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Capitolo Ventuno


Ciao!

Leggete lo spazio in fondo, per favore!

Buona lettura.

Camila sapeva che Dinah usciva più spesso con Thorne, Maya e Christina, non solo perché la sua collega snocciolava euforica i dettagli (forse nel tentativo di appetire la cubana, ma l'unico effetto che i racconti avevano era sovrastare fastidisoamente la radio), ma soprattutto per le occhiaie più scavate che ogni mattina controllava con la lente d'ingrandimento per accertarsi che non fossero troppo sproporzionate in caso necesitassero di recarsi altrove usando l'auto. Per precauzione aveva comunque deciso che si sarebbe incaricata lei del volante. Non che un incidente stradale o una multa fossero la macchia più corposa sulla sua fedina penale in quel momento, ma diciamo che voleva ancora illudersi di avere un'attenuante.

Una cosa che invece l'attenuante non poteva averla erano quei cornetti che Luis portava ogni mattina a lavoro. Ne mangiava uno solo perché il pranzo -a volte anche la cena non erano garantiti. Sperava le pupille gustative ricordassero un giorno com'era mangiare un buon croissant.

Dinah stava decantando l'ennesima avventura -tortura- vissuta la sera prima. Camila si era persa fra le patatine cadute addosso a Thorne e la sbronza di Dinah -da come barcollava non ci voleva molto a capire che avesse bevuto-. La sua concentrazione fluttuava altrove. Con Lauren non avevano deciso niente, ma per come si erano salutate sulle porta, era stato chiaro ad entrambe che nessuna delle due aveva intenzione di allentare il proprio lavoro. Avevano anche capito, però, che malgrado l'etica antitetica non si sarebbero rialzate le pistole contro. Da come Lauren se ne era andata via, Camila aveva intuito che non era arrivata ancora l'ultimo incontro. Aspettava che la corvina comprendesse quanto diverse erano, ma sopratutto quanto pericolosa era la situazione che stava intessendo, e che si allontanasse da lei. Perché se c'era qualcuno che sapeva come fuggire quella era Lauren, in tutti i sensi. E sperava anche che fuggisse abbastanza lontano da non lasciare tracce dietro di sé.

Dinah non doveva essersi accorta della sua assenza mentale, perché si contorceva dal ridere da sola aggrappandosi alla spalla della cubana. Beh, almeno una delle due si divertiva. Forse doveva prendere in considerazione quelle serate più spesso.

Christina e Luis stavano ancora armeggiando sul localizzatore quando Camila e Dinah entrarono in stanza. Il lamento querulo della collega riverberò efficacemente la frustrazione di ambedue. Sapevano che i loro colleghi stavano tentando il tutto per tutto, ma era estenuante trattenersi in ufficio senza far niente per chi come loro era abituato a contare i proiettili ogni mattina.

Camila riprese la sua postazione evitando volontariamente di ammonire l'imprecazione striminzita di Dinah. Non aveva molto da fare, se non ricontrollare il materiale e sfinirsi nella ricerca di una soluzione che non poteva esserci se non fra le mani di Chris e Luis. Era quasi tentata di sottomettersi all'egemonia della macchinetta del caffè, per quanto insipido e amaro fosse, ma l'ambiente venne ravvivato da un gesto improvviso.

Luis saltò in aria sulla sedia. Per Camila fu come vedere un albero crescere nel giro di due secondi: era sempre ben piantato a terra e non si concedeva mai tripudi emozionali. Fu da quel rigoglio insperato che Camila comprese la valenza di quanto scovato. Dinah accorse immediamente, con lo sguardo di chi supplicava ci fosse un ordigno da disinnescare. Camila ultimamente aveva più lo sguardo di chi sull'ordigno c'era finito con tutti e due i piedi.

«Si è acceso!» Le sue mani sfrecciavano sulla tastiera, impazzite.

«Che cosa?» Domandò Camila, incapace di decodificare i geroglifici numerici sullo schermo.

«Il localizzatore.»

Dinah si crucciò: «Pensavo fosse già acceso.»

«Non il nostro, il loro.» Precisò Luis, che insieme a Christina stava tracciando le coordinate del segnale.

«Pensavo fosse andato distrutto.» Commentò Dinah.

«Beh, era l'ipotesi più probabile visti gli eventi della serata, ma non ne abbiamo mai avuta vera conferma.» Puntualizzò Christina, facendo le veci di Luis che era troppo focalizzato sul computer per curarsi di loro. «Non siamo neanche sicuri di chi l'abbia acceso.»

«Potrebbe essere una trappola, se il localizzatore è in mano loro.» Ipotizzò Camila, e anche stavolta gli occhi di Dinah si illuminarono come se avesse appena sentito la sua canzone preferita alla radio. Pure in questo caso Camila non sentiva il bisogno di trappole: c'era già dentro.

«Potrebbe, ma per scoprirlo dobbiamo controllare.» Luis consegnò fieramente il GPS con le coordinate trasferite sulla mappa digitale e annuì.

