Capitolo Sei
Sarebbe stata doppiamente veloce senza tacchi, ma ora non aveva tempo per pensarci. La tromba delle scale si avviluppava su se stessa, scendendo sinistramente verso il basso. Camila udiva dei passi rumorosi quanto una goccia d'acqua. E forse lo era davvero, ma il suo istinto le suggeriva di continuare a discendere. L'umidità rendeva più difficile recuperare il respiro, se ci sommava anche la rogna di essere infagottata nel tessuto attillato... Promise a se stessa di cambiare lavoro, una volta finito quell'incubo.
Mentre continuava a scendere, si sorgeva di tanto in tanto nel tentativo di carpire un indizio che la spronasse a perseguire la cieca impulsività, ma niente oltre il suono indistinto di evanescente gocce.
Camila si fermò di colpo. Se lei poteva contraddistinguere i passi, lo avrebbe fatto anche l'altra. Rimase in ascolto del silenzio, disturbata solo dall'eco del suo affanno greve. Il rumore delle gocce proseguì solo qualche istante, prima di cessare. Il suo timpano si sforzò di bucare il muro del suono; poteva quasi auscultare i battiti crescenti rimbalzare sulle pareti. E non provenivano dal suo petto. Sbirciò brevemente verso il basso. Il lembo di un vestito celeste ondeggiava quattro rampe più in basso. Camila, incoscientemente, si sporse dalla balaustra e urlò «Ferma!» Il rumore squarciò l'intonaco, rimbombando come se fosse stato sparato da un centimetro da lei. Il proiettile andò a confccarsi nella rampa sopra di lei; si era tenuta abbastanza lontana da non essere colpite, ma non abbastanza da non arrischiarsene.
Adesso le gocce erano un ciclone infuriato, che invece però di venirle incontro si allontanava. Camila aizzò il passo, maledicendo le sue caviglie per l'inesperienza. Dinah avrebbe sicuramente saputo come correre sui tacchi senza rompersi un osso. A proposito.. Non sentiva più la sua voce, ma era impossibile che non avesse tentato di contattarla. Probabilmente l'auricolare non prendeva là sotto, oppure la ricezione si estendeva solo ad una certa distanza. Beh, era sola. Un'altra pallottola le sfiorò il braccio, questa volta riuscì a percepire la strinatura sulla pelle. Quasi sola, quasi. Un rivolo di sangue le colò fino al polso, ma non se ne accorse nemmeno.
«Fermati subito.» Estrasse la pistola stavolta prima di affacciarsi.
Il volto di Lucy era contratto dalla tensione e nascosto dietro la canna, ma Camila era sicura si trattasse di lei. Prima che potesse fare fuoco fu Camila a premere il grilletto. La donna ebbe giusto il tempo di abbassare la testa, poi riprese a scappare. Sono una ragazzina, eh? Si gongolò delle imprecazioni fruscianti, compiaciuta di poter sbugiardare i loro pregiudizi. Non che le importasse, ma era bene sapessero con chi avevano a che fare.
Camila colse delle parole mozzicate fra un rombo e l'altro. Parole concitate. Infine udì il cigolio di una porta aprirsi e chiudersi di botto. Merda!
Accellerò il passo, scendendo più gradini possibili al secondo. L'uscio si stava ancora sichcuuddndo quando la mano di Camilla lo spalancò nuovamente. Una macchina stava sommando nel parcheggio sabbioso. Camila fece appena in tempo a vedere che il guidatore non indossava un vestito celeste, ma uno rosso. Le corse dietro e sparò alle ruote, ma la polvere sollevata impediva una visuale limpida. Cazzo! Inveì quando si avvide di non poter far nulla a riguardo, non in quelle condizioni almeno.
Si guardò velocemente attorno, valutando le opzioni. Una Jaguar stava uscendo dal parcheggio, altre persone lasciavano il casinò con i propri autisti. Camilla si avvicinò al primo bersaglio e senza troppi preamboli puntò la pistola ancora fumante alla sua tempia.
