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4. Shit.

"Certo che si, amore." Rispose quando finalmente riuscì a calmarsi. Poi si fermò per un istante e mi fissò interdetta. "E se lo facessimo davvero?" Mi chiese sorridendo.

"Cosa?" Chiesi, sperando di aver capito male.

"Come cosa. Stare insieme, Will. Di che stiamo parlando?" Scoppiò a ridere, la mia faccia doveva essere davvero esilarante.
"Ti credevo più sveglio Solace." Mi diede una pacca sulla spalla spingendomi un pochino, ma io continuavo ad essere confuso.

"Non credo di esserne capace." Le dissi onestamente e lei mi fissò sollevando le sopracciglia e incrociando le braccia.

"Pensaci, ti lascerebbero in pace, nessuno sospetterà che tu sia gay e io avrei il mio primo ragazzo degno di questo nome, con cui fare cose da fidanzati e non scopare soltanto." La cosa mi fece sorridere, ma in effetti non aveva tutti i torti, anzi sembrava proprio una buona idea. Cosa avevo da perdere?

"Va bene." Dissi in un soffio.
"Ci sto." Ribadii con sicurezza fissandole la garza sul ginocchio. Lei mi abbracciò stampandomi un bacio innocente sulle labbra.

"Grazie." Mi strinse appoggiando la testa sulla mia spalla. Sorrisi, era sincera, l'avevo resa felice e la cosa mi scaldò il cuore.

"Ci vediamo oggi da me? Mi controlli la fasciatura al ginocchio e studiamo un po'." Mi chiese speranzosa mentre si alzava dal lettino con un salto.

"Oggi? Da te?" Chiesi sorpreso. "Soli?"

"Sì perché? Cosa c'è di strano? Non proverò a saltarti addosso di nuovo, non preoccuparti." Ridacchiò divertita, probabilmente per la mia espressione.

"No, niente." Scossi la testa, assorto. Solo al pensiero di andare a casa Di Angelo e avere la possibilità di incontrare il mio più grande incubo, le mie ginocchia cedettero. Per la paura e la rabbia, ovviamente, o almeno cercavo di convincere me stesso di ciò.

"Ci vediamo oggi allora, stramboide." Mi salutò stampandomi un innocente bacio sulle labbra e sgattaiolò via.


[•••]

"KAYLA JOCELYN SOLACE." Urlai affacciandomi dalle scale, quella ragazza aveva un innato talento a farmi perdere la pazienza, ogni volta che qualcosa andava storto durante la mia giornata per la maggior parte delle volte era colpa sua.
"SPIEGAMI COSA CAZZO E' SUCCESSO ALLE MIE VANS." Osservavo tristemente le mie scarpe ormai inutilizzabili, la gomma sulla punta e sui talloni era completamente distrutta, la suola staccata per metà della scarpa.
"SE NON SCENDI SALGO IO. E NON TI PIACERÀ, NON TI PIACERÀ PER NIENTE." Continuavo a minacciarla ma di lei neanche l'ombra.

Salii di corsa le scale con in mano una bomboletta di formaggio spray, la cosa più odiata da mia sorella, e nell'altra il corpo del reato, le mie scarpe. Una volta al piano di sopra mi acquattai, camminando più lentamente possibile per non fare rumore. Poggiai un orecchio vicino alla porta della sua camera prima di spalancarla con una spallata ed entrare puntando in giro la bomboletta di formaggio spray. Kayla non c'era. Digrignai i denti infuriato, mentre bisbigliavo maledizioni in greco antico. Perché lo facevo? Bella domanda.

"Ho sempre pensato che tu fossi un caso clinico, ma ora ne ho avuto decisamente la prova." Una voce alle mie spalle mi fece sobbalzare, mi voltai fingendo indifferenza. Mio fratello Lee, appoggiato alla porta della nostra camera con le braccia conserte che mi guardava divertito e un tantino shockato allo stesso tempo.

"Dov'è Kayla?" Gli chiesi ignorando completamente la sua battuta mentre mi sistemavo la maglietta.

"Sta facendo la doccia, credo." Corsi subito alla porta del bagno colpendola ripetutamente con dei pugni.

"TU. ANEMICA STRONZETTA APRI QUESTA CAZZO DI PORTA." Urlai continuando a battere i pugni contro il legno, la mia testa ormai era un concentrato di piani di vendetta.

"Non ti sento." Mi rispose fischiettando dal bagno e aprì l'acqua nella doccia.

"Quante volte ti ho detto di non prendere le mie scarpe per correre? Cosa cazzo mi metto ai piedi ora?" Continuai a parlarle come un idiota a voce alta, sapendo che comunque non mi avrebbe mai dato ascolto.

"Non è colpa mia se i nostri genitori hanno creato te con i piedi piccoli per un ragazzo e me con i piedi enormi per una ragazza." Pensava di essere al sicuro dietro quella porta, pensava che poteva prendermi per il culo senza problemi. E aveva ragione, cazzo.
"Ci sono un paio di infradito che non mi servono in camera mia." Suggerì divertita, lo sentivo dal suo tono di voce.

"Vaffanculo Kayla, sfonderei la porta se avessi tempo ma sono in ritardo, dannazione. Questa sarà l'ultima botta di culo della tua vita, ricorda queste mie parole." Urlai da dietro la porta con fare teatrale e ancora fottutamente incazzato. Non riuscivo a credere che l'unica alternativa all'uscire scalzo era uscire con delle infradito gialle ed arancioni.

Scesi in cucina per recuperare qualche canna già rollata dalla mia scorta non tanto segreta nella scatola dei biscotti e sfoggiando ai piedi la prova schiacciante che non ero per niente un fratello autoritario. Trovai Lee e Cloe ad impasticciare qualcosa mentre Josh e Austin guardavano assorti un incontro di wrestling.

"Stiamo facendo i biscotti Willy." Disse una Cloe super eccitata con un luminosissimo sorriso stampato sulla faccia.

"Bravissima, conservamene un po' per quando torno." Le scompigliai i capelli con un sorriso cercando con lo sguardo il resto delle cose che dovevo portarmi.

"Dove corri?" Mi chiese distrattamente Lee mentre leggeva concentrato la ricetta.

