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Capitolo Ventisei


«Non è ancora detta l'ultima parola!» Dinah non si arrendeva mai, era l'esatto opposto di Christina, che stava già spegnendo i computer in un rituale sconfitto. «Devono decifrarla, e per farlo avranno bisogno di giorni e di attrezzatura, quindi possiamo anche usare il localizzatore per...»

«L'hanno già smagnetizzata. Il localizzatore non serve piu a niente.» Il tono mogio di Luis non scalfì la perseveranza della donna. Sembrava preparasi ad un dibattito politico, solo che invece di stirare i foglietti puliva una Glock. Normale amminastrazione.

«Va bene! Allora li intercetteremo direttamente sul confine! E se non sarà abbastanza li snideremo direttamente alla loro base operativa! Noi non siamo più stupidi di loro, possiamo facela!» Se non era sicura come voleva apparire, indiscutibilmente lo sarebbe diventata col marcire del tempo. Camila però sapeva che il tremolio delle mani era eccessivo per considerarlo solo vindicio e la gamba era eccessivamente instabile per minimizzarla come rabbia. C'era qualcosa che neanche il residuo della polvere da sparo sedimentato sulla bocca della pistola poteva risolvere. E Camila lo sapeva bene, perché si sentiva come lei.

«Dinah ha ragione.» Luis non parlava mai, o poco, ma se lo faceva significava che era severamente convinto di ciò che diceva. «Non è finita finché non è finita.» Nell'ambiente li slogan andavano per la maggiore. «Io dico di proseguire. Stanotte ci riposiamo e domani torniamo al quartiere generale lucidi. Ci sono ancora delle strade intentate, diamoci una chance.»

Lo schiocco dei loro palmi non scosse e tantomeno convinse Christina. Sapevano che era lei la più ostica, quindi i loro occhi sfarfallavano in direzione della cubana. Era troppo stanca per discutere. No, non l'avevano defatigata le scale, era una spossatezza che non avrebbe curato con una dormita. Acconsentì alla tesi di Luis, incassando un semplice sospiro da parte di Christina che non protestò solo perché era in svantaggio numerico.

«Non restiamo qui a piangere sul latte versato. Andiamo a festeggiare la nostra prossima vittoria!» Propose Dinah, e subito Luis, con una verve che era difficile contraddistinguere al di fuori dello schermo, si candidò come accompagnatore e sostenitore di bevute. Per quanto Dinah risultasse stupita, non tardò a cingere le spalle del ragazzo con la solennità di una promessa.

Christina venne trascinata dall'insistenza dell'altra e dalle suppliche di Luis, che ora giocava la carta della commiserazione per persuaderla. Camila aveva abbastanza esperienza per non lasciarli nemmeno cominciare a parlare. «Sono troppo stanca, e domani voglio ripartire col piede giusto. Andate voi, io mi divertirò di più dormendo.» Non era nello stile di Dinah lasciar perdere, ma registrando lo sguardo appassito della collega decise di non impuntarsi e le permise di chiudere l'uscio alle sue spalle senza muovere obiezioni.

Alle nove di sera, comunque, fece una capatina nella tana della cubana per accertarsi non avesse cambiato idea. Non l'aveva fatto. Visto che la conosceva sufficientemente per sapere che se ne sarebbe andata con una risposta negativa, la informò di aver ordinato il servizio in camera al posto suo: «Bisogna arrivarci anche a stomaco pieno in ufficio.» Ammiccò, però non specificò con cosa avesse intenzione di riempirsi la pancia lei. Lo avrebbe dedotto dalle occhiaie il giorno dopo.

Se c'era una cosa che detestava più di stare sospesa in aria era restare chiusa in una camera d'albergo. Non le piaceva l'assortimento di cuscini sul letto, la doccia troppo larga o trasparente, le piastrelle incastonate o floreali, i tappeti a pelo lungo o la moquette ben pettinata. Si sentiva a suo agio solo in casa sua, nel suo letto, nel suo bagno. Qualcuno bussò alla porta. Doveva essere il servizio in camera. Il sospiro continuò ad inalarlo dal materasso fino all'uscio, poi, quando era pronta ad esalare le labbra le vennero serrate dalla mano del suo interlocutore, che invece di confezionarle un piatto coi fiocchi le smerciò un'occhiata affilata e truce.

