Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo Quindici


«Camila.. Camila!» Le dita di Dinah schioccarono in fronte al viso pencolante della donna.

«Che! Non ho fatto niente!» Si svegliò di soprassalto, sbarrando precipitosamente gli occhi per venire abbacinata dalla luce blu degli schermi.

«Eh, è questo il problema.» La sgridò sarcastica la collega.

Camila si guardò intorno visualizzando Christina e Luis seduti a braccia conserte e con un la fronte plissettata intenti a squadrarla. Stropicciò la faccia stazzonata e prese in prestito la prima menzogna disponibile: «Non ho preso il caffè stamani.»

«E a quanto pare nemmeno l'orologio. Sono le due del pomeriggio, Camila.» L'espressione interdetta faceva da filo conduttore nella stanza. Ora capiva cosa si provava a stare dall'altra parte durante un interrogatorio. Non pensava che in vita sua avrebbe anche capito cosa si provasse ad essere colpevoli.

«L'ora del caffè, appunto.» Si difese facendo spallucce, e svignandosela il più veloce possibile.

Se avessero saputo la verità, sarebbero stati più indulgenti nei confronti della sua spossatezza, ma spiattellare che era stata nel sottosuolo di una villa a parlare con la sua vecchia cara amica Lauren fino a notte inoltrata e che dopo non aveva chiuso occhio fino alla mattina per i dolori al fianco, non sembrava un'opzione per garantirsi la via dell'indulgenza. Almeno adesso aveva un buon espediente per collaudare la nuova macchinetta del caffè. Si appollaiò contro la sommità di essa, mentre attendeva che la miscela fosse pronta.

«Ciao, Camila.» Cazzo.. Ormai la sua vita era un flipper: rimbalzata continuamente fra scelte sbagliate.

«Maya, come stai?» Impastò il sorriso più disinvolto possibile, ma fra le rughe del sonno e l'ansia per i sensi di colpa non ne ricavò un buon risultato.

«Confusa, onestamente. Pensavo che mi avessi invitato tu a cena. Un imprevisto capita a tutti, ma diventa un imprevisto leggermente sospetto se poi non mi richiami.» Non si evinceva ombra di rabbia o rammarico, semplicemente voleva capire ciò che le era dovuto. Camila si domandava come aveva fatto a sottovalutare un particolare tanto lampante uscendo con una polizziotta.

«Hai ragione, mi dispiace.» Erano scuse sincere, ma era sincero anche ammettere che non sapesse come continuare. «Io.. Ho avuto tanto lavoro, tu mi capirai. Ho dimenticato un po' le cose superflue e...»

«Quindi sono superflua?» La interruppe con un sorriso più striminzito stavolta.

«No, no! Sei un piacere, e sai com'è: prima il dovere poi il.. piacere.» Perché invece di introiettare i peggior lati di Lauren non aveva appreso la sua dote dialettica?

Camila sapeva che era eccessivamente gentile e compassata per potersi infuriare, soprattutto in "uniforme", ma lo sguardo basso della donna equivalse ad un impropero ingoiato a fatica.  «Se avrai tempo e voglia, chiamami. Altrimenti ci vediamo a giro.» Abbozzò un sorriso prettamente circostanziale, prima di occhieggiare il caffè pronto e sfilarlo sotto il naso della cubana. «Ti dispiace? Ho pagato il conto del ristorante, così siamo pari.» Ammiccò, andandosene tronfia.

«Buona giornata anche a te.» Doveva essere un vizio, quello di rimproverarla col sarcasmo.

Dopo aver ottenuto il suo meritato caffè rientrò in ufficio e per poco non lo sbruffò. La foto di Lauren campeggiava sullo schermo grande, Christina era già pronta con il telecomando e le sue solite divagazioni sulla vita personale del soggetto in questione. Camila si accomodò al suo posto come se niente fosse, osservando gli occhi verdi della corvina come se fosse meravigliata.

«Bene, ora che ci siamo tutti, procediamo. Lauren Jauregui, vent'anni, originaria di Miami. Le telecamere non hanno riscontrato nemmeno un frammento di lei, da nessuna parte siate state. Però, internet è un posto magico, anche quando i profili vengono cancellati le immagini rimangono. Lucy pubblica tre foto, due insieme, in cui sono palesemente molto intime. Nell'altra, invece, non si capisce bene se sia lei, ma schiarendo l'immagine ho avuto un riscontro del 74%. Oltre ad essere collegata sentimentalmente a Lucy, anche lei, come tutti gli altri, risulta deceduta.»