"Mi vedo con una tipa." Restai vago mentre recuperavo lo zaino già pronto e il cellulare controllando l'ora, ero in ritardo.

"Con quelle ai piedi?" Ridacchiò pensando che scherzassi, poi notò la mia espressione mortalmente seria cambiò tono. "Cosa è successo?"

"Chiedilo a quella stronza di sopra." Sbottai con stizza imbracciando la borsa disordinatamente e sistemandomi i capelli davanti allo specchio dell'attaccapanni.

"Willy!" Venni rimproverato da mia sorella minore e mi venne da ridere, più andavo avanti nella mia vita e più mi rendevo conto di vivere in un calderone di eventi assurdi.

"Scusami cucciola, sono incazzato." Mi giustificai ridacchiando e aprii la porta per uscire.

"Due biscotti in meno per te." Mi fece una linguaccia mentre si infilava il grembiulino, era dannatamente tenera anche quando faceva la stronzetta.

"Oh, come sei crudele." Mi lamentai in modo eccessivamente drammatico, prima di uscire di casa con un sorriso. "Non distruggete la casa mentre non ci sono!" Urlai sperando che mi sentissero. Una volta fuori continuavo a fissarmi i piedi. Non potevo correre. Recuperai la bici dei vicini e sfrecciai verso casa Di Angelo.


[•••]

Bussai alla porta, sentivo della musica provenire da dentro, musica potente, quasi sicuramente metal. Bussai una seconda volta, l'ansia cominciava a salire e non ne capivo neanche il motivo. Presi il cellulare, volevo chiamare Bianca per farmi aprire, preferii suonare il campanello una terza volta in modo un po' più prolungato. Cercavo il suo numero ma non riuscivo a trovarlo, il cellulare si bloccò e io stavo perdendo la pazienza, bussai una quarta volta mentre premevo tasti a caso nella speranza di sbloccarlo, speravo soltanto di non trovarmi Satana aka Nico di Angelo tra i piedi quel pomeriggio.

La porta si aprì improvvisamente facendomi spaventare, quasi mi cadde il telefono da mano. Mi portai una mano al petto per calmare il battito e alzai la testa già cominciando a pensare a tutti gli insulti e le bestemmie che avrei blaterato.
Poi lo vidi appoggiato alla porta che mi squadrava dalla testa ai piedi con una birra in mano, senza maglietta e con un paio di pantaloncini da basket neri un po' troppo grandi per la sua taglia.

Come non detto.

"E tu che cazzo vuoi?" Il tuo, pensai ma decisi di tenermelo per me.

"Cercavo Bianca." Mi fece spazio ed entrai seguendolo. La musica assordante si sentiva ancora più forte e capii che proveniva dal piano di sopra. Mi ritrovai in un salotto spoglio, con un vecchio divano di pelle nera con qualche cuscino macchiato, un televisore con il tubo catodico, le pareti ingrigite per il fumo e l'intonaco scrostato. In fondo al salotto c'era una telaio senza porta che lo collegava alla cucina. Lo guardai andare in quella direzione e scomparire dietro la parete.

"Non è tornata." Ricomparve, passandomi una birra che rifiutai con un cenno della testa. La poggiò sulla televisione dove ce n'erano altre, probabilmente vuote. Quella casa aveva bisogno di una donna con sani principi e valori, cazzo, mia madre mi avrebbe lanciato oggetti contundenti non appena fossi entrato nel suo campo visivo se avessi lasciato la casa in quello stato.

"Mi ha detto di venire per studiare e per cambiarle la medicazione, non sai perché non c'è?" Chiesi, controllando l'ora sul cellulare, erano già passati undici minuti dall'ora stabilita per l'appuntamento e lei non si era ancora fatta viva. Mi sedetti compostamente sul divano, mentre lo guardavo accendersi una sigaretta girato di tre quarti. Riuscii a scorgere le spalle nude.

"E che cazzo ne so io, mi hai scambiato per la sua segretaria?"
Decisi di tacere, ma non fu una bella idea, perché parlare era l'unica cosa che riuscisse a distrarmi dall'osservare, e forse stavo osservando un po' troppo la sua schiena nuda ricoperta da cicatrici che prima non avevo notato. Il mio sguardo vagò verso la spalla, alla ricerca del mio marchio finché non lo trovai. Un po' sbiadito, ma c'era, e la cosa mi fece sorridere involontariamente, sotto lo sguardo torvo di Nico.

"Che cazzo ci ridi?" Si voltò verso di me, visibilmente infastidito e in imbarazzo.

"Niente, mi sono ricordato di una cosa." Guardando quel marchio, ricordai la quantità assurda di ferite che ci eravamo procurati quel maledetto giorno e corsi a controllarle con lo sguardo. Notai il suo zigomo leggermente gonfio, il taglio sul labbro e la crosticina sul sopracciglio, notai che le nocche erano state rozzamente coperte con della garza leggera, ormai incrostata di sangue.
La mia pazienza medica e umana arrivò al limite.

"Ora basta, siediti." Sbottai improvvisamente, alzandomi di scatto, mentre cercavo di rendere la mia faccia più seria ed autoritaria possibile.
"Sei forse impazzito? Hai deciso di perdere le dita della mano?" Lui mi guardò stranito, probabilmente chiedendosi quale fosse il disturbo mentale che mi affliggeva.
"Non mi interessa del tuo orgoglio e della tua testa dura, devo sistemarti quella medicazione e controllare la ferita se non vuoi perdere la mano." Spiegai, sempre in modo serio e autoritario. Lui non disse niente e non si mosse di un millimetro. Abbassò la testa per evitare il mio sguardo, mentre io mi avvicinavo. Arrivato ad una distanza minima, allungai il braccio per prendere il suo, ma lui si scostò.

"Non ho bisogno di una fottuta infermiera, ok?" Alzò la testa e si raddrizzò, per tenere il confronto, ma era abbastanza più basso di me. Fece un passo indietro e prese un tiro dalla sigaretta sbuffandomela dritto in faccia. Cercavo di mantenere la calma, non ero un fan accanito della violenza, a differenza sua, ma il suo modo di fare mi provocava strane reazioni corporee ed emotive.

