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VIII.

Avevo perso la pazienza, perciò mi scagliai contro di lui e lo colpii fortemente alla testa, in modo da farlo svenire e basta, per poi catturarlo e rinchiuderlo in casa mia.
Sarebbe stato un mio ospite finché non avesse deciso di confessare.
Non appena raggiunsi la mia dimora mi guardai un po' intorno pensando a quale sarebbe stato il luogo migliore per il suo soggiorno a casa Hamilton.
Optai per la soffitta: era buia e trascurata, nessuno ci entrava da anni e se ero fortunata ci sarebbe stato qualche topo, nemico mortale degli uomini.
Quando aprii la porta essa cigolò, la stanza era esattamente come me la ricordavo. Le pareti erano scrostate e c'erano parecchie macchie di muffa causate dall'umidità. Di finestre ce n'era solamente una ed era piccolissima.
Lo legai a delle catene e decisi di lasciarlo lì finché non mi avesse detto la verità. Gli avrei dato una porzione di cibo al giorno, giusto per mantenerlo in vita.
Non era una creatura soprannaturale, di quello ne ero sicura al cento per cento.

Scesi in salotto e spiegai la situazione a mio fratello.

«Sei diventata pazza per caso? Hai davvero rapito un umano e l'hai rinchiuso in casa nostra?».

«Oh, scusami Aaron. La prossima volta gli offrirò un tè caldo con dei biscotti e lo lascerò andare, farò in modo che un umano che, non si sa per quali strani motivi, è immune ai nostri poteri, se ne vada in giro a dire che sono un vampiro e che ho ucciso una sua amica», gli risposi ironicamente.

Aaron doveva smettere di difendere gli umani, molto spesso erano mille volte più letali della nostra specie.
Alla fine noi facevamo del male agli altri solo per nutrirci, loro per puro divertimento e cattiveria.

Quella sera mi maledii per essere tornata a Honey Ylenol, mi ero ritrasferita in quel luogo per avere un po' di pace, e invece stavano succedendo le peggiori cose.
Erano passati tre giorni da quando ero arrivata ed avevo già un misterioso nemico, mi ero imbattuta tre volte nella sua complice senza essere riuscita a parlarle, avevo scoperto che i licantropi esistevano e mi ero ossessionata con un ragazzo che mi ricordava in un modo aberrante qualcuno e che era inspiegabilmente immune ai miei poteri.
Avevo già bisogno di una vacanza ma ciò era infattibile dal momento che dovevo andare a scuola.
Il massimo che potessi fare era una bella dormita per riposare il mio cervello, e poi il giorno seguente sarebbe stata una domenica perciò avrei potuto dormire per tutto il giorno.

Al mio risveglio mi diressi in cucina per prendere del cibo da dare al mio prigioniero.
Non appena spalancai la porta si presentò innanzi a me uno scenario terribile: Mason era sparito.
Le catene di ferro erano state spezzate da qualcosa di inumano, l'artefice di tutto ciò mi aveva lasciato un bigliettino sul pavimento lurido.

Non appena lo aprii lessi:

"Devi smetterla di giocare con il fuoco, piccola Charlotte, o prima o poi ti ustionerai.
Ora vai in salotto, ho lasciato una sorpresina in tuo onore.
Un bacio, il tuo D".

Scesi le scale alla velocità della luce e mi diressi nel luogo di cui mi aveva parlato D.
La scena che mi ritrovai davanti mi fece raccapricciare: mio fratello era stato appeso al soffitto con delle catene intrise di cosmos atrosanguineus, lo capii dal fatto che sui suoi polsi c'erano dei segni di ustione.
Un paletto di legno era stato conficcato nel suo petto, esattamente a distanza di quattro millimetri dal suo cuore, quest'ultimo fortunatamente batteva ancora.
Su un piatto di argento, situato al centro di un tavolino, c'era un'altro bigliettino.

"La prossima volta, al posto di questo foglietto, su questo piatto ci sarà il cuore del tuo amato fratello.
Un bacio, il tuo D".

Dovevo trovare un modo per liberare Aaron ma non sapevo che cosa fare. Io non avrei potuto fare niente perché le catene mi avrebbero incenerito le mani e non sarei stata abbastanza forte per evitare ciò.
Nessuna strega mi avrebbe aiutata perché la maggior parte di loro volevano vedere mio fratello morto e l'unica che mi avrebbe coadiuvato non era in grado di usare la sua magia.
Un umano invece non sarebbe stato in grado di rompere quelle catene, era una specie troppo inane e debole.
Mi restava soltanto una persona a cui rivolgermi, per cui marcai il suo numero.

