19. 𝑮𝒖𝒆𝒔𝒔 𝑾𝒉𝒐'𝒔 𝑩𝒂𝒄𝒌
Quelli che aiuti ti distruggeranno.
-Charles Bukowski
Adeline's pov
Max.
Di nuovo, Max. Lo vidi nei corridoi, proprio quando pensavo di essermene liberata.
Non veniva a scuola da tanto tempo, ma a quanto pare, era appena tornato.
Mi bloccai appena lo rividi, il respiro mi si fermò per un istante, come se qualcosa dentro di me avesse riconosciuto immediatamente il pericolo. Da quella sera, Max mi terrorizza. Ogni volta che lo vedo, la paura mi assale di nuovo, più forte di prima. Sento ancora le sue mani su di me, quella sensazione di repulsione che mi invade, il suo tocco violento, il suo corpo vicino al mio, e quegli occhi, quelli occhi affamati che avevano una sola intenzione. Un'espressione che riconoscevo, che mi ricordava Noah... Ma Max era stato fermato in tempo. Non come Noah. Non come quella volta.
Ero scappata, ma ora non potevo scappare da lui. Era lì, a pochi passi, proprio davanti a me. La paura che avevo provato quella sera mi assaliva con la stessa forza, e mi faceva venire il voltastomaco. La sua presenza, quei segni evidenti sul suo viso che ancora non erano guariti, i lividi che Xavier gli aveva lasciato, mi facevano sentire un groppo in gola. La sola visione di lui era insopportabile.
Lo guardai negli occhi, e quei maledetti occhi mi fissarono con la stessa malizia. Non riuscivo a guardarlo per troppo tempo, non senza sentirmi come se volesse di nuovo farmi del male. Quegli occhi erano tutto ciò che vedevo quella sera, mentre lui provava a prendere il controllo di me.
Max.
Cercai di distrarmi, mi aggrappai ai libri che avevo tra le mani e chiusi l'armadietto con violenza, come se potessi scappare in quel modo. Mi costrinsi a camminare velocemente verso l'aula. Non volevo più essere in quel corridoio, non volevo più essere in quella scuola. Il mio corpo tremava, e il battito del mio cuore stava accelerando in modo incontrollabile. Non ero mai stata così ansiosa di andare a lezione. Kai e gli altri erano già in aula, ma io, come al solito, ero in ritardo.
Non pensavo che l'avrei mai fatto, ma per la prima volta in vita mia, non vedevo l'ora di entrare in classe e sopportare, per un'intera ora, quell'idiota del professore di storia.
Eppure, prima di arrivare all'angolo, sentii una mano che mi afferrava il polso. La stessa presa di quella sera. Il panico mi assalì istantaneamente. Mi fermò di colpo. Non avevo bisogno di guardarlo per capire che era Max. Il respiro mi si fermò in gola, le mani mi tremavano. Mi girai di scatto e, inevitabilmente, i suoi occhi incontrarono i miei. Max era lì, dietro di me, con la sua faccia segnate dai lividi. Non avevo voglia di affrontarlo, non avevo voglia di guardarlo, ma lui non mi lasciava scappare.
"Adeline!" disse, ma la sua voce suonò come un ordine. Volevo urlare, volevo scappare, ma la sua mano era ancora salda sul mio polso. La presa si fece più forte, più insistente. "Aspetta! Volevo solo scusarmi..."
"Scusarti?!" dissi, scioccata e disgustata, come se fosse una parola che non aveva senso per me. Non riuscivo nemmeno a capire perché ci stesse provando. Cosa pensava di ottenere da me? "Le scuse non servono a un cazzo con ciò che hai fatto!"
La mia voce tremava di rabbia, ma riuscivo a malapena a mantenere il controllo. Il battito del mio cuore stava salendo di minuto in minuto, e sentivo l'ansia avvolgermi come una coperta troppo stretta. Doveva assolutamente lasciarmi andare, adesso. Ero già sulla soglia di un attacco di panico.
Ma lui non mi lasciava andare, anzi, la sua presa divenne ancora più stretta. Mi spinse contro un armadietto. Il suo corpo si fece più vicino al mio, troppo vicino. Sentivo il suo respiro che mi faceva venire i brividi, e la paura mi scorreva nelle vene come un veleno. Ogni centimetro di me mi urlava di allontanarmi, ma non riuscivo a muovermi. La sensazione del suo corpo, così vicino al mio mi stava soffocando.
