Capitolo 20
Per quasi un mese, ogni giorno, andavo a trovare Tris. Le raccontavo storie, le portavo fiori o semplicemente stavo al suo fianco, tenendo la sua mano tra le mie.
Riuscii perfino a convincere Zeke, Lynn, Marlene e gli altri che la loro compagnia avrebbe fatto la differenza e avevo senza dubbio ragione: si presentarono una mattina con un mazzo di fiori colorati, palloncini e un grosso orso di peluche; restammo lì tutti insieme per tutto il pomeriggio, parlando e ridendo come non facevamo da tempo, facendo unire anche Caleb a noi. La sera, prima di andare, Marlene lasciò un muffin ai mirtilli sul comodino pronunciando solenni parole: "Sei stata una valorosa combattente Beatrice. Comunque vada, ti ricorderemo come la Rigida più cazzuta di sempre." E sorrise, mentre gli occhi di tutti si riempiono di lacrime. Buttammo giù una fiaschetta di liquore, il più forte che Zeke era riuscito a trovare, e lasciammo il recipiente non ancora vuoto affianco al dolce. "Nel caso in cui ti svegli e ti coglie un improvviso attacco di fame e sete. Probabilmente i medici non lo consigliano e ci ucciderebbero se ci scoprissero, ma scapperemo veloci come ninja senza lasciare neanche una minima traccia della nostra presenza." Sentenziò Lynn, poi lasciammo l'ospedale.
I giorni successivi furono più duri dei precedenti: io e Caleb passavamo tutto il giorno in ospedale, spesso in compagnia di Natalie e Andrew Prior e parlavamo con i medici, ma senza ricevere nessuna notizia di miglioramento.
Quando ero solo, a casa mia, nel mio letto, pensavo a cosa sarebbe successo se le cose fossero andate diversamente; pensavo a Tris, a quel viaggio sul treno in cui aveva pianto davanti a me e io avevo giurato che l'avrei protetta "Non sai mantenere le promesse" mi ero detto, ma ne avevo infranta una troppo importante per poter rimediare.
Mi sentivo di nuovo troppo solo, soffocato dall'aria di quella stanza che sembrava pesante anche se dalla finestra entrava un piacevole vento primaverile.
Soffocato da quell'aria triste e fin troppo familiare.
"Giuro" dissi "che se torni,Tris, ti porto via da qui, non so dove ma lontano. Ai confini del mondo, magari. Solo io e te."
Avevamo lo stesso sogno di libertà, evasione da queste mura tutte uguali che impedivano di cambiare, di crescere e sognare davvero.
"Solo io e te." ripetei, sperando che riuscisse in qualche modo a sentirmi. Mi affacciai alla finestra; un raggio di luna entrava attraverso la tenda e il cielo era così blu da sembrare dipinto, tappezzato di stelle.
"Solo io e te." Ripetei per la terza volta. Poi tornai a letto e lasciai che il sonno prendesse il sopravvento su di me.
Il mattino dopo ero di nuovo lì con lei.
Ripetei mentalmente quello che avevo detto la sera precedente e continuai a sperare, come ogni benedetto giorno.
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Sognai di scappare con Tobias.
Non so dove, ma mi aveva detto che mi avrebbe portata lontano, ai confini del mondo. Solo noi due, aveva detto, e io avevo accettato senza esitare per nemmeno un istante. Stavamo correndo lontano e sembravamo avere tanto fiato e tante forze perché non ci fermammo nemmeno una volta: corremmo senza sosta per cinque, dieci, venti chilometri attraverso la città e oltre le fattorie dei Pacifici. Non c'era una recinzione a dividerci dall'esterno, solo colline verdeggianti piene di fiori e alberi e cespugli e un fiumiciattolo in lontananza e una casa, la nostra. Ci fermammo per guardarci intorno e io respirai quell'aria fresca, immagazzinandola dentro di me. Il fatto è che appena presi quel respiro il sogno svanì.
Nessuna collina, nessun prato, nessun fiume. C'era solo un soffitto bianco, puntellato di luci a neon. Mi guardai intorno: c'erano fiori e palloncini e un orso di peluche ai piedi del letto su cui ero sdraiata; c'era un muffin e una fiaschetta di liquore argentata sul comodino. E c'era Tobias. Mi guardava piangendo e sorridendo al contempo; si inginocchiò davanti al letto e mi abbracciò fortissimo, talmente forte che credevo che avrebbe potuto rompermi qualche costola.
"Sei viva! Io...io quasi non ci speravo più e ora tu... tu sei qui e io ti sto parlando ma dopo quasi due mesi tu mi rispondi e io non..." Lo baciai, per zittirlo. Dio quanto mi era mancato. "Hai troppa poca fiducia in me, Quattro." Rise, e mi baciò lui stavolta. "Ti amo, Tris Prior." sussurrò "Ti amo così tanto... e mi dispiace, quello che è successo è solo colpa mia: non avrei dovuto convincerti a combattere, ma non credevo che sarebbe successo questo. Mi dispiace, non te lo dirò mai abbastanza." Disse e nuove lacrime scesero lungo il suo viso; le asciugai e appoggiai la mia fronte alla sua: "Non è assolutamente colpa tua, non voglio che tu ti senta in colpa. Ora l' importante è che siamo di nuovo insieme, no?" Annuì e io lo abbracciai. "Però non lasciarmi mai più." Disse.
"Lo prometto."
Restammo abbracciati finché lui non si alzò felice e corse fuori, lasciandomi sola nella stanza, perplessa.
Tornò dopo trenta secondi, tirando Caleb per la manica.
"Beatrice! Stai bene? Finalmente! Ora che lo sapranno mamma e papà e i tuoi amici e..." Corse ad abbracciarmi; anche lui rideva e piangeva allo stesso tempo.
Dopo pochi giorni, mi dimisero dall'ospedale.
Dopo tutto quel tempo, anche il Quartiere degli Abneganti sembrava accogliente.
Mi ritrovai a chiedermi quale sarebbe la mia risposta se Tobias mi chiedesse di scappare con lui, come nel mio sogno: capii che, in fondo, casa mia mi era mancata.
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