«Chi non muore si rivede.» Si lasciò sfuggire Camila, confondendo gli altri che solitamente una battuta del genere se la sarebbero aspettata da Dinah.  «Scusa, la caffeina mi fa quest'effetto.» E anche quelle foto.

Christina scrollò le spalle e proseguì con la prossima foto. «Pare la sua auto abbia avuto un brutto incidente...» Quella che doveva essere stata la sua macchina, o ciò che ne rimaneva almeno, non era altro che una carcassa informe di metallo carbonizzato. Era talmente accartocciata che uscirne vivi avrebbe dovuto essere più invalidante che morire sul colpo. Ma a quanto pareva Lauren era sfuggita alla tenaglia ferrea.

«Quella è la sua auto? Sembra più il mio stomaco dopo aver visto Lucy.» Tutti spalancarono la bocca, voltandosi lentamente verso Camila.

«Chi sei tu? Che ne hai fatto della mia collega?» Farfugliò sbigottita e commossa Dinah.

Camila passò in rassegna i loro volti e con il massimo aplomb rispose:  «Beh? Lei me l'ha quasi disintegrato, lo stomaco. Ho il diritto ad una battuta.» Malgrado l'interpretazione non fosse proverbiale, tutti l'accettarono come veritiera.

Christina fece scorrere la prossima diapositiva. «Lauren non viene ritrovata, ma, a differenza di Josh, il cui incidente non era risultato mortale per tutti, a differenza di Lucy, la cui scomparsa era troppo fumosa per essere verificata, e a differenza di Trisha, di cui nessuno si curò... La morte di Lauren viene dichiarata dopo due mesi di ricerche vane. L'auto era andata esplosa dopo sette minuti dall'incidente, troppi pochi per salvarsi.» Camila osservava la foto, immaginava quello che aveva potuto provare... La claustrofobia e la paura di sentirsi schiacciati in un pugno di metallo, l'odore stordente della benzina, le volute di fumo impregnarle il naso, la tosse asfissiante ottunderle i polmoni...

«Beh, ho trovato l'indirizzo di casa della sua famiglia. Dopo la morte di Lauren hanno venduto la casa e si sono trasferiti. Il padre lavora nelle assicurazioni, la madre è un'insegnante. I fratelli sbrigano qualche lavoretto ogni tanto, ma più che altro sono ancora sulle spalle dei genitori, specialmente la più piccola.» Christina mise il malloppo in mano a Camila che per poco non lo fece cadere. Era la prima volta che desiderava stracciare tutto, e non perché stesse salvaguardando Lauren, ma perché ora toccava a lei suonare il campanello di casa Jauregui.

«Beh, direi che ci facciamo un salto subito!» Dinah le diede una pacca vigorosa sulla spalla e la cubana riuscì a stento a trattenere un gemito strozzato.

Dinah filava liscia sulla strada, una vecchia canzone di cui non ricordava il titolo ma solo le note opacizzava l'abitacolo e la conversazione. Lo sguardo di Camila si perdeva fra colline lussureggianti e quartieri invidiabili. Da piccola voleva vivere nell'attico più alto della città, ora desiderava solo vivere lontana da chiunque la potesse trovare troppo facilmente. Amava il suo lavoro, non c'era scelta di cui si pentisse, ma dopo quella storia sapeva che, in un modo o nell'altro, di pentimenti ne avrebbe avuti da dare e da serbare. E aveva promesso di non calpestare mai più quel terreno, non dopo suo padre. Per nessuno al mondo. Ma a quanto pareva il mondo non aveva ancora finito con i colpi di scena. Atto tre, ripresa cinque. Azione.

Dinah chiuse la portiera con un tonfo e si stiracchiò le gambe. Camila ebbe bisogno di inforcare gli occhiali prima di alzare lo sguardo sulla villetta soleggiata. Non era niente di speciale o appariscente: una casa come tutte le altre nella via, solo leggermente più taciturna e spoglia. Dinah la oltrepassò, incitandola a seguirla. Camila prese un bel respiro e larvò la sua espressione sotto uno strato di indolenza.