«Scendi, forza. Ora!» Urlò impaziente. Il ragazzo non doveva avere più di venti anni e quello sembrava il primo problema che soldi i di papà non potevano risolvere.
Col viso pallido quanto la sua camicia firmata lasciò l'abitacolo e solo mentre Camila ingranava la marcia ebbe l'ardire di gridarle dietro. La donna comunque era troppo focalizzata sulle strie incise sull'asfalto per potersi curare dei capricci di un ragazzo.
La macchina aveva non più di quindici secondi di vantaggio, estremamente pochi per illudersi di fuggire. Il suo auricolare continuava a non mandare alcun segnale, quindi tanto vale a toglierselo. L'auto scivolava fluida sul terreno, macinando metri a ritmo costante. Era una strada desolata, il che favoriva un'eventuale identificazione. Andiamo, andiamo... Setacciò la strada senza risultati, così imboccò una via secondaria sperando fosse quella giusta. Non lo era, o perlomeno lì non c'era nessuno. Aggirando l'edificio si immise ancora una volta sulla strada principale. La macchina di prima le passò accanto. Appena il muso dlle due auto si riconobbe, l'altra diede gas, sfrecciando in avanti.
Beccata!
Camila premette l'acceleratore, seguendo la scia di fumo. Le gomme slittavano sull'asfalto perdendo aderenza soprattutto in curva, ma rallentare non era un'alternativa. Chiunque fosse al volante ci sapeva fare su quattro ruote, particolare che non avrebbe sottovalutato una volta rientrata in centrale. Forse era un ex pilota fallita a tentare l'eversione del sistema.
Il semaforo era rosso, ma ovviamente l'auto saettò oltre. Ti manderò la multa a casa, scherzò fra sé e sé Camila, contravvenendo anche lei le regole della strada. La macchina andava ad una velocità tale che tutto il sedile vibrava percuotendo di conseguenza il volante. La stabilità era già minacciata dallo stridore delle gomme, il tremore interno era un ulteriore difficoltà.
La macchina in testa tirò inaspettatamente il freno, ma solo per driftare oltre la curva a gomito. Camila notò troppo tardi il balatro retrostante. Riuscì a frenare in tempo solo per cappottarsi lentamente oltre il burrone. Sbattè indelicatamente la testa al volante, ma per il resto ne uscì indenne. Si voltò di scatto osservando l'auto, pronta a giurare che fosse già sparita oltre la collina, invece si sorprese nello scorgerla a non più di quindici metri, immobile. Che diamine stava facendo? Camila si crucciò. Sganciò la cintura e aprì faticosamente la portiera, incastrata nella zolla di terra. Quando fu abbastanza lo spazio per far passare la testa, mise una mano al di fuori e forzò l'uscita. Appena fu in piedi e ben visibile, l'auto ripartì bruscamente, lasciandosi dietro un polverone di fumo e di domande.
Camila chiamò poco dopo Luis che la mise in contatto con il resto del team. Quando Dinah arrivò sul posto, Camila era troppo stordita per credere alle sue rassicurazioni. La donna la scortò all'ospedale per un controllo di routine, poi si adoperò per rintracciare il proprietario dell'auto e dargli la bella notizia: distrutta. Intanto che Christina e Luis analizzavano le immagini sia del casinò che delle telecamere esterne, Camila era distesa in un letto troppo stretto dalle lenzuola ruvide, e stava ascoltando annoiata il responso del medico. Era tutto nella norma, ma avevamo riscontrato una piccola commozione celebrale che volevano tenere sott'occhio almeno per una notte o due.
«Ma cosa cazzo ti é saltato in mente?» Grugnì Dinah quando furono finalmente sole.
«Mi dispiace, avrei dovuto avvertire, lo so..» Sospirò conscia, circoscrivendo le prediche della collega. «Ma ero sicura appena l'ho visto che qualcosa non andava.»