"Oh, invece ne hai bisogno e come. Non me ne fotte un cazzo se hai problemi con le persone, se mi odi o se odi te stesso per essere come me. Non puoi continuare così, alla fine quello che lo prende in culo sei sempre tu, lo capisci? Ti sta bene? Ti sta bene farti mettere i piedi in testa dalla vita?" Le parole schizzarono fuori dalle mie labbra come vomito, senza controllo. Tutto il casino nella mia testa prese forma e si trasformò frasi di senso compiuto. Urlai un po', probabilmente, ma come potevo non urlare dopo tutto quello che mi ero tenuto dentro? Mi ero liberato di un peso e Nico sembrava sconvolto.
Odiavo le persone con la testa dura, quelle che negano l'evidenza pur di mantenere l'orgoglio intatto. Lo odiavo perché capivo esattamente cosa provasse. Se solo fosse stato abbastanza onesto da ammetterlo, il problema sarebbe semplicemente scomparso. Lo odiavo perché volevo aiutarlo ma lui non me lo permetteva. Lo odiavo perché mi importava. Lo odiavo con tutto me stesso. L'odio mi bruciava nel petto e mi diede la forza per reagire.

In seguito capii che l'odio può nascere solo dall'interesse. Non puoi odiare qualcosa di cui non ti importa, semplicemente la ignori, ma non la odi.

Gli stavo tenendo testa, gli parlavo faccia a faccia e non avevo paura di dire tutto quello che mi passava per la mente. Si leggeva nei suoi occhi che non capitava spesso, non era abituato a tutto questo. Le persone, quando lo vedevano, abbassavano la testa o deviavano lo sguardo, avevano paura di lui. Io invece non avevo paura di guardarlo negli occhi, di rispondergli e di reagire, non avevo paura di sporcarmi le mani scavando nell'oscurità che lo circondava. Lo trattavo esattamente come mio eguale, né come padrone da temere, né come feccia da evitare, lo trattavo da essere umano.

"Ma che cazzo vuoi da me, uhm? Tu non sai un cazzo di me. Neanche ti conosco." Sbottò incazzato, il fuoco cominciava a riaccendersi dietro i suoi occhi. Temevo che da un momento all'altro mi sarebbe arrivato un pugno dritto in faccia, ma non successe, le mani rimasero immobili lungo il suo corpo.

"Potrò anche non sapere un cazzo di te, ma so quello che vedo. Ad esempio so che non riesci neanche a chiudere i pugni a causa della ferita, altrimenti mi avresti già pestato per quello che ti sto dicendo." Sentii la sua mascella contrarsi così tanto che quasi temetti  potesse spezzarsi qualche dente. "Almeno riesci a farti le seghe con quella mano?" Lo schernii, stavo giocando con il fuoco, dovevo smetterla prima di scottarmi.
Avevo toccato un tasto dolente, lo avevo in pugno.
Scacco matto, Di Angelo.

"No." Bisbigliò tra i denti, ma lo sentii, cazzo se lo sentii. Chissà quanto era costata quell'insulsa parolina al suo orgoglio.

"Ora smettiamola di comportarci come coglioni e diamo un'occhiata a questo casino." Cercai di suonare rassicurante, calmarlo quanto bastava per riuscire a convincerlo della mia idea.
"E non preoccuparti per le seghe, in un paio di giorni la tua mano sarà di nuovo funzionante." Ci fu un attimo di silenzio imbarazzante, lui deviava lo sguardo in tutti i modi pur di non incontrare il mio, le parole nella mia testa volteggiavano ed uscivano dalle mie labbra senza controllo.
"Ma intanto posso pensarci io se ti va." Ammiccai, mentre preparavo l'occorrente sul tavolo.

"Perché non ora?" Chiese, ammiccando in rimando.

"Prima il dovere e poi il piacere." Sorrisi. "Ora vieni a sederti, prima strappiamo questo cerotto e prima passiamo ad altro."

Sotto la fascia tutto era come immaginavo, la mano era gonfia e livida. Grumi di sangue rappreso macchiavano quasi completamente le nocche di colore violaceo.

"Sei fortunato che non ti sia ancora salita la febbre, si sta infettando." Con un po' di ovatta imbevuta di disinfettante iniziai a pulire dalla parte esterna, picchiettando il più delicatamente possibile. Molte schegge erano ancora dentro, doveva sentire davvero dolore ogni volta che muoveva le dita. Ed estrarle avrebbe fatto ancora più male.
"Ho una cosa che può aiutarti ora." Gli dissi fermandomi un attimo per prendere uno spinello già pronto da offrirgli. L'avevo preso per Bianca, ma Nico ne aveva più bisogno.
"Tieni, ti servirà." Gli porsi l'oggetto incriminato e lui l'afferrò con la mano libera, accendendola immediatamente. Sorrisi, riprendendo da dove ero rimasto.

Non parlò per tutto il tempo, mentre la musica continuava ad invadere la casa, strinse i denti e ringhiò quando estrassi i pezzi de vetro dalla ferita, ma non diede fastidio, sopportava bene il dolore.

"Ecco fatto." Esclamai sorridendo mentre fermavo la garza. "Devo passare io a controllare o credi di riuscire a disinfettare e cambiare le fasce almeno una volta al giorno?" Gli chiesi ironico e lui alzò il dito medio della mano sana.

Si alzò guardandosi intorno con la fronte corrugata e le mani distrattamente appoggiate sui fianchi nudi. Poi cominciò a camminare verso le scale, comportandosi in modo davvero strano.

"Avevamo qualcosa in sospeso?" Mi chiese con un sorrisetto beffardo, reggendosi al corrimano.
"Non ti ho ancora mostrato la mia stanza." Mi fece cenno con il capo di salire e io lo seguii.

"Va bene, solo se abbassi la voce della musica, però." Borbottai salendo le scale subito dietro di lui. Arrivati al piano superiore non ebbi neanche il tempo di guardarmi intorno. Nico afferrò la mia maglietta e mi spinse contro il muro bloccandomi con due pugni sul mio petto.

