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Anima Sola


Ad Elena



ANIMASOLA



Reyna accarezzò lelenzuola con delicatezza, cercando di piegarle di modo che il lettonon restasse disfatto per tutta la giornata. Erano incredibilmentepulite, il materasso, soffice, era strapieno di fogli, libri , cartedi ogni tipo. Un PC era stato abbandonato nei pressi della spallieradel letto, lo schermo ancora illuminato, sul quale danzavano letterebianche su un fondo scuro, la playlist di youtube ancora attiva. Lacanzone riprodotta in quel momento era una delle preferite di Nico.Reyna lesse il titolo del pezzo sulla schermata: " In The End".Un pezzo dei Linkink Park ovviamente.

La ragazza sorrise,un sorriso dolce, uno di quelli che sciolgono anche il cuore piùduro, accoccolandosi sul materasso e mettendosi il computer portatilesulle gambe. Scottava, così Reyna usò le lenzuola come fossero unasorta di piattaforma, interponendole tra le sue gambe, coperte da unvecchio pantalone, e la parte inferiore del PC.

Il suo sguardocadde immediatamente sul testo, le cui parole apparivano escomparivano dallo schermo. Era così strano pensare che proprioquella canzone, con quel testo, fosse una di quelle che Nicopreferiva, era talmente assurdo che proprio lui, che fino a pochimesi prima, nell'amore non aveva mai creduto, adesso ascoltassemusica che parlava di affetto, di fiducia e protezione reciproca, diprendersi cura l'uno dell'altro fino alla fine dei tempi. Era unacosa così..così... ecco, inconcepibile! Inconcepibile!


Reyna alzò ilvolume al massimo e si distese sulla spalliera, ma il PC, quasi ildestino avesse deciso di combinarne una delle sue, cadde, quasi, perterra. La ragazza lo afferrò al volo ma la schermata internet sichiuse bruscamente, e sullo sfondo ( un'immagine di Nico e Reynaspalla contro spalla, vestiti da agenti segreti) comparvero le variecartelle. Tra i vari nomi, una in particolare attirò l'attenzione diReyna, il nome, "Patroclo", ricordò immediatamente qualcosa allaragazza, la quale fece due volte click sull'icona e si ritrovòdavanti una finestra di protezione, sulla quale comparve a letterecubitali la frase "INSERIRE PASSWORD".

Un'idea si affacciònella mente della ragazza ed il suo viso si tinse di scuro,contorcendosi in una smorfia di preoccupazione.

Ecco, Reyna era unapersona molto rispettosa della privacy altrui, non si impicciavamolto spesso negli affari degli altri, non le piaceva, lo ritenevascorretto. Eppure il profondo legame che aveva instaurato con Nico laspinse, assieme alla sua curiosità, a fare un tentativo, uno solo.In fondo quante erano le possibilità che indovinasse? Pochissime,certo, conosceva Nico da molto tempo, ed un'idea forse ce l'aveva,soprattutto se in quella cartella si nascondeva ciò che sospettava.

Tre lettere, unaparola, un nome, IL nome.

Non era davveropossibile...

Reyna pigiòvelocemente sui tasti, pregando di sbagliarsi, convinta di starfacendo un tentativo inutile.

Sullo schermoapparve una scritta verde. "Password -ADE-accettata. Reyna osservò lo schermo, esterrefatta, la cartella eraoccupata da un unico file, si chiamava "Storia di un'anima sola".

Reyna iniziò a leggere, scoprendo che, come aveva temuto, sitrattava del diario di Nico, il resoconto di quei giorni terribili.





***











PROLOGO: LA VITAE' UNA PAGINA BIANCA





La vita è una paginabianca.

Ci si può scriveresopra il proprio destino, andando avanti pian piano, o segnarequalche nota lungo il margine, di modo che faccia da monito. Ci sipossono incidere frasi, su quel foglio, e parole, e nomi di persone,di luoghi vicini, lontani, importanti. O ci si possono disegnareimmagini, scarabocchi, magari pensando a qualcos'altro, rincorrendosogni e speranze che sembrano fin troppo lontani. Puoi anchesbagliare a scrivere qualcosa, in effetti, e cancellare, lentamente,con un segno scuro, ciò che non andava bene. O, perchè no,sottolinearlo col colore rosso, di modo che salti agli occhi, chepossa essere ricordato.

Il problema sorgequando quegli errori iniziano a riempire la pagina. Quando di segnirossi non ce ne sono più due o tre, ma molto, molti di più. Benmarcati, in vista, come ferite dolorose, ancora aperte, in attesa chequalcuno le chiuda, le medichi.

E se quel qualcuno nonarriva?

