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Capitolo Trentuno


Era alquanto strano uscire di casa con Lauren ancora nel letto. Era una possibilità a cui non aveva mai aspirato e tantomeno sperato, vista la situazione, ma ora aveva appreso che anche la pallottole possono unire e non solo scindere.

In ufficio regnava una pseudo tranquillità. Finché Christina e Luis non fossero riusciti a stanare Lucy e gli altri era alquanto improbabile che da entrambe le parti si manifestasse uno sviluppo. Camila passò a salutare tutti come se fosse una normale mattina all'insegna della giustizia, e non come se avesse appena trascorso l'intera notte a ripulire pavimenti insaguinati o a ricucire squarci di pelle. Dinah la ragguagliò sulle ultime notizie, che più o meno riflettevano quelle del giorno prima. La cubana si congedò con un espediente e si diresse verso la porta in fondo al corridoio.

«Avanti,» la invitò la bionda, sorridendo nel vederla ma senza nascondere una punta di stupore.

«È impegnata?» Lo chiese giusto per cortesia, perché aveva già richiuso la porta alle sue spalle e non aveva intenzione di andarsene prima di aver ottenuto ciò per cui era venuta.

«Camila, no, vieni. Accomodati.» Dal modo in cui gesticolava e parlava, però, sembrava pronta a quell'incontro da diverso tempo. Sicuramente da più tempo di Camila.

La cubana prese posto sulla poltrona di fronte alla scrivania della donna. Il mobilio dell'ufficio arieggiava quello di uno studio di moda al cinquantesimo piano. Si sforzavano strenuamente per mantenere la parvenza di normalità che terminava dal momento in cui le mani scivolavano sul tessuto di pelle e ti sorgeva il dubbio di che "pelle" si trattasse.

«C'è qualche problema?» Anche se ci fosse stato lei preservata l'aria di chi non si tormentava con gli ostacoli e tantomeno con la logistica, forse perché da lei dipendeva una schiera di agenti pronti a sopperire a qualsiasi impaccio, o forse perché sapeva che se non poteva superare un imprevisto c'era sempre il modo di toglierlo di mezzo.

«No, cioè.. Se si riferisce alla missione, no. Sono qui per un altro motivo.» Obbligava mani e spalle a non vacillare e sosteneva lo sguardo di Ally come un torero nell'arena, solo che non era certa di chi avesse le corna e chi il mantello rosso.

«D'accordo. Posso offrirti un caffè?» Custodiva la sua personale macchinetta in ufficio, accoppiata ad un servizio cesellato di tazzine arabescate. Anche in Desperate Housewife avevano molto a cuore le rifiniture di porcellana, ma questo non abbelliva i loro intrighi.

Camila declinò gentilmente. Ally parve più interessata alla dose di zucchero che a lei, quindi aspettò che il cucchiaino tintnasse nella sua tazzina per iniziare a parlare. «So che sono un'agente e devo solo rispettare il mio ruolo, ma questo incarico è diverso da tutti gli altri che ho svolto in precedenza e quindi credo che mi spettano anche diritti diversi.» Non avrebbe dovuto usare il "credo", aveva incrinato le sopracciglia della donna per un attimo, come se avesse appena individuato un punto debole dove fare pressione in caso di necessità.

«Io voglio sapere la verità,» addusse risoluta, senza tremori o ipotesi. «Voglio sapere per cosa ogni mattina mi alzo dal letto e rischio la vita.»

«Pensavo che il suo distintivo fosse già la risposta.» Sorseggiò placida, senza scomporsi, come se la cubana non l'avesse affatto colta impreparata.

Camila deglutì per non stringere i pugni. Meglio ribollire dentro, dove lo sguardo investigativo di Ally non poteva arrivare. Forse. «Lo è, ma non è abbastanza per togliermi i dubbi.»

«Dubbi su che cosa?» Quella calma la irritava indicibilmente.

