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Capitolo Diciotto


Dinah aveva trovato nei silenzi rigorosi e nella professionalità ineccepibile di Thorne un che di estatico. E così, oltre a sorvegliare insieme i perimetri delle ville assediate da una sparatoria, avevano anche condiviso attività più rischiose, come guardare Netflix insieme scambiando pareri sui personaggi. Anche se più che "pareri" erano dissapori, visto la visione completamente diversa che avevano della vita. Dinah si era lamentata tutti il lunedì del fine settimana, sostenendo che Thorne era troppo noioso per vedere insieme un film su 007, ma poi c'era tornata anche il weekend successivo.

Camila era stupita, non pensava che due persone tanto diverse potessero stare sotto la stessa coperta senza uccidersi. Certo, lei era l'ultima a poter salmodiare sull'argomento. E a proposito di atteggiamenti che non avrebbe dovuto avere... Lauren non l'aveva chiamata più dopo.. Dopo la villa. Era tremendamente seccante sopportare le sue chiamate, ma lo era ancora di più tollerare i suoi silenzi, soprattutto dopo che... Ogni volta che ci ripensavo lo sguardo brillante e confuso le lampeggiava davanti, sentiva la sua mano stringerle il polso e rammentava l'indecisione del suo respiro. E poi si rivedeva correre via, costringendosi a non voltarsi più. E Lauren non l'aveva richiamata. E si, si! Si, maledizione, si chiedeva perché.

Il lavoro procedeva lentamente. Il localizzatore era andato perso, o forse distrutto, nelle vicissitudini della giornata. Luis lo sapeva perché nessuno l'aveva usato ancora, né per specularci sopra né per ricercare la chiavetta. Era riuscito a ricrearne uno seguendo l'immagine salvata sul computer, ma non era ancora riuscito ad accenderlo. Attraverso quello, però, aveva capito come infiltrarsi nel sistema operativo del localizzatore: appena qualcuno lo avrebbe usato sarebbero stati messi al corrente.

Erano state due settimane morte, il che non aveva aiutato l'umore altalenante di Camila e tantomeno la massa di pensieri che srotolava dentro ogni angolo della sua mente. Non vedeva l'ora di tornare alle pallottole, all'adrenalina, anche alla paura. Tutto fuorché quella quiete straziante.

Mentre sorseggiva una tisana -aveva temporaneamente deciso di non bere caffè, era già troppo agitata di suo- e guardava un programma abbastanza vecchio da non riguardare tematiche troppo cliché, squillò il telefono. Camila arrestò la tazza a mezz'aria, si paralizzò per un istante chiedendosi se era ancora capace di farlo. Se era ancora capace di non scomporsi al cospetto del sarcasmo pungente di Lauren o di non spezzarsi confrontandosi con lei.

«Pronto?» Rispose cauta, socchiudendo le palpebre e mordendo le labbra. Non sapeva se sperare che fosse o non fosse lei.

«Ciao, Camila.» La voce rauca di Lauren mise subito a tacere i suoi dubbi. Camila tirò un sospiro, forse di sollievo, ma questo non se lo raccontò.

«Pensavo non avresti chiamato più.» Ammise neutra, senza tradire preferenza alcuna.

Lauren deglutì. «Dovevo pensare.» Era troppo seriosa per tranquillizzarsi. Non era abituata a sentirla così a telefono, le provocò una certa amarezza alla bocca dello stomaco che le ricordava le labbra di Maya, e no, non era una cosa carina.

«A cosa?» Osò chiedere. Se c'era un motivo a prescindere dalla vocazione per cui aveva scelto il mestiere di poliziotta era che preferiva sapere piuttosto che restare all'oscuro.

Impiegò qualche istante prima di rispondere. «A quale vestito ti stava meglio. Io opterei comunque per quello rosso.» Ed ecco che la maschera era tornata al suo posto. Si stava quasi preoccupando.

