Capitolo 9 Parte 2
Quella sera Benjamin tornò a casa con il morale a terra. Non aveva fame perché la stanchezza gli era padrona. Dopo aver salutato la sua famiglia si diresse in camera. Senza neanche cambiarsi si buttò sul letto e attese che il sonno lo portasse via. Sperava di poter dormire il più possibile.
Non riusciva a smettere di pensare ad Eleanor ed i suoi atteggiamenti ambigui. C'era anche Anya con il suo continuo fraintendere le situazioni. Sbuffò esasperato.
Da una parte c'era la donna che tanto sperava di raggiungere e dall'altra, invece, c'era la donna di cui sperava potersi liberare.
Il suo pensare freneticamente venne interrotto da qualcuno che bussava alla sua porta. Due colpi veloci e secchi.
«Posso entrare?» Chiese Richard dall'altra parte.
«Sì.» Rispose Benjamin mettendosi a sedere.
Suo padre fece capolino nella stanza. Entrando richiuse la porta alle sue spalle. Raggiunse il letto del figlio. Si guardò attentamente intorno e non poté fare a meno di notare il disordine. C'erano vestiti sulla sedia e a terra accanto all'armadio.
«Qualcosa mi dice che sei in una situazione scomoda.» Disse Richard sedendosi ai piedi del letto.
«Wow, suppongo sia per questo che ti hanno fatto direttore del Bureau.» Commentò sarcastico Benjamin.
«Che sta succedendo?» Chiese Richard mantenendo un leggero sorriso sulle labbra.
«Succede che Anya mi ha baciato dopo aver, come al solito, frainteso. E poi c'è Eleanor che ha visto questo bacio e probabilmente non mi rivolgerà mai più la parola.» Benjamin buttò fuori quelle parole come se le avesse trattenute. Come quando a mare tratteneva il fiato per stare sott'acqua più tempo possibile.
«Come dicevo: situazione scomoda.» Commentò Richard. «Come padre posso dirti di cambiare squadra. La situazione con Anya non può continuare. O te ne vai o la denunci per molestie.»
«Non posso denunciarla per molestie.» Intervenne Benjamin. «Per quanto possa essere pedante, non posso proprio farlo.»
«Come tuo capo, posso dirti che non è il momento migliore per chiedere un trasferimento. Potrai farlo dopo aver terminato le indagini.»
«Così potrebbero passare dei mesi prima che possa allontanarmi da Anya.» Commentò Benjamin sconcertato.
«Per quanto riguarda Eleanor, invece, la storia è diversa. Lei alza dei muri con tutti. E per buttare giù un solo mattone di quel muro ci vuole un'eternità. E se commetti un errore e lei perde quel poco di fiducia che ha acquistato, rimetterà quel mattone al suo posto e per sicurezza ne aggiungerà altri dieci.»
«Sì, Eva mi ha fatto già un discorso del genere.» Disse Benjamin.
«Voglio bene ad entrambi e questa storia potrà farvi molto male. Quindi devi essere sicuro al cento per cento.»
«Sono sicuro... di quello che voglio io. Non riesco a capire cosa vuole lei.» Disse Benjamin passandosi una mano tra i capelli. «Quando stiamo da soli riesco a buttare giù le sue difese. E lo faccio con non poca fatica. Ma basta una sola persona con noi per ricostruire tutto quello che sono riuscito a distruggere.»
«Riletti bene su quello che vuoi fare come prossimo passo. E tieni bene a mente che per arrivare ad Eleanor la strada è tutta in salita e probabilmente non ci sarà una discesa dopo.»
Il mattino seguente, Eleanor, prese il suo solito caffè e si diresse all'ascensore. Anche se la corsa della sera prima era stata rigenerante si sentiva ancora confusa per via delle parole del fratello. Le sentiva risuonare nella sua testa.
«Provi qualcosa per lui?»
Guardava le porte chiuse con sguardo assente. Era presente fisicamente, ma non mentalmente. Continuava a chiedersi cosa volesse dire provare qualcosa per qualcuno. Lei non provava niente per nessuno.