«Su tutto. È il mio lavoro dubitare. Me l'hanno insegnato fin dalla prima missione.» E un'altra tattica che le avevano insegnato era concentrarsi su altro quando non si era in grado di tenere la situazione in pugno. Concentrarsi su sé stessa per non perdere almeno il controllo su i propri istinti.

«E ti hanno insegnato bene, ma immagino abbiano anche specificato che si è giustificati a dubitare ogni mossa del nemico, non del proprio alleato. Altrimenti si rischia di perdere il quadro generale.» La donna la squadrò imperturbabile, ma Camila sapeva che dietro quello sguardo limpido si agitavano acque limacciose.

«Quando si fa questo lavoro non ci si può fidare di nessuno. Ma non è questione di fiducia, non oggi almeno. Credo che sia giusto io sappia la verità, perché ho sempre dato il meglio conoscendo i particolari.» Non aveva grandi argomentazioni a suo favore, così aveva sguainato la carta dell'astuzia, sperando di persuaderla.

Ally ingollò l'ultimo sorso e ripose la tazzina sul vassoio, qualcuno sarebbe sicuramente andata a ritirarla dopo. La fissò a lungo senza emettere un fiato, poi annuì una sola volta e premise: «Te lo dirò, Camila. Ma non deve saperlo nessun'altro, soprattutto fra i tuoi colleghi. Non sono informazioni collettive.»

La cubana la imitò, convendo con un unico colpo secco del capo.

Ally non ebbe bisogno neanche di prendere aria prima di iniziare il racconto: «I nostri archivi sono distribuiti in modo che ogni sezione conservi le informazioni il più segretamente possibile. Per questo il collegamento digitale non può avvenire senza determinati codici, i quali sono criptati e conservati su specifiche chiavette. Sospettiamo che qualcuno dall'interno abbia portato fuori di persona la usb, ma non abbiamo ancora capito il perché. Forse per soldi, o per una questione personale, comunque non è andata come sperava perché la chiavetta è entrata in possesso di una rete più grande.» Non aveva bisogno del premabolo, più o meno erano informazioni che già conosceva. O quantomeno le immaginava.

«Custodiamo informazioni che se venissero scoperte renderebbero la vita difficile a chiunque, soprattutto alla pace del Paese. Tu capisci bene che questo non possiamo permettercelo.» Non era una domanda, ma attese che la cubana annuisse per proseguire.

«Ci risulta che ci siano dei dati importanti su quei file, dati che riguardano la sicurezza nazionale. Determinati attentati, talvolta, non sono quel che sembrano. Determinati decessi non sono così naturali come appaiono. Sono solo danni collaterali che purtroppo avvengono quando si cerca di salvare un'intera nazione.» Forse non aveva capito bene, ma temeva di aver compreso benissimo.

«Vuol dire che proteggiamo i segreti sporchi del paese? Che su quella chiavetta ci sono tutti i "danni collaterali" subiti dai cittadini ignari?» Dovette davvero convincersi di non perdere la pazienza. Capiva perché avevano scelto Ally per quel ruolo, lei non sembrava minimamente toccata dallo sguardo allibito della cubana.

«Vuol dire che proteggiamo il bene superiore. Se scoppia una sparatoria in metropolitana è meglio credere che sia stata opera di un gangster che da una poliziotto ingenuo e alle prime armi. Camila, chi si fiderebbe di noi, altrimenti? Chi si fiderebbe del governo? Sarebbe l'anarchia, non pensi?» Le rivolse uno sguardo a metà fra il baldanzoso e lo scrutatore.

