico e l'attrezzatura per la trasfusione. Un tipico sabato.
L'unica cosa che mi tornava in mente però era quella dannatissima lettera. Avrei dovuto cercare mia madre, parlarle di Michael, spiegare la situazione. In tutti questi anni era stata il più delle volte irraggiungibile, se non quando, sull'orlo della pazzia, tornava per dirci quanto ci volesse bene e quanto fosse orgogliosa dei suoi figli prima di sparire nuovamente per altri due o tre anni. Ripensando a quella donna mi chiesi se ne valesse davvero la pena preoccuparsi così tanto, farsi attanagliare in quel modo dalla sua completa astrazione dalla realtà, quando fino a prova contraria lei ci aveva abbandonato, lei aveva scelto di allontanarsi. Avrei dovuto lanciare me stesso in chissà quale assurda missione per trovare mia madre e informarla della morte di suo figlio, mio fratello, a che scopo esattamente? Per pietà di quella donna? Per coscienza personale? Per rispetto di Michael? Non avevo risposta a nessuna di queste domande e non sapevo neanche quale fosse la domanda da pormi.
In ogni caso era certo che mia madre non meritasse tutte queste mie attenzioni né tanto meno avesse il diritto di ridurmi ad un vegetale completamente paralizzato nel proprio letto. Il potere che quella donna aveva su di me mi spaventava. Mi era bastato leggere una semplice frase per arrovellarmi tutta la sera e la mattina, intervallata da una notte di incubi indecifrabili. Tutto questo per una stupida lettera che non avevo neanche davvero letto. Ero sopravvissuto a pestaggi, sparatorie, una vita come figlio di Apollo, e ciò è tanto dire, e alla fine venivo ridotto in quel modo da mia madre e dalle mie stupide riflessioni su di lei. Quanto avrei voluto tornare a sentirmi un ragazzo normale come il pomeriggio precedente.
Perché i ragazzi normali di solito non devono dire alla propria madre che suo figlio è morto, giusto?
Pensare a Nico riuscì a scaldarmi appena, pensai a come infondo mi avesse trattato con premura, aveva condiviso qualcosa con me che andava oltre i suoi pugni sul mio viso e ciò che accadeva con i nostri genitali. Quel pensiero mi fece battere in cuore come non lo sentivo battere da un bel po'. Volevo scendere da quel letto e semplicemente correre da lui e stringerlo forte a me, dirgli quanto mi piacesse stare insieme e che nonostante tutto la sua presenza nella mia vita mi dava un senso di pace. Per quanto la percezione esterna potesse suggerire che fosse solo un ragazzo disturbato e violento, in realtà era probabilmente l'unica persona davvero altruista e indipendente che conoscessi, non mi aveva mai usato per i suoi scopi, non aveva approfittato di me neanche una volta, anzi, dovevo sempre insistere per aiutarlo. In fin dei conti era una persona buona, che ci teneva a sua sorella, si metteva nei guai e i suoi metodi non erano quasi mai socialmente accettabili, ma le sue azioni erano mosse dalla volontà di soprvvivere e far sopravvivere chi amava. Purtroppo il mio corpo non rispose neanche allo stimolo Nico Di Angelo. Avevo fame, volevo andare in bagno, ma sapevo già che il mio corpo non avrebbe reagito. E pure se fossi stato in grado di alzarmi se avessi incontrato qualcuno durante il tragitto? Che so, una Kayla inacidita o una piccola Cloe assonnata e bisognosa di affetto, non sarei stato in grado di affrontare nessuna delle due, volevo solo stare da solo a costo di farla a letto. Aprii gli occhi leggermente guardando la luce entrare dalla finestra, giusto in tempo per l'alba, quel poco che si riusciva a vedere tra gli edifici.
Il tempo scorreva tra un flusso di pensieri e l'altro, talvolta mi riaddormentavo, altre invece provavo con tutto me stesso a muovermi, anche solo allungare il braccio per recuperare il cellulare, ma nulla. Anche la minima azione mi costava uno sforzo disumano, come se stessi provando a reggere il peso del cielo sulle spalle. Qualsiasi cosa mi terrorizzava, mi atterriva. E se tra i messaggi avessi trovato qualcosa di brutto, qualche cattiva notizia, come l'avrei affrontata? Nella mia mente si intrufolarono pensieri terribili che non sto qui a raccontare.