E se quelle ferite,quelle cancellature, diventano così imponenti da rovinare l'interapagina bianca? Da scurirla al punto tale che l'intero foglio diventauna macchia d'inchiostro?

E se quei taglidiventano il tuo passato, il tuo presente, il tuo futuro, se nonriesci più ad ignorarli, tanto sono profondi e dolorosi?

Si diventa forti,dicono alcuni. Abbastanza da farsi scivolare tutto addosso,abbastanza da andar avanti a costo di perdere parte di sé stessi.Perchè, alla fine, l'anima temprata dalla sofferenza diventa forte,la più forte che esista, e tutto,con essa, si inspessisce, siindurisce. I caratteri più solidi, la forza di pensiero el'autonomia, alla fine, non sono che il prodotto di tutte lecicatrici che segnano il nostro animo.

Ma anche la personapiù resistente, anche l'anima più potente ed indipendente arriva adun punto, alle volte, nel quale continuare a fare cancellature non èpiù possibile, nel quale non è più possibile star lì aricominciare daccapo, a riscrivere, ancora ed ancora, le stesseparole, a rifare gli stessi, identici errori. Arriva un momento nelquale dire basta è l'unico modo per smettere di soffrire, nel qualesmettere di vivere è l'unica scappatoia per fuggire ad un mondo chenon ti apprezza, non ti desidera, non ti vuole.

E quando quel momentoarriva, devi avere qualcosa che ti tenga a galla. Altrimenti affoghi,nell'oblio, nell'oscurità.

Questa è la storia dichi quelle cancellature le ha sentite sulla pelle per tanto, troppotempo. La storia di un fiore appassito troppo in fretta, troncatodalla forza distruttrice dell'odio, di un cuore spezzato in frammentitalmente minuscoli che è difficile anche distinguerli dalla polvere.La storia di un'anima sola.



***












AMAREZZA


Lunedì10 Settembre.


Mihanno detto che scrivere aiuta.

Chemettere su carta le proprie ansie, i propri timori, li rende piùfacili da sopportare, fa sentire più leggeri.

Pensoche sia un'idiozia, una stronzata, per dirla a modo mio.

Scriverenon aiuta, non risolve, miracolosamente i tuoi problemi, non li rendemeno dolorosi o imponenti, contribuisce soltanto a renderli reali,veri. Perchè quando inizi a dipingere parole su di un foglioimmediatamente delle immagini ti appaiono davanti agli occhi, lafinzione diventa realtà, o meglio, ciò che tenti di nasconderetorna alla luce.


Hoaccettato la mia omosessualità a quattordici anni. Ero ancora unaragazzino quando mi accorsi che le occhiate che il mio migliore amicorifilava alle ragazze mi infastidivano.

Luisi chiama Percy, ha un anno in più di me e da qualche giorno hainiziato a frequentare una speciale accademia di perfezionamento perl'agonismo sportivo. Ecco è il tipico ragazzo estremamente bello,dolce e buono che ognuno ha incontrato almeno una volta nella propriavita. È una persona alla quale tutto va bene, tutto è sempre andatobene. Ha gli occhi verdi, del colore dell'oceano, splendidi e grandi,che si illuminano nel momento nel quale sorride. Ed un fisicoperfetto, un carattere fantastico. Ecco, è un ragazzo di unadolcezza unica, sorprendente, una di quelle persone buone e basta,gentili e basta, che non si aspettano nulla in cambio del loroaffetto.

Edio credo di amarlo...


Nonl'ho capito subito, non è stato il tipico colpo di fulmine, diquelli che ti colgono impreparato, mentre sei occupato a fare altro,ma una procedura lenta, una malattia infettiva, se vogliamo chiamarlacosì, che mi ha consumato lentamente.

Misono innamorato di Percy piano, come quando ci si addormenta e cisono cascato in pieno, in questa trappola dalla quale non riesco piùa tirarmi fuori.


OggiPercy ha baciato una ragazza.

Ilsuo nome è Annabeth Chase, frequenta il mio stesso corso di lettere, è una brava ragazza, simpatica, credo. Una persona perfettain tutto, la tipica ragazza bella e studiosa, che non fatica a farsidegli amici, che ottiene sempre quello che vuole.

Leloro labbra si sono toccate, davanti ai miei, occhi. E ha fatto male,tanto. Mi sono sentito calpestato, distrutto, fatto a pezzi,lentamente, in maniera sadica. E non ce l'ho fatta a restare davantia quei due, a vederli assieme. Sono scappato, ho finto di sentirmimale e sono corso a casa.

Mi sono soltanto sdraiato sul letto, a faccia in giù e ho chiuso la porta a chiave. Nessuno doveva entrare, nessuno doveva sapere quelloche stava accadendo.

Semio padre mi avesse visto piangere per l'ennesima volta, senza unmotivo, mi avrebbe dato ancora della donnetta. Non lo avreisopportato.


Luie mamma non lo sanno.

Nonsanno di me, dei miei sentimenti, di quello che provo. Perchè a loroquelli come me fanno schifo, lo dicono di continuo. Loro quelli comeme li vedono solo come degli sperimentatori, gente che non ha nullada fare, che sta con gente del suo stesso sesso per gioco, percuriosità o, come dice mio padre, "per pazzia".

E'una malattia per loro, la mia. Una specie di influenza dalla quale siguarisce con difficoltà, una cosa che attacca il cervello, che locostringe a fare cose che non dovrebbe, rendendo la personainnaturale, diversa.

E'così che mi sento io, diverso, e solo...


Ionon avrò nessuno, mai. E rimarrò in attesa, di una persona che nonarriverà, di qualcuno che possa salvarmi dal buio che ho attorno. Mala mia attesa non verrà ripagata e rimarrò solo...solo...

Percy...

Avreitanto voluto essere salvato da lui. Avrebbe potuto stringermi tra lebraccia, semplicemente, con la naturalezza con la quale lo fa conAnnabeth, e tenermi stretto per un po', per cacciare via il buio, lasolitudine. E magari poi lasciarmi, anche, purché per un po' miavesse tenuto stretto. Ma neanche questo mi è stato concesso eDio,Dio, quanto tutto questo mi fa star male!


Mifa male sapere che io le sue labbra non potrò toccarle, che le suebraccia, che tengono stretta Annabeth, non mi stringeranno mai mentredormo. E non potrò appoggiarmi al suo petto, o accarezzargli icapelli. Non potrò intrecciare le mie dita con le sue, né mettermii sui vestiti, caldi ed una taglia più grande dei miei.

Perchèio non sono una ragazza, non sono Annabeth Chase, sono solo...questo...

QUESTO!

UNERRORE! UN FOTTUTO SBAGLIO! UNA MALATTIA, UNA PERVERSIONE!

Unanimale in gabbia, che non può scappare, che resta in mostra, sottogli occhi di tutti, senza che nessuno lo capisca, senza che nessunosi preoccupi di indagarne lo stato d'animo , i sentimenti.


Perchèa me?

Nonho fatto nulla di male, nulla di male...



***


BASTASPERARE


Sabato3 Ottobre


Reynadice che passerà.

Chequesta notte non durerà per sempre, che una luce verrà, anche perme, che anche il tunnel più lungo ha una fine.

Reynadice che non sono un errore.

E mirimprovera quando la chiamo, di notte, quando il sonno fatica adarrivare, quando la testa è piena di mille pensieri, che riempionol'oscurità soffocando la stanchezza, uccidendo i ricordi felici e miscuso una, due, tre volte, per averla disturbata.

Midice sempre che lei è qui per me.

Cheanche nel momento meno opportuno, mentre lavora, segue il master ocucina, al cellulare può rispondere.

Midice sempre che con lei posso sfogarmi, sempre e comunque.

Chea lei posso dire tutto.


Madi quanto è capitato oggi, con lei, non ne ho fatto parola.

Semplicementeperchè alcune cose vanno affrontate da soli, senza nessuno al nostrofianco. E non per vittimismo o per protagonismo, non per un bisognoipocrita di combattere senza alcun aiuto, perchè da soli si soccombesempre, in ogni caso, ma perchè in alcuni momenti si ha bisogno didimostrare a sé stessi di essere ancora umani, ancora abbastanzaforti per farcela, per rialzarsi, continuare, senza un motivopreciso, semplicemente perchè è giusto farlo, perchè deve esserecosì.

E avolte, il peso che ci viene scaricato addosso è tanto imponente cheanche il solo farne parola sembrerebbe scorretto. Perchè ognuno ha isuoi fantasmi con i quali fare i conti, e scaricare i propri suqualcun altro è una dimostrazione di egoismo.


Ilmio fantasma si chiama Ade. È un uomo forte, severo, all'antica.Sono cresciuto con lui, senza una mamma, senza una famiglia vera, conla costante ansia di non essere abbastanza.

Miopadre mi ha sempre ritenuto una disgrazia, un aggettivo inutile inuna frase già completa, una bocca da sfamare più che un figli dacrescere.

Miha sempre detto che non sono abbastanza.

Ed imiei voti non erano abbastanza alti, ed il mio fisico troppo gracile,la mia salute troppo cagionevole. E quegli "Alzati e smetti dipiangere!", perchè gli uomini per papà non piangono, gli uominiveri per papà menano cazzotti a destra e a manca, e si fannoprendere a cazzotti, impassibili.