«Tyson, mi serve il tuo aiuto, è urgente», e così gli spigai la situazione.

«E perché mai dovrei volerti aiutare?».

«Oh, andiamo, sappiamo entrambi che almeno un po' ci tieni a me. E poi non credo che tu voglia che un vampiro che ha spento le sue emozioni a causa della morte del fratello si aggiri per la tua città».

«Sì, hai ragione, ma io non faccio niente gratis, in cambio voglio un appuntamento con te, e decido io dove andare e che cosa fare».

Un appuntamento con un lupo mannaro? Dovevo decidere subito che cosa fare, la vita di Aaron era appesa ad un filo.

«E va bene, ma niente scherzi», poteva anche andarmi peggio.

Non feci nemmeno in tempo a dirgli il mio indirizzo che riattaccò e sentii il campanello suonare.

«Come hai fatto ad arrivare così in fretta? E come sai dove abito?», chiesi schioccata.

«Appena mi hai chiamato mi sono diretto subito verso la tua casa, infatti io, al contrario di te, non mi perdo in chiacchiere. E, riguardo a come faccio a sapere dove vivi, é meglio se non te lo dico. Vediamo un po' che cosa posso fare per tuo fratello. Ma chi gli ha fatto questo?».

«Se lo sapessi a quest'ora avrei già attaccato la sua testa in soggiorno, come ricordo. Nessuno deve azzardarsi a toccare un membro della mia famiglia».

«Questo tuo atteggiamento mi fa dedurre che non devo far parte dei tuoi nemici».

Presi una scala dallo sgabuzzino per aiutare Tyson ad arrivare sul soffitto, poi con uno scatto deciso spezzò le catene e il corpo di mio fratello cadde tra le mie braccia.
Lo poggiai a terra e delicatamente gli estrassi il paletto di legno dal petto, fortunatamente doveva ancora riprendere i sensi per cui non dovette soffrire.

«Grazie, te lo sto dicendo con il cuore. Ti devo qualcosa, e non parlo solo di un'uscita insieme», lui gli aveva salvato la vita, perciò se lui sarebbe stato in pericolo io lo avrei dovuto difendere con tutte le mie forze e a qualsiasi costo, quello era un codice molto importante per quelli della nostra specie.
Non appena Aaron riprese conoscenza, alla vista di Tyson, rabbrividì.

«Che cosa ci fa questo lurido cagnaccio nella nostra casa?», fantastico, chi gli spiegava che avevo chiamato un nostro nemico mortale affinché gli salvasse la vita?

«Intanto non è un cane, ma un lupo. E poi è stato lui a salvarti la vita, perciò ora gli siamo debitori».

«Ma lui è un licantropo, è nostro nemico, io non voglio dovere qualcosa ad un lupo. E poi ti avevo ordinato di non avvicinarti a lui», mi disse minaccioso.

«E allora, chi avrei dovuto chiamare secondo te?», ribattei alzando il tono di voce. «I vampiri non potevano fare niente per te, le streghe ti vogliono vedere morto, un umano non avrebbe avuto la forza sufficiente per liberarti e i fantasmi non esistono. Per cui ora dovresti essere felice di essere ancora in vita».

Lui lanciò un'occhiataccia a Tyson ma non aggiunse altro e se ne andò.

«Perdonalo, davvero, ma ha così tanta paura di morire. Teme che tu lo morda», lo informai con un sorriso triste.

«E tu, non hai paura che io ti morda?», mi chiese quasi con... speranza?

«No, tu non lo faresti mai».

Lui accennò un sorriso e aggiunse: «Hai ragione, ora però mi devi un'uscita».

«Dove mi vuoi portare?», gli domandai con curiosità.

«Beh, se te lo dico, non è più una sorpresa».

Io odiavo le sorprese.

«Quindi secondo te io dovrei venire chissà dove con te? Potresti anche portarmi ad un ritrovo di lupi mannari che non vedono l'ora di sbranarmi», sapevo che non l'avrebbe mai fatto, ma con il tempo avevo imparato a non fidarmi completamente di nessuno, famiglia a parte.

«Ti giuro su me stesso che non ti porterò in alcun luogo dove tu possa correre qualche pericolo», alzò le mani per farmi vedere che non stava incrociando le dita.

«E va bene, che non sia nessun luogo con dell'acqua o troppo sole: ho l'anello, ma la sensazione del sole che batte sulla mia pelle non è una delle migliori».