Dinah sembrò tornare a respirare dopo un'apnea prolungata. Mentre Camila sistemava la pistola, lei era già per le scale. Dopo la sbornia, comunque, non l'avrebbe fatta guidare.

La collega sprizzava gioia da tutti i pori. Camila sperava non ne spruzzasse anche dalla canna della pistola. Se il localizzatore non era stato acceso dalla banda, qualcuno di loro si stava sicuramente precipitando lì. La cubana pregava che non ci fossero occhi verdi nei paraggi. Dinah scarrellò la Glok, stampandosi un'espressione estatica sul volto. Camila deglutì e irriflessivamente declerò la marcia, sperando di arrivare troppo tardi rispetto a loro.

Quando le ruote combaciarono col punto rosso sulla mappa, alzarono gli occhi incappando ina una villa che aveva tutta l'aria di esser stata abbandonata per le vacanze estive. Dinah fu persino contenta di dover scavalcare imitando dei ladri stagionali. Camila atterrò sul vialetto con un nodo allo stomaco. Adesso capiva perché sul lavoro era meglio non stringere rapporti amorosi. Specialmente con chi dovresti arrestare e non proteggere.

Dinah notò una terrazza affacciarsi sulla parte posteriore della facciata. Era facilmente raggiungibile con uno slancio. Luis hackerò l'allarme spegnendo i sistemi acustici, dopo Camila congiunse le mani aiutò Dinah a salire, quindi la collega le aprì la porta dall'interno.

Era ancora tutto in ordine e il silenzio denotava l'assenza di possibili minacce. La cubana quasi si fece sfuggire un sorriso.

«Io vado al piano superiore, tu quello inferiore?» Propose Camila, slacciando la pistola dalla fondina.

«Non ce lo giochiamo a testa o croce?» Scherzò Dinah, eludendo con le spalle l'occhiata obliqua della cubana.

«Luis, cosa dobbiamo cercare?» Gli occhi di Camila setacciavano meticolosamente ogni centimetro della casa. Non volev a farsi sorprendere.

«Niente di preciso, ma il localizzatore dovrebbe inviare vibrazioni quando siete vicine e i computer li capteranno.» Spiegò Luis, ammutolendosi dopo per permettere ad entrambe di non deconcentrarsi.

Camila annuì fra sé e sé, è proseguì a salire sulla scalinata di metallo. I quadri appesi raffiguravano città e mari lontani che avrebbe volentieri visitato, mentre i fiori disseminati per casa le prudevano spiacevolmente le narici. Il pianerottolo si snodava in una spina dorsale oblunga. Vi erano cinque porte, di cui due chiuse. Camila iniziò da quelle, ma a parte scope e detersivi non stanò altro. Proseguì verso le altre stanze. Immacolata e soleggiata la camera matrimoniale offriva una bella vista sul giardino fiorito ma nessun localizzatore. Nel bagno privato solo sali naturali e incensi emanavano vibrazioni. La stanza attigua offriva libri di economia, riviste vegane e vinili senza giradischi. Ancora Luis non le aveva suggerito niente, il che la indusse a varcare la soglia dell'ultima stanza. A giudicare dai poster e dal puzzo di erba doveva alloggiare un adolescente abituato a lasciare la biancheria sporca come regalo per la governante al mattino. Camila ispezionò vigile la stanza, avvicinandosi il più possibile a tutti gli angoli. Mentre apriva i cassetti del comodino, Luis le disse che il pc segnalava qualcosa. Camila aprì anche il secondo, ma oltre le cartine e il grinder non scovò nient'altro. Passò in rassegna la cassettiera, facendo l'identikit di tutti i calzini. Quando aprì il cassetto dei boxer Luis riferì che il segnale si era intensificato. Camila comprese che per la prima volta in vita sua avrebbe messo le mani fra le mutande di un uomo.

Con le dita tastò il fondo legnoso, sbattendo il dito contro un oggetto piccolo e metallico. Dissotterrò rapidamente il tesoro, sorridendo. «Ce l'ho, Luis.» Confermò, facendolo scivolare nella tasca nascosta del giubbotto antiproiettile; era abbastanza in profondità per proteggere sia il cuore che il localizzatore.

«Dinah, ce ne andiamo.» Comunicò Camila, aspettando una risposta che tardò ad arrivare.

La gambe si bloccarono sul secondo scalino. «Dinah...» Ripeté sommessamente, con la coda dell'occhio orientata verso le spalle.

«Din...» Prima che potesse pronunciare un'altra parola, il fruscio di un pugno le sfiorò l'udito, permettendo di scansarsi prima dell'impatto.

Si trasferì lontana dalle scale, squadrando il ghigno di Lucy per la seconda volta.

«Te lo avevo detto che non era finita.» Scosse la testa la donna, puntandole la pistola contro. Camila non fu da meno.

«Non lo è, infatti.» La mascella e il collo era divenuto un fascio di ferro.

«Senza quella non vali molto, ragazzina.» Lucy abbassò lentamente la pistola, studiando l'indecisione di Camila fra le pighe della fronte.

