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Era una notte di primavera e così buia a New York, che a James sembrò la serata ideale per perdersi nei vicoli di quella città, che soprattutto di notte, trasudava mistero e orrore.
Il vento appena pungente gli scompigliava i capelli, e il giubbotto in pelle lo riparava da esso mentre distrattamente camminava sui marciapiedi di New York alla ricerca di qualcosa di interessante da fare. Qualcuno da tentare, qualcosa da torturare mentalmente, da spingere al dolore, alla disperazione.
Ne aveva voglia, ne aveva una disperata, matta voglia.
Il momento della giornata che meglio adorava era la notte. Solo allora, con il suo dono onirico di morte, poteva spingersi oltre i limiti del consentito.
Gioiva, una sensazione di piacere lo pervadeva quando da dietro una finestra poteva stare ad osservare un povero malcapitato contorcersi nel letto dalla sofferenza, o morire dopo aver subito sulla propria carne tutto quello che in sogno aveva patito.
Il violino, quello non poteva mancare. Era qualcosa che si portava dietro dalla sua vita mortale: l'amore per la musica, per la poesia, che adesso aveva tramutato in qualcosa di orribile e fatale. Il suono della morte, con James, prendeva la forma del dolce vibrare delle corde di un violino.
Ma quella sera ne aveva distrutto una corda che l'indomani avrebbe dovuto sostituire. Una crisi d'astinenza, proprio mentre trascorreva il suo tempo a suonare un adagio lento e straziante, lo aveva reso micidiale ed aggressivo. Non si era placato finchè, raggiunto il cassetto dove teneva le siringhe per quelli che lui definiva "casi urgenti", aveva appuntato l'ago nel suo braccio livido e aveva premuto lo stantuffo ricevendo da quella sostanza immediato beneficio.
Adesso, invasato dalla droga in circolo, se ne stava appoggiato ad un vecchio portone con la testa riversa contro l'angolo dello stipite. Il respiro era irregolare ma i suoi sensi demoniaci costantemente allerta.
Un allarmismo diffuso, tra gli spasmi piacevoli che il suo corpo percepiva, lo mise sull'attenti.
Qualcosa di puro, di troppo pulito, stava percorrendo il suo stesso marciapiede buio.
Possibile che un angelo si fosse avventurato da solo a quell'ora in una zona buia e pericolosa come quella?
Lo stupore accrebbe quando fu una ragazza con due occhi grandi e innocenti a rivolgergli la parola. Era lei l'angelo in questione.
Un piccolo ghigno gli lineò il viso quando ebbe la chiara percezione di quello che la ragazza stava pensando.
Era troppo pura, troppo trasparente perchè non potesse interpretarne perfino i pensieri.
"Troppo ingenua Kathrine, come hai fatto a diventare un angelo?", mormorò con una risatina invasata cercando lo sguardo smarrito della ragazza.
L'angioletta da strapazzo sfarfallò le palpebre perplessa. "James?".
"Già", sorrise sornione mostrando una fila di denti bianchissimi con aria esaltata. Nonostante l'aria notturna fosse fresca James percepì il sudore imperlargli la fronte.
Katherine e il suo strampalato coinquilino erano giunti a New York proprio poco dopo di lui. Il ragazzo era un semplice umano, uno di quegli esemplari disadattati e fragili... un giovane insicuro dall'animo dissoluto che per James non era passato affatto inosservato. Arrotondava come cantante di una band ma era pieno di problemi.
Avrebbe scommesso sul fatto che Katherine continuava a vivere con lui solo per pietà. Gli angeli e la loro dannata ambizione a fare del bene!
"Sei di nuovo fatto", constatò Katherine con una smorfia disgustata.
James sogghignò compiaciuto. "Oh sì, e stanotte ci sono andato pesante", allungò il braccio per ghermire con poca delicatezza il polso caldo e pulsante della ragazza.
"Lasciami".
"Altrimenti che fai?", la rimbeccò lui tirando su col naso mentre la immobilizzava con entrambe le braccia.
"Le alte sfere ti punirebbero, lo sai".
James si lasciò andare ad un risata dapprima sommessa, poi chiaramente liberatoria. "Non me ne frega un cazzo delle tue alte sfere, zuccherino".
"Lasciami andare ti ho detto...", piagnucolò Katherine assestandogli un morso sul dorso della mano che le immobilizzava il collo.
"Come sei cattiva, angioletta, non si fa!".
Con un violento calcio agli stinchi Katherine riuscì a svincolarsi dalla presa salda del demone.
James imprecò. Quando era fatto gli era difficile perfino mantenere una presa ben salda sulle sue vittime.
"Dannazione Katherine".
"Dovresti tornare a casa, James, si è fatto tardi". La giovane si era ravviata i capelli con un gesto più sicuro. Era ormai abbastanza distante da poter mantenere il controllo della situazione.
James grugnì infastidito, poi lasciò cadere il proprio corpo di peso sul gradino su cui era rannicchiato poco prima. "Nah, credo proprio che rimarrò qui...".
Un'espressione di quella che James aveva sempre classificato come pena, balenò sul viso della ragazza-angelo.
"Stai palesemente male, James".
"Sto benissimo, sciocco angioletto", ridacchiò invasato cercando di cavare fuori dalla tasca il pacchetto delle sigarette. Quando lo prese questo cadde ai suoi piedi.
Le immagini vorticavano, nella testa di James. C'era un angelo che si preoccupava per lui là di fronte? Seriamente? La pietà degli angeli poteva giungere a tal punto?
Con un gesto violento James afferrò il pacchetto ai suoi piedi e lo aprì traendone fuori una sigaretta. Era talmente frastornato da non centrare nemmeno la punta della sigaretta con la fiamma dell'accendino.
"Dammi, faccio io!", lo anticipò Katherine rubandoglielo di mano. James la vide chinarsi di fronte a lui e accendere mantenendosi comunque a una certa distanza di sicurezza.
"Che angioletto premuroso!", commentò il demone sarcasticamente. "Sai che mi sono sempre chiesto che sapore ha il tuo sangue, angioletto? Non sia mai che un giorno vorresti farmelo... assaggiare".
Katherine lo spintonò contro il portone con la mano libera tentando di apparire minacciosa. James inarcò le sopracciglia convinto che palesemente non ci stesse riuscendo.
"Solo per il fatto che tu sia un demone non vuol dire che io non sappia come difendermi".
Il sorriso scintillante di James si aprì nell'oscurità. "Solo per il fatto che io sia un demone non vuol dire che tu non possa abbassare la guardia con me... un giorno".
Katherine si incupì. Mollò la presa dal giubbotto di pelle di James e si rimise in piedi. Guardandolo dall'alto del suo metro e sessanta le sue sopracciglia si inarcarono in uno sguardo colmo di disprezzo. "Ne sei proprio convinto?", mormorò gelida, poi gli voltò le spalle e accelerato il passo si perse nell'oscurità.
[Ho adorato Maria e la sua splendida Katherine, questa è per lei]
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