Nonlo saprà mai, mio padre, quello che sono, quello che provo, quelloche sento. Perchè mi farebbe male, mio padre, mi caccerebbe di casa,mi lascerebbe in mezzo ad una strada, perchè , come dice lui "meglioun figlio morto che un figlio frocio".


OggiLuke Castellan mi ha preso a botte, a scuola. Mi ha rotto un labbro equasi fratturato una costola e, se Percy, che mi era venuto aprendere, non fosse intervenuto, probabilmente sarebbe andato oltre,mi avrebbe letteralmente preso a pugni fino allo sfinimento.

Etutto questo solo perchè deve intrattenersi passare il tempo,trovare un modo per darsi delle arie, costruire la sua superioritàsugli altri, prendendoli in giro, insultandoli, facendo loro delmale.

Semplicementeperchè non sa fare altro, Luke, perchè ci sono persone, personecome lui e mio padre, che vivono di odio, e di odio si nutrono.


Quandosono tornato a casa avevo le lacrime agli occhi, mi faceva maletutto, e sentivo il desiderio di vomitare, sempre più forte. Miopadre mi ha guardato per un attimo che è sembrato un'eternità, haanalizzato i miei lividi ed il sangue secco come se fossi una sortadi manichino.

Poimi ha guardato negli occhi, fisso, per qualche momento.

Miha detto che ero patetico, così conciato, in lacrime. "Fragile dafar schifo, una femminuccia senza spina dorsale, un frocetto privodella capacità di difendersi da solo", mi ha detto un mucchio dicattiverie, una più grossa dell'altra, fino a farmi scoppiare.

Misono rifugiato in camera mia, da solo.

Hovomitato, sono stato male, male davvero. E non ho dormito némangiato.

E hocapito che per me non c'è alcuna speranza.


Chela mia felicità non ha alcuna possibilità di realizzarsi.

Chesono stufo di sperare in un futuro migliore, quando tutto ciò chevedo è cattiveria, distruzione ed odio.

Chenon voglio più illudermi di poter essere libero, quando in realtàsono in trappola.

Nècontinuare a credere che qualcuno verrà a salvarmi, strappandomi aquesta vita, a questa gabbia, a questo dolore.


E loso che per me non ci sarà un lieto fine, che non smetterò mai diessere odiato, messo da parte, maltrattato, senza un motivo, soloperchè non sono come gli altri. E so anche che a nessuno interessatutto questo, che la gente non vede, non vuole vedere. O se vede lofa con cattiveria, con odio.


Edio sono stanco di illudermi che tutto questo possa cambiare...

Cosìstanco...


***




Reyna abbassò lo sguardo, le lacrime agli occhi. Perchè queldolore, quella ferita atroce della quale Nico più volte le avevaparlato, solo adesso riusciva a percepirla, con chiarezza, soloadesso le sembrava chiaro quanto quel ragazzino fosse stato male, dasolo, a sobbarcarsi un peso più grande di quanto potesse sopportare.

E pensò, Reyna, a tutti i messaggi notturni, a tutte le mail chericeveva mentre stava lavorando o mangiando. A tutte le volte nellequali Nico si era sentito solo, abbandonato, e lei non aveva saputofar altro che ripetergli di sfogarsi, di buttar fuori tutto il velenoche aveva dentro, perchè, come diceva spesso, se non lo avesse fattonemmeno con lei, l'unica che sapeva, allora sarebbe scoppiato.

Ed era scoppiato, nonostante tutto, nonostante il suo aiuto, le sueparole dolci, le sue cure e le sue attenzioni, i suoi regali, speditiper posta.

Perchè abitavano a settecento chilometri di distanza, lei e Nico. Enonostante più volte Reyna gli avesse offerto un letto, un posto incui stare, il denaro per scappare, lui aveva sempre rifiutato,mettendo a tacere il grido di solitudine che sembrava voler usciredalle sue labbra.

E la ragazza si sentì inutile, annientata davanti a quell'oscuritàdevastante, che albergava in quelle pagine, in quel testo trovato percaso. E si sentì piccola, davanti alla forza che il suo amico avevadimostrato, nel sapersi rialzare, una volta dopo l'altra.

E si chiese cosa avrebbe fatto lei, di fronte ad una situazione delgenere, tanto disperata. Un battaglia persa in partenza, come l'avevadefinita Nico. Una trappola senza uscita.

Continuò a leggere, mancavano poche pagine alla fine di quel diario,di quel pozzo che era servito a Nico come sfogo, come confessoresegreto di tutto ciò che , a voce, non riusciva a dire.

Reyna fece scorrere la schermata fino ad arrivare a una delle ultimepagine, timorosa, in effetti, di quanto potesse nascondersi in quellerighe. Non appena lesse le prime parole, le lacrime tanto a lungotrattenute iniziarono a scorrere, senza ce lei potesse far nulla perfermarle.




***


FINISCEQUI



Giovedì 15 ottobre


"E chicercherai,

Anima Sola,

Quandonessuno sarà rimasto accanto a te,

E a camminareti ritroverai nel buio?


Sei cosìfragile,

Anima Mia,

Nella tuateca di vetro,

Nella tuagabbia di speranze tradite."



Oggiho smesso di combattere, di provare ad aggiustare quello che sono. Hosmesso di provare a reprimere i miei sentimenti, quello che amo, cheodio, ho iniziato a dirmi che vado bene anche così, ho smesso dimentire.

L'hodetto ad Ade. A tavola, noi due soli, l'uno a guardare l'altro,impassibili, immobili, intrappolati entrambi in una torre di ghiacciodi parole non dette, di contatto mancato, di odio senza amore, diamore senza odio, di forza messa da parte per troppo tempo, di lottasenza speranza.

Gliho detto tutto, ogni cosa.

Gliho parlato del mio essere, dei miei sbagli, dei miei silenzi, deimiei errori. Di quello che non ho mai accettato, dell'amore che mi èstato negato, di tutto quello che ho patito, da solo, in silenzio.Gli ho detto quello che Reyna mi ripete sempre. Che non sono unerrore, non sono uno sbaglio, ma una persona forte, incredibilmenteforte.

Perchènon è forte chi combatte, urla, strilla, si arrampica sull'affettodegli altri per trarne un beneficio, seppur minimo. Lo è chi piangedi notte, in silenzio, senza farsi né vedere né sentire da nessuno.Lo è chi, quando qualcuno gli chiede come sta, risponde "tuttobene" anche se in realtà sta morendo dentro, e chi le lacrime lelascia cadere lungo il volto, perchè non ha il coraggio neanche diasciugarle, né la capacità di nasconderle ancora. E chi non chiedeaiuto, anche se ha un bisogno disperato di essere salvato. È forte,davvero, chi ha imparato a convivere con il proprio dolore, con ipropri fantasmi, affrontandoli, nel buio, dove sono più forti espaventosi, cadendo, tante, troppe volte. Ma rialzandosi, sempre. Cheè forte chi non dimostra quello che sente.

Gliho detto di me, di ciò che sono, ho messo tutto me stesso nelle suemani, come un piccolo fiore di cristallo, fragilissimo.

Eper un attimo, un attimo soltanto, ho creduto che tutto potesseandare bene.


Ilprimo pugno mi ha preso in faccia, il secondo mi ha fatto caderedalla sedia, al terzo sputavo sangue. Il quarto l'ho evitato, le ditasi sono infrante sul pavimento, sono corso in camera mia, veloce,tanto, troppo veloce. E ho chiuso la porta, di modo che non potesseraggiungermi.


Questacosa finirà adesso...

Nonho più intenzione di vivere così.

Devosoltanto salutare Reyna, poi potrò andar via, libero, finalmente.

Lamia battaglia finisce qui, la mia resistenza, la ma forza, la miasperanza. Finisce qui, la mia voglia di restare, vivere. Finisce qui,muore, assieme a quel poco di affetto che mio padre mi mostrava.


***


E Reyna se la ricordava, quella lettera, quella sua ultima lettera,che di lì a poco avrebbe letto. E ricordava della corsa fino allamacchina del suo papà, delle chiavi che giravano nel pannello dicontrollo, della strada che correva veloce, davanti ai suoi occhi, dinotte, i fari accesi. E ricordava quelle parole, che le volteggiavanonella testa mentre la paura di perdere quello che oramai per lei eraun fratello più piccolo si faceva strada dentro di lei. Era il primoNovembre, il giorno dei morti, l'ultima notte della sua vecchia vita,l'ultima notte di Nico Di Angelo.


La pagina contrassegnata dai versi rossi scivolò via, lasciandospazio ad un nuovo insieme di lettere, parole, sentimenti marci,sudici, sporchi.

Reyna contemplò la stanza che aveva attorno, inspirò profondamente,tentando di calmarsi, poi riprese a leggere.


***


FAIIN MODO CHE SI SAPPIA


Giovedì1 Novembre


"Maormai è tempo di andare, per me a morire, per voi a vivere: chi dinoi si avvii verso una sorte migliore, è oscuro a tutti tranne cheal dio."

-Apologia di Socrate

Miopadre non mi ha più rivolto la parola da quel giorno. Esce lamattina presto e rientra la sera tardi, non ci incontriamo neanchepiù a tavola.

Comepotremmo, del resto? Ho smesso di mangiare, di dormire, ho persointeresse nel rimanere in vita, distrutto dal destino, da questastupida, inutile vita.

E alui di tutto questo non importa nulla, né importa ai miei presuntiamici, a Percy, a Jason. E mi sento irrimediabilmente sopraffattodagli eventi, come una barca in un mare in tempesta, vessata dalvento e dalla pioggia, incapace di rimanere a galla, di continuare asperare, ancora ed ancora, di illudersi di poter vivere intranquillità.

Hoscritto a Reyna oggi, la mia ultima lettera. Per lei, per nessunaltro.

E'il giorno giusto per farla finita. Lo farò stanotte, quando nessunopotrà sentire nulla, avvolto dalle tenebre, coperto dalle ombre. Eritornerò ad essere parte di quell'oscurità dalla quale avevopensato di potermi staccare.

Chepoi, magari, morire è anche meglio di vivere. Che, infondo chi midice che tutto quello che si dice su di me, su quelli come me siavero? Magari morire è come prendere sonno. Non te ne accorgi e restiincosciente, chiuso in una bolla, per sempre a dormire un sonnoristoratore, senza sogni, dove tutto e tutti sono ombre sfocate.Magari dall'altra parte andrà meglio.

Papàmi ha lasciato una cravatta sul letto, una cravatta nera, con soprale mie iniziali. Penso sia perfetta per un funerale...


***


CaraRey,

Mihai sempre detto che sono una persona forte, che non ho nulla dainvidiare ai miei compagni, ai miei coetanei. Mi hai accettato perquello che sono, nonostante tutto, nonostante i miei difetti, le miestranezze, le mail notturne, le chiamate ad orari assurdi.

Viviamolontani io e te, Rey. E settecento chilometri sono troppi,decisamente troppi. Ma nonostante la distanza tu hai pensato a me, tisei presa cura del mio cuore, spezzato in pezzi minuscoli, troppo,davvero troppo piccoli. E, anche se non sei riuscita a rimetterliassieme, ci hai provato con tutte le tue forze. E per questo tiringrazio. Ti ringrazio per il supporto mai negato, per l'affettodisinteressato, per la forza, la tua forza, che ha sostenutoentrambi. E ti ringrazio per le notti passate a pensare a me, ai mieiproblemi piuttosto che ai tuoi, a riflettere su ciò che mi stavaaccadendo su quello che provavo.

Tiringrazio per aver tentato di proteggermi da una vita che non facevache ferirmi, da una forza oscura che mi voleva per terra, disteso,ammanettato, intrappolato. E ti ringrazio per aver provato asostenermi fino alla fine.

Tiringrazio per i piani delle undici, di fuga di libertà, disolitudine.

E tiringrazio per tutte le volte che mi hai inviato un libro, un pacco,un CD, per le cartoline, le lettere, le serate passate a spiegarmibiologia dall'altro lato del telefono.

E tiringrazio per non avermi lasciato solo, per tutto questo tempo.


E midispiace per quanto sto per fare, per la debolezza che, ancora unavolta, mostrerò a te e a chi mi sta intorno, nella mia totaleincapacità di affrontare la situazione che si è venuta a creare.

Midispiace, Rey, ma io così non riesco più a vivere.

Sonostufo, stufo.

Vorreiessere libero, libero di volare via , di fare ciò che mi pare, diessere chi mi pare senza che nessuno venga a dirmi cosa fare, cosaessere.

Macome si fa ad essere liberi? COME CAZZO SI FA AD ESSERE LIBERI?

Sonostanco di sopravvivere senza vivere, senza potermi mettere in giocostufo di queste pareti di vetro che mi separano dalla felicità, chemi intrappolano nella solitudine.

Sonostufo delle lacrime immotivate. E stanco della gente, della gente chepiange per stronzate quando loro non lo sanno com'è sentirsi tristi,non avere nessuno cui star avvinghiati, cui attaccarsi per nonaffogare.

Eloro non lo sanno com'è sentirsi morire... sentire che la speranzase ne vola via lasciando posto al dolore, alla sopportazione..

Ioa che servo Rey?

Achi servo?

Nona te, che di tutto hai bisogno tranne di qualcuno che ti gettiaddosso ansie e preoccupazioni, non a Percy, che una spalla sullaquale piangere, per poi mostrarsi felice, mano nella mano conAnnabeth il giorno dopo, la può trovare ovunque, non a mio padre,che mi ritiene colpevole di tutto, di tutto, della morte di mamma, diBianca, dei suoi problemi. Che mi guarda come se avessi fallito, comese fallissi sempre.


Nonho salvato nessuno Rey, non sono nemmeno stato in grado di salvare mestesso.

Nonsono capace, non so come si faccia a dare una mano.

Nonce la faccio ad essere ancora da solo.

Nonce la faccio a sentirmi morire, a vedermi diventare un fantasma.

Nonce la faccio a non essere amato da nessuno all'infuori di te, che miconosci per come sono.

Nonce la faccio ad essere odiato.

Nonce la faccio, non ce la faccio, non ce la faccio.


Hodeciso di smettere di combattere, di arrendermi, di lasciare che lecose vadano come sarebbero dovute essere da tanto tempo. Che infondo, che io ci sia o meno non cambia molto. Vorrei che tu prendessiil mio PC e pubblicassi il mio diario, lo facessi leggere, lorendessi noto. Di modo che tutti sappiano, che tutti conoscano la miastoria. Che quello che è successo a me, che capta a tanti, troppiragazzi, non venga dimenticato, che tutti ricordino che una parolafuori posto, un insulto mascherato da scherzo, un borbottio ed unafrecciatina, il costante sminuire l'altro, non sono che dardiavvelenati, che colpiscono la mente ed il cuore fino ad ucciderli, asoffocarli.

Lapubblicherai vero?


Sentoil petto svuotarsi pian piano.

Mandavia tutto questo buio, ed accompagnami, quest'ultima notte, prima chesorga l'alba, sii la luce necessaria ad illuminare ancora un po' ilPC, per scrivere un altro po'.

Soloun altro po'.

Nonbiasimarmi ti prego, non sono farneticazioni le mie. Sono allo stremodelle forze, la mia battaglia titanica sta per giungere al termine.Perchè io non sono più in grado di essere forte, non so più dirmiche domani andrà meglio, che tutto finirà bene.


Nessunopuò più difendermi.

Nessuno.

Neanchetu...

Nonsono più in grado di proteggermi nemmeno da me stesso...


***


Leimmagini di quella notte maledetta iniziarono a prender vita davantiagli occhi velati di tristezza di Reyna, le iridi che si tingevano diansia. La scena la conosceva fin troppo bene, tante volte la suaimmaginazione aveva vagato, incentivata dai racconti, dalle parole dichi l'aveva vissuta. Ma, ancora adesso, Reyna non riusciva appieno acomprenderne molte dinamiche. Immaginava Nico seduto sulletto, in silenzio, il volto teso in un'espressione di cupo dolore,con il viso coperto dalla penombra, le luci della stanza da lettodella sua piccola stanza erano oscurate, di modo che sembrasse ancorpiù buio e poco luminoso di quanto non fosse, e le mani strette traloro, intorno ad un pezzo di stoffa nero, una cravatta scura, diottima fattura, italiana, forse.

Ed immaginò ilragazzo chinare il capo con lentezza, inspirando ed espirando concalma, in una maniera estremamente calcolata, nel tentativo, forse,di modulare il battito cardiaco, impazzito a causa dell'ennesimoscherzo che il destino aveva voluto fargli. E Nico che provava amettersi all'impiedi, invano.

E Reyna quasiriuscì a sentire il senso di angoscia, rabbia, crescere lentamentenel ragazzino, pronto a fare qualcosa che nessun essere umanodovrebbe mai nemmeno immaginare.

Forse si erachiesto, Nico , cosa ne sarebbe stato dei suoi amici, della suafamiglia, dopo. Che cosa avrebbe fatto Ade, cosa avrebbe detto Reyna.E forse non gli importava poi tanto. Magari, per una volta, Nicostava pensando a sé stesso prima che a chiunque altro, alla suafatica nel trascinarsi avanti, a fatica.


E Reyna ricordòquello che una volta Nico stesso le aveva detto. Che le persone sispezzano, e cadono, e si rompono. Che mentre la vita ti calpesta,ancora ed ancora, e ti spinge in basso e ti lascia per terra, e nonti aiuta che a sprofondare, l'unica resistenza che si può fare èlasciarsi passare tutto addosso, nella speranza che non faccia troppomale. Le aveva detto che anche l'anima più forte, prima o poi, cede.Sotto il peso di qualcosa che nemmeno lei può più sorreggere. Cheognuno, prima o poi, perde la sua battaglia. Sconfitto dallavecchiaia, dal dolore, dalla vita. E muore, pian piano, preda delveleno che tutti gli iniettano nelle vene.

Le aveva detto chetutti, prima o poi, cadono. Che nessuno resiste per sempre, chenessuno è forte per sempre. Che nemmeno lui avrebbe potuto esserloancora per molto.


Immaginò unarisata gutturale uscire dalla bocca del ragazzo dalla pelle biancacome il latte, mentre le dita, rapide, riacquistavano velocità,annodando quel pezzo di tessuto nero che stringeva tra le mani inmaniera meticolosa, precisa, fino a formare un cappio.

E poi Nico che sialzava dal letto, dirigendosi verso una parte particolare dellastanza, dove dal soffitto pendeva il lampadario spento, tenutosospeso da una struttura ad anelli non molto complessa, simile ad unacatena, molto ma molto resistente. Ed il ragazzo che faceva entrarel'estremità scoperta della cravatta nell'anello superiore, e che vel'annodava, salendo su una sedia.