Lo scampanellio insistente di Dinah riecheggiò dall'altra parte. Ci fu silenzio, poi dei passi attutiti ciabattarono verso di loro. La donna sulla soglia non assomigliava per niente alla donna delle foto. Clara, la madre di Lauren, aveva smesso di sentirsi donna quando aveva smesso di sentirsi mamma per uno dei suoi figli. «Si?» Proferì afona, come se oltre la voce le mancasse anche la voglia di parlare.

«Salve, signora, scusi il disturbo. Veniamo dalla centrale. Volevamo farle qualche domanda su sua figlia Lauren, possiamo?» Si qualificò altisonante Dinah, che non li notò nemmeno gli occhi di Clara intingersi di nostalgia e stupore. Camila avrebbe voluto dirle qualcosa, ma si trovava alle perse proprio come davanti a sua figlia.

Clara le fece accomodare e offrì loro da bere. Dinah si guardava in giro in cerca di indizi, mentre Camila era soltanto sorpresa di non vedere una sola foto di Lauren disseminata con le altre. La donna riapparve dopo qualche minuto. Sembrava aver fatto del suo meglio per sistemarsi i capelli arruffati, ma per il tremito delle mani non c'era alcun pettine che tenesse.

«Ci sono novità?» Aveva congiunto le mani non per nascondere il fremito. Le aveva unite in preghiera. Camila non poteva immaginare cosa significasse non smettere, non smettere mai di aspettare un giorno che non sarebbe arrivato. La guardava e vedeva la stessa carcassa dell'auto, solo più sfortunata: lei non poteva essere rottamata.

«Ehm, non proprio, signora.»Gli occhi di Dinah cercavano l'appoggio di Camila, ma la cubana era lontana anni luce, concentrata a fissare la donna senza domande valide da porle. O da porsi. «Abbiamo scavato negli archivi e ci risulta l'auto di sua figlia fosse senza assicurazione. Ci dispiace disturbarla per una rogna tanto irrilevante, ma purtroppo la burocrazia non guarda in faccia nessuno. Non è che ha conservato i documenti da qualche parte?» Stava solo temporeggiando, era una delle prime tecniche che insegnavano ai pivelli. Doveva proprio essere contenta di pavoneggiare le sue doti artistiche in materia.

Camila fissava le mani della donna e rinnegava malamente il groppo alla gola. Si guardava attorno, in cerca di un appiglio, ma tutto quel vuoto aumentava solamente la voglia di piangere.

«I documenti.. No, io, li avrò persi nel trasloco. Non ho più niente di lei.» Io si, pensò Camila, sentendosi terribilmente in colpa. Non poteva assistere un momento di più. Aveva bisogno di aria, la stanza si stava facendo troppo stretta, improvvisamente le immagini dell'auto si sovrapponevano alla realtà, e il tremore di Clara era diventato il suo tremore.

«Devo.. ehm andare, un attimo..» Prima che potesse terminare il discorso, la porta di casa si aprì e dei passi fangosi approdarono nel salotto. Due occhi tanto famigliari la incolparono ingenui, mentre sulle labbra della ragazza andava sbocciando un fiore già appassito. «Che sta succedendo, mamma?»

«Non è niente, Taylor. C'è un cavillo burocratico... Aspettami in camera, ok? E togliti le scarpe, ti prego, mettile dalla finestra di cucina.» Dettò amorevolmente la donna, scacciando la figlia da un ulteriore dolore. «Mi dispiace, lei non gradisce la presenza di poliziotti, le ricordano... Comunque. Stavamo dicendo che...»

«Posso parlarle?» Intervenne improvvisamente Camila, ritrovando un granello di voce sul fondale della gola.

«È proprio necessario?» Suonò titubante Clara.

«Mi asterrò dal fare domande difficili, promesso.» Lo sguardo della donna era un giuramento ineludibile. Clara, anche se restia, annuì flebilmente. Camila la ringraziò col primo sorriso della giornata.