"L'unica cosa che abbasso è la tua cresta a furia di testate, nessuno mi dice quello che devo fare in casa mia, figurati un frocetto ossigenato." Mi minacciò dal basso, eravamo così vicini che riuscivo a sentire l'odore del sangue rappreso della sua ferita, ma l'unica cosa sulla quale riuscivo a concentrarmi erano le sue labbra.
Nico ora semplicemente era Nico. Provavo un certo senso di ammirazione verso questa parte di lui.

Con tutta lo forza che avevo lo spinsi a mia volta sulla parete opposta nel corridoio, ma sbagliai mira e finimmo contro una porta che si aprì, facendoci ruzzolare sul pavimento uno sopra l'altro. Nel casino e nella caduta persi un'infradito, ma non gli diedi troppa importanza.

"Non sono ossigenato, è il mio colore naturale." Bisbigliai a pochi centimetri dalle sue labbra, cercando di imitare il suo tono minaccioso da duro. Lui semplicemente scoppiò a ridere. Ricordo solo che dopo quella visione non riuscii più a formulare frasi di senso compiuto, arrossii e quasi crollai su di lui. Non l'avevo mai visto ridere così, in effetti non l'avevo mai visto ridere affatto.

E fu in quel momento, quel preciso istante che definitivamente consacrai la mia vita a lui, non potevo più tornare indietro, avevo venduto la mia anima al diavolo per un paio di scopate occasionali, se ero fortunato. Lui era la prova che le persone non sono come vogliono farci credere. Dietro la maschera da cattivo ragazzo, bullo e un po' criminale, si nascondeva una bambino dal sorriso dolce, lo sguardo innocente e spaventato e i capelli costantemente arruffati. Era quello il Nico che vedevo mentre era con me, non la sua controfigura scontrosa e sprezzante. E chissà quante altre cose di lui non conoscevo, cosa era stato risucchiato dal vortice dei suoi buchi neri, cosa si nascondeva nelle ombre del suo essere.

"Che frocio." Mi riscosse dalla trance, colpendomi per farmi alzare, per poi spingermi con tutto il peso del suo corpo e rotolare insieme sul letto.
Mi sfilò la maglietta e si slacciò i pantaloncini. Io lo sovrastai e iniziai a percorrere la pelle pallida del suo petto con la mia lingua. Lui mugugnò con dissenso, non gli piacevano tutti questi merletti e fronzoli. Ubbidiente, scesi sempre più giù e seguii la linea di peli scuri sotto il suo ombelico. Con un colpo, ma non senza difficoltà ed incastri imbarazzanti, sfilai sia le mutande che i pantaloni, lanciandoli chissà dove. Stimolai con la mano la sua lunghezza e alzai lo sguardo su di lui. Si reggeva sui gomiti, la testa reclinata all'indietro. Mi fermai e lui, con uno scatto, si raddrizzò per guardarmi confuso.

"Devi guardarmi." Gli intimai parecchio seriamente, Nico non osò replicare. Con i miei occhi fissi nei suoi cominciai a lasciare baci umidi dal basso verso l'alto, arrivato alla punta lo presi completamente tra le mie labbra finché non lo sentii toccare l'inizio della mia gola. Nico sgranò gli occhi e gli mancò il respiro tremando per l'eccitazione. Ero cosi fiero di me. Lo sfilai dalla mia bocca succhiando lentamente e sentii una mano infilarsi tra i miei riccioli dolcemente. La delicatezza di quel tocco mi parve impossibile da associare alla stessa persona che poco prima mi aveva sbattuto contro il muro minacciando di pestarmi. Giocai ancora per un po' con lui, aggiungendo un po' di lingua e qualche morso leggero al suo interno coscia, ma quando sentii il suo respiro farsi sempre più corto e i suoi gemiti diventare sempre più rochi decisi di fermarmi alzandomi sulle ginocchia. Lui mi guardò inerme, mi supplicava con gli occhi di continuare, ma la mia erezione era diventata dolorosa, ancora stretta nei pantaloni. Mi liberai degli indumenti superflui e quando capì le mie intenzioni recuperò un preservativo lubrificato dal cassetto, porgendomelo prima di girarsi di schiena.

"No." Lo fermai, afferrandolo per la spalla. "Voglio guardarti." Spinsi delicatamente la sua schiena sul letto e afferrai i suo fianchi per sollevarli verso di me. Infilai il preservativo e leccai due dita, per poi portarle alla sua apertura. Lo preparai dolcemente, cosa che non riuscii a fare la volta precedente, ma lui intrecciò una sua gamba dietro la mia schiena per incoraggiarmi a velocizzare il tutto e assottigliò lo sguardo con un sorrisetto per sfidarmi.

Gli diedi quello che voleva in un solo colpo.

"Ah-cazzo. Sei un fottut-Oh pezzo di merd-Ah." Disse tra gemiti e risatine, capii in seguito che quello era un modo per dirmi che facevo esattamente ciò che voleva. Afferrai i suoi fianchi che intanto ondeggiavano verso di me con un ritmo irregolare. Ancora quel vuoto mi attanagliava lo stomaco, ma allo stesso tempo ancora quella sensazione di completezza e soddisfazione che nient'altro riusciva a darmi. Nico Di Angelo sudato, ansimante ed eccitato sotto di me ed ero io a provocare tutto questo. Ormai tremava per l'eccitazione, i suoi gemiti erano mie creature, li avevo generati io, provava piacere ed era grazie a me. Avevo il totale controllo su di lui, avrei potuto farci quel che volevo, ormai era mio, ero io ad avere il comando delle sue emozioni. Il suo viso rosso e bollente, le sue labbra gonfie e schiuse, i suoi gemiti liberi che si mescolavano a i miei trattenuti e sommessi, le scariche elettriche sempre più intense che partivano dal mio bassoventre ed arrivavano al mio cervello, friggendomelo.
Era tutto perfetto, il mondo non esisteva, eravamo solo io, lui, la musica assordante proveniente da chissà dove e le molle del materasso che cigolavano sotto il nostro peso. Mi abbassai su di lui senza interrompere il ritmo delle mie spinte e infilai una mano nei suoi capelli tirando qualche ciocca per farlo voltare verso di me. Eravamo faccia a faccia, l'unica cosa che mi mancava per raggiungere il Nirvana era un suo cazzo di bacio e quello probabilmente era l'unico momento in cui avrei potuto provarci senza rischiare un cazzotto sul naso.

