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Capitolo due

Camila stava bevendo un caffè amaro e mangiando l'ennesimo cornetto stantio; erano troppe le cose a lei antipatiche che in quei giorni si stava sorbendo.

L'Unità si era attivata una settimana prima. Aveva fatto la conoscenza del comandante Allyson, una donna di stazza ridotta con un caschetto di capelli biondi austero. Se la sua altezza non intimidiva di primo acchito, ci pensavano i suoi modi formali e accademici. Dopo aveva fatto la conoscenza di tutti i membri. Si contraddistinguevano per qualità eterogenee, ma insieme funzionavano come un ingranaggio ben oliato, almeno per quel poco che aveva constatato.

Entrò svelta nella stanza, leggermente in ritardo come sempre. Tutti scattarono in piedi. Ancora doveva abituarsi a quella nuova modalità, ma temeva che sarebbe rientrata ben presto nella lista delle "cose antipatiche". La ragguagliarono sugli ultimi sviluppi. Luis aveva scovato un'asta prestabilita per il sabato sera, alle 21. Si teneva in un edificio abbastanza rinomato e per entrare c'era bisogno di mettersi in lsita. Niente che Christina non avesse rimediato in quindici minuti. Camila avrebbe potuto scegliere di starsene comoda e beata nel quartier generale a monitorare gli eventi da uno schermo, ma aveva accettato quel lavoro ad una sola condizione: la sua presenza in campo sarebbe stata obbligatoria. Non le piaceva restare in panchina, tantomeno quando il gioco si faceva avvincente. Quel sabato sarebbero scese lei e Dinah sul campo, mentre Christina e Luis si sarebbero tenuti nelle vicinanze, più marginali, attrezzati di qualsiasi diavoleria tecnologia potesse tornare utile.

Prima di entrare in azione, però, dovevano elaborare una strategia: mandare i giocatori in campo senza alcuna tattica era una partita già persa, e loro non potevano permettersi nessuna sconfitta.

«Beh, è chiaro che punteranno alla chiavetta usb. Non sarà difficile quindi individuare il loro uomo: sarò l'unico a rilanciare sempre.» Tutti presero fittamente appunti sulle parole di Camila.

«Ci saranno almeno un centinaio di persone, ma solo una ventina di loro sanno quali prodotti in vendita sono i più succulenti sul mercato, quindi evitate di prendere di mira chiunque si accanisca su mobili, quadri o pellicce: stanno solo pensando al loro salotto, nessun complotto marcisce dietro.» Aveva partecipato ad almeno cinque aste illegali, ed era sempre riuscita a fiutare gli infiltrati ad almeno dieci chilometri di distanza, ma se l'odore non era così intuibile, allora ci pensavano i loro gusti a smascherarli una volta per tutte.

«Si camufferanno fra la folla, la sfrutteranno a loro vantaggio. Quindi saranno vestiti normalmente, ma molto probabilmente avranno un rigonfiamento sullo smoking, o sulla coscia. Quello significa che non sono venuti disarmati, ed è un buon inizio per marchiare qualche sospetto. Ci saranno più persone armate di quanto crediate, però, quindi non date per scontato che siano loro.»

Dinah alzò una mano, e Camila, un po' perplessa - sia per il modo infantile sia per come doversi comportare in questo nuovo ruolo-, le diede impacciatamente la parola. «Credi che dovremmo richiedere una lista di tutti i nominativi?»

«Si, ottima pensata, anche se non saranno mai registrati col loro vero nome, ma se commettano anche il minimo errore di utilizzare uno pseudonimo già usato in precedenza, o se ancora meglio sfruttano sempre lo stesso... Beh, direi che potrebbero già essere ulteriori indizi su cui fare affidamento.» Annuì risoluta, premiando Dinah con un sorriso per l'intervento; non che non lo avesse già calcolato, ma era intenta a scoprire anche quale abilità intellettive coltivassero i suoi partner, così da poterne usufruire a tempo debito.