Seguì le orme fangose fino alla camera della ragazza. La disobbedienza doveva essere un gene di famiglia. Taylor era seduta sul letto, il viso adombrato dietro le pagine del libro che non sembrava però distrarlo abbastanza dalle voci in sottofondo. Camila entrò chiudendosi l'uscio alle spalle. Gli occhi grandi della ragazza schizzarono su di lei come due cerbiatti illuminati dalla luce.

«Cos'altro sei venuta a chiedere? Non vi bastavano le foto, volevate anche l'audio?» Ecco un altro cromosoma genetico. Il sarcasmo era una malattia inestirpabile. Camila, però, non ne era infasitdita, bensì colpita.

«Hai ragione, Taylor. Hai il diritto di essere arrabbiata, ma io faccio solo il mio lavoro.» Improvvisò un sorriso sghembo, non andava molto forte con i sorrisi quella mattina o era una sua impressione? No, a giudicare dall'espressione di Taylor non era affatto un'impressione.

«Si, beh, anche un criminale fa solo il suo lavoro, ma non per questo non è un criminale.» Oh, sante parole! Peccato non ci sia tua sorella in giro.

«Quel libro l'ho letto due volte.» Additò la copertina floreale la cubana, sorridendo malinconica ai tempi dei libri romantici e delle storie inossidabili. Un tempo finito col suo primo giorno al poligono.

Taylor lo mise via senza dire niente, ma dal modo in cui l'aveva allontanato dalla vista di Camila capì che doveva avere una valenza speciale.

«La mia parte preferita era quando la protagonista smette di fare ciò che le dicono gli altri e scappa.» Tentò di crearsi un pertugio nella tana ben corazzata della ragazza.

«Era la parte preferita anche di Lauren.» Perché non mi soprende?  «Me l'ha regalato per questo.» Istintivamente la mano della ragazza carezzò la copertina e alla mente di Camila riaffiorò il vago ricordo delle mani della donna su di lei.

Taylor accovacciò le gambe al petto; le stava chiedendo di sedersi. Camila scommise che Lauren era tale e quale alla sorella da più giovane. Si posizionò sul bordo del materasso. La ragazza la guardava in modo guardingo, come se non si fidasse più di che pareva tenderle la mano. Dopo ciò che era successo, era più che comprensibile.

«Me l'ha regalato per il mio quindicesimo compleanno. Doveva fare un viaggio con quella tizia -a quanto pareva Lucy non era brava a farsi apprezzare- e io avevo paura. Lauren era sempre stata l'unica a sapere come calmarmi quando di notte facevo un incubo. A volte dormiva con me e mi teneva stretta. Bastava quello e tutto passava. Allora mi diede questo libro, lei ne aveva uno uguale, e mi disse che chi legge le stesse parole non è mai troppo lontano per ritrovarsi.» Una lacrima scivolò lungo la guancia di Taylor, ma era un dolore consolidato, una ferita cicatrizzata che però avrebbe portato con sé. «La sera prima di fare l'incidente mi disse di leggere più spesso il libro, perché non mi sentiva abbastanza. Io non l'ho nemmeno abbracciata. Pensavo di poterlo fare la mattina dopo, ma non c'è stata nessuna mattina dopo. Non c'è stato niente dopo.»

Camila ingoiava le lacrime e stringeva i pugni. Perché Lauren le aveva fatto quello? Con quale coraggio se ne era andata? Cosa c'era di più importante di sua sorella?

Taylor asciugò il naso con la manica della felpa quando la porta si aprì e Dinah apparve sulla soglia. Quello che avevano condiviso svanì nel momento che gli occhi della ragazza incontrarono quelli estranei della donna e decise che non le piaceva abbastanza. Riprese in mano il libro e non salutò nemmeno Camila.

«Beh, dovresti sentire sua madre,» Fischiò ridendo Dinah mentre avviava il motore. «Parla di Lauren come se fosse stata la persona più buona sul pianeta terra.»

«Forse lo era.» Rispose assorta la cubana, guardando la villetta sparire dietro la collina.

«Si, era. Credo che la botta dell'incidente le abbia procurato danni irrecuperabili.» Era in vena di motteggi, ma a Camila non andava di scherzare.

O forse no.

——-

Ciao a tutti!

Questo capitolo è stato più esplicativo che altro, ma come ho già detto non posso rivelare troppo fino alla fine...

Spero vi sia piaciuto!

Grazie a tutti.

A domani.

Sara.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro