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4th

Corinne



Luke mi guardò con occhi colmi di desiderio mentre mi adagiava sulla scrivania, incollando le sue labbra alle mie con foga. Scariche elettriche mi percorsero da capo a piedi mentre la sua lingua si insinuava nella mia bocca e le sue mani percorrevano il mio corpo, fermandosi ai lembi della mia gonna che sollevò con facilità, rivelando i miei slip. Le sue dita si posarono sui miei fianchi, attirandomi maggiormente a sé prima di abbassarmi gli slip. Rabbrividii al contatto delle mie parti intime con la stoffa ruvida dei pantaloni di Luke, sotto cui era ben presente un piccolo rigonfiamento. Sapere di avergli provocato un'erezione mi fece sorridere soddisfatta.

Luke si staccò da me, leccandosi le labbra. «Ho atteso così a lungo questo momento», sussurrò, passando il suo dito indice sul mio clitoride, «Finalmente sei mia».

Gemetti, aggrappandomi a Luke prima che lui mi spingesse sulla scrivania, facendomi finire di schiena sul vetro freddo; tenni gli occhi fissi su di lui, che torreggiava minaccioso su di me, squadrandomi da capo a piedi. Luke abbassò la testa, andando dritto al mio punto più debole e facendomi gemere ad alta voce, noncurante del fatto che qualcuno avrebbe potuto sentirci.

Aprii gli occhi di scatto, respirando affannatamente. Mi passai una mano tra i capelli ed in attesa che il mio respiro si calmasse diedi uno sguardo all'orologio digitale sul comodino; il quadrante segnava le due di notte. Mi distesi di nuovo a letto, sentendomi tremare - per disgusto per me stessa o per il sogno appena fatto, non sapevo dirlo con precisione.

Subito la realtà mi colpì in pieno come un tir: avevo appena fatto un sogno erotico sul mio capo. Forse non era neanche una novità, magari capitava a tutti, ma a me sembrava qualcosa di illegale, troppo sporco. E qualcosa che in cuor mio sapevo che sarebbe accaduta al più presto...

Nell'ultima settimana non avevo fatto altro che notare quanto interessato fosse Luke a me. Durante la giornata lavorativa passava quasi sempre al web design e si fermava a parlare con me, prendendosi sempre troppo tempo; Eric mi aveva fatto notare più volte le occhiate languide che mi lanciava. Chanel mi sembrava sempre più stizzita quando ci incontravamo, talmente stizzita che quasi non mi salutava (non che mi importasse di avere il suo saluto, ovvio, ma il fatto che non mi salutava diceva parecchio su ciò che pensava di me).

Non sapevo più che fare, la situazione era troppo confusionale. Da un lato queste sue attenzioni mi piacevano - da morire, anche - ma da un altro ero consapevole che Luke non avrebbe dovuto avere questo genere di attenzioni per me, visto che ero una sua dipendente e le relazioni tra due colleghi di lavoro non erano mai viste di buon'occhio.

Per non parlare delle complicazioni che ci sarebbero se io e Luke cominciassimo a stare insieme: Luke è una persona influente, quindi saremmo sulle pagine di tutti i giornali dal primo secondo (e io sarei additata come la ragazza che lavora solo perché si scopa il capo, ovviamente), Chanel mi lancerebbe dalla finestra, Natalie mi odia...

Ma perché ci sto pensando? Tanto non accadrà mai. È inutile scervellarsi sugli ipotetici rischi di una relazione con Luke, non succederà niente tra noi due e, ammesso e non concesso che qualcosa succeda sul serio, sarebbe una cosa di poco conto. Una botta e via. In ogni caso, mi sto soltanto illudendo troppo e non devo pensarci più.