"Non stiamo insieme neanche da un giorno e già ti fotti mio fratello?" Una voce alle mie spalle ruppe l'incantesimo. Mi immobilizzai. Non sentii più il battito del mio cuore per qualche secondo e temetti che per la paura stesse per venirmi un infarto.

"Cazzo." Urlò Nico spingendomi via con forza.

"Merda."Feci eco io staccandomi con uno scatto e coprendomi le parti intime come meglio potevo.
Bianca masticava un chewingum, affacciata dalla porta semichiusa con uno sguardo soddisfatto, lo sguardo di chi ha appena vinto.

"Tranquilli, tolgo il disturbo, continuate pure." Disse ironicamente, chiudendo la porta e scappando giù con passo veloce

"BIANCA IO TI UCCIDO-" Urlò Nico pronto a correrle dietro, ma riuscii ad afferrarlo per un braccio.

"Davvero? Vuoi inseguire tua sorella così?" Indicai le sue parti intime, ricordandogli che era nudo e aveva ancora un erezione. Lui scosse la testa e si lasciò cadere sul letto massaggiandosi la fronte, palesemente sconvolto. Prese una sigaretta dal comodino e l'accese. Osservai mentre aspirava il fumo e lo cacciava lentamente dalle sue labbra morbide, con un braccio appoggiato sugli occhi, sdraiato sgraziatamente completamente nudo sul letto. Era bellissimo e la mia erezione non accennava a diminuire.
Salii sul letto e gattonai verso di lui piano. Arrivato sul suo ventre gli mordicchiai il fianco per richiamare la sua attenzione. Lui scostò per un millimetro il braccio e intravidi un suo occhio socchiuso. Sorrisi mentre mi soffiava il fumo in faccia.

"Non pensare a Bianca ora, le parlerò io, abbiamo problemi più grossi di cui occuparci." E accennai alle nostre erezioni ancora calde e pulsanti con uno sguardo.

"Certo che per essere una principessa Disney non ti stanchi mai, eh." Sbuffò lanciando la sigaretta chissà dove per poi alzarsi a sedere di scatto e stamparmi uno schiaffo rumoroso sul sedere. Doveva essere un offesa o un complimento?


[•••]

"Cenerentola, hai perso la tua scarpetta?" Mi chiese con in mano una delle mie infradito ed in faccia un'espressione disgustata.

Avrei voluto continuare ciò che avevamo interrotto, ma lui si lamentò dicendo che non gli si drizzava pensando che sua sorella era al piano di sotto e potesse sentirci, così ci limitammo a farci seghe a vicenda. Sistemammo il minimo indispensabile per non far sembrare che nella stanza ci fosse passata un orda vichinga e ci rivestimmo entrambi soddisfatti.

Cercavo l'orrore giallo ed arancione ovunque ma non riuscivo a trovarlo da nessuna parte, poi lo vidi tra le sue mani e la mia faccia si colorò di fucsia, probabilmente. Lo inseguii per un attimo, mentre faceva lo stupido, correndo per la stanza ancora in mutande. Riuscii ad incastrarlo contro il muro intrecciando le gambe e facendo aderire i bacini mentre bloccavo il suo polso e mi riprendevo la pantofola. La tensione tra di noi ricominciava a formarsi e a torturarci.

"Se magari la smetti di stusciare il tuo enorme coso frocio contro il mio fianco mi fai un piacere. E porta il tuo culetto di marmo lontano dal mio pacco o ti sbatto di nuovo sul letto." Mi intimò spingendomi lontano e liberandosi dalla mia presa.

"Oh, che paura. Che uomo, ha appena ammesso che ce l'ho grosso." Lo sfidai con uno sguardo languido.

"Che ce l'hai grosso per essere Cenerentola." Mi rispose ironico camminando verso la porta senza guardarmi, neanche di striscio.

"Fottiti, culetto passivo." Lo liquidai un po' stizzito, non potevo certo aspettarmi complimenti e lusinghe da parte sua, era già un passo avanti il fatto che mi avesse parlato, ma per un attimo ci avevo sperato.

"È meglio se ti levi dalle palle se non vuoi morire." Tornò serio, abbassandosi per recuperare la cicca della sigaretta, ormai cenere, che aveva bruciacchiato il tappeto. Era dannatamente sexy qualunque movimento facesse.

"Ricevuto, niente più frasi da stronzetta, ho capito." Detto questo uscii dalla stanza lasciandolo solo. Mi strofinai il volto con entrambe le mani. Ancora non riuscivo a credere a tutto quello che mi era successo quel pomeriggio, ma potevo farci l'abitudine.

Stare con lui non era come stare con Jake. Jake era il mio migliore amico, stavamo insieme più per affetto che per attrazione fisica. Non che il mio migliore amico non fosse attraente, ma stare con lui era un modo per dimostrargli il bene che provavo, stavamo insieme per divertimento. Con Nico, invece, era il contrario. Odiavo quel ragazzo, la sua testa dura, i suoi modi di fare, la distanza che poneva tra sé e gli altri. Ma allo stesso tempo erano queste le cose che mi attraevano di lui, le cose che veramente riuscivano a mandarmi fuori di testa. Fottuta mania di voler aggiustare le persone, sistemare i casini e prendersi cura degli altri. Stare con lui era più un bisogno fisico e una necessità che un divertimento.

Una volta rinunciato a cercare di sistemare i pensieri nella mia mente, decisi di scendere giù e farmi una bella chiacchierata con la mia ragazza.

La trovai spaparanzata sul divano, con le gambe completamente stese sui cuscini e il telecomando tra le mani, a fare zapping tra i canali.