«Non dovresti essere qui.» Portò le braccia conserte, allontandosi dalla donna ma ancora con il respiro incastrato in gola.

«Smetti mai di dirlo?» Suonò sarcastica la corvina, che non ottenne risposta da parte di Camila solo una scrollata di ciglia.

«Non so come tu sia arrivata qui, ma so come te ne andrai.» Afferrò la pistola voltandosi verso di lei. La teneva moscia contro il fianco, ma abbastanza stretta da non farla sentire tranquilla.

«Già, e dovresti anche smetterla di puntarmi quella contro.» Sospirò, dissotterrando solo adesso la chioma florida da sotto il cappuccio.

«Non te la sto puntando, ma se non esci entro tre secondi lo farò.» Ora capiva perché il tremito di Dinah non poteva esaurirsi in un proiettile. Ma non aveva comunque intenzione di retrocedere. Purtroppo, però, nemmeno Lauren era intenzionata a fare un passo indietro.

«Dico davvero.»Alzò il gomito, brandendo la pistola contro la donna. Ormai non ricordava quante volte l'aveva fatto senza mai arrivare in fondo. «Uno.» Iniziò a contare, ma la corvina avanzò invece che obbedire.

«Due,» stavolta la voce era soffusa e rotta, ma i passi di Lauren non persero determinazione. Era talmente vicina che se avesse sparato le sarebbe rimasto impresso l'eco della pallottola anche nell'aldilà.

«Tre.» Sussurrò la cubana, fissando gli occhi verdi dell'altra, inconcussi fra le lunghe ciglia.

Lauren adagiò il petto contro il ferro. Anche attraverso il tessuto della maglietta risentita il metallo freddo graffiarle le ossa come aveva fatto sulla sua tempia, solo che qui ora percepiva solo il pulsare forsennato del sangue, ma non era il suo: era quello di Camila.

La cubana inspirò a polmoni pieni e poi.. Premette il grilletto.

La corvina trasalì, credeva che avrebbe chiuso gli occhi di fronte alla morte, invece lì spalancò, perché, quella morte, voleva vederla negli occhi.

Camila scosse la testa. Mostrò la pistola alle pupille ancora dilatate della donna. Aveva la sicura inserita.

«Beh, lo avevi promesso che mi avresti sparato per prima.» Bisbigliò Lauren, accennando un sorriso che non venne ricambiato.

«Veramente hai sparato prima tu, oggi, o te lo sei dimenticata?» La corresse.

«È stata Lucy.» Scosse la testa la corvina, che sapeva benissimo di aver dato lo stesso ordine di Camila.

«È uguale. Rimane il fatto che tu, delle mie promesse, non ne sappia un bel niente.» Gettò l'arma sul letto, permettendo ai cuscini di rivelarsi utili per una volta.

Fece per andarsene, ma Lauren la trattenne a sé, anche se lei gli occhi li chiuse, ma era certa fosse solo per nascondere la patina sottostante.

«Camila...»

«No! Eh, no.» Oscillò convulsamente il capo. «No, stavolta non mi ingannerai con le tue belle parole. No.» Si divincolò, ritraendosi quanto bastava per non essere intercettata di nuovo senza potersi difendere preventivamente. «Io ho rischiato tutto per te. Tutto! E per cosa? Per farmi prendere in giro. No, sta' zitta! Non ti voglio sentire. Non è qui che devi stare, sono seria, Lauren.» Si avviò verso il bagno, depositano la giacca odorosa di intonaco e polvere sulla poltrona di camoscio. Anche quella almeno per una volta si rivelava utile.

«Non sono stata io, Camila.» Si affrettò a dirle osservando uno spasmo scudisciare la spina dorsale della donna. Era il momento buono per approssimarsi. «Normani ha trovato la cimice prima che rincasassi. Era la notte in cui ero da te, Camila. Non te l'ho messa io.»