«Ciao.» I suoi pensieri vennero interrotti da un semplice saluto. La voce le era familiare. Si voltò alla sua destra e fu accolta da un sorriso a trentadue denti. Dustin McMillan.
«Buongiorno.» Disse fredda. Non era dell'umore per parlare con nessuno figuriamoci con lui.
«Sembra un secolo che non ci vediamo. Come stai?» Le chiese lui con la felicità che usciva da tutti i pori.
«Bene.» Rispose Eleanor entrando nell'ascensore convinta che la conversazione sarebbe terminata. Lui invece la seguì e clicco sul tasto numero due. Eleanor alzò gli occhi al cielo seccata.
«Io sto molto bene. Sto lavorando ad una serie di rapine.» Disse Dustin entusiasta. «Non so se ne hai sentito parlare?!»
«No.» Disse Eleanor cercando di restare cortese.
«Oggi parlerò con dei testimoni.» Disse Dustin sempre più allegro.
Eleanor voleva vomitargli sulle scarpe così avrebbe smesso di essere vivace e super eccitato. «Fantastico!»
Finalmente le porte si aprirono, ma Dustin invece di uscire si posizionò sull'uscio dando le spalle all'uscita. Continuava a parlare di quanto fosse felice del suo caso.
Eleanor non ne poteva più. Quella mattina la sua educazione era rimasta a casa. Cliccò il tasto con il numero undici disegnato su e prima che le porte si chiudessero spinse Dustin fuori.
Le capitava rare volte di essere così scortese, ma quando succedeva si divertiva sempre.
Arrivata al suo piano si sedette alla scrivania di Darlene Carlisle ed attese il suo arrivo. La ragazza rimase sorpresa di vederla al suo posto con i piedi sul tavolo.
«Ti dispiace?» Chiese Darlene indicando le scarpe sulle carte.
«Sei in ritardo di almeno quindici minuti.» Disse Eleanor alzandosi. «Per punizione farai una ricerca per me.»
«Che genere di ricerca?» Chiese Darlene mettendosi al suo posto.
«Senza farti beccare, devi scoprire a che punto sono le indagini di Anya.» Disse Eleanor attenta che non la sentisse nessuno.
«Non credo che sia...» Iniziò a dire Darlene, ma fu interrotta da Eleanor. Aveva lo sguardo serio e fermo.
«Darlene.» Le bastò dire il nome della sua collega perché lei si mettesse a lavorare.
«Questa mattina andranno ad effettuare il sopralluogo. Non hanno ancora terminato gli interrogatori.»
«Queste indagini dureranno un'eternità di questo passo.» Commentò Eleanor.
Tornò alla sua scrivania e ci rimase sino alla pausa pranzo. Aveva archiviato buona parte dei fascicoli. Quel giorno si ritrovò a pranzare solo con Eva Gibson.
Le due donne si accomodarono l'una di fronte l'altra. Eva sorrise dopo aver letto un sms.
«Chi ti fa sorridere?» Chiese Eleanor.
«Joshua!» Esclamò Eva. «Mi ha invitata a cena come se fosse il nostro primo appuntamento.»
Eleanor sorrise. I due erano sposati da cinque anni e sembrava che si fossero appena fidanzati.
«Come hai capito che provavi qualcosa per lui?» Chiese Eleanor sorprendendo anche se stessa.
Eva la guardò ancora con il sorriso sulle labbra ed era scioccata da quella domanda. Non avevano mai parlato di sentimenti. Non avevano mai parlato di argomenti così emotivi. Eleanor li interrompeva sul nascere.
«Perché questa domanda? Provi qualcosa per... Benjamin?» Chiese Eva andando dritta al punto. Non le piaceva girarci intorno e non piaceva neanche alla sua amica.
Eleanor si sentì arrossire a quella domanda. Il cuore le iniziò a battere forte come se era stata beccata con le mani nel sacco. Si sentì improvvisamente stupida ed imbarazzata.
«Io... Io non lo so.» Balbettò. Non era da lei. Si guardò attorno sperando che nessuno le stesse ascoltando. I suoi occhi si fermarono di colpo.
Benjamin aveva appena fatto il suo ingresso.
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