«Lo dici solo perché non vuoi sfigurare col nero. Perché sappiamo tutte e due che stava meglio a me.» Ribatté, ripensando a quella sera, nella cantina di Martin. Onestamente non se lo ricordava nemmeno il vestito di Lauren, riusciva a riesumare solo il dolore allucinante. Ora per fortuna il fianco le doleva solo se premeva un dito contro la zona lesa. Perché non poteva essere così per tutto?

«Vuoi farmi credere che la pistola me l'hai puntata contro per ragioni diverse dall'invidia?» Stavolta Camila rise, non poteva farne a meno. Anche l'altra si concesse un sorriso, ma per entrambe svanì amaramente.

Cosa stavano facendo? Lauren aveva sfidato la sorte chiamando Camila solo per confonderle le idee, spostare l'attenzione, farle perdere lentamente il senno... Niente di tutto quello aveva attechito, o almeno non aveva attechito abbastanza lungo per crescere nel modo sperato. E ora sapevano entrambe che avevano raggiunto il limite. Tutte e due rischiavano la loro vita, in un modo o nell'altro.

«Dobbiamo smetterla,» verbalizzò i pensieri di entrambe Camila; per una volta anche l'oratoria di Lauren si era tacitata. «Dobbbiamo smetterla di farci favori a vicenda, di sentirci per telefono, di...»

«La tua fidanzatina è gelosa?» La interruppe estramemente sferzante la corvina, decapitando la frase e l'iniziativa di Camila, che rimase a mimare parole al vento.

«Eri tanto impegnata a morire, ma non abbastanza da perderti quello.» Schioccò la lingua contro il palato, incredula di fronte a tanta arroganza.

«Quello, Camila, si chiama bacio.» Precisò saccente la corvina.

La cubana aveva preso a camminare avanti e indietro, già arrossata fino alla punta delle orecchie.

«Se quello lo chiami bacio, Lauren, allora non sai proprio cosa significhi baciare.» Ma come diamine erano finite a litigare? Riavvolgere il nastro, invertire la rotta, chiudere i boccaporti. Basta, basta!

«Beh, io non bacio i miei amici .» La punzecchiò sempre più inalberata.

«Perché tu hai degli amici?» Ok, un po' cattiva, ma in amore e in guerra tutto è lecito. Prima di scoprire se la sua freccia le avesse fatto male davvero, Camila tentò una rapida sterzata. «E poi non sono io quella impegnata, sei tu fidanzata con Lucy.»

«Lei è solo una collega, un'amica...» Si morse la lingua prima di conoscere la risposta di Camila.

«Ah! Pensavo non li baciassi i tuoi amici.» Era più affannata di quando correva e anche più stanca.

Il respiro di Lauren non era da meno, tanto che entrambe si concessero una tacita tregua. Restarono in ascolto dei loro ansimi rabbiosi, una con gli occhi assottigliati e l'altra con i pugni serrati. Si domandavano quando quel gioco fosse divenuto tanto pericoloso.

«Dobbiamo smetterla, con tutto.» Puntualizzò Lauren stavolta. «Rischiamo di farci male, non va bene.»

«Più male di una pallttola?» Chiese calorosamente pungente, ma guardando la sua tisana tiepida si accorse che non era l'unica cosa ad essersi raffreddata.

«Si, molto di più.» Suonò irrimediabile Lauren.

Camila rimase in silenzio. L'ultima volta era stata lei ad andarsene, trovava giusto stavolta fosse Lauren a farlo.

«Non ti chiamerò più.» Non mise giù subito, aspettò qualche istante come se avesse ancora qualcosa in sospeso da confessare, ma poi l'unico suono che captò fu il segnale acustico di fine telefonata.

*****

La settimana trascorse in relativa tranquillità. Mentre Christina tentava di avvalorare l'ipotesi che il localizzatore fosse davvero distrutto e Luis si lambiccava per accendere il suo prototipo, Dinah proseguiva sia le uscite con Thorne sia le ricerche su i membri della banda (dedicandosi con maggior fedeltà a una in particolare). Camila invece... Beh, lei faceva la spesa.

