Blue Skies
I colori del tramonto bagnavano ogni luogo su cui l'occhio potesse poggiarsi. Il mondo era avvolto dall'oro e dal rosso intenso, anche l'acqua sembrava brillare come fosse un gioiello. Per Chuuya Nakahara non vi era altro colore che il grigio. O il bianco, quell'accecante bianco al quale il mafioso digrignava i denti al solo pensiero.
È innanzi a questo scenario che si riunivano i due volti della città portuale di Yokohama.
La Port Mafia e l'Agenzia dei Detective Armati, una al fianco dell'altra, non c'era nessuna tregua coinvolta eppure nessuno osava alzare un solo dito verso l'altro. Non erano i soli presenti, i membri della Gilda e qualche altra figura neutrale apparivano nel quadro; non che a Chuuya importasse. Ma poi, di nuovo, a Chuuya non importava di niente.
Il portatore di Arahabaki si ergeva in piedi, la schiena dritta e lo sguardo vacuo di chi non ha ancora ben comprenso la situazione che sta vivendo.
Dietro di lui Mori aveva uno sguardo calmo, la solita malizia raffreddata da qualcosa di cui aveva scoperto troppo tardi il nome, con Elise al suo fianco, cui non rivolgeva nè uno sguardo nè un commento e Kouyou, il ventaglio davanti alla bocca per celare la smorfia che ne stava rovinando il viso.
C'erano anche i fratelli Akutagawa, Gin e Ryuunosuke, uno accanto all'altra, in un muto segno di conforto. Accanto al corvino, dritto come un fuso stava l'altro membro della Shin Soukoku, Atsushi Nakajima. I due sembravano il punto di fusione dove finiva la Port Mafia ed iniziava l'Agenzia: Kunikida, Yosano, i fratelli Tanizaki, Kenji e Kyoka erano uno accanto all'altro, un fronte unito contro un qualcosa che non erano pronti ad affrontare. Ranpo stava leggermente in disparte, pesantemente appoggiato al braccio di Poe.
Fitzgerald ed Agatha stavano un passo indietro, rispettosi di certi legami di cui non facevano parte. Persino Lovecraft era presente, accanto a loro. Fitzgerald non sapeva con certezza se il corvino comprendesse appieno tutto questo ma, del resto, non era sicuro nemmeno della propria completa comprensione.
Una figura snella è quella che posa una mano sulla spalla di Chuuya, dandogli una leggera spinta. Il più basso si volta, con la fluidità di un uomo abituato a combattere e gli occhi di una bambola di porcellana. Ango annuisce con il capo poi si ritira di qualche passo, indietreggia fino a tornare dove era prima, accanto al presidente Fukuzawa e Natsume Soseki.
Gli occhi cerulei passano ognuno dei presenti, incontra gli occhi di ognuno, cercandone un paio in particolare. Si specchia nel viola di Yosano, dell'azzurro di Elise, nel nero di Lovecraft e nel rosa di Kouyou. Niente.
Con un gesto unico volta le spalle a tutti loro, il cappotto drappeggiato sulle spalle lo segue fedele.
I passi cadenzati risuonano nel silenzio, il rumore è attenuato dall'erba eppure è assordante per i presenti, presenti che per Chuuya non esistono più.
Guarda dritto davanti a sè.
Ora ci sono solo loro. Com'è sempre stato.
Chuuya avanza con un passo che lo costringere a mordersi le labbra a sangue.
Il passo doveva essere più calmo, doveva esserci la musica.
Non si ferma quando i suoi piedi sono nell'acqua. Ferma il passo solo quando i pantaloni sono irrimediabilmente bagnati fino alle cosce e la giacca galleggia a pelo d'acqua, una chiazza di nero petrolio accanto ad un bianco accecante.
È sempre stato così, è un pensiero comune di chi assiste in silenzio.
Sempre a completarsi.
È sempre stato così, stronzo. È il pensiero di Chuuya.
Sempre un passo indietro. Sempre solo. Troppo stupido per camminare al tuo fianco.
Nient'altro che un cane.
Con uno sprazzo della sua abilità alza il coperchio inchiodato. Non li ha divisi un mondo intero, davvero credevano li avrebbe divisi un asse di legno?
Ed eccoli lì, gli occhi che stava cercando prima.
Sono chiusi, le lunghe ciglia gli celano il colore a lui più caro.