Con l'intento di allontanare tutti i pensieri che stavo facendo scesi dal letto, dirigendomi a grandi passi verso la cucina. Mio fratello era ancora in piedi, intento a lavorare al suo pc. Quella notte ero andata a dormire da lui perché a casa c'era Chad e, oltre al fatto che non lo sopportassi e non sopportassi le smancerie da coppia che facevano lui e mia sorella, mi sentivo di dargli un po' di privacy. E poi non volevo dare fastidio a mia madre, una persona in meno in casa fa una bella differenza.

«Dovresti dormire», dissi a Derek, aprendo il frigo ed estraendone una bottiglietta d'acqua.

Derek scostò lo sguardo dal suo pc a me, lo scetticismo si rifletteva nelle iridi nocciola. «E tu dovresti essere da nostra madre, ad assicurarti che Maria non venga fecondata di nuovo», mi rispose a tono, facendomi alzare gli occhi al cielo.

«Non credo che Maria sia così stupida da fare lo stesso errore di nuovo», commentai sedendomi accanto a Derek.

Mio fratello scosse la testa. «Maria no, ovviamente, ma... Tu ti fidi di Chad? Io no».

«Neanche io», risposi ovvia, «Ma credo che abbia imparato la lezione, non è così stupido... mi sbaglio?».

«Lo spero. Allora, perché non dormi? Hai fatto qualche incubo?», mi chiese Derek, cambiando discorso.

Direi proprio di sì. «No, è una di quelle notti insonni in cui ti-».

«Corinne, per favore. Sono tuo fratello, lo sai che non me la bevo mai. Dimmi cosa c'è che non va».

Sospirai. Mi ero alzata dal letto per non pensare più ai sogni malati che mi propinava la mia testa, non per cercare di analizzarli!

«Non voglio parlartene», decisi di dire, bevendo un sorso d'acqua come per non aggiungere altro.

«E allora perché sei qui, a parlare con me?», ribatté Derek, «Se non avessi voluto parlarne adesso saresti ancora a letto a far finta che vada tutto bene, come facevi sempre quando avevi otto anni e sognavi che papà non sarebbe tornato più».

Sospirai. «Uffa. Mi conosci troppo bene. Vedi Derek, io...», mi morirono le parole in gola.

Come avrei dovuto dirglielo? Me ne vergognavo troppo. Sarebbe stato, oltretutto, come dichiarare la mia sconfitta: non ero stata la prima a dire che non avrei fatto sesso con Luke?

Ma, aspetta un secondo, tu non hai fatto sesso con Luke. Desideri farlo, questo è ovvio, ma non lo desiderano tutti? Luke è attraente, è normale pensare queste cose, mi dissi, e allora perché ti sembra così un incubo pensarci?

Semplice, perché voleva dire che stavo cedendo al fascino di Luke. Io, che mi ero giurata di non farlo, stavo cadendo nella sua trappola. Ciò che era un semplice sogno apparentemente senza significato rappresentava la mia rovina...

«Tu cosa? Che hai sognato di tanto grave?», mi chiese Derek, scettico.

Arrossii mentre rispondevo «Ho... Sognato di fare sesso con il mio capo».

Di tutta risposta Derek scoppiò a ridere. Lo guardai male in attesa che si calmasse, e quando lo fece, disse «Aspetta che lo dico a Maria. Mi deve dieci dollari».

Sgranai gli occhi. «Perché Maria ti deve dieci dollari?», gli chiesi, intuendo però quale fosse il motivo per cui Maria dovesse dei soldi a nostro fratello. Quei due bastardi, sempre a fare scommesse su di me.

«Perché avevamo scommesso su a chi di noi due avresti detto di avere una cotta per il tuo capo», rispose, «Sapevo che l'avresti detto prima a me».

Scossi la testa. «Siete impossibili. Scommettere su queste cose è deplorevole».

«Già, già, che persone cattive che siamo. Adesso parlami delle tue fantasie», mi incitò a parlare Derek, facendomi arrossire.