Da quando aveva lasciato il nido famigliare e aveva imparato la dura legge del frigorifero vuoto, si era dovuta organizzare tramite le consegne espresse direttamente dal supermercato per ottimizzare i tempi lavorativi e privati. Ma adesso le risultava importante toccare con mano i barattoli o saper riconoscere quale detersivo aveva una pubblicità più banale. Il supermercato era l'organo vitale della società, ora Camila lo sapeva. Lì era tutto ordinato ed etichettato, non c'era niente fuori posto. Ogni reparto aveva il suo scaffale, ogni scaffale la sua funzionalità, ogni funzionalità la sinergia dei commessi. Poco importava dei tafferugli fra avventori o della fila troppo lunga alla cassa. Le teneva la mente pulita e occupata. Non poteva chiedere di meglio.

Quella mattina era afflitta fra una colazione calorica o dietetica. Stava controllando la provenienza sul pacchetto della seconda, quando percepì i peli della nuca impettirsi, il collo formicolare e un famigliare calore intorpidirle le clavicole. Prima che il brulichio si propagasse ulteriormente, si girò di scatto, maledicendosi per non aver portato la pistola con sé. Al massimo ne prenderò una in prestito al reparto otto, rassicurò sé stessa. L'unica minaccia che scovarono i suoi occhi fu una scatola di pelati particolarmente aggressiva. Forse era risentita per tutti i barattoli che Camila aveva forato nel tentativo di raddrizzare la mira. La cubana non era ancora convinta di poter abbassare la guardia. Lentamente arrivò in fondo al reparto, circumnavigò lo scaffale dei prodotti in offerta e, di colpo, senza avvertire, fece capolino sul corridoio attiguo. A parte per la presenza di una signora attempata e un cane scondinzolante non vi era nessuno. Camila respirò profondamente, appoggiando la testa contro lo scaffale dietro di lei. Le mancava l'adrenalina. Erano quelle settimane mogie a farle mancare addirittura il pericolo o il rischio. Oppure. Oppure le mancava qualcos'altro. Forse le mancava... Le mancava... Il latte, ecco cosa le mancava. Tornò al timone del suo carrello e tirò a dritto, non prima di aver afferrato la scatola di pelati però.

Una volta rincasata sistemò metodica le provviste. I suoi armadietti erano la cartolina perfetta per l'insofferenza di sua madre riguardo il disordine che Camila lasciava sempre a giro per casa. Se avesse saputo di ricevere risposta le avrebbe pur scritto, ma sapeva che il telefono squillava a vuoto troppo spesso per essere una coincidenza. Ormai si era abituata.

Dopo aver sbrigato le compere, si dedicò alle pulizie; aveva scoperto da poco che i vecchi stracci servivano davvero a qualcosa. Infine fece il bucato. Mentre assortiva i capi dentro il cestello, sobbalzò per una puntura sul dito. Aveva dimenticato qualcosa di affilato in tasca. Rovesciò la parte interna sulla mano avvertendo qualcosa di freddo e tondo impattarle il palmo. La piccola spilla dorata che Lauren le aveva lasciato luccicava anche alla luce soffusa del ripostiglio. Camila ebbe un fremito collerico, come se desiderasse poter impgunare davvero quelle spade per duellare contro chi le aveva donato il regalo. Ma poi rilasciò un sospiro vuoto e spento appoggiando la schiena contro la lavatrice. Non poteva duellare con chi non aveva mai conosciuto fino in fondo. E Lauren non l'aveva certo conosciuta abbastanza per poter sapere fino a che punto i suoi affondi sarebbero stati una minaccia. Il rischio di perdere era troppo elevato, e Camila era ancora ostinata a vincere. Anche se la vittoria non sapeva più da che parte risiedesse.

Verso le nove, mentre pisolava scomodamente sul divano, il campanello trillò. Si svegliò col fiatone, mandando al diavolo chiunque avesse inventato un oggetto tanto perfido come il campanello.

Stropicciandosi il viso smunto aprì l'uscio. Non fece in tempo a schiudere le palpebre che una folata di vento profumato e il rintocco dei tacchi sul pavimento immacolato risuonarono al suo fianco.