«Un'ultima cosa. Se avrai anche un minimo sospetto, Dinah, prima riferiamo le informazioni a Christina e Luis. Loro potranno interagire in tempo reale con i computer e stimare un margine d'errore, così evitiamo di far saltare la copertura e di arrestare la marchesa di Wilbury.» Lo spirito ironico della donna strappò un sorriso collettivo. Riteneva fosse importante, anzi fondamentale, stringere un rapporto confidenziale con i colleghi, così da non aver timore di prese di testa o escamotage architettati a sua insaputa. In più, le stavano davvero simpatici, almeno a pelle.

«Okay, direi che è tutto.» Concluse, lasciando la parola a Luis che spiegò come funzionavano gli auricolari che avrebbero incapsulato nelle orecchie delle due agenti. Infine Christina ricordò dove avrebbero portato la macchina, punto di arrivo e di ritorno. In caso di emergenza sarebbero riusciti a tirarle fuori di lì in non più di sei minuti, il tempo che Camila impiegava quando era assonnata per scendere da camera sua e arrivare alla cucina.

Una volta terminato il briefing, la donna andò a prendersi un caffè. Nell'edificio coesistevano vari reparti specialistici deputati a operazioni di livello medio alto o alto. I membri delle task force non potevano rivelare agli altri membri il loro compito specifico, era severamente proibito. Camila si divertiva ad osservare la schiera di porte, serrate come saracinesche, e indovinare quello che stavano seguendo là dentro. Ci scommetteva la sua pistola preferita che in almeno in una di quelle stanze qualcuno era affidato alla sicurezza del cane presidenziale. Un sorriso tiepido le sfiorò le labbra al solo pensiero, ma venne subito cancellato dal sapore amaro del caffè: aveva dimenticato di nuovo lo zucchero.

                                       *****

«Lo preferisci nero o rosso?» Dinah sollevò i due abiti di fronte allo sguardo alquanto indifferente di Camila. L'ultima volta che aveva indossato un vestito risaliva ai tempi del secondo matrimonio di sua madre, che era durato meno della sua sopportazione al velluto. Sperava almeno la sua serata avesse esito più positivo.

«Rosso?» Suonò più come una domanda, ma per Dinah fu più che sufficiente per lasciarla da sola nel "camerino" a cambiarsi.

Christina e Luis erano già partiti. Avevano scelto di separarsi ed arrivare in momenti diversi per non destare sospetti, anche se la via di fuga restava unica per tutti quanti, onde evitare dispersioni inutili. E anche in quel caso sperava la serata terminasse più tranquillamente.

Tirò su la cerniera, notando quanto attillato fosse il tessuto. Le sue forme non erano mai state così in risalto. La seta rifletteva il colore della sua pelle, il rosso le accendeva lo sguardo. Si era concessa una fine pennellata di trucco, giusto quel poco che bastava per eclissare le occhiaie e nascondere le pellicine delle labbra. Dinah, senza chiedere permesso alcuno, spalancò incurante la tendina e si addentrò nel camerino improvvisato (era uno sgabuzzino in fondo al corridoio).

«Sorella, con quel fisico avresti dovuto stare in passerella.» Si allacciò i cinturini dei tacchi, porgendo gli altri a Camila.

«Non sono abbastanza alta, e non so camminare su.. questi.» Osservò i tacchi con lo stesso sguardo che riservava a caffè amari e cornetti stantii.

«E quindi come seconda scelta non potevi scegliere qualcosa di meno rischioso?»

«Ho cerchiato il primo annuncio sul giornale.» Ammiccò spiritosamente la donna, lasciando intuire a Dinah quanto acuminato fosse il suo sarcasmo.

Durante il tragitto ripassarono alcuni particolari, accesero gli auricolari e annunciarono la loro presenza a Christina e Luis, che stavano già parlottando fra loro. Le misero al corrente delle persone annotate fino a quel momento. Tutte comparivano sulla lista dei nominativi, lista che Dinah era riuscita a reperire due giorni prima Grazie ad un vecchio contatto. Niente di cui Camila volesse sapere. Era abbastanza sicura che Allyson non avrebbe approvato.