Proprio mentre immaginavo incidenti, ambulanze, polizia e terapie intensive sentii un letto scricchiolare dei passi avvicinarsi alle mie spalle.
"Will sei sveglio?" Mi chiese Lee bisbigliando, non risposi, non sapevo neanche io se fossi davvero sveglio. Non sentendo alcuna risposta da parte mia sbadigliò rumorosamente e ascoltai i suoi passi allontanarsi fino ad uscire dalla stanza. Lee era davvero un ottimo fratello, lavorava, studiava, faceva sport, era bello, attraente, sempre solare e positivo, a volte eccessivamente ironico, ma di certo non era il tipo di persona che ti metteva pressioni o sfogava le sue frustrazioni sugli altri. Come immaginavo mi lasciò stare, non so se si fosse accorto che in realtà non stavo davvero dormendo. In ogni caso era strano per tutti che ben oltre l'alba io fossi ancora a letto. Chiusi gli occhi e senza accorgermene ripiombai in un sonno agitato.
"Will alzati! Ci sono tantissime cose da fare." Il riposo durò poco, dato che Kayla urlò a meno di un metro da me causandomi un fastidiosissimo spasmo involontario di paura. La sentii entrare nella stanza con passi pesanti, arrivare alle mie spalle e afferrare probabilmente la pila interminabile di vestiti sporchi tra i nostri letti. Il letto a castello alle mie spalle accanto alla porta scricchiolò rumorosamente e capii che anche Austin era stato brutalmente svegliato. Attesi di sentire i suoi passi nervosi scendere le scale e dato che ormai mi ero mosso decisi di allungare il braccio molto lentamente per afferrare il telefono in bilico tra il letto e il muro. Fortunatamente non c'era nessun messaggio catastrofico ad attendermi, nessuna lista interminabile di chiamate perse, nessuno mi aveva minimamente cagato. La cosa mi rallegrò e decisi di spegnere il telefono per evitare di giocare ancora con la fortuna. Non avevo intenzione di assistere o farmi coinvolgere in casini più grandi di me quel giorno. Posai il telefono sotto il cuscino e mi coprii meglio per cercare di riaddormentarmi.
"Will stai dormendo?" Il mio piano ovviamente non funzionò, mio fratello Austin scese dal letto a castello con un salto facendo tremare l'intera stanza. Sperai solo di riuscire ad ingannarlo. "Grazie, mi risparmierò il 'ti svegli sempre per ultimo merdina' da parte di Kayla oggi." Ridacchiò contento, almeno qualcuno sosteneva quella mia astensione dalla vita di quel giorno. Finalmente ero solo, quel piccolo teppista di mio fratello ebbe anche la bontà di chiudere la porta della stanza e farmi riposare in pace. Ebbi giusto il tempo di chiedermi cosa scattasse nella mente di chi mi stava attorno quando mi vedevano in quello stato: Kayla si incazzava, Lee faceva finta di niente, Austin mi appoggiava, Cloe era preoccupata e Josh era... chi può sapere cosa ci fosse nella testa di quel bambino. In ogni caso non potevo fuggire dal fatto che esistevo e ciò aveva conseguenze, se non dormendo, e fortunatamente ci riuscii.
"Will ti prego non lasciarmi da sola."
"Va bene, fottiti."
"Willy, ti ho portato una coroncina di fiori, l'ho fatta al parco per te."
"Will ti prego guardami cazzo, mi spaventi da morire."
Fui svegliato da un vociare indistinto, non sapevo se quelle frasi che avevo sentito facessero parte di un sogno o della realtà, o da chi fossero state pronunciate. Non riuscivo neanche ad aprire gli occhi, ma man mano che prendevo conoscenza iniziai a percepire anche i rumori dei passi di diverse persone nella stanza. Ero completamente pietrificato, erano venuti tutti insieme a tormentarmi? Cosa volevano da me non avevo diritto di dormire un po' in più? Volevano farmi sentire in colpa? Era completamente inutile, né il senso di colpa, né il dolore, neanche i bisogni fisici riuscivano a smuovermi da quella situazione. Ero completamente immerso nella mia stessa merda e non potevo farci niente. Dopo aver insistito ancora un po' ebbero la decenza di uscire dalla stanza chiudendo la porta.
"Sta solo confermando le mie ipotesi così..." Sentii bisbigliare da Kayla e una lacrima scese sul mio viso, la voce non riusciva ad uscire dal mio corpo.
"Quali ipotesi?" Chiese Lee, di certo non bisbigliando.
"Pensaci bene, passa giorni interi a correre da un pericolo all'altro, si sveglia all'alba facendo ventimila cose, parla senza fermarsi, affronta chiunque sentendosi invincibile. Come mamma potrebbe essere-" Anche Kay presa dal discorso aveva smesso di bisbigliare, ma fu interrotta da Lee, in che senso come la mamma, cosa aveva mia mamma?
"Non ci provare, sai bene che essere logorroici, iperattivi e autodistruttivi fa parte del pacchetto 'figli di Apollo'. Allora anche tu dovresti preoccuparti." Li sentii camminare avanti e indietro nel corridoio fuori la mia porta mentre discutevano. Lo stavano facendo di proposito? Volevano farmi stare peggio di quanto non fossi già? Volevo farli stare zitti, volevo stare lontano da tutti quei casini, mia mamma, la lettera, la mia famiglia del cazzo.
"Si ma io non resto così, come un vegetale, muta, dopo averlo fatto. È già successo e questo è solo l'inizio." E pure aveva ragione.
"Comunque non credo che tu abbia le competenze per diagnosticare una cosa del genere a tuo fratello." Punto per Lee.
"Come lui non ha le competenze per operare, estrarre proiettili e fare trasfus-." Non riuscii a sentire più nulla, erano arrivati troppo lontani e il rumore di passi che salivano le scale coprì le loro voci. Qualcuno improvvisamente entrò nella stanza e corse verso il mio letto. Mio fratello Josh saltò su di me ignorando completamente il mio stato psicofisico, mi poggiò accanto al viso, letteralmente sul cuscino, un panino avvolto in vari strati di carta.
"Ti abbiamo preso il burger vegetariano! Volevo dirti che ti prometto che non prendo più le cose pericolose dalla stanza degli altri però non essere arrabbiato con me..." Quanto avrei voluto dirgli che non ero arrabbiato con lui ma venni distratto dalla sua maglietta, vestiva larga e gli illuminava il viso. Mi ritrovai a fissarla senza rendermene conto. Arancione. Campo Mezzo sangue.
Guardare quella maglietta su mio fratello mi sbloccò un ricordo e qualunque ipotetico contatto con la realtà venne spazzato via da quell'immagine.
Avevo 9 anni. Ancora non sapevo che mia mamma non sarebbe più passata a prendermi, anzi, non avrebbe più fatto parte della mia vita nei successivi sei anni.
Mi specchiavo annoiato nelle acque calme e scure del lago, ridisegnando con un dito la stampa di un pegaso nero sulla mia maglietta arancione, mi piaceva davvero molto. Improvvisamente sentii un cinguettio strano alle mie spalle provenire dal bosco. Qualunque cosa fosse sembrava strillare dal terrore. Istintivamente corsi verso il suono addentrandomi tra gli alberi a ridosso della costa, l'aria era pulita e fresca nonostante il sole caldo alto in cielo. Cercai di orientarmi ascoltando attentamente il cinguettio spaventato e poco dopo trovai il pennuto starnazzante ai piedi di un grosso albero ricurvo.
Raccolsi l'uccellino caduto dal nido che si dimenava in preda al panico, lo tenni delicatamente tra le mani osservando il suo delicato piumaggio, la sua minuscola testolina e il becco che non riusciva a stare chiuso un attimo. Capii che stava piangendo, nonostante il suono fosse melodico e piacevole. Alzai la testa scrutando tra i rami in cerca del nido da cui era saltato. Volevo salvarlo. Dopo un po' di ricerca notai qualcosa si scuro e fitto sul ramo più grosso e decisi di salirci per riportare il passerotto a casa. Stipai il cucciolo in una delle tasche del mio pantaloncino cargo da scout, insieme al mio stetoscopio giocattolo, e iniziai l'arrampicata. Non fu difficile, l'albero era grosso e nodoso, offriva ottimi appigli anche per un bambino imbranato come me.
Quell'anno il comitato di quartiere Ripuliamo il South Side si era impegnato a raccattare tutti i bambini sfortunati della zona, poveri, con genitori tossici o in galera. L'obiettivo era quello di tenere i bambini lontani dalle strade per evitare crescessero come criminali calcando l'esempio dei genitori. Inutile dire che sia il comitato di quartiere che il Campo Mezzo sangue, ovvero il posto in cui ci portarono, fallì miseramente. Il capo era un certo Chirone, un poliziotto ormai alla fine della sua carriera ma comunque in ottima forma fisica e mentale, riusciva a tenere a bada i più e non ci ha mai trattati come dei rifiuti umani a differenza di molte altre 'persone per bene che volevano aiutare quei poveri bambini'.
Tornando al passerotto, riuscii a raggiungere il ramo su cui c'era il nido e con un sospiro di sollievo mi sedetti a cavalcioni, con la presa ben salda al tronco, godendomi la vista e la tranquillità di quel momento. Amavo stare al sole tra gli alberi rigogliosi in estate, sentire gli animali popolare il bosco, mi beai di quell'aria fresca lontano dalla città.
Vidi mia sorella minore Kayla e il mio fratellone Michael che tentavano di nuotare nel lago, Kayla stava facendo grandi progressi rispetto ai primi giorni, era sempre così brava ad imparare cose nuove.
Da lassù avevo una visuale perfetta sul bosco, sul lago e sull'accampamento. Notai due ragazzini a qualche albero da me stare stretti uno vicino all'altro e quando si staccarono capii che si stavano baciando. Improvvisamente sentii le orecchie andare a fuoco e probabilmente arrossii. Continuando a guardare notai che il ragazzo moro, circa dell'età di mio fratello Michael, stava incidendo qualcosa sulla corteccia fresca dell'albero. Da lontano riuscii semplicemente a riconoscere la forma un po' asimmetrica di un cuore. Quando lui terminò la ragazza riccia e bionda gli prese il viso tra le mani stampando un altro bacio in un punto imprecisato del viso. Decisi di lasciargli un po' di privacy e ritornai alla missione passerotto da salvare. Recuperai l'uccellino dalla tasca, quel poverino non smetteva un attimo di strillare. Cercai di allungarmi il più possibile verso il nido con il minuscolo volatile tra le mie altrettanto piccole mani, non appena l'uccellino riconobbe il nido saltò autonomamente a casa sua riempiendomi il cuore di gioia. Purtroppo però preso dal momento non mi accorsi che mi ero sporto troppo e persi l'equilibrio così in fretta che non ebbi neanche il tempo di aggrapparmi con le mani da qualche parte. Fortunatamente le mie gambe ressero e con una presa stretta mi mantenni aggrappato al ramo in stile pipistrello. Vedere quel boschetto sotto sopra era ancora più idilliaco, i rami, da quella prospettiva, sembravano in realtà radici affondate nel cielo estivo azzurrissimo. Il sole tra le foglie acquisiva una tonalità verdastra allegra. Il sangue confluiva sempre di più nella mia testa e stava iniziando a venirmi da ridere senza motivo. Con una spinta del torace dondolai fino ad aggrapparmi al grosso ramo anche con le braccia e faticosamente strisciai fino a tornare alla posizione originaria. Mi girava un po' la testa, certo, ma ne era valsa la pena. Continuai ad osservare il boschetto e notai un bambino minuto dai capelli scuri ed arruffati nascondersi all'ombra di un albero poco lontano da me ed osservare la scena della coppietta carina. Non sembrava contento di ciò che vedeva. Improvvisamente con passo deciso si diresse verso i due con i pugni stretti. Si avvicinò da dietro tirando la maglietta del ragazzo per richiamare la sua attenzione.
"Percy, mi avevi promesso che avresti giocato con me questo pomeriggio!" Urlò pestando un piede a terra. Il ragazzo più grande si girò di scatto e per poco non scoppiò a ridere.
"Sì, dopo, ora va a cercare Bianca, su." Sembrò quasi spingerlo scherzosamente e il bambino fece un passo indietro.
"Ti odio!" Urlò lanciandogli una statuina, probabilmente del gioco a cui voleva giocare, dritta in testa. Quello che in teoria si chiamava Percy indietreggiò inciampando in un buco nel terreno che sembrava essere comparso dal nulla. La ragazza bisbigliò qualcosa, probabilmente 'andiamo via' perché i due si allontanarono verso le rive del lago ridacchiando e lasciando il bambino da solo accanto all'albero inciso. Il piccoletto infuriato guardò il cuore inciso e cacciando dalla tasca qualcosa di appuntito cominciò a colpire ripetutamente la parte incisa. Quella scena mi fece stare male, decisi di scendere e corrergli incontro, dirgli che avrei giocato io con lui, ma scendere era sempre più complicato che salire. In maniera molto lenta e cauta cercai di ripetere i movimenti fatti per arrampicarmi fin là su però al contrario, cosa che mi riuscì abbastanza bene ma che causò tanto rumore. Il bambino triste notando i suoni alle sue spalle si girò a guardare nella mia direzione e dopo un po' mi vide, ancora mezzo penzolante dall'albero. Prima ancora che riuscissi a dirgli 'ciao' il bambino mi scrutò con occhi sgranati e fuggì nella direzione opposta alla mia.
[•••]
"Ehi che cosa succede?" La voce di Bianca Di Angelo mi risvegliò da quel blackout improvviso. La finestra poco sopra al mio letto era aperta e lasciava entrare parecchia aria umida di pioggia. Avrei voluto guardarla, magari rispondere alla sua domanda, ma i miei occhi rimasero incantati a fissare un punto indefinito.
"Oh Will mi dispiace vederti così." Posò una mano sulla mia spalla scoperta e sentii una fastidiosa scossa elettrica percorrermi il corpo. Mi girai di scatto dandole le spalle e mi coprii con il lenzuolo per non farmi vedere.
"Non volevo che ti nascondessi però..." Borbottò Bianca dispiaciuta. Quello scatto istintivo aveva fatto sì che il mio corpo venisse sbloccato da quella stasi angosciante. Anche se molto intorpiditi il miei muscoli risposero al mio comando. Stavo lentamente riprendendo il controllo.
"Dove hai la roba?" Mi chiese Bianca vagando per la stanza in cerca di qualcosa. "Oh, fa niente, l'ho trovata." Sentii il rumore della bustina di plastica e delle cartine e capii.
"Allora, visto che il dottor raggio di sole qui presente non sembra essere loquace come al solito... sta volta parlo io." Sentii che si sedette sul bordo del mio letto accanto ai miei piedi, stese le gambe e appoggiandosi con la schiena fece scricchiolare la parete di legno.
"Innanzitutto volevo portarti in un posto carino oggi, sono sicura ti piacerà, nel tour è compreso anche un assaggio." Sembrava abbastanza esaltata dalla cosa, mi dispiaceva non riuscire a guardarla. Decisi di uscire di nuovo fuori dal mio bozzolo di lenzuola per ricominciare a respirare normalmente e fortunatamente il mio corpo mi diede retta. In un colpo sbucai solo con gli occhi fuori e le diedi uno sguardo, era tutta impegnata a preparare una canna e sembrava ignorarmi.
"Ora che ho attirato la tua attenzione vorrei scusarmi per come sono piombata a casa tua senza preavviso. Non ce la facevo più a stare in quella casa. Il ritorno di Ade non è mai positivo." Ah quanto ti capisco. Pensai, ma preferii non portare alla luce il discorso.
"Siamo pari." Biascicai con voce flebile e assonnata. Sentivo la mandibola indolenzita, quasi come se avessi stretto i denti per molto tempo, probabilmente durante il blackout di poco prima. "Ieri sono stato da te anche io senza preavviso." Facevo difficoltà ad articolare le parole, ancora parzialmente immerso in quel torpore opprimente. Bianca, veramente in pochissimo tempo era riuscita a chiudere una canna perfetta, nonostante ciò ancora non mi guardava, lasciandomi la giusta privacy ma comunque coinvolgendomi nelle sue azioni.
"Hai questa abilità di venire a casa mia sempre quando non ci sono, comincio a pensare che tu lo faccia di proposito, furbetto." Disse Bianca ridacchiando, mi afferrò le gambe e cercò di farmi il solletico. Scalciai cercando di sfuggirle e per farlo lanciai in aria tutte le coperte, lasciando esposto il mio corpo steso con ancora indosso i vestiti del giorno prima. Lei prese di nuovo le mie gambe e fece in modo che le mettessi sulle sue iniziando ad accarezzarle dolcemente. "Anche se te lo sconsiglio, per ora." Continuava a fissare un punto fisso davanti a sé mentre con la mano libera si accese la canna.