Sospirai, «Niente, ho solo sognato di baciarlo, e lui... Lui... Metteva la testa fra le mie gambe», borbottai, coprendomi la faccia con le mani mentre Derek scoppiava di nuovo in una risata.

Fortunatamente per me tornò subito serio. «Oh beh, è comprensibile. Non mi sembra tanto tragico fare sogni erotici sul proprio capo, sai?», disse, dicendo esattamente ciò che mi stavo ripetendo in testa da quando mi ero risvegliata così bruscamente dal mio sogno. Il vero problema era che non riuscivo a crederci, ero scettica persino delle mie stesse parole.

«Per me lo è e non so neanche per quale motivo. Forse perché mi state dicendo tutti che farò sesso con Luke e io sostengo il contrario?».

«Cori, non è che sognando di farci sesso hai davvero fatto qualcosa con lui, hai solo sognato di farlo. Sei solamente attratta dal tuo capo, tutto qui, non è una cosa così tragica. A meno che... Tu non voglia farlo sul serio», disse, alzando un sopracciglio, «Non è che tu...?».

Scossi la testa. «Non lo so, Derek. Non lo so», borbottai, «Forse è meglio far passare la settimana, magari avrò le idee più chiare».

«Avere le idee più chiare su cosa? Sul fatto che vuoi fare sesso con il tuo capo?», esclamò Derek, ridendo.

Non gli risposi.

***

La settimana in cui dovevo cercare di togliermi quegli orrendi pensieri su Luke dalla testa stava passando lenta ed agonizzante, impedendomi di dimenticare, costringendomi a tenere quei pensieri fissi nella mia testa. Di conseguenza non riuscivo a concentrarmi bene su niente, la mia testa era invasa da Luke senza lasciare spazio ad altro, alle cose più importanti. Ed odiavo tutto questo.

Quella mattina arrivai in ufficio in ritardo a causa di un contrattempo che mio fratello aveva avuto con la sua auto; mi recai quasi correndo verso l'ascensore, salutando Kylie solo con un cenno della mano. Le avrei spiegato tutto più tardi.

Arrivata finalmente al mio piano pensai che le cose sarebbero andate bene, e invece...

«È in ritardo, signorina Barton».

Raggelai, voltandomi verso la persona da cui proveniva la voce e mordendomi il labbro quando Luke mi si presentò davanti. Era da una settimana che Luke mi trattava freddamente, non perdeva la minima occasione per lamentarsi di qualcosa, anche della cosa più banale, e questo mi stava mandando in bestia per ovvi motivi. Era come se stesse cercando un motivo per cacciarmi via, cosa che sarebbe stata anche facile visto il fatto che era già dal mio primo a giorno che fossi a rischio licenziamento...

«Buongiorno anche a lei, signor Hemmings», lo salutai sarcastica, non riuscendo a tenere a freno la lingua come al solito. E, a dirla tutta, volevo vedere dove si sarebbe spinto. Luke quando si comportava come un capo severo era così eccitante...

E ci risiamo. Dio, devo smetterla!

Luke ignorò la mia risposta, camminando verso di me. «Signorina Barton, penso lei sappia che qui i ritardi non sono bene accetti».

«Ovviamente», lo interruppi, scuotendo la testa, «Ma penso lei sappia che questo è il primo ritardo che faccio in due settimane che lavoro qui», ribattei in tono di sfida.

Luke accolse la mia provocazione senza battere ciglio, anche se notai la contrazione della sua mascella. «Certamente. Il fatto è, signorina Barton, che qui i ritardatari non sono mai visti di buon'occhio, non importa se facciano ritardo ogni giorno o una volta tanto. Da come le ho detto già il suo primo giorno qui, la sua posizione è già a rischio. Fossi in lei non la metterei a rischio ulteriormente», disse, prima di andarsene.

Sospirai frustrata, recandomi alla mia postazione e sorridendo imbarazzata ad Eric prima di sedermi. Lui notò sicuramente il mio malumore, visto che non sono capace di nascondere qualcosa...