"Ad un certo punto ho pensato che non scendessi più. Le mie ipotesi erano due: la prima era che mio fratello per la rabbia ti avesse ucciso, fatto a pezzi e mangiato per far sparire le prove. La seconda era che ti avesse ucciso semplicemente buttandoti dalla finestra. E io non avrei sentito rumore a causa della musica." Iniziò a parlare mentre ero ancora sulle scale, non avevo idea come avesse fatto a riconoscermi ma mi avvicinai, cercando di sentire cosa avesse da dire.
"Ho pensato anche che vi sareste rinchiusi in quella stanza per tutta la vita a causa della vergogna, o per lo meno Nico e il tuo cadavere." Mi sorrise non appena entrai nel suo campo visivo.
"Sono sorpresa di vederti vivo Solace, per la seconda volta. Allora non sei così dolce ed innocente come tutti pensano. Per sopravvivere ad un Nico Di Angelo incazzato o sei una grossa bestia o un bravo domatore." Arrossii vistosamente, voleva mettermi in imbarazzo di proposito o era una mia sensazione?
"E per quello che ho potuto osservare direi la seconda, decisamente." Mi fece l'occhiolino e io ero indeciso se strozzarla a mani nude o servendomi di un cuscino. Optai per il ma a chi cazzo vuoi prendere per il culo Will, non la sfioreresti neanche con un dito.

"L'hai fatto di proposito, vero?" Le chiesi appoggiandomi al bracciolo del divano, dato che non c'era altro posto dove mettermi, con le braccia incrociate e il sopracciglio indagatore sollevato, cercando di trattenere l'imbarazzo.

"Lo sapevo che c'era qualcosa tra voi due. Volevo soltanto esserne sicura." Disse nel modo più innocente e candido possibile, come se lei non c'entrasse nulla e tutto quello che era successo fosse solo il lento e normale scorrere delle cose.

"Sei una figlia di puttana ." Le dissi, non riuscendo più a trattenermi e scoppiando in una risatina imbarazzante. Lei mi sorrise intenerita e si sedette per farmi spazio, scivolai sul divano a poca distanza da lei.

"Lo prendo come un grazie." Mi arruffò i capelli con una mano allontanandosi con un sorrisetto beffardo e si alzò per recuperare il mio zaino e portarmelo.

"Io ho portato i libri comunque, già che ci siamo potremmo studiare. Devo anche controllare lo stato delle tue ginocchia." Sospirai scavando nella borsa per trovare ciò che mi serviva.

"Ok, dato che prima hai fatto una ripetizione di anatomia ora passiamo a biologia e medicina." Mi punzecchiò e io arrossii per l'ennesima volta. Con il suo permesso presi una sua gamba e la poggiai sulle mie cominciando a srotolare la fascia. "Ma prima, perché vi siete messi proprio nella stanza di nostro padre?" Mi chiese curiosa giocherellando con i suoi stessi capelli.

"Ah, era la stanza di vostro padre." Deglutii. "Bene." Deglutii ancora con una sensazione di disagio, mai avvertita prima, che mi pesava sulle spalle.
"Non lo so esattamente, siamo semplicemente rotolati su un letto, non avevo la minima idea di dove mi trovassi." Mi grattai la nuca imbarazzato.

"Per fortuna che chiudo sempre la porta a chiave." Esclamò seriamente preoccupata.
"Non è per te, chiariamoci, è per mio fratello." La sua espressione schifata era incomparabile.

"E tuo padre?" Le chiesi titubante, non volevo essere troppo invadente, ma ero curioso. Dopo la mezz'ora della vergogna che Bianca aveva intenzione di farmi passare, era il mio turno delle domande indiscrete.

"Lui governa l'inferno." Mi liquidò distrattamente, mentre le riavvolgevo la garza, ancora pulita nonostante l'escoriazione.

"Intendevo seriamente." L'ammonii leggermente divertito. In effetti, da una famiglia dalla quale è uscito un individuo come Nico Di Angelo, il padre poteva essere solo il Demonio in persona.

"Anche io. È in prigione da così tanto tempo che ormai comanda lui. È il suo regno." Ricordai di aver sentito qualche volta la storia del signor Di Angelo, i 'fratelli' lo avevano incastrato per qualche magagna ed era finito tante, forse troppe volte in prigione. In più il suo caratteraccio non aiutava a tenerlo fuori dai guai. Tale padre tale figli.
"Hanno detto che tornerà presto, forse tra qualche settimana, mese, chissà. Io e Nico abbiamo già aperto le scommesse. Quanto tempo resterà fuori? Batterà il record di sei settimane e quattro giorni?" Sembrava divertita dalla sua stessa battuta, ma la capivo perfettamente. Nascere in una famiglia, con un padre come i nostri, l'unico modo per parlare di loro senza scoppiare in pianti convulsi o in attacchi d'ira è prenderli per il culo. L'unica cosa che ci è rimasta per prenderci una rivincita e non impazzire.

"Siete minorenni, come avete fatto a scappare dai servizi sociali?" Le chiesi curioso, ci eravamo spesso trovati in mano ai servizi sociali, me e i miei fratelli, a causa di mio padre e non era per niente facile uscirne e tornare alla vita di prima se trovavi famiglie difficili.

"In teoria siamo affidati a Persefone, la troia di nostro padre. Ma non la vediamo dall'ultima visita dei servizi sociali." Volevo tanto chiederle della madre, ricordai di aver sentito vagamente qualcosa anni fa. Un grave incidente, poi la malattia e un altra famiglia distrutta in questo quartiere disastrato.
"E nostra madre è morta quando eravamo piccoli, sette anni e mezzo io e sei Nico." Disse semplicemente Bianca, come se mi stesse elencando la lista della spesa.

"Com'è morta?" Chiesi, ormai non potevo più tirarmi indietro, la curiosità aveva preso il possesso delle mie azioni.

"Qualcosa ai polmoni, nessuno ce l'ha mai spiegato. I medici non sono riusciti a curarla, Nico li odia per questo." Continuò con la solita calma e freddezza.

"E tu?" Incalzai.

"E io cosa? È morta, non posso farci niente. Tutti moriamo, è inutile riempirci l'esistenza di tutte queste seghe mentali sulla morte, quando è l'unica cosa sicura di questa vita. Portare rancore non serve a nulla. Il rancore è un difetto fatale, può soltanto rovinarti." Concluse posando lo sguardo su di me, che intanto le avevo sistemato entrambe le medicazioni. Sapevo che la sua calma era soltanto apparente, nessuna ragazza della sua età poteva essere così fredda ad impassibile nei confronti della morte.