Lo pensava? Da una parte era convinta che stessero perseguendo il bene maggiore, ma era lo stesso governo a decidere non solo la partita, ma anche che carta giocare. Gestivano ogni azione che poteva non essere accolta favorevolmente dall'opinione pubblica. Chissà quanti atti illeciti avevano seppellito negli archivi e quante chiavette custodivano... Camila stava solo recuperando una parte del marcio, ma c'era un'intera flotta là sotto. Era indignata, ma non abbastanza, forse. Se non fosse stata svezzata, allevata, imboccata dal senso della giustizia e del dovere di suo padre e dal senso di sacrificio di sua madre, allora probabilmente anche lei si sarebbe ritrovata a combattere quella battaglia sull'altro fronte. Ma i cromosomi del suo DNA la inducevano a temporeggiare. Certo, anche il governo aveva le mani sporche, solo che le loro erano guantate e invisibili ad occhio nudo, ma soprattutto non agivano per scatenare caos e distruzione, ma proprio per mantenere la calma e la serenità. Questo comportava qualche vittima marginale, "danni collaterali" come li aveva soprannominati Ally, ma a detta della donna la morte di dieci salvava altri mille. Avrebbe voluto chiedere quale unità di misura si usasse per definire il valore della vita altrui, per decidere chi valeva la pena salvare e chi invece usciva di casa per andare a lavoro e non tornava più. Ma sapeva che Ally questo non poteva dirglielo, perché nemmeno lei si sedeva al tavolo delle decisioni: si limitava a credere a quello che le veniva detto per dormire sonni tranquilli. Avrebbe anche voluto domandare di che "incidenti" si parlasse, ma aveva il presentimento che non le sarebbe stato concesso più di quel che già stava processando.

E ora capiva. Lauren e la sua banda probabilmente avevano ingegnato tutto quel piano per ricattare i nomi presenti nella chiavetta, coloro che avevano dati ordini e si era accollati tutti i "danni collaterali", coloro che per uccidere un terrorista forse avevano anche ucciso altro dieci persone, persone che forse risultavano scomparse o morte accidentalmente. Poi però la voce della corvina le risuonò nelle orecchie. La verità. No, a lei non interessavano i soldi, e per questo era ancora più pericolosa. Lauren voleva mettere in piazza i panni sporchi del governo, sventolare a mezz'asta la bandiera del peccato. Certo, era una nobile causa, più nobile di quello che Camila aveva teorizzato all'inizio, ma gli effetti collaterali sarebbero stati ingenti. Forse l'intero paese si sarebbe ribellato, sarebbero scoppiate rivolte, rappresaglie... E poi? No, quei segreti non potevano vedere la luce del sole, perché se lo avessero fatto non ci sarebbe stato più pace, nemmeno per i morti.

«Capisci quanto è importante che recuperiate quel materiale, Camila?» La voce di Ally la riesumò dai suoi pensieri.

Alzò lentamente lo sguardo su di lei e solo dopo qualche istante annuì, ancora più lenta. Da che parte stava il male adesso? Ma la vera domanda era: c'era mai stato del bene in tutta quella storia? Ambedue, sia Camila che Lauren, lottavano per degli ideali adesso, e tutti e due mostravano prima il lato oscuro della medaglia e solo dopo quello luminoso.

«Bene, Camila. Sono contenta che abbiamo avuto questa conversazione. Ti dispiace portare la tazzina in sala  sette? Grazie.» Abbassò lo sguardo sulla tastiera e riprese a figitare. Camila comprese che non aveva altro da aggiungere, quindi poteva andarsene. Non senza la tazziana, però. A quanto pareva portare fuori la spazzatura era diventato il suo compito ufficiale.

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Ciao a tutti!

Finalmente si è fatta un po' di luce sulla questione. Ho voluto mischiare un po' le carte, confondere da che parte stia davvero il bene e il male. È giusto rivelare i crimini del governo alla nazione e rischiare una rappresaglia, o è più giusto mantenere la pace ma accettare che questi crimini si perpetuano? Non lo so, lascio a voi la scelta...

Nel prossimo capitolo vi farò ascoltare la voce di Lauren, la storia di Normani e della banda... Siateci!

Detto ciò, fino alla fine non crediate di sapere tutto perché non sarebbe da me ;)

Vi aspetto domani!

A presto.

Sara.

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