«Come mai in ritardo?», mi chiese lui, curioso.

Alzai le spalle. «Problemi con l'auto. Tutto a posto?».

Eric annuì, sorridendo. «Oggi niente di speciale, come al solito, ma... Ce l'hai presente Rick? Te ne ho parlato».

«Certo. È successo qualcosa con lui?».

Il sorriso di Eric parve allargarsi. «Domani esco con lui», rivelò, sembrandomi un bambino la mattina di Natale.

Vederlo così gioioso aiutò a distrarmi da ciò che mi stava tormentando. «Ma è fantastico! Sono così contenta per te!», esclamai, ridendo.

Eric alzò un sopracciglio. «Lo sai che non sai recitare per niente?».

Le sue parole mi misero in guardia. «Che cosa?».

«Non sai recitare. Si vede lontano un miglio che c'è qualcosa che non va», spiegò Eric, eloquente, «Ora, cosa c'è esattamente che non va?».

Sospirai. «Non è niente, Eric. Sono solo di malumore, tutto qui», mentii, cercando di svignarmela. Non volevo parlare anche con lui di Luke, mi ero decisamente rotta le scatole di parlare di Luke.

«E questo malumore è dovuto a qualcosa o... A qualcuno?», incalzò Eric, sorridendo malizioso.

Alzai gli occhi al cielo. «Non voglio dirtelo, Eric».

«Andiamo, dimmelo che è colpa di Luke».

Sbuffai. «Non è-».

«Corinne, Luke vuole vederti nel suo ufficio», fui interrotta da quella voce acida ed insistente.

Mi voltai lentamente, alzandomi per raggiungere Chanel senza non notare l'occhiata compiaciuta che mi lanciò Eric.

«Che vuole adesso?», mi lamentai sotto voce, pensando che nessuno potesse sentirmi.

Chanel, tuttavia, mi sentì. «Perché non glielo chiedi tu stessa?», sbottò acida, prima di aprire la porta dell'ufficio di Luke e sedersi alla sua scrivania, non senza fissarmi come se avesse voluto uccidermi.

Cercai di non pensare a lei mentre entravo nell'ufficio di Luke, oltrepassavo la sala d'attesa e raggiungevo la porta decorata dalla placca in oro, bussando. Il pensiero che forse quella sarebbe stata l'ultima volta che avrei oltrepassato quella soglia mi rattristava.

«Entri pure», disse Luke dall'interno.

Presi un respiro profondo ed entrai, cercando di celare il mio nervosismo. «Voleva vedermi, signor Hemmings?».

Luke annuì. «Siediti, Corinne».

Il brivido che corse lungo la mia schiena alla menzione del mio nome mi spaventò; era da secoli che non sentivo il mio nome detto da lui ed avevo dimenticato quanto mi piacesse sul serio.

Mi sedetti titubante alla scrivania, fissando Luke concitata. «Perché voleva vedermi?», chiesi, non riuscendo a tenere a freno la lingua, «È per il ritardo? Le giuro che è stato solo un caso, oggi, non accadrà più».

Luke rise. «Non hai capito proprio niente, Corinne», borbottò, il sorriso che ancora aleggiava sulle sue labbra, «Sto cercando di attirare la tua attenzione in ogni modo e tu ancora non te ne sei accorta?».

Il respiro mi si mozzò in gola. Qualcosa nella mia testa mi diceva che forse in quel momento mi avrebbe presa e sbattuta sulla scrivania, ma la parte più razionale del mio cervello si impose e mi disse che era arrivato il momento, Luke mi avrebbe licenziata. Quindi trattenni il respiro e chiesi: «Cosa non ho capito?», sperando con tutta me stessa che non mi avrebbe licenziata.

Il sorrisetto di Luke, tuttavia, mi convinse che forse sarei rimasta lì per un altro po' di tempo. «Sei così ingenua».