«E come ha fatto Normani ha infiltrare una cimice?» Ringhiò, girandosi solo per mostrarle i denti digrignati.

«Ha infettato il telefono di Dinah e poi i vostri computer. Non sono stata io.» Se lo avesse saputo le avrebbe confessato anche come trasformare i sassi in oro, tutto purché le credesse.

I suoi occhi parvero addolcirsi, ma allontanò comunque la mano quando quella di Lauren la sfiorò, e le diede nuovamente le spalle incamminandosi verso il bagno. Aveva bisogno di sciaquarsi la faccia da tutti quei segni raggrinziti sul viso, e no, non si riferiva alle strie della polvere da sparo.

Lauren la seguì. Stava sciogliendo la coda di cavallo e tamponando il volto quando si stagliò alle sue spalle, materializzandosi nel riflesso dello specchio. Gli occhi della cubana erano ancora circospetti, ma i muscoli si erano rilassati. La corvina provò a sfiorare i fianchi. Ebbe un sussulto, ma non si oppose stavolta.

«Solo perché non ho una pistola non significa che non possa spararti.» Mugolò, ma era più una lontana antenata dell'odierne battute che una minaccia vera e propria.

«Lo so bene.» Annuì, ma, proprio come aveva fatto prima, si avvicinò ugualmente, arrivando a cingerle interamente la vita.

Camila emise un sospiro sonoro che poteva voler dire solo due cose: o si era pentita di aver inserito la sicura alla pistola, oppure si stava lasciando andare.

«Ti ho detto di guardarmi negli occhi quando non sai a cosa credere.» Mormorò al suo orecchio, e subito gli occhi della cubana saettarono sullo specchio, incrociando gli smeraldi della donna su di lei attraverso il riflesso. Solo ora si avvedeva di quanto fosse vicina, e non le dispiaceva poi così tanto, anche se non era disposta ad ammetterlo per puro capriccio.

«Che cosa vedi, Camila?»

I loro sguardi erano intensi e sinceri, preoccupati e bramosi, risentiti e lussuriosi. Camila sapeva che ultimamente faceva solo le scelte sbagliate, e, proprio come aveva detto a DInah, "una in più, una in meno...".
Si voltò e come risposta tuffò le labbra su quelle di Lauren, premendo le mani contro le sue guance. La corvina non se lo aspettava, non così presto almeno. Il suo cuore si mise a volare come un aquilone e il suo ventre a contorcersi come filo spinato. Camila fece scivolare le mani sul suo collo, poi sulle spalle, e una volta raggiunto il colletto della t-shirt fu utile solamente per attirarla più vicina prima di lasciarla senza maglietta.

«Potrei abituarmi a questo nuovo tipo di pallottole.» Disse fra un morso e l'altro, sorridendo maliziosa e vittoriosa al contempo.

«Ti odio.» Sibilò l'altra mentre la baciava.

«Si vede.» Prima che Lauren potesse rovinare l'umore, Camila la zittì togliendole ogni goccia d'ossigeno che le era rimasto per punzecchiarla. Il sorriso procace non si spense dietro le labbra della corvina, ma era più dolce se poteva percorrerlo con la punta della lingua.

Lauren, che detestava perdere ad un gioco che le piaceva tanto, si mise in pari sbarazzandosi dei pantaloni della cubana. Senza fatica la sollevò sopra la lavandino. Con le mani sdrucciolò sotto la maglietta, mentre con le labbra scivolava sull'ansa del collo gracile. Camila cozzò i loro bacini agganciando i passanti della corvina. Il suo dito si stringeva alla stoffa mentre la lingua di Lauren si concentrava su un lembo della sua epidermide. Improvvisamente ricordò il commento di Dinah in merito, e impuslivamente allontanò la corvina, che dal sorriso salace non sembrava rammaricata. Certo che no, aveva sentito anche lei la conversazione con la collega. Prima che potesse cambiare idea, Camila balzò giù dal lavandino e si avvinghiò alla chioma della donna con tale impeto da minacciare il suo equilibrio. Lauren si sorresse all'anta della doccia. Camila la trascinò all'interno.