"Riguarda tuo padre?" Chiesi mentre ancora steso mi stiracchiai le spalle allungando le braccia oltre il confine del letto. Approfittai di quel gesto per aprire ancora un po' la finestra e fare uscire il fumo.
"Eh già, non è una brava persona e questo si sa, il problema più grande è che è sempre capace di trascinare giù anche gli altri nella sua merda." Fumava tranquilla ma la sua voce era turbata. "Voglio che tu stia attento." Pronunciò quest'ultima frase guardandomi di colpo dritto negli occhi, con uno sguardo serio e penetrante, degno di suo fratello minore. Deglutii annuendo cercando di sostenere il suo sguardo che sembrava scavarmi dentro. Lei scosse il capo fece un bel tiro profondo e mi passò la canna distraendosi a guardare altrove.
"Sappi che puoi venire a stare da me quando ti pare." Cercai di tranquillizzarla facendo forza faticosamente sui gomiti per afferrare la sua offerta e rimanere in posizione semi stesa. Ah, pensai. Una bella dose di problemi degli altri per non pensare ai miei era proprio quello di cui avevo bisogno.
"Ma tua sorella è una stronza. Non mi sopporta." Sbottò lei con un braccio allungato verso la scrivania ai piedi del letto, vidi che afferrò un pennarello, poi il mio piede, abbassò l'orlo del calzino e staccò il tappo.
"Non ha voluto farmi entrare, mi ha detto che aveva già mille problemi e i Di Angelo non facevano parte di questi. Quindi ho optato per la finestra." Annuii facendo spallucce. Osservavo la scena mentre fumavo, al contempo divertito e incuriosito. Sentii la punta del pennarello premere sulla pelle della mia caviglia componendo una parola, poi un'altra e un'altra ancora fino a formare una frase. Soddisfatta completò la sua opera e accennò un sorriso, alzò la gamba in questione per mostrarmi la scritta 'Will Sol-ass is a crazy motherfucker' in una grafia incasinata ma femminile. Sorrisi divertito da quella definizione.
"E poi lascerei da solo quella testa di cazzo di mio fratello in queste condizioni."
"Nico sta bene ora." Cercai di rassicurarla. "Deve solo evitare di farsi coinvolgere in altre rapine, sparatorie e fughe varie." Fumavo tranquillo, steso sul mio letto, quel contatto con Bianca mi stava aiutando tantissimo a sciogliermi. Nonostante ci conoscessimo veramente da poco sentii che tra di noi si era creato un legame sincero, non permettevo a nessuno di starmi vicino quando mi trovavo in quello stato, ma lei era entrata senza preavviso, aveva deciso senza lamentarsi di starmi accanto anche in quelle condizioni, mi coccolava, lasciandomi comunque i miei spazi, ci sapeva fare con episodi del genere.
"Più facile a dirsi che a farsi." Ammise mentre con le mani si districava i capelli preparandoli per una treccia. Mentre fumavo la guardai intrecciarsi i capelli in modo disordinato e rapido.
"Se la cosa ti fa stare più tranquilla stagli vicino." Avrei voluto davvero rivelarle il piano di suo fratello, ma mi trattenni, non mi sembrava rispettoso. Tra l'altro non ero neanche sicuro di quale fosse effettivamente il suo piano, in fin dei conti mi aveva chiesto solo dei sonniferi.
"Però non esitare a chiamarmi e se la situazione si mette male chiama la polizia."
"La polizia." Ridacchiò infastidita. "Come se facesse qualcosa. Ci tengo a ricordarti che è stata la polizia a scarcerarlo." Le sue parole erano taglienti e pregne di risentimento e non aveva tutti i torti purtroppo. Allungai un braccio e lei nervosamente afferrò la canna senza neanche guardare.
"In ogni caso io ci sono, davvero. Casa mia è sempre aperta per te, Kayla a parte. Non voglio che ti succeda qualcosa... Che vi succeda qualcosa." Man mano che parlavo la mia voce si abbassava, un'orribile sensazione di oppressione iniziava a pesarmi sul petto, mentre i battiti acceleravano. Feci un profondo respiro cercando di rimanere ancorato al mondo attorno a me.
Forza Will puoi farcela.
Respira.
Cinque cose che puoi vedere, allora... la finestra, le nuvolette di fumo sulle nostre teste, la mia pancia leggermente scoperta, il soffitto macchiato dall'umidità, Bianca che mi accarezzava le gambe.