"Ti ammiro, ma non riesco proprio a vederla in un modo così semplice." Le confessai, rilassandomi un po', semisteso, con la testa appoggiata allo scomodo schienale del divano.

"E' solo questione di punti di vista." Mi sorrise in modo malinconico accarezzandomi la spalla.
"Ed ora se hai finito con l'interrogatorio stile FBI, apriamo i libri?" Si tirò su, afferrando il mio zaino e tirando fuori un paio di quaderni. Poi si fermò di scatto, con espressione confusa dipinta in viso. Si alzò in piedi e spostò i cuscini su cui era seduta. Recuperò un cellulare che squillava interrottamente, mi ci volle un po' per realizzare che era il mio.

"Oh ecco dov'era finito il mio cellulare." Lo presi dalle sue mani con ansia per cercare di rispondere, ma gli squilli si interruppero. Tutti messaggi e chiamate di Lou.
"Merda, dev'essere successo qualcosa, mi sa che devo correre a casa." Sconsolato, mi spostai una massa di capelli dalla fronte fissando preoccupato il telefono.

"Calmo, telefona e chiedi cosa è successo." Cercò di calmarmi Bianca, che ovviamente aveva ragione. Composi il numero di Lou, che ormai sapevo a memoria, e attesi giusto due squilli prima di ricevere una risposta.

"Che è successo?" Sbuffai non dandole anche il tempo di rispondere.

"Che fine hai fatto? Ti avevo portato la cioccolata e la pomata, dovevo parlarti." Quasi urlò dopo aver sentito la mia voce, sentivo confusione in sottofondo, era a lavoro.

"Parla, ti ascolto." La incitai a continuare.

"No, per telefono no. È una cosa seria, devo parlartene da vicino." Bisbigliava, dovevo fare fatica per capire cosa stesse dicendo.

"Va bene, vieni a casa e parliamo, tra poco torno." Le consigliai mentre mi alzavo per recuperare le mie cose.

"Passo quando finisco il turno in negozio. Fatti trovare a casa." Mi intimò minacciosa.

"Ti aspetto streghetta." La salutai dolcemente, ma lei sbuffò.

"Come vuoi, ciao." Staccò freddamente, un po' arrabbiata.

"Mi sa che devo tornare. Non siamo stati per niente insieme."

"Non preoccuparti, sono felice di quello che ho creato. Poi devo comprare le sigarette, ti accompagno."

Andare in bicicletta in due non era una cosa facile nel nostro quartiere, ma era abituato a portarne anche di più, bambini urlanti che non vogliono andare a scuola, per la precisione, quindi Bianca non mi dava per niente fastidio. Sfrecciammo verso il tabaccaio, che guardando Bianca, non si azzardò neanche a chiederci l'età, poi dritti verso casa mia.

"Vuoi salire?" Le chiesi aprendo il cancello del recinto.

"No, vado a fare un giro da una mia amica che abita da queste parti e poi torno a casa."

"Ah, ok, buonanotte allora." La salutai e feci per andarmene, ma lei mi afferrò per un braccio costringendomi a voltarmi. Si avvicinò pericolosamente a me e pensai che la sua direzione fossero le mie labbra ma deviò verso l'orecchio.

"C'è tuo fratello che ci guarda dalla finestra, vuoi che la tua copertura sia credibile o vuoi mandare tutto a puttane?" Bisbigliò al mio orecchio paralizzandomi, non sapevo cosa fare e come comportarmi. Bianca infilò le mani nei miei capelli alzandosi sulle punte per far sfiorare i nostri nasi. "Da lontano sembrerà un bacio vero, fidati." Continuò a bisbigliare con un sorrisetto e il mio amore per lei e i suoi piani geniali crebbe infinitamente. Quando mi salutò con un cenno e mi voltai verso casa mia, vidi le tende muoversi rapidamente ed una figura longilinea scappare in modo colpevole. Era troppo alto per essere chiunque altro se non Lee. Rientrai in casa, correndo direttamente al piano di sopra per evitare interrogatori vari ed eventuali, avevo assolutamente bisogno di una doccia. Dopo essermi specchiato e fatto partire nella mia mente pensieri filosofici inappropriati come mio solito dopo la doccia, uscii dal bagno con i capelli ancora umidi ed un'asciugamano intorno alla vita. Entrai nella mia stanza senza neanche accendere la luce e chiusi la porta dietro di me cercando nei cassetti delle mutande pulite.

"Che cazzo di fine hai fatto? Ti ho aspettato per più di un'ora." Una voce alle mie spalle mi fece sobbalzare, ancora, alle persone nella mia vita piaceva comparire dal nulla e provocarmi microinfarti quotidiani. Lou, seduta sul letto di Austin mi aspettava con un sacchettino di carta tra le mani. Chissà quanto tempo era rimasta lì ad aspettarmi mentre io, perdendo tempo in bagno, mi specchiavo con espressioni disperate chiedendomi cosa cazzo stessi facendo con la mia vita. Dallo spavento inciampai sulla mia stessa asciugamano spiaccicandomi nudo contro la porta. Lo leggevo nei suoi occhi che sarebbe scoppiata a ridere se non fossi stato il suo migliore amico.
"Scusami, ma perché cazzo non accendi la luce quando entri in una stanza."

"Di solito non c'è gente ad aspettarmi al buio, di solito." Risposi abbastanza stizzito rialzandomi e tornai alla mia impresa trovare biancheria pulita.

"Dove sei stato?" Mi chiese con lo sguardo indagatore, nonostante non la stessi guardando, riuscivo a sentirlo sulla mia schiena.

"Dai Di Angelo." La liquidai rapidamente sperando di non provocare spiacevoli reazioni da parte sua, ma purtroppo non andò così.

"Cosa?" Si alzò di scatto, sconvolta, e mi raggiunse con un paio di falcate. "Forza, vieni qui, fa vedere le ferite brutto coglione. Dimmi che sta volta gliel'hai date anche tu però."
Beh, più che gliel'ho date...
Mi prese il mento tra due dita e iniziò a scrutarmi, scoprendo con sorpresa che non c'era niente di nuovo.