Lo spazio rimpicciolito faceva da cassa di risonanza ai loro ansiti, che andavano lentamente annebbiando le pareti di vetro. Un involucro di respiri che le proteggeva da tutto il male e il bene che impersonavano al di là. Nessuna delle due si era mai chiesta se fosse capace di essere bene quando aveva sempre conosciuto il male, o se poteva abbracciare il male quando aveva sempre bandito il bene. Quando si baciavano, però, non riuscivano a identificare a chi appartenesse l'uno o l'altro.

Camila attutì le giravolte contro il muro. Le braccia della corvina la ingabbiavano. Era l'unica prigione dove poteva dirsi libera.

Con le scapole, involontariamente, colpì il pulsante d'accensione. L'acqua cominciò a scendere, ma fu come se nessuna delle due se ne fosse accorta. Adesso i boccoli della corvina si scioglievano attorno alle sue dita, mentre Lauren doveva combattere con il tessuto della maglietta incollato all'addome dell'altra. Camila strusciava il bacino contro il suo, lanciando la testa indietro in cerca di aria ma scontrandosi con il getto d'acqua che dalla fronte cadeva in rivoli verso il mento. Laddove Lauren la stava baciando.

Camila si avviluppò con le unghie alla schiena della corvina quando i polpastrelli di questa scivolarono sotto l'elastico dell'intimo. La cubana chiuse le palpebre contro il tonfo dell'acqua e allo stesso tempo schiuse la bocca contro i brividi che risalivano dal suo ventre sotto le dita di Lauren. Aveva portato una gamba all'altezza della vita della donna, assicurandosi maggior aderenza al suo corpo.

Lauren infossò il capo nel collo bagnato della donna, respirando attraverso le ciocche grondanti che le si erano attaccate lungo le gote fino alle clavicole. Le spinte si erano inensificate, così come i respiri e i sussurri. L'unico suono che Camila riusciva a pronunciare attraverso la cascata d'acqua era il nome di Lauren. Tutto il resto dell'ossigeno veniva consumato dalla determinazione del polso, che la toccava laddove aveva più bisogno, stringendosi attorno alle pareti umide. La corvina raccolse l'altra guancia e voltò il viso della donna cosicché la sua fronte si adagiasse contro la linea della sua mandibola. Camila immerse le mani nella parte alta della sua capigliatura. Strinse maggiormente la presa contro la sua schiena quando la corvina stimolò il suo punto debole, pulsante per lei, liquefacendole la spina dorsale in un ammasso di spasmi.

Lauren si lasciò cullare dalla risacca del respiro mozzato della corvina che si irrigidì un'ultima volta prima di abbandonarsi completamente contro la sua spalla con la stessa spossatezza di chi arriva ad uno scoglio dopo una nuotata faticosa. Anche se era la migliore della sua vita, doveva ammetterlo. La corvina ribaltò i ruoli, adagiandosi lei contro il muro. L'acqua smise di scendere e allora furono loro, avvinghiate assieme, a scivolare fino a trovarsi sedute contro il pavimento stillante. Camila si mise a cavalcioni sulla donna, ancora in deficit d'ossigeno.

Lauren si ricordò solo dopo averle baciato la fronte di non aver mai esplorato quella zona con le labbra. Non di qualcuno che non fosse Camila.

«Ti odio ancora.» Sussurrò Camila con la prima risorsa d'aria che collezionò.

Un sorriso increspò le labbra tumide della corvina. «Una delle due deve farlo.»

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Ciao a tutti!

Hanno fatto la pace, a quanto pare 😂Almeno per ora.. Essendo una trama "poliziesca" i colpi di scena non mancheranno nemmeno nel prossimo capitolo. Però ora pensate a godervi questo, al successivo penseremo stasera!

Ho finito di scrivere il capitolo finale, e sarà il trentaseiesimo. Ciò significa, preparatevi! 🤟🏻

Grazie a tutti.

Sara.

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