Celere si toglie i guanti e glieli lascia vicino; la mano destra, ora libera, corre alla guancia nivea dell'altro, il pollice che accarezza lo zigomo con una delicatezza ed un'intimità riservata solo agli amanti. Sale, poi, a pettinare le morbide ciocche castane. Questa volta non c'è nessun sorriso ad adornare le labbra sottili.
Chuuya osserva in religioso silenzio quell'espressione pacifica, le lacrime scivolano silenziose lungo le guance.
"Che cazzo credevi di fare?!" Chuuya è veloce a correre al suo fianco, lo è sempre. Dazai gli sorride con lo stesso sorriso scapestrato che gli illumina il viso ma gli scurisce gli occhi.
"Cappelliera! Ce ne hai messo di tempo." Il suo sorriso è una bugia e Chuuya le ha sempre odiate. Con un po' troppa forza preme le mani esattamente sopra quelle del castano. Urla e si lascia cadere di peso, la mente offuscata dal dolore e la maschera caduta. Il più basso lo sostiene portandoselo vicino.
Dazai gli sorride di nuovo, mesto ma sincero. La mente di Chuuya corre a diverse miglia al minuto, in cerca di una soluzione che non trova. Il detective scuote la testa ed alza la mano sporca di sangue ad accarezzargli la guancia arrossata dalla corsa.
Il dirigente urla diverse cose, rese incomprensibili ora dalle lacrime ora dalla fretta con cui le pronuncia.
Dazai digrigna i denti, la testa piegata in avanti in un tentativo di celare al rosso tutto il dolore che non riesce a nascondere, ma Chuuya gli preme la testa contro il suo petto. I ciuffi castani si spargono sulla camicia sporca di polvere e Dazai chiude gli occhi, rilassandosi al suono del battito del compagno.
"Oi, sgombro di merda, resta con me!" La voce è leggermente venata dal panico ma Dazai lo lascia scorrere, perché non ha senso assecondarlo, perché sa che è tardi. Lo sa anche Chuuya, ed è per questo che trema.
In ogni caso, Dazai si sforza, aprendo gli occhi del colore dell'autunno e specchiandoli in quelli chiari del partner. Gli sorride, innamorato come non ha mai ammesso di essere. Si fissano, le parole scritte nelle iridi mai pronunciate suonano più forti di ogni altra cosa. Poi Dazai spalanca di più i suoi occhi, ed il panico brilla per la prima volta in quelle iridi.
"Voglio vivere." È irrazionale, lo sanno entrambi. Chuuya spalanca gli occhi, le lacrime che continuano a scorrere mentre stringe la presa sul corpo del più alto. È tardi, eppure entrambi non riescono ad accettarlo.
"Allora vedi di restare con me, bastardo." Gli ringhia contro il rosso, la mano con cui lo stringe a sè ha le nocche bianche dallo sforzo ma Dazai non lamenta nessun dolore.
"Ehy, Chuuya." Gli occhi si ammorbidiscono di nuovo, in quell'espressione che alla Port Mafia Chuuya non ha mai visto ma che è tanto comune a questo nuovo Dazai in beige.
"Cazzo vuoi?" Cerca di essere ostile come sempre, ci sta davvero provando, Chuuya, ma non ci riesce.
"Mi sposeresti?" Il dirigente pondera brevemente di rispondergli qualcosa di spigliato come 'neanche tra un milione di vite', ma non lo fa. Non è il momento. Perciò annuisce e Dazai gli mostra il più bel sorriso che Chuuya abbia mai visto -e che mai vedrà-, poi chiude lentamente gli occhi. Prima che il suo nocciola sia completamente chiuso al mondo Chuuya lo bacia. Quando si tira indietro gli occhi sono definitivamente chiusi ed il petto non si muove più.
Chiude brevemente gli occhi, Chuuya, allontanando quel ricordo troppo recente e doloroso. La sua mano sinistra, rossa e irritata dalle notti che Chuuya ha passato a grattar via il sangue di Dazai si infila nella sua tasca, tirandone fuori una scatola nera, come nero è sempre stato il loro colore.
"Scusa, è un po' in ritardo." Mugugna con quel poco di voce che ancora gli rimane. Prende la mano fredda di Dazai con una dolcezza infinita, infilando nell'anulare sinistro quell'unico gioiello che Dazai avrebbe mai sfoggiato con orgoglio.
Lo rimira, lo sfiora con il dito, Chuuya, prima di riposare la mano sul petto del castano. L'oro dell'anello brilla nella luce del tramonto e spicca sul vestito bianco esattamente come Dazai è sempre spiccato nella folla.