«Camila, chissene frega del protocollo. È di te che mi preoccupo!» Specificò la donna, e per la prima volta Camilla notò che non era rabbia quella nelle sue iridi ma apprensione. E che era eccessiva per non chiedersi se non ci fosse già passata prima.
«Io sto bene. Dimmi di te, ci sono novità?»
Lo sguardo contrariato di Dinah non fu sufficiente ad arginare la deferenza di Camila. Era talmente accanita che sembrava più un fatto personale che professionale, ma immaginava che fosse questo che succede a quando l'intero paese era a rischio.
«Non ho visto niente d sospetto, nessuno dei giocatori ha scommesso la USB. Credo che la tua improvvisata abbia fatto saltare i loro piani.» Si faceva quas fatica a notarlo il blando sorriso sulle labbra di Dinah, ma c'era.
«Sono contenta che ammaccarsi la testa sia servito a qualcosa in fin dei conti.» Ridacchiarono tenendosi per qualche secondo per mano.
La porta si aprì. Un'infermiera veniva a cambiarle la flebo.Non si chiese come mai indoassasse una mascherina.
«Camila, a parte gli scherzi, Luis vorrebbe sapere se hai notato qualcosa di strano, o se ti ricordi la targa, qualsiasi cosa.» Domandò Dinah, e in quel momento le rippsrve il flash della macchina inerme, in mezzo alla strada. Fu un errore dar voce ai suoi pensieri.
«Si... È successa una cosa insolita, in effetti.» Il suo sguardo si adombrò e per Dinah fu una novità guardarla rimestare nei suoi ricordi con tanta ombra sotto le ciglia. «Si è fermata, l'auto. Quando sono caduta, è rimasta ferma per un po'.»
«Ok...E quindi?» Scosse la testa frastornata.
«Io credo che non sapesse cosa fare, se andarsene o aiutarmi.» L'affermazione spiazzò tutti i presenti. La bocca di Camila si sigillò, lo sguardo di Dinah si pietrificò... Diamine, persino la mano dell'infermiera si arrestò a mezz'aria.
«Come?» Farfugliò sconvolta Dinah. Forse le avevano dato una dose di morfina troppo ingente.
«Senti, lo so che è assurdo, nemmeno io voglio crederci, ma non aveva un motivo per aspettare. Voleva accertarsi che stessi bene.»Rincarò Camila, c'è osservando l'espressione di Dinah si stava già pentendo della sincerità.
«Camila, se hai rischiato è per colpa sua. Se Lucy voleva assicurarsi che stessi bene non ti avrebbe certo sparato.» Il tentato sorriso fu un fallimento totale, era tangibile la confusione di Dinah.
«Non era Lucy.» La sua voce suonò perentoria e convinta. «Non c'era lei al volante.»
Dinah ispirò profondamente, assimilando le informazioni con un certo riserbo. Una parte di lei sperava fossero giuste, così avrebbero avuto del materiale su cui lavorare, ma l'altra era spaventata da come la mente di Camilla processava tali ricordi. Aiutarla? Quella gente voleva vederla morta, altro che tenerle la mano. Forse si era fermata proprio per quello, per finire il lavoro. Questo, però, lo tenne per se. Non era abbastanza lucida per fagocitare ulteriori provocazioni. Prima che la conversazione potesse protrarsi su un terreno periglioso, vennero fortuitamente interrotte. Vedere Maya sugli soglio ebbe lo stesso effetto della campanella prima di un'interrogazione.
Dinah la conosceva solo di vista, ma approfittò della sua presenza per togliersi di li «Va bene, sono qui fuori se hai bisogno di me.» Abbozzò un sorriso plastico, e si rinchiuse pesantemente la porta alle spalle.
«Ciao,» il suo sorriso melliflue sbocciò da dietro i fiori colorati.
«Ciao.» Camila puntellò I gomiti sul cuscino e si sforzò di mettersi a sedere mentre gli scarponi dell'altro si approssimavano al letto.