"Non ho nessuno ferita a parte quelle vecchie." Le spiegai tranquillo, sgattaiolando dalla sua presa dopo aver finalmente trovato un boxer della mia taglia.

"E che cazzo ci facevi dai Di Angelo allora?" Mi chiese ancora più confusa incrociando le braccia come faceva ogni volta che doveva pensare.

"Sono andato da Bianca per studiare." Spiegai. "E per controllarle le ferite che le piccole pesti giù le avevano provocato."

"No dai non ci credo." Mi spinse con un pugno sul braccio, ridacchiando istericamente, ma io ero estremamente serio.

"Te lo giuro, ci siamo messi insieme, mi ha anche accompagnato a casa stasera." Le raccontai mentre mi infilavo i boxer arancioni, orribili.

"Ma che cazzo stai dicendo." Rideva come un ossessa, non riusciva a credere alle mie parole. Le ci volle un po' per calmarsi, ma quando riprese fiato mi guardò seriamente, recuperando difficilmente un tono più contenuto.
"Tutto questo è parecchio assurdo, te ne rendi conto?"

"In effetti sì." Certo che me ne rendevo conto e non riuscivo a capacitarmene. In nessun modo e in nessun universo parallelo avrei immaginato che potesse accadere una cosa del genere a me. Me, Will Solace, che se avessi i baffi sarei classificato come felino, più precisamente gatto che si stiracchia al sole, piuttosto che umano, ero finito in una tresca strana con i Di Angelo, due delle persone più pericolose del quartiere. E Lou non aveva ancora sentito la parte migliore.

"Davvero fingi di essere il suo ragazzo? Poverina, chissà come la prenderà quando saprà la verità." Disse distrattamente tornando a gironzolarmi intorno.

"Sa già tutto, e forse anche troppo, è per questo che stiamo insieme. Probabilmente, conoscendola, se avessi rifiutato sarei morto in questo momento." Mi fissò con la fronte corrugata, sorpresa del mio coming out con Bianca. Poi si bloccò alla mia sinistra e osservò intensamente un punto, molto vicino al mio sedere.

"E questo te l'ha fatto, Di Angelo?" Mi chiese indicando il segno di un morso proprio sopra la chiappa, tra la schiena e il culo. Ripensai a come me l'ero procurato, come l'avevo provocato per avere una sua reazione, come avevo insistito riguardo il segno del morso che gli avevo lasciato la volta precedente e come mi aveva bloccato sotto di sé, per attuare la sua vendetta e lasciarne a sua volta uno su di me.

"Quale dei due?" Mi sfuggì mentre ancora ero immerso nei miei pensieri.

"Come quale dei due. Oh merda, non dirmi che-" Mi resi conto di quello che avevo appena detto, portandomi una mano al viso con fare disperato, e mi sedetti sul primo letto nelle vicinanze. "Sei una puttanella, Will. Una bionda. E stupida. Puttanella." Ad ogni parola mi colpiva con un cuscino dritto in testa per farmi riprendere, ma non accennavo ad uscire dalla mia trance fatta di disperazione e vergogna. Non fraintendetemi, volevo che lo sapesse, prima o poi, ma sicuramente non in questo modo.
"Mi sembrava impossibile, tu insieme ad una ragazza, pft, doveva esserci una qualche tresca clandestina con un fortunato passivello." Mi accusò, stendendosi stanca accanto a me sul letto, prima di iniziare a farmi grattini sulla schiena. Quella ragazza era incomprensibile.

"Chi ti dice che è passivo?" Uscii dalla trance solo per rendermi conto di aver detto un'altra stronzata. A quel punto, sfinito, mi lasciai cadere accanto a lei ancora in mutande.

"Dai Will, sii serio. Per stare con te può mai non essere passivo?" Ridacchiò, giocherellando con i miei riccioli biondi. Poi sembrò quasi che una lampadina le si accese in testa, la lampadina che segnalava serietà e rimprovero in vista.
"Ma scusami, stiamo parlando dello stesso Nico di Angelo, quello che ti ha pestato? Will a causa sua ti abbiamo soccorso per strada, eri svenuto." Il suo tono palesava preoccupazione mista a confusione.

"Ti voglio bene anche io, Lou." Le sorrisi dolcemente, scostandole una ciocca blu elettrico dal viso. "Ma tu non puoi capire ed è giusto così. Quel ragazzo ha bisogno di me anche se non vuole ammetterlo. Ha la testa dura come il marmo ed è uno stronzo figlio di puttana, maleducato, violento ed è basso, un fottuto nano e la sua cazzo di schiena mi fa impazzire, come quando mi sbatte al muro e-" Posò una mano sulle mie labbra prima che le rivelassi troppi dettagli scomodi, che sicuramente non voleva sapere. Mugugnai delle scuse, ancora con la bocca bloccata dalle sue dita. Mi scansai per poter parlare meglio. "Vedi? Vedi che effetto mi fa. Poi ti ci metti anche tu a contagiarmi con i tuoi monologhi."

"Will, mi spaventi così, torna in te." Disse quasi in un sussurro, mi alzai, dovevo mettermi qualcosa addosso se non volevo prendermi un bel raffreddore. Cercai una t-shirt leggera, un paio di pantaloncini comodi e li indossai senza dare importanza a come potessero starmi una maglietta sbiadita dell'associazione "surfisti per passione" e dei pantaloncini di stoffa con decori floreali hawaiani di sera, a settembre.

"Se questa conversazione esce da questa stanza siamo morti, possiamo iniziare a far costruire due bare." La avvertii, porgendole una mano per aiutala ad alzarsi.

"Tre, in realtà." Quasi bisbigliò assorta nei suoi pensieri.

"Cosa?"

"Tre bare Will. È questo il motivo per cui sono venuta, è questa la cosa che dovevo dirti con urgenza. Volevo che tu fossi il primo a saperlo." La sua voce si ruppe, prese un profondo respiro e dopo una pausa decisamente drammatica continuò. "Sono incinta, Will. Aspetto un bambino."

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