«Ehilà, passavo di qui, così ho deciso di fermarmi a controllare non fossi già morta di noia.» Dinah indossava un vestito più colorato e frizzante del suo umore. Gli orecchini tintinnavano ai suoi lobi e le labbra si piegavano sotto una pennellata di rosa.

« È successo qualcosa?» Mugolò assopita, richiudendo fiaccamente la porta.

«Si,» mise le mani sulle sue spalle e in tono mortalmente serio dichiarò: «sono venuta a fare l'amica.»

Camila corrugò la fronte, studiando i dettagli vivaci del volto dell'altra.

«Allora, dov'è l'alcol in questa casa?» Gridò spostandosi nella cucina.

Camila le sgmabettò dietro lentamente, cercando ci comprendere quale assurda idea avesse avuto. «Non c'è alcol, solo pelati.»

«Sono più il tipo da ciuffo.» Scherzò, aprendo inorridita gli armadietti perfettamente immagazzinati. «Non hai neanche uno spritz?» Si arrese infine, rimirando attonita e spazientita la donna.

«Ho sonno, ecco cosa ho. E no, niente spritz.» Le voleva bene, ma in quel momento avrebbe soltanto voluto che se ne andasse. Dormiva poco ultimamente, poco e male, quindi valorizzava ogni attimo di riposo come un miracolo irripetibile.

«Io facevo per te, eh. Pensavo che l'avresti affrontata meglio con un po' d'alcol in circolo, ma fa niente!» Squittì, dandole l'impressione che lei di alcol in circolo ne avesse già una buona percentuale.

«Avrei affrontato che cosa?» Scosse la testa sentendola troppo pesante sulle sue spalle.

«Come che cosa? La serata!» Si sbracciò, ancheggiando i fianchi a ritmo caraibico. L'unica musica che Camila sentiva era quella della ninna nanna. Notando l'espressione ancora perplessa della cubana, Dinah sospirò e si espresse francamente: «Io e te andiamo a ballare.»

«Cosa?! Te lo scordi, non ci pensare nemmeno!» Le diede le spalle, trascinandosi fino al divano dove sprofondò a peso morto. I passi sonori dell'amica la inseguirono.

«Oh, andiamo! Quand'è l'ultima volta che hai ballato con qualcuno?» Portò le braccia conserte e si scolpì quel cipiglio superbo che le ricordava ogni rimprovero del suo passato.

«Fidati, non vuoi saperlo.» Borbottò sommessamente, reprimendo il ricordo delle mani di Lauren sulla sua schiena.

«Non puoi restare qui! Lo so che sei abbattuta perché il lavoro non evolve come vorresti, ma non è buona scusa per lasciarsi andare.» Il tono edulcorato richiamava la voce che solitamente i passanti indossavano per salutare smielati un cane. Dinah la trainò in piedi e guardandola negli occhi, anche se rivolti al soffito, disse: «Oh, ma insomma! Non puoi fidanzarti col lavoro. Hai lo stesso aspetto di quando si attraversa una rottura!» Le parole della donna monopolizzarono l'attenzione di Camila che per la prima volta pareva più sveglia che mai.

Per un secondo la guardò stranita e timorosa, senza dire niente. Forse aveva detto qualcosa di sbagliato, ma non riusciva a trovare delle scuse per niente.

«L'unica "rottura" qui sei tu.» Si ricompose infine, ma soggiunse anche: «Va bene, solo per questa volta però!» Ci tenne a precisare, ma Dinah stava già esultando per poterle far caso.

«Vado a cambiarmi, aspetta qui.» Sorrise arrendevole la cubana, sparendo quindi su per le scale con uno sguardo interrogativo e spaesato.

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Ciao a tutti!

Spero siate pronti per il prossimo capitolo, che pubblicherò stasera. Ho deciso che finché ho Capitoli da aggiungere lo farò, per alleggerire questi giorni un po' a tutti.

Spero che il capitolo vi sia paiciuto, a me ha divertito molto scriverlo.

A stasera!

Sara.

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