«Ho sentito che non stavi troppo bene... Dato che ero nei paraggi ho pensato di... Questi sono per te.» Le porse impacciatamente i fiori. Camila li afferrò riconoscente. Tentò di nascondere il prurito al naso, ma sentiva che se avesse tenuto quei fiori ancora qualche secondo in più avrebbe starnutito via tutti i petali.
«Mi scusi,» Si voltò verso l'infermiera. «Potrebbe metterli in un vaso?» La guardò supplichevole, sperando che fosse evidente l'urgenza sul suo volto.
La donna la rimirò interdetta. I suoi grandi smeraldi la fissarono per qualche secondo di troppo per non cercare di indovinare a cosa stesse pensando. Camila sentiva le braccia dolerle, quando la donna andò in un suo soccorso. Gentilmente impugnò il bouquet e si recò in bagno.
Camila tornò con lo sguardo su Maya. Aveva un'aria più sbarazzina ora che i capelli le fluevano sulle spalle. I riflessi del sole donavano un color miele alle punte che si abbinavano alla tinta delle iridi giallognole al centro.
«Mi hanno detto che prenderai una multa per aver superato il limite di velocità.» Le strappò un sorriso genuino, anche se la minima contrazione si ripercuoteva come un cazzotto sul fianco.
«Andrò anche in tribunale, visto che l'auto l'ho presa in "prestito" da uno sconosciuto.»
Maya spalancò la bocca, sconcertata. «Non pensavo fossi una cattiva ragazza.»
«Questo è il meno.» Ammiccò ironicamente la donna, beandosi del bel sorriso dell'altra. Forse Maya non era il tipo di donna che attirava sguardi femminili invidiosi quando entrava in una stanza o magnetizzava l'attenzione maschile per le sue spalle rosee, però era indiscutibilmente una bellezza pura e se ci si soffermava qualche istante a dialogare con lei si apprezzava anche il modo con cui sapeva coinvolgere.
L'infermiera ritornò in stanza. Il vaso sembrava un po' improvvisato, sembrava più un barattolo che altro, ma non ci fece caso. Lo poggiò sul comodino e, silenziosamente, riprese le sue mansioni.
Maya comprese che era il momento di andarsene e lasciarla riposare. Si schiaffò il giubbotto sulla spalla e osservò Camila con l'indecisione di chi non sa come non rimpiangere ciò che sta per dire.
«Non so quando finiranno gli arresti domicilari, ma dopo mi piacerebbe vederti in un posto più... Colorato. Diciamo un... Ristorante, per dire.» Trattenne il respiro mentre Camila metabolizzava annuendo cogitabonda.
«Ultimamente lavoro molto... Ma si, perché no. Facciamolo.» Facciamolo? Gesu, Camila.
Maya si accontentò della risposta e si avviò all'uscita con un sorriso tenue.
Appena l'uscio si richiusa la testa della cubana volteggiò esasperata all'indietro, sprofondando nel cuscino.
L'infermiera aveva ultimato il lavoro e fece per andarsene quando la mano di Camila guizzò sul suo polso. Ebbe un sussulto che la mascherina trattenne, ma non i suoi occhi.
«Mi scusi,» Allentò la pressione sul polso della donna, ricordandosi che non tutti quelli con cui veniva a contatto avevano sperimentato l'acciaio delle manette. «Può portare i fiori in un'altra stanza? Sono sicura che facciano piacere a qualche paziente.»
Il medesimo sguardo di prima la penetrò con intensità. Camila si chiedeva se non si sentisse semplicemente offesa dalle sue pretese o se stesse guardando qualcosa che non capiva. I suoi smeraldi parevano ossidiana adesso.
«Certo, come vuole.» Proferì infine con voce rauca, allontanando cautamente il braccio dalla presa di Camila.
Camila la ringraziò sommessamente accennando anche ad un sorriso mogio, poi si voltò dall'altra parte e chiuse le palpebre. Udì la porta chiudersi con svariati secondi di ritardo.
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