Arrossii. «Mi può dire cosa diavolo vuole da me, signor Hemmings?», chiesi stranita. Tutti quei giri di parole mi stavano innervosendo.

Luke di tutta risposta si alzò, fece il giro della scrivania e mi afferrò per il colletto della camicia, facendomi alzare con facilità dalla sedia e finire addosso a lui. Il mio cuore prese a battere fortissimo nel petto, lo sentivo far male e sperai vivamente che non lo sentisse nonostante il mio petto fosse premuto contro il suo.

Luke sospirò eccitato. «Vuoi sapere cosa voglio?», mi chiese con voce roca, facendomi finire con il sedere sulla scrivania, «Voglio prenderti e sbatterti dovunque in quest'ufficio», rispose, incollando le sue labbra alle mie in un gesto inaspettato.

Il cuore mi esplose praticamente nel petto mentre non potevo far altro che assecondare i gesti prepotenti di Luke, sentendo qualcosa pulsare nel mio basso ventre. Le mani di Luke passarono dal sorreggermi i fianchi all'accarezzare i miei seni ancora coperti dalla camicetta e dal reggiseno; ciò nonostante quel tocco bruciò sulla mia pelle come se fossi stata nuda.

Ormai ero completamente persa nei movimenti delle labbra e delle mani di Luke, nella pressione che esercitava il suo corpo sul mio; soltanto sentire le sue dita giocherellare con i bottoni della mia camicetta mi riportò alla realtà, facendomi rendere conto di quanto immorale fosse ciò che stava per succedere. Ovviamente non mi importava, certo, ma volevo ancora serbare quel briciolo di buon senso che avevo avuto in venti anni della mia vita.

«Luke, Luke aspetta», sbottai ansimante, cercando di allontanare il suo corpo dal mio.

Luke si staccò da me fissandomi preoccupato. «Che c'è? Ho fatto qualcosa che non va? Non mi vuoi?», mi chiese, allontanandosi quel poco giusto per lasciarmi respirare.

Scossi la testa. «N-no, non è che non ti voglia o altro», ammisi arrossendo, «È solo che... Luke, fermati un attimo e ragiona. Tu sei il mio capo, hai idea di che sarebbe se qualcuno ci scoprisse?», chiesi preoccupata, desiderando soltanto di stare zitta e di riavere il corpo di Luke di nuovo fra le mie gambe.

Luke si leccò le labbra, squadrandomi da capo a piedi. «Mmh, secondo me questo è ciò che rende il tutto più eccitante, piccola».

Arrossii di nuovo. «N-non lo so, Luke. Ho paura».

Luke scosse la testa. «Non c'è niente di cui aver paura, Corinne», disse come per convincermi, «Tu mi vuoi, o no?».

Deglutii, trovandomi in difficoltà davanti a quella domanda. Io lo volevo, o no? Certo che lo volevo. Ma avevo una paura insormontabile che non riuscivo a spiegarmi, che mi faceva sentire quasi in colpa perché desideravo quelle cose. Dovevo pensarci meglio, fare le cose a mente leggera non era mai stato da me.

«Devo pensarci. Okay?», risposi infine, sospirando.

Luke annuì, riabbottonandomi la camicetta. Le sue dita sfiorarono la mia pelle e per poco non dubitai della mia risposta. «Va bene. Ti do una settimana di tempo per pensarci, Corinne».

Potei giurare di aver visto nei suoi occhi la speranza di una risposta positiva.

***

[A/N] Vi avviso, la seconda parte non è corretta. Se avete trovato errori mi dispiace un casino. Sono troppo giù di morale per correggere, oggi mi sembra una giornata di merda che non passa neanche a pagarla. L'unico spiraglio di luce è il concerto di domani, ma purtroppo è domani, quindi dovrò aspettare ancora. Uff. A proposito, c'è qualcuno che ci va? O qualcuno che oggi è a Verona?

A venerdì prossimo! ♡

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