"Adeline, smettila," disse con tono che tentava di sembrare gentile, ma in realtà non faceva altro che aumentare il mio odio.
"Fottiti Max, con le tue scuse non me ne faccio nulla!" risposi, cercando con tutte le forze di liberarmi dalla sua presa.
Ma non riuscivo a farlo. Non mi stava lasciando andare.
Dopo qualche istante che mi sentivo intrappolata, sentii finalmente la sua presa allentarsi. Lo spinsi via con tutte le forze rimaste, respirando a fatica. I suoi occhi sembravano colpiti dal mio rifiuto, ma non me ne importava. Non volevo più avere nulla a che fare con lui. Non volevo più sentirlo, né vederlo. Mi girai velocemente e, senza una parola in più, mi diressi verso la porta della classe.
Una volta dentro, finalmente, il mio corpo si rilassò, ma solo per un attimo. Dentro di me, sentivo un conflitto che non riuscivo a placare. Il cuore mi martellava nel petto, il respiro mi arrivava a fatica. Non potevo permettermi di cedere. Non potevo permettere che questa situazione mi abbattesse.
Stavo per sedermi quando la testa mi girò, e sentii il respiro che diventava irregolare. Il mio corpo tremava, e il mondo sembrava ruotare intorno a me.
1... 2... 3... calma, devo stare calma...
Il mio cuore batteva forte, ogni suono sembrava amplificato nella mia testa. Avevo le mani che sudavano, e sentivo il panico crescere. Non potevo permettermi di perdere il controllo. Non ora. Non ora che avevo una lezione da seguire, non ora che dovevo concentrarmi. Dovevo tenere il controllo, fare in modo che tutto non crollasse di nuovo.
Poggiai i libri sul banco con una mano tremante e provai a focalizzarmi su un respiro lento. Cercai di concentrarmi sul battito regolare, di allontanare i pensieri dalla mia mente.
Ma non riuscivo a fermarmi. L'attacco di panico stava crescendo, e sentivo le lacrime che iniziavano a bruciarmi gli occhi, ma le trattenni e mi sedetti al mio posto. Non avrei mai permesso a Max di farmi crollare. Non avrei mai permesso a lui, o a chiunque altro, di prendermi di nuovo.
Con un respiro profondo, cercai di tornare alla realtà. Sapevo che sarebbe stata dura, ma ero determinata a non farmi abbattere di nuovo.
"Addie, tutto bene?" chiese Charlotte, notando il mio stato mentre mi sedevo accanto a lei.
"Si, certo, Char. E tu?" risposi, cercando di sorridere e di nascondere le lacrime che mi bruciavano gli occhi.
"Sei sicura? Sembri un po' turbata da quando sei entrata in classe."
"Sto bene," dissi, ma la mia voce tradiva una fragile incertezza. Charlotte si voltò per concentrarsi sulla lezione lasciando perdere me, fortunatamente.
Il professore parlava di storia, ma le sue parole non arrivavano a me. Erano solo rumori lontani, indecifrabili, mentre dentro di me il silenzio si faceva opprimente. Cercavo di concentrarmi, ma i pensieri e i ricordi, ebbero la meglio su di me.
Un anno e mezzo fa...
Le strade erano deserte, il cielo scuro e pesante, con la luna che lanciava una luce fioca su tutto, mentre un lampione solitario gettava ombre tremolanti lungo il marciapiede. L'aria era fresca e tranquilla, come se la città stessa avesse deciso di fare una pausa. Camminavo lentamente, godendomi il silenzio, quando una voce familiare mi raggiunse. Mi girai di scatto, riconoscendola immediatamente.
"Hey, bellezza" disse Noah, con un sorriso divertito sulle labbra mentre si avvicinava. La sua presenza, pur essendo familiare, mi dava una sensazione di leggerezza, quasi come se la pesantezza della giornata si dissolvesse per un attimo. Era solo Noah, l'amico di Kai, nonché il mio compagno di classe nel corso di letteratura.
"Oh, ciao Noah" risposi, cercando di sembrare naturale. Lui si avvicinò a me, ma la sua energia non era più quella di sempre.
"Sei particolarmente bella, piccola" disse, e il suo complimento mi fece sorridere, anche se non riuscivo a crederci davvero. Non ero abituata ai complimenti.
"Grazie!" dissi, mentre lui si avvicinava ancora di più, premendo il mio corpo contro il suo.