L'edificio si trovava in una strada abbastanza trafficata. Non si poteva dire che fosse nascosto, ma forse il loro punto di forza era proprio quello: renderlo visibile affinché nessuno sospettasse niente. Non era anche la tecnica utilizzata all'interno? Confondere la clientela illegale con quella legale.

Dinah fece un cenno a Camila e le due si separarono, andando indipendentemente verso l'entrata. Mentre Camila forniva il suo nominativo, inserito sempre dal contatto di Dinah, percepì i peli sulla nuca rizzarsi e istintivamente si guardò attorno, tentando di scorgere qualche sguardo indiscreto. Non colse niente fuori dal consueto, ma l'impressione di essere osservata le rimase incollata alla schiena come un tatuaggio.

All'interno dell'androne si riversavano già una cinquantina di persone. Alcuni brandivano la paletta, altri se ne stavano munendo. Il palcoscenico era stato allestito al centro della stanza circolare. Alcuni camerieri transitavano servendo dello champagne. Camila afferrò un calice, ma solo come oggetto di scena: non aveva intenzione di bere nemmeno un goccio di bollicine offerto da qualche sconosciuto. Non era così scontata l'idea che fossero già un passo avanti a lei, e che sapessero della sua presenza. Si scrutò attorno meticolosamente, ma l'unica faccia famigliare che scorse fu quella di Dinah, dall'altra parte della sala.

Fece un giro di ricognizione, salutando qua e là, come se conoscesse qualcuno, ma gli ospiti erano troppo brilli o anziani per farci caso.

«Camila, a ore nove, la ragazza col vestito verde. Ti ha già guardato due volte.» La voce di Dinah risuonò nel suo orecchio, seguita immediatamente da quella di Luis.

La donna si voltò prudente, senza dare nell'occhio. Colse in flagrante gli occhi della ragazza saettare rapidamente lontano da lei, ma non abbastanza rapidamente da non essere scoperti.

«Esther Molino, è figlia di qualche imprenditore importante, ma l'unico motivo per cui potrebbe guardarti è il suo orientamento sessuale.» Chiarificò Luis, ottenendo risposte salaci dalle altre due partner.

«Beh, quel lato B fa gola anche a me.» Asserì Dinah, che venne immediatamente incenerita dallo sguardo lontano di Camila.

«Vaffanculo.» Sussurrò simpaticamente, ottenendo risatine qua e là. Forse doveva ricordarsi di essere lei in carica, meglio abbassare i toni.

Un uomo panciuto e dal viso irsuto apparve sul palco. Tutti si strinsero davanti al palco. La stanza era abbastanza grande, ma cento persone stipate all'interno rendevano impossibile muoversi senza urtare la spalla di qualcuno. C'era poco spazio si manovra, il che non avrebbe facilitato l'azione, dettaglio che entrambe appuntarono mentalmente.

Inizialmente vennero messe in vendita pollice, quadri e qualche libro contraffatto. Non era difficile identificare il materiale legale da quello illegale, e per quanto l'indole poliziesca di Camila la spronasse a intervenire, dovette stringere i denti e restare in silenzio, attendendo il momento sperato.

«Adesso, abbiamo questo gruppo di Matrioske importato direttamente dalla Russia Orientale. Fatte interamente a mano, si presume appartenessero all'ultima famiglia reale. Il prezzo di partenza è di 300 dollari.»

Una paletta si alzò immediatamente. Troppo svelta per non destare sospetti. Poi, però, subito un'altra, in direzione di Dinah, prese il comando.

«Siamo a 350. Qualcuno offre 375? 375 laggiù in fondo!» Camila seguì la traiettoria del sito grassoccio dell'uomo, terminando su una cresta ondulata a qualche metro dietro di lei.

«Stanno offrendo un po' troppo per delle bamboline di legno, ti pare?» Il tono dubbioso di Dinah rumoreggiò vicino al suo timpano.

Camila studiò la situazione. Il prezzo continuava ad aumentare. Chi avrebbe speso così tanto per dei pezzi di legno? Forse si poteva ipotizzare un collezionista, ma addirittura quattro collezionisti nella stessa stanza? Qualcosa non quadrava.