«Desidera qualcos'altro, principessa?», mi chiese facendo un inchino. «Magari una limousine o passare la notte in un hotel a cinque stelle», mi suggerì alzando un sopracciglio.

«Andiamo!», gli dissi ridendo e trascinandolo per il polso.

Salimmo sulla sua automobile e dopo mezz'ora di tragitto finalmente accostò. Mi guardai intorno ma non c'era assolutamente nulla, solo delle colline deserte. Era uno scherzo?

«Vuoi davvero sprecare il tuo prezioso appuntamento con la sottoscritta in questo luogo?».

«Tranquilla, non siamo ancora arrivati, però voglio che sia una sorpresa», detto ciò di posizionò dietro di me e mi legò una benda davanti agli occhi.

«Cosa vuoi fare? Vuoi portarmi a giocare a mosca cieca per poi buttarmi in un burrone? O magari vuoi uccidermi senza che io me ne renda conto», constatai.

Lui non mi rispose e mi strinse la mano. Ok, quello non me lo aspettavo affatto.

•••🥀•••

«Ok, ora ti serve il dono della vista», mi disse dopo cinque minuti di camminata.

Poi mi slegò la benda. Quando aprii gli occhi vidi un sentiero molto ripido cosparso di piccole pietre che portava ad un bosco.

«Allora, mi spieghi che cosa avete voi vampiri contro l'acqua?».

«Come già sai, quando si muore, anche la pelle si trasforma, diventando molto più elastica e permeabile. Ci sono piccoli pori sulla nostra pelle, simili a quelli delle spugne, solo che i nostri non si possono vedere ad occhio nudo.
Per colpa di questi buchetti la mia pelle morta trattiene tutta l'acqua e io mi trasformo in un pesce palla».

Lui scoppiò a ridere.

«È così divertente?», chiesi fulminandolo con lo sguardo.

«Scusami, ma ti sto immaginando in versione pesce palla», prese un respiro e poi aggiunse: «Però come fate a lavarvi? Cioè, vi lavate vero?», mi domandò con una punta di preoccupazione nella voce.

«Certo che ci laviamo, però la vasca deve essere fatta di ametista, una gemma molto preziosa di color violaceo trasparente. È molto rara, se non quasi impossibile da trovare, infatti risale al 3000 a.C. e veniva utilizzata soprattutto nell'antico Egitto e veniva usata per creare gioielli. Vedi la collana che porto al collo? I miei nonni mi dissero che apparteneva alla regina Ahhotep I stessa, essi riuscirono a procurarmela perché erano in circolazione da più di 2700 anni, prima della loro morte. Io non so se crederci, ma so solamente che grazie a questa collana posso bere acqua in compagnia di altri umani e sono protetta dalla pioggia. La leggenda narra che una giovane ninfa fece innamorare il dio della pioggia, Chaac. Ella fu maledetta e diventò un vampiro, in quel periodo non c'erano molti luoghi in cui ripararsi, perciò prese la prima pietra che le capitò in mano e la trasformò in un potente talismano che fosse in grado di proteggerla: se si fosse bagnata avrebbe mostrato a tutti la sua natura e gli dei l'avrebbero uccisa. Da quel momento tutte le pietre simili a quella si trasformarono e diventarono un'arma di difesa. Ovviamente sono passati più di cinquemila anni, perciò non si sa se sia successo davvero o se si tratti solo di una leggenda, l'unica cosa che so per certo è che l'ametista venne in gran parte distrutta e inoltre anche se fosse esistita questa ninfa, ora è morta da secoli. La mia collana non è però sufficientemente forte per proteggermi da un'immersione completa in acqua, per cui meglio non rischiare».

Odiavo il fatto che ogni vampiro dovesse avere due dei quattro elementi contro: il fuoco e l'acqua, mentre i licantropi erano solamente condannati dalla luna una volta al mese, ma questo non lo potevo di certo dire a Tyson.

«E non temi che io ti possa rubare la collana?», mi chiese.

«Fallo pure, se vuoi morire. È maledetta, infatti se qualcuno prova a rubarla al proprietario, verrà fatto soffrire e morirà. L'unico modo per darla a qualcun altro è quello di cederla di propria spontanea volontà, perciò la compulsione non funziona. Ma ora smettiamola di pensare alle vecchie leggende, muoviamoci che non ho tutto il giorno a disposizione».

Ad un certo punto sentii a qualche chilometro di distanza un ragazzo, e la lama di un coltello.
Mi fermai di scatto, l'unica cosa che riuscivo a sentire era il richiamo del suo sangue.

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