Ok bravo, respira, ora quattro cose che puoi toccare, ehm, le lenzuola stropicciate, il filo delle cuffie ancora parzialmente incastrato sotto la mia schiena.
Mi lasciai cadere sul letto rilassando finalmente le braccia che mi avevano retto fino a quel momento, feci un respiro profondo e continuai l'esercizio portandomi una mano al petto.
Ok, bene, il mio petto che si alza e si abbassa mentre respiro, le pieghe sulla mia maglietta. Poi...
"Will stai bene?" Bianca aveva notato che qualcosa non andava.
Ora tre cose che puoi sentire, l'acqua che scorreva nella doccia del bagno accanto alla mia stanza, la voce di Bianca...
"Ehi, non ti preoccupare, ce la caveremo." Sentii lo scricchiolio del letto mentre Bianca cercava di avvicinarsi a me per capire meglio cosa mi stesse succedendo.
Letto che scricchiola, completata anche questa parte, ottimo, respira. Poi...
Improvvisamente sentii la porta della stanza aprirsi, spalancai gli occhi spaventato. Lee entrò di corsa con un'asciugnamano in vita ancora bagnato dalla doccia, non ci guardò neanche.
"Ops, scusate belli, non esisto, non ho visto niente, tolgo subito il disturbo." Afferrò delle cose da un paio di cassetti, rimanendo sempre di spalle, e fuggì via così com'era entrato. Effettivamente lasci tuo fratello in preda ad una crisi depressiva e quando torni lo trovi con una ragazza stesa nel suo letto, potrebbe risultare un tantino equivoco e confuso.
Cazzo, dov'ero arrivato, non riuscivo mai a completare quel cazzo di esercizio.
Bianca non aveva tolto neanche per un attimo gli occhi da mio fratello e un sorrisetto le comparve sul viso.
"Mh, quindi, dicevamo, quando mi posso trasferire?" Bianca si mise in posa in modo scherzoso con una mano sotto il mento, era molto elegante con le sue bellissime ciglia scure che sbattevano più del solito. Quella frase improvvisa e spontanea mi divertì distraendomi dalla pesantezza del momento.
Era quella la mia reazione quando Nico entrava in una stanza in cui c'ero anche io?
La guardai per un attimo con sguardo complice prima di spingerla via scuotendo la testa rassegnato.
Dopo un'infinita opera di convincimento da parte di Bianca, mi scelse l'outfit, mi spinse fino al bagno dolcemente, cercò di farmi mangiare un minimo pezzo del panino che mio fratello minore mi aveva lasciato sulla scrivania, mi mise in testa una coroncina di fiori comparsa nella mia stanza chissà quando e mi promise che non me ne sarei pentito, decisi di alzarmi, tanto cosa avevo da perdere? Una volta pronto Bianca mi trascinò giù in cucina, fiera e soddisfatta, sotto lo sguardo incredulo dei miei fratelli. Personalmente non mi sentivo così trionfante. Tutta quella luce, tutte quelle persone mi facevano sentire a disagio, volevo tornare a letto, in quel caldo strumento di difesa dal mondo esterno. Sentii gli sguardi pesanti dei miei fratelli, parlavano ma non capivo cosa dicessero o se fossero rivolti a me.
Ho pochi ricordi di ciò che successe dopo. Bianca mi portò nella parte ancora più periferica del South Side, fuori un grande capannone malmesso. Mi invitò ad entrare e quando aprii la porta scricchiolante e decadente un centinaio di piantine di marijuana si stagliarono davanti a me, inebriandomi con il loro tipico profumo. Dopo di che i ricordi si affievolivano ancora di più. Ricordi confusi di noi che fumavamo, di Bianca che mi presentò la sua amica che gestiva quel posto, Miranda, una tipa simpatica e alla mano, senza quel piglio spaventoso tipico di Bianca, fumammo ancora, mi offrirono un lavoro ed ero contento di ciò, quindi accettai, almeno potevo cancellare qualcosa dalla mia lista mentale delle cose da fare. Non ricordo molto altro, non ricordo cosa mi avessero detto di fare, so solo che in un tempo indefinito, dopo il tramonto, tornai in qualche modo a casa.
