15
È un po' che balliamo, io sono stanco e l'acool certamente non aiuta, non so come riesca Annie a stare ancora su quei tacchi vertiginosi.
Quando la musica cambia, la bionda si ferma un attimo, passando una mano nei capelli per sistemarli.
- Vuoi andare al tavolo? - le chiedo, sperando che accetti;
- Sì.. ma prima voglio dirti una cosa - mi si avvicina un po'.
- Cosa? - sono curioso;
- Da qualche giorno ho capito che mi piaci e.. volevo dirtelo. Tutto qui. - mi sorride e per un attimo mi sembrava di scorgere una luce speciale nei suoi occhi.
- Oh. - è tutto ciò che riesco a dire.
- Oh? - mi guarda, cercando di capire la mia reazione.
- No, cioè non fraintendere, cioè, di solito stai sulle tue e non parli molto.. sono un po' sorpreso, ecco. - devo sembrarle un babbeo, non ho azzeccato una parola manco per sbaglio.
Questo mi ha spiazzato, completamente. Mi dispiace dirle di no, che amo un' altra persona, ma non posso neanche mettermi con lei senza amarla.
Lei interpreta il mio silenzio per semplice indecisione e si sporge un po' verso di me, prendendo l'iniziativa: "sta per baciarmi".
"Oddio, cosa faccio?"
Ho un turbinio di pensieri in testa, ma alla fine mi decido;
Al diavolo Levi
Annie si alza in punta di piedi per raggiungermi, essendo comunque più alto di lei anche se porta le scarpe alte, e le metto le mani sui fianchi per sostenerla, chiudo gli occhi facendo unire le mie labbra screpolate alle sue, sottili ma sane.
Mi circonda il collo con le braccia per sostenersi meglio, o semplicemente è così che le ragazze sognano di baciare i ragazzi.
Ma perchè sto pensando a queste cazzate, invece di godermi il momento? Non riesco a sentire quelle sensazioni piacevoli come le farfalle nello stomaco e tutte le altre cose che causa un bacio.
Mi perdo momentaneamente nei miei pensieri e mi appare il volto di Levi, immagino come sarebbe bello baciare quell'uomo dagli occhi freddi ma che ti catturano, proprio come quando entrò in classe il primo giorno di scuola.
"Non stai baciando lui, è Annie!"
Mi riprendo dalle mie fantasie e di scatto apro gli occhi, staccandomi da quel contatto che non cercavo veramente.
- Cosa ho fatto? - chiede, probabilmente credendo che sia stata lei a sbagliare qualcosa.
Ma sono io quello che ha sbagliato.
Sono io quello sbagliato.
- Scusami, non posso - mormoro senza riuscire a guardarla negli occhi.
- Perchè? Stavi ricambiando il bacio, credev-
- Sono gay - dico tutto d'un fiato stavolta guardandola in faccia.
La sua espressione è un misto tra stupito e sconcertato e non posso far altro che arrossire violentemente.
- Non me lo aspettavo - mormora...
Che disagio.
- No, non in quel senso! Cioè, non ho nulla contro gli omosessuali, solo che non me lo aspettavo, perchè non mi hai fermato prima? Non eri costretto a farlo solo per farmi piacere, avrei capito. Guarda Jean ed Armin qui accanto - e li indica con un movimento della testa - o Christa e Ymir. Perchè dovrebbe essere diverso per te? -
- Perchè...
perchè sono un idiota - sorrido messamente, mentre sorride anche lei.
- Senti - cambia espressione improvvisamente - conosci quel tipo? Ci sta fissando da cinque minuti - porta lo sguardo su qualcuno con le braccia conserte appoggiato al muro, in direzione dell'ingresso. Bassa statura, capelli neri a sfumatura militare ma soprattutto sguardo penetrante e glaciale: Levi.
Appena incrocio il suo sguardo mi fa un cenno verso la porta con la testa, per invitarmi ad andarcene.
Ha visto che baciavo Annie?
La accompagno al tavolo, dove sono giá tornati Sasha e Connie. Ymir e Christa sono andate a casa perchè la bionda tra poche ore ha il turno in ospedale.
Saluto tutti e mi dirigo verso l'uomo che mi sta aspettando impazientemente all'uscita.
- Ti sei divertito? - ha la voce roca. Anche un po' acida.
- Sì - rispondo secco.
***
Il sangue copre gran parte della parete all'ingresso, rivoli rossi scivolano giù dalle macchie principali creando una visione alquanto macabra.
Un ragazzo dai capelli castani è chino davanti al muro, anch'esso zuppo della sostanza cremisi. Sconvolto, si guarda le mani, poi i vestiti, attorno a lui nessun rumore, tranne per un pianto disperato proveniente da qualche punto della casa, probabilmente il salotto.
Appena si volta, lo riconosco. Sono io. Perchè non si accorge di me?
Mi avvicino al me stesso di cinque anni fa e gli tocco la spalla con la mano non ingessata, ma lo oltrepasso come se fosse un ologramma.
Mi guardo alzarmi da terra, traballante, e seguire la scia di sangue che porta dove ho sentito l'urlo.
Sembra strascicata, come se ci fossero passate più persone, in effetti è così.
Non voglio rivire altro. Voglio uscire da questo sogno, anzi incubo, ma non riesco a svegliarmi.
Osservo tutta la scena, disgustosa scena che ho provocato io, non appena oltrepasso il grande ingresso ad arco del salotto.
Mia madre riversa sul tavolinetto da fumo, la schiena sulla superficie in legno di quel mobiletto a cui hanno ceduto i sostegni quando ci ho scaraventato il peso del suo corpo sopra.
Una smorfia di dolore, paura e sorpresa rimane impressa sul suo volto, gli occhi rimasti spalancati.
Calde lacrime mi scendono lungo le guance, non capisco se solo in questa specie di scherzo della mia mente o se sto piangendo anche nella realtá, bagnando il cuscino.
Cerco in tutti i modi di svegliarmi, ma è inutile, la mia figura rimane lì impietrita, troppo shoccato per fare qualcosa, anche solo muovere un muscolo.
Sposto lo guardo nell'angolo a destra, dove l'altro me stesso si accascia accanto al corpo privo di vita e insanguinato di mio padre, battendo i pugni sul pavimento fino a farsi male e dopo una dozzina di colpi scoppiare in un pianto disperato, con la testa fra le braccia. La fronte a toccare il sudicio, freddo pavimento.
Finalmento urlo. Urlo, forte, finchè la mia voce e la disperazione me lo permettono.
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