Il sorriso di Noah non era più amichevole. Non era nemmeno divertito, ma c'era qualcosa di diverso nei suoi occhi. Qualcosa che mi mise subito in allerta. Mi fece un passo più vicino, e il mio corpo si irrigidì, ma non riuscivo a fermarlo. Le sue mani si posarono su di me, facendo scattare un allarme nella mia mente.
"Noah, che fai?" dissi, sentendo un'ondata di panico sollevarsi dentro di me, ma forzai un sorriso. La sua mano afferrò il mio polso con una forza inaspettata, facendomi sobbalzare. Non capivo, non volevo capire. Sentivo la mia mente urlare di fermarlo, ma le parole mi venivano rubate dalla paura.
"Vieni con me" disse, con voce sussurrata. E in quel momento capii che qualcosa non andava. Non lo avrei mai pensato, ma era troppo tardi per realizzarlo. Lui mi stava spingendo verso una stradina deserta e oscura, il suo passo deciso, troppo deciso per sembrare innocuo.
"Noah, lasciami andare!" gridai, ma le parole si dispersero nell'aria come se fossero polvere. Non c'era nessuno, nessun aiuto. La sua stretta si fece più forte, e in un attimo mi ritrovai schiacciata contro il muro del vicolo. Il mio corpo era immobilizzato, la paura era così tanto forte che il respiro mi mancava.
Noah spinse il mio corpo contro il muro con forza, facendomi sussultare. Con un movimento rapido, tolse la cintura dai suoi pantaloni e la strinse attorno ai miei polsi, immobilizzandomi completamente.
"Non fare scene" mi sussurrò, e io cercai di divincolarmi, ma la sua presa era incrollabile. La mia mente urlava di scappare, ma il mio corpo non rispondeva. Non potevo più fidarmi di lui, ma ero intrappolata, la mia voce soffocata dalla sua presenza. L'aria si fece più pesante, il suo respiro caldo e inquietante contro la mia pelle, troppo vicino. Le sue mani ovunque su di me, era tutto ciò che riuscivo a sentire.
In quel momento, il mondo sembrò svanire. L'orrore, la vergogna, l'impotenza: tutto si mescolava mentre lui mi stringeva sempre di più. La realtà si dissolveva come un incubo senza fine, e io non riuscivo a urlare, non riuscivo a fermarlo. La paura mi paralizzava, ma non potevo scappare.
Per anni avevo sognato come sarebbe stata la mia prima volta, pensandola come una favola, ma mai avrei immaginato che sarebbe stata così... Lontana da ogni sogno che avevo costruito.
"Signorina Evans, sembra distratta, le consiglio di stare attenta alla lezione se non vuole una nota disciplinare", disse il Professor Thompson con voce fredda e fastidiosa come al solito.
"Scusi, professore, non capiterà più" risposi io, facendo uno sbuffo d'impazienza. Non che mi importasse molto della sua osservazione, ma a quanto pare gli dovevo rispondere.
"Sarebbe meglio non avere quel atteggiamento, signorina" rimproverò lui, e mentre continuavo a fissarlo, non potevo fare a meno di pensare che quell'uomo fosse nato per rompere il cazzo a noi studenti.
Appena la campanella suonò, mi alzai rapidamente dalla mia sedia, sfilandomi dal banco con un passo rapido.
Avevo bisogno di aria, di un po' di pace. Uscii dalla classe e, appena posai gli occhi su Max, mi fermai di colpo. Era lì, proprio davanti alla porta, ma qualcosa non andava. I suoi vestiti erano disordinati, e il suo viso mostrava evidenti lividi e graffi, segni che prima, non c'erano.
Max mi notò subito e, appena i nostri sguardi si incrociarono, fece un movimento nervoso come se avesse il terrore di anche solo guardarmi. Voltò la testa velocemente, come se volesse ignorarmi. Quel gesto, quella paura negli occhi... non era normale. Non era così poco fa. Voltò rapidamente l'angolo del corridoio, allontanandosi a passo veloce.
Cosa era successo? Perché sembrava così impaurito?
Ma dopotutto, a me di lui non importa nulla, ed è meglio così, per me era morto.
Spazio autrice
Hola stelle ✨
Allora, cosa ne pensate di questo capitolo? spero vi sia piaciuto, se fosse così, lasciate una stellina 🩶
A presto Stelle 🩶🫶🏻
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