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4.


Nel corso del primo anno alla U.A. avevamo stretto tutti amicizia, Kacchan escluso.

Lui aveva imparato a tollerare più o meno tutti eccetto me, il che era un grande passo avanti a ben pensarci.

Sta di fatto che in quella rete di amicizie c'era chi aveva legato più di altri, ovviamente, e nonostante questo nessuno si avvicinava nemmeno lontanamente a ciò che Eijiro e Denki erano uno per l'altro.

Se Bakugou era il migliore amico di Kirishima, Denki era la metà che gli era stata strappata nel momento della creazione.

Non esistevano separati, ed era talmente palese anche a noi che ci risultava impossibile nominare uno senza sentire il bisogno di pronunciare anche il nome dell'altro.

C'era un solo, enorme ostacolo a quell'amicizia idilliaca: Kirishima amava Kaminari più di quanto riuscisse ad ammettere a sé stesso.

«Sembra felice».

La voce di Kirishima mi giunse flebile, trasportata dalla brezza di quella giornata che si incupiva man mano insieme a lui.

Mi era bastato seguire il suo sguardo per capire il motivo di quel repentino cambio d'umore.

La risata di Kaminari era inconfondibile sopra il chiacchiericcio degli altri studenti. Riuscivo ad immaginare gli occhi lucidi, le guance arrossate ed il modo assurdo che aveva di tirare su col naso fino ad imitare involontariamente il verso di un maiale.

Denki era quel genere di persona in grado di illuminare la giornata a chiunque con un semplice sorriso. Era limpido, non trovavo un altro aggettivo per descriverlo; ti dava il buongiorno la mattina e di colpo sembrava che le nuvole facessero spazio al sole.

Non mi stupiva che Eijiro lo amasse, ciò che mi stupiva davvero era che Kaminari non se ne fosse mai accorto.

Persino io, l'ingenuità fatta persona, non avevo potuto ignorare lo sguardo che il rosso dedicava all'amico ogni qual volta si trovavano nella stessa stanza.

Era diverso da qualsiasi cosa, perché quando Denki sorrideva Eijiro perdeva il baricentro del proprio corpo e lo ritrovava nelle iridi ambrate del biondo.

«Dovresti parlargli», commentai con un sospiro.

Non che fossi bravo a dare consigli sentimentali, anzi. Facevo pena, letteralmente, considerando che tutta la mia esperienza si basava su un'unica sera in cui avevamo giocato al gioco della bottiglia.

Avevo baciato Uraraka dopo quasi un anno in cui ero stato fermamente convinto di amarla solo per rendermi conto, appena tre giri dopo, che baciare Shoto era stato come avere una corsa di cavalli all'altezza dello stomaco e che forse – FORSE – tanto eterosessuale poi non lo ero affatto visto che la parte più masochista di me ha pregato per tutta la sera che la bottiglia si fermasse su Kacchan.

Repressi il ricordo con una vaga sensazione di nausea, Kirishima aveva rilassato il pugno per mostrare i segni rossi lasciati dalle unghie conficcate nella carne.

«Per dirgli cosa? Voglio dire... guardalo».

Denki scelse quel momento per alzarsi sulle punte e raggiungere la fonte delle sue risate: Hitoshi Shinso, il suo ragazzo.

Le braccia del ragazzo dai capelli viola si strinsero delicatamente attorno alla vita del biondo e per qualche motivo riuscii a sentire il cuore di Eijiro creparsi ad ogni centimetro di pelle che Shinso riusciva a sfiorare.

«Andiamo via».

La mia unica soluzione, scappare. Potevo affrontare All For One a mani nude ma non sapevo proteggere il mio amico dal dolore che causa un cuore infranto.
E lo sapevo bene, fin troppo bene.

Trascinai via Kirishima senza riflettere e lo lasciai andare solo quando fui assolutamente certo del fatto che non avrebbe tentato di affogarsi sotto la doccia.

Mi faceva schifo la sofferenza causata dall'amore.

Mentre tornavo nella mia stanza non riuscivo a pensare ad altro se non al fatto che fosse assurdo che Kiri e Denki non stessero insieme. Non c'era una sola persona al mondo che avrebbe potuto rendere Kaminari felice più di quanto non avrebbe fatto Kirishima.

E non c'era una persona al mondo che possa rendere Kacchan più felice di quanto non potrei fare io.

Come a voler dare vita ai miei pensieri, per la seconda volta in pochi giorni, mi ritrovai a fissare l'oggetto dei miei tormenti senza rendermene conto.

Era in cucina, da solo, le Airpods alle orecchie e lo sguardo che vagava distrattamente sullo schermo del cellulare mentre girava qualcosa in una pentola con la mano libera.

Pensai che se lo conoscevo ancora, almeno un po', stava ascoltando gli Arctic Monkeys e ne stava riproducendo le parti di batteria col piede.

Non ebbi il tempo di chiedermi se avessi ragione, il suo sguardo incrociò il mio e la sua espressione mutò di colpo dal concentrato al nervoso.

Mi faceva male, ogni volta, constatare quanto fossi in grado di distruggergli l'umore. A volte mi chiedevo se fosse colpa mia quel suo isolarsi da tutti.

Se non ci fossi stato, magari, avrebbe avuto degli amici ed una vita serena.

«Mi spieghi che cazzo guardi, nerd?».

Si avvicinò pericolosamente, e prima che potessi fare qualsiasi cosa mi ritrovai attaccato al muro con la sua mano a stringere il collo della mia maglietta.

Lo sguardo mi cadde sul telefono che teneva nell'altra mano e non riuscii a non sorridere, malgrado tutto.

I bet you look good on the dancefloor – Arctic Monkeys


Angolino dell'autrice

Sono la peggior nemica di me stessa e tendo a criticare ogni singola parola che scrivo, ma devo ammettere che ho amato questo capitolo. 

Siamo entrati nel vivo della storia: abbiamo introdotto la KiriKami (a mio parere una delle ship più dolci esistenti al mondo) e finalmente scemo e più scemo si sono incontrati. 

Più vado a vanti più vado in crisi sulla scelta della prima persona per narrare gli eventi. A volte mi risulta un po' complesso ma poi realizzo che è il modo che preferisco per comunicare come si senta realmente il personaggio o chi lo circonda.

Spero di avervi trasmesso le emozioni che ho cercato di riversare qui, come sempre, e ringrazio tanto chi segue questo piccolo delirio ♡

A presto,
Ella

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