Chuuya ne indossa il gemello prima di gettare la scatola nell'acqua con poca cura; poi si china, posando le labbra su quelle fredde e immobili del compagno di sempre, le mani ancora intrecciate.
Molto lontano da loro a Kouyo cade il ventaglio e nulla cela più il suo dolore.
Mori chiude gli occhi, quando li riapre, Fukuzawa è al suo fianco, offrendo in silenzio la sua spalla.
Atsushi fa correre lo sguardo continuamente dal rosso ad Akutagawa, mai gli è apparso tanto fragile eppure tanto forte.
È una folata di vento che rompe l'equilibrio, Chuuya realizza quanto sia definitivo questo momento, quanto sia l'ultimo momento della Soukoku.
Improvvisamente scuote le spalle del castano con entrambe le mani, lo chiama, gli grida contro che lo scherzo non è divertente e che se questa fosse una delle sue macchinazioni farebbe bene a scappare lontano per evitare la sua ira.
"Dazai questo scherzo non è più divertente!"
Dimmi che è uno scherzo.
"Dazai, bastardo, se questo è un altro dei tuoi piani giuro su Dio-"
Dazai dimmi che è un tuo piano.
Dazai dove sei? So che questo non sei tu. Non puoi essere tu.
Dazai, sgombro di merda, apri gli occhi, questi pazzi vogliono darti fuoco!
Dazai!!
Dazai!
Dazai.
Dazai...
Osamu, ti prego...
Osamu...
"Osamu, ti amo." Dice poi, tra gli ansiti, quando ritrova un po' di compostezza. Singhiozza con la fronte posata sulla spalla, senza alcun contegno alcuno. Non gli interessa più.
Kouyou si muove per raggiungerlo, per stringerlo a sè, ma il braccio che Mori alza vale più di mille parole.
Che passi un momento o un'ora Chuuya non ne è certo, quando i singhiozzi si calmano, almeno in parte, si alza dalla scomoda posizione e volge di nuovo gli occhi alla figura stesa lì accanto. Il suo corpo è adagiato su una distesa di rose bianche.
A Dazai sono sempre piaciute le camelie rosse, idioti.
Camelie rosse come quella che Chuuya aveva nel taschino e che ora posa fra i capelli ondulati ordinatamente sparsi attorno al viso pallido la cui espressione serena stona con l'animo dei presenti.
L'abito bianco, poi, Chuuya lo detesta.
A Dazai non piace il bianco.
Con un unico movimento si toglie la giacca dalle spalle e gliela posa addosso, come a coprirlo dal freddo.
Un angolo delle labbra si tira in su, mostra della mesta soddisfazione del rosso.
Un'ultima carezza sulla guancia, un ultimo bacio, questo sulla fronte, poi Chuuya si allontana.
Dalla manica della camicia tira fuori un foglietto, 'accendino' è la scritta che reca; poi il potere di Kunikida si attiva ed un accendino appare tra le mani del mafioso. Accende il fuoco con la mano ancora stretta al legno bianco della bara.
Guarda il fuoco inghiottire avido ogni cosa, si allontana solo quando il fuoco gli brucia la mano destra. Non un ansito lascia le sue labbra mentre compie quei passi definitivi, senza scostare gli occhi dalle fiamme, da Dazai.
Atsushi crolla in ginocchio. Avrebbe voluto essere l'appoggio per Akutagawa ma come, se non riesce nemmeno a reggere se stesso? Ryunosuke si abbassa accanto a lui e gli posa un braccio intorno alle spalle, tirandoselo vicino.
È un peccato che Dazai non sia lì per vedere quanta strada abbia fatto la sua Shin Soukoku.
Quando il fuoco ha mangiato tutto ed il cielo si è tinto di blu Chuuya si volta ed esce dall'acqua. Incontra lo sguardo del maggiore dei Tanizaki e prega che sia tutta una sua illusione; le lacrime sul suo volto gli dicono il contrario.
Si lascia cadere in ginocchio, sconfitto. Quante volte gli ha gridato di andare a morire, vorrebbe non averlo mai fatto.
*******************
Ad un mese da quel giorno Chuuya si addormenta sempre con un paio di sonniferi; la luce del salotto è sempre accesa e la porta di casa mai bloccata.
Se torna non può mica scassinarmi la porta blindata. E poi è un imbranato, non può inciampare nel tappeto nel cuore della notte.
Osamu Dazai non torna mai.
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