[•••]
Immerso con le mani nel lavandino della cucina intento a lavare le cataste di piatti sporchi lasciate dai miei fratelli, sentii il telefono nella mia tasca squillare. Ancora con le mani bagnate e insaponate afferrai il cellulare. Il numero era sconosciuto e non mi sembrava familiare, con un po' di fatica avendo le mani bagnate, risposi alla chiamata.
"Chi parla?"
"Ci sei tra 15 minuti dietro il campo della scuola?" Mi chiese una voce molto familiare, anche abbastanza bassa e seria, mi ci volle un pochino per capire. "Ci sei?" La voce aumentò gradualmente di volume facendosi più rabbiosa e capii che dall'altro capo c'era Nico.
"Come hai avuto il mio numero?" Chiesi sorpreso e un sorriso spuntò sul mio viso senza che io potessi controllarlo. Sentii un calore vitale irradiarmi le guance in modo piacevole. "Stai bene c'è qualche problema?" Lo sentii sbuffare impaziente.
"Ti ho fatto una cazzo di domanda e ora te la ripeto, ci sei o no?" Ringhiò ignorando completamente le mie domande. Man mano che la sua voce si alzava di qualche tono il mio cuore batteva sempre più forte.
"Sì, sì certo." Risposi d'impulso, improvvisamente ero pervaso da una voglia incontenibile di uscire di casa, sempre io, che fino a qualche ora prima dovevo essere trascinato di forza fuori dal mio letto. "Certo che ci sono, sistemo alcune cose e arrivo."
"Ok, come vuoi." Riuscii a sentire, prima che il rumore sordo della chiamata interrotta mi riempì le orecchie.
Impazzii. In 10 minuti finii di lavare due vasche piene di piatti, andai di sopra a darmi una sistemata e corsi verso la porta. Arrivato all'ingresso principale guardai il mio riflesso nello specchio notando che avevo un sorriso da ebete stampato in faccia e non riuscivo a tornare serio.
Camminavo spedito nella notte, diretto verso la scuola, il vento sferzava sul mio viso facendomi esplodere i ricci in tutte le direzioni. Nico mi stava aspettando, mi aveva chiamato di sua spontanea volontà, stava aspettando me. Il cuore mi batteva impazzito nel petto, volevo correre, saltare, cantare a squarciagola dall'emozione. Finalmente, da quando avevo aperto gli occhi quel giorno, mi sentivo vivo.
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Disclaimer: l'autrice parla (purtroppo), che dire, chi ha visto Shameless credo si aspettasse questo momento prima o poi, chi non l'ha fatto calm* ora vi spiego.
Probabilmente ho scritto la cosa più OOC dell'universo e chiedo venia, ma vi giuro sono STANCA di leggere sempre Will SEMPRE UGUALE, in tutte le cazzo di fanfiction. Sempre solare, sorridente, non si lamenta mai di niente, non sembra mai avere problemi, mai una giornata no, mai un drama nella sua vita, e invece Nico sempre il povero diavolo che le ha vissute tutte lui, Nico ha gli incubi, Nico ha le paranoie, Nico ha le allucinazioni, Nico non mangia... Ovviamente tutto ciò non è per screditare Nico, è il mio personaggio preferito tra tutti i personaggi creati da Riordan e non solo, lo amo con tutta me stessa. Certo, Nico è davvero il personaggio che ha la peggio in ogni sacrosanto libro in cui compare, ma non dimentichiamo che anche Will è un semidio, anche Will ha visto alcuni dei suoi fratelli morire e ha come padre una delle divinità più idiote della saga, Apollo, che a parer mio si comporta ben peggio di Ade nei primi 10 libri (ToA esclusi, quindi). Niente in contrario al Will allegro comunque, semplicemente volevo dare spazio anche alle sue sofferenze.
Scusate lo sfogo.
Disclaimer bis: parlare di malattie mentali è complicato, soprattuto per una persona non esperta. Tutto ciò che ho scritto è frutto delle mie esperienze e della mia fantasia. Non studio psicologia, anche se mi sarebbe piaciuto, spero soltanto di non offendere nessuno e non essere causa di turbamenti o condizionamenti. È una semplice fanfiction nata dalla mia fantasia, senza uno scopo se non quello di dare sfogo a quello che sento, spero quindi venga presa per quella che è, senza alcuna pretesa di aderenza alla realtà scientifica e medica del problema.
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