«560!» Sbraitò più allibito che contento il mediatore.

«Dinah, la chiavetta è là dentro.» Ebbe un lampo di genio la donna, che già a fatica si stava muovendo verso la prima paletta che si era prenotata.

«E chi è di questi il nostro uomo?» Domandò intontita Dinah.

«Tutti e quattro. Lo fanno per confonderci. Sapevano che saremmo stati qui.» Rispose decisa Camila, continuando a serpeggiare verso la mano alzata.

«Cazzo.» Bisbigliò a denti stretti Dinah, avventurandosi fra la ressa verso la paletta più vicina.

Camila continuava a spingere e chiedere scusa. La paletta non si era più alzata, ma con un colpo di fortuna poteva sperare di incappare nell'uomo. Il suo sguardo cadde distrattamente su Dinah, che si stava dirigendo verso la fine della sala. Camila sgranò gli occhi. «No, Dinah! Se andiamo tutte e due verso uno di loro, nessuno va verso il palco! È quello che vogliono.»

«Le matrioske, cazzo.» La donna sgusciò all'indietro, sgomitando più audacemente stavolta verso la parte opposta. Le persone si stavano già disperdendo, creando più scompiglio che altro.

Camila era quasi arrivata, le bastava forzare un'ultima spalla e...

La paletta era stata abbandonata a terra. Nessuno nelle vicinanze sembrava essere abbastanza preoccupato per essere incolpato. Fece controllare le facce degli astanti a Luis, ma nessuno di loro ebbe un riscontro promettente.

«Camila, le hanno già prese.» Sospirò afflitta Dinah, ma la sua voce le arrivò remota. Aveva appena notato un particolare impresso sulla paletta.

Si chinò a raccoglierla e con un sorriso sardonico registrò il bacio disegnato con la punta del rossetto.

«Credo che il nostro "uomo" indossi il rossetto.» Ringhiò a denti stretti, con gli occhi fissi sul disegno beffardo.

L'affermazione confuse i suoi colleghi, fin quando compresero che non stavano cercando un uomo, ma una donna. Era una donna a capo dell'associazione. Camila ora ne era sicura. Nessun secondino si sarebbe permesso una trasgressione tanto impertinente.

«Maledizione.» Sbuffò, guardandosi attorno senza raccapezzarsi.

Tornarono tutti assieme alla base. Discussero dei nuovi indizi scoperti e fecero analizzare la paletta da Christina. Nessuna impronta, ovviamente. E il rossetto doveva essere nuovo perché non aveva lasciato alcuna impurità. Già, troppo semplice.

Restarono a studiare un piano alternativo, a calmare i nervi di Dinah e stabilire come procedere da lì in avanti.

«Dovremmo passare in rassegna ogni volto catturato dalle telecamere, giusto per precauzione, anche se non saranno stati così impudenti. Poi...»

Vennero interrotti dal trillo di un telefono. Camila ci mise qualche secondo a realizzare che era il suo. Per non disturbare i colleghi andò a rispondere in corridoio. Il numero era sconosciuto. Strano. Di solito la chiamava solo sua sorella, o alcune vecchie conoscenze di qualche stazione dimenticata e nessun altro.

«Pronto?»

«Bene, bene, bene.» Una voce troppo metallica per suonare umana le risuonò all'orecchio. «Non pensavo fossi un tipo da vestito rosso, Camila.»

E improvvisamente comprese. Chiunque le avesse lasciato quel bacio, ora era dall'altra parte della cornetta.

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Ciao!

Beh, da qui si entra nel vivo della storia!

In realtà i primi capitoli, come dicevo, non sono neanche troppo adrenalinici rispetto al resto, ma ognuno si contraddistingue per qualche particolarità.
Come il prossimo, ad esempio. Sarà un capitolo di scoperta per ambedue, ci saranno sarcasmo e cattive scelte, solo le prime di tante ancora peggiori... ;)

Vi aspetto domani.

Grazie a tutti.

Sara.

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