***


Reynalasciò le chiavi nel cruscotto, la macchina ancora accesa e sicatapultò verso la porta d'ingresso della casetta scura il cuiindirizzo combaciava con quello a cui spesso spediva dei pacchi. Sel'era immaginata diversa la casa di Nico, più come una sorta diprigione dalla quale era impossibile evadere. Ma in fondo le gabbiepeggiori sono quelle senza sbarre e senza catene non è vero? Quelleche bloccano il tuo pensiero, il tuo cuore, le tue idee, chesoffocano la tua libertà pian piano. E casa Di Angelo, stando airacconti di Nico, era proprio un posto del genere.

Laragazza corse verso la porta. Era tardi. Tanto, troppo tardi. Il solesorgeva alle sue spalle, mentre una, due, tre volte, il dito di Reynaspingeva sul campanello, facendolo squillare nella notte.


Unapreghiera. Il principale ricordo di quella sera è una preghiera.Fatta a non si sa quale Dio, non si sa quando. Magari per tutta lanotte. Silenziosa, profonda, dolorosa. "Salvalo, fa che io arriviin tempo, lascia che lo porti via".


Ilcampanello che squilla ancora, il rumore dei passi, lontani, via viapiù vicini. Ed il suono di qualcosa che si rovescia a terra, unasedia. Gli occhi di Reyna che si spalancano, mentre le mani sbattonocontro la porta ed un uomo alto, vestito di nero, dallo sguardo colmod'odio viene ad aprire. Due sguardi che si incrociano. E per la primavolta un barlume di umanità in quegli occhi spenti.

Idue si capirono all'istante, ma Ade se ne rimase impalato a fissareil vuoto, quasi lo shock fosse troppo. E Reyna lo mise da parte conuna spinta, salendo le scale ad una velocità mai vista, inaudita,per trovarsi davanti ad una stanza dalla porta nera, lacera,graffiata all'esterno. La chiave era inserita, la porta bloccata,dall'interno della stanza proveniva solo un freddo silenzio.

-NICOSONO REY, APRI!- un sospiro, anzi un verso soffocato.

-NO...NO...-la prima spallata fece vacillare la porta, un senso di dolore esmarrimento che investiva Reyna. La seconda colpì la porta con unafora tale da far rimbalzare la ragazza per terra. Con la spalladestra in fiamme, Reyna si alzò ancora, arrivò il più montanopossibile dalla porta.

-Stoarrivando, Nico, non avere paura...- la terza spallata sfondò laporta. Nico era appeso alla catena del lampadario, immobile.

Reynasi rialzò velocemente, portandosi ai piedi del suo piccolo amico,raddrizzando la sedia e salendoci sopra. Slacciò il nodo e preseNico tra le braccia, quasi fosse un petalo di rosa, delicato,fragile. Era pallido, magro, troppo magro, e freddo, soprattuttofreddo come il ghiaccio. Lo distese sul letto, piano, quasi avessepaura di ferirlo ancora.

Controllòil battito.


"Salvalo,fa che io arrivi in tempo, lascia che lo porti via".


Unpaio di occhi scuri si aprirono, lentamente, mentre un sorrisoinatteso velava le labbra di Reyna.


***


Nico spalancò la porta con la sua solita grazia elefantina,ritrovandosi all'interno della casetta che Reyna aveva comprato e chedividevano da ormai quattro mesi. Nico non era un granchè. Nonlavorava molto, non sapeva fare il bucato, e riusciva a cucinare soloqualche dolce. Ma a Reyna non importava. Erano insieme, adesso, erariuscita a portarlo via da quella casa, da quell'uomo, da quellecatene invisibili. Ed adesso Nico era felice, quel giorno era persinouscito con un ragazzo, il su primo vero appuntamento!

-Cosa stavi leggendo?- chiese il piccolo Di Angelo, sbirciando ilmonitor e gettando da un lato della stanza la cartella.

Reyna chiuse il Pc con lentezza, assicurandosi che il suo "fratellinominore" non potesse leggere ciò che c'era su quel documento, chenon vivesse ancora quel dolore, che dimenticasse quell'oscurità-

-Nulla di importante... Com'è andata con Will?- Nico arrossì finsopra le orecchie -Avanti, Di Angelo, vieni qui e raccontamitutto...- Nico si sedette accanto a lei, sul letto ancora sfatto e laabbracciò. Senza un motivo, senza un perchè.

O forse una ragione c'era.

In fondo, senza di lei, non sarebbe stato lì.

Reyna l'aveva salvato, in tutti i modi in cui una persona può esseresalvata.











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