No, non doveva cedere a provocazioni, e no, non era lì per dare una lezione a Lucy o pareggiare i conti. Bastava far scattare le manette e l'avrebbe pagata sufficientemente cara... Ma il fianco le doleva ancora quando compiva movimenti inconsulti, ripensava al sapore della polvere sulla punta della lingua e al fischio nell'orecchio che l'aveva assillato per giorni e quella punizione non era abbastanza equa ai suoi occhi incolleriti. Camila rispose l'arma nella fondina, drizzò spalle e mento, facendo segno a Lucy di avvicinarsi. Il ghigno si slargò sul suo viso. Il suo punto debole era quello: credeva di aver vinto prima di iniziare.

La donna fintò un tiro e col secondo mirò proprio al punto dove l'aveva colpita con il ferro. Scontata.

«Dai, andiamo.» La esortò insolentemente Camila. Più Lucy si arrabbiava più Camila beneficiava di colpi disordinati.

Lucy si portò sulla destra e allungò un tiro mancino verso la sinistra. Camila riuscì a intercettare il braccio e le piegò il gomito dietro la schiena. La donna emise un lamento, ma la morsa della cubana non era abbastanza deterrente. Con un calcio si divincolò dalla gabbia della donna e balzò all'indietro, riportando le mani di fronte al viso imporporato. Camila afferrò una fotografia nelle vicinanze e lo scagliò contro la donna. Non voleva colpirla, solo distrarla. Lucy scihivò per un pelo l'oggetto, ma non riuscì a evitare lo sgambetto di Camila. Perse l'equilibrio, ma prima di cadere in ginocchio si sorresse alla ringhiera nelle vicinanze e sferrò una gomitata all'indietro che stordì Camila all'altezza del sopracciglio.

La cubana barcollò arretrando, riadottando una postura eretta solo grazie alla parete che le impedì di rovinare a terra. Lucy era appoggiata contro la ringhiera e se Camila si fosse mosse non avrebbe avuto via di scampo. Estrasse l'arma proprio quando la cubana si avventò verso di lei, che invece di trovare il colletto della sua maglietta inciampò nella canna fredda della pistola.

Inspirò grevemente, serrando la mandibola contro lo sguardo vittorioso e arrogante della donna.

«A quanto pare non vali molto senza di quella.» Citò le sue parole, godendo dello spasmo imbestialito della ragazza che però affondò più decisa la pistola sulla sua tempia. Poteva sentire il flusso del piombo sfiorarle il cranio come il suono del mare dentro una conchiglia.

Non l'avrebbe lasciata andare perché entrambe sapevano che Camila aveva vinto.

«Lucy! Ma che cazzo fai!!?» La voce di Normani proveniva dal basso. Camila lanciò un'occhiata e vide Dinah intrappolata nelle sue stesse manette. La donna alle sue spalle la teneva in scacco matto.

«Sembra che le cose si mettano male per te e la tua amica.» Sussurrò riottosa, inondando Camila con il suo alito.

«Lucy, non fare stronzate! Gli ordini sono di non sparare a nessuno. Lascia quella cazzo di pistola e porta il culo qui, cazzo!» Ingiunse Normani, Strattonando Dinah affinché rimanesse ferma.

«Fanculo gli ordini.» Disse a denti stretti, perforando Camila con sguardo luciferino.

«Lucy, se lo fai lei non si fiderà più di te!» Solo quell'affermazione diluì la convinzione cattiva della donna in una mera incertezza. «Vieni giù, idiota. Dobbiamo andarcene prima che arrivi la polizia, cazzo!»

Lucy spostò Camila di malavoglia, ma continuò a puntare la pistola e le labbra rigide contro di lei finché non raggiunse la porta d'ingresso e insieme a Normani si precpitarono fuori, barricando la porta dall'esterno.

Si aspettava che Dinah imprecasse, e stavolta Camila non l'avrebbe ripresa. Ma invece scoppiò a ridere.

«Cosa c'è di tanto divertente?» Domandò la cubana sfiorando il sopacciglio. Le dita si tinsero di rosso.

«Lei credeva, credeva di avermi in  pugno.» Camila non si permise di dire niente, ma non è che soltanto lo credesse: era così. «Invece io, io le ho messo una cimice addosso. Prendi le chiavi nella tasca, per favore? Andiamo a goderci lo spettacolo.»

Oh, merda.

———

Ciao a tutti!

So che è un capitolo di passaggio, però nel prossimo ci saranno più alti e bassi...

Intanto volevo semplicemente dirvi che la trama è complessa, lo vedrete più avanti, quindi mi sono resa conto che non potrà essere una storia che durerà 60 capitoli come di solito succede nelle mie fan fiction. Credo che questa ne avrà massimo 40.
Restate aggiornate, dunque! Vedrò di inventarmi qualcos'altro per non lasciarvi senza storie in questo periodo. Oppure preferite avere un solo aggiornamento al giorno così da protrarre di più la storia? Fatemi sapere!

Spero che vi sia piaciuto.

A domani.

Grazie.

Sara.

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