Capitolo 21
Volevo sprofondare o essere investita da un'auto e dare un calcio nel sedere al karma, preferibilmente prima la seconda e poi la prima. Mentalmente, sfilai una lista di imprecazioni, non adatte ad una ragazza ma piuttosto al figlio di un camionista. Alzai gli occhi al cielo, provando ad avviare una chiamata con l'altissimo, avevo una bella ramanzina da fare per il pessimo servizio. Nel frattempo che attendevo il centralino, risuonava l'orribile motivetto pubblicitario e sperai vivamente che i tempi di attesa non fossero stati lunghi come nella realtà. Avrei accettato qualsiasi tipo di soluzione, anche quella di chiudere la porta e scomparire. Sì, sapevo cosa pensavate, non era un comportamento da figlia modello ma ognuno di noi aveva dei difetti. Perché non poteva essere facile come i testimonial delle aspirapolvere? Un sorriso cordiale, un 'no, non mi interessa' e una bella porta in faccia. Il lavoro più umiliante e indesiderato di sempre. Un po' provavo compassione per loro, tranne quando cominciavano a bussare alle 7 del mattino o ad essere insistenti. Un po' come quelli dei call center; solo al pensiero mi veniva il ribrezzo. Il passato tornava ogni tanto a tormentarmi. Ogni volta che ci pensavo, mi sentivo cadere addosso strati e strati di vergogna. L'unica giustificazione possibile era l'età, che ingenuamente mi aveva portato a considerare 'una figata' trovare un lavoretto part-time. Per questo, all'età di 17 anni, ero finita nelle fauci dei call-center. Un'esperienza durata due mesi e che aveva distrutto l'autostima, la pazienza e le buone maniere di una ragazza. Questo lavoro metteva a dura prova la calma di una persona. In soli due mesi, centinaia di persone mi avevano chiuso sgarbatamente il telefono in faccia. Alla fine, da diciassettenne mi ero trasformata in una quarantenne nervosa e isterica, quindi, per preservare la mia 'fanciullezza', mi ero licenziata. Non mi ero mai sentita così donna come in quel momento, soprattutto dopo aver mandato gentilmente a quel paese, l'ennesimo stronzo che mi rispondeva male.
"Papà, cosa ci fate qua?" Mio padre allungò le mani e mi abbracciò, dondolandomi. Mi lasciò, mi guardò e mi abbracciò di nuovo. Mi lasciò, posò le mani sulle mie spalle e mi accarezzò i capelli.
"Sei radiosa, anche se mostri qualche piccola ruga, stai facendo yoga come ti ho consigliato?" Domandò
"Ehm..." temporeggiai, giocando con le dita "sai com'è il college, il lavoro...tu come stai, papà?" Sviai e per mia fortuna lasciò perdere. Ricordavo molto bene le domeniche d'estate, sveglia alle 5 e meditazione. All'inizio era stato un trauma, peggio del rientro scolastico, ma pian piano era diventato rilassante. Il problema, però rimaneva sempre la sveglia.
"Owen, dai lasciala stare" mio padre venne in mio aiuto, come sempre. Ogni volta che desideravo qualcosa o combinavo qualche trasgressione, mio padre Patrick era sempre colui che prendeva le mie difese, o comunque era il più accondiscendente tra i due.
"È per il suo bene, l'aiuta a rilassarsi e a ringiovanire, anche se è splendida così" mio padre, Owen, mi baciò la fronte, anche se, in fin dei conti, ero la cocca di entrambi.
"Allora, non vediamo l'ora di vedere il tuo nuovo appartamento" mi destai improvvisamente, tornando alla realtà, un mio grandissimo punto debole erano le coccole, soprattutto quelle dei miei genitori, sì ne ero consapevole, ero una bambinona.
"Aspettate solo un secondo, papà so che non ti piace il disordine quindi lasciami un attimo sistemare" mio padre, Patrick, aveva provato sulla sua pelle l'esperienza di avere come padre, un ex-sergente dei Marines. A differenza di come avreste pensato, nonno Bernard non era così male, non era di molte parole e non ti offriva neanche qualche dolciume, era di temperamento ferreo, sguardo austero e severo ma mi aveva sempre coccolato. Perlomeno a Natale, l'unica volta che l'avevo visto, all'età di 5 anni, e soltanto perché mi ero avvinghiata alla sua gamba per ben 5 minuti buoni. L'ultima volta che l'avevo visto era stato al suo funerale, qualche mese dopo. Riposa in pace, nonno Bernard.
Feci un sorriso di circostanza e velocemente tornai dentro. Diedi uno sguardo a tutto quel nastro adesivo e salì in me il desiderio di piangere. La voglia di frignare come una bambina, con il pollice in bocca e il peluche in mano, sì alla veneranda età di 22 anni, non era mai stata così forte. In quel momento pensai a cosa avrebbe fatto la donna matura che era in me, oltre ad ingozzarsi di gelato e ad andare dal parrucchiere. I miei capelli avevano sul serio bisogno di una sistemata, purtroppo questo non era il giorno. Scossi la testa, dovevo smettere di pensare a queste cose e agire. Quindi come in ogni situazione del genere, decisi di strapparmi le unghie ed iniziai a togliere il nastro isolante dai muri e dal pavimento il più velocemente possibile, fino ad arrivare in salone.
"Non voglio sentire storie, altrimenti ti porto in tribunale per interferenze illecite nella vita privata con aggravanti, ti farò avere dai 10 ai 20 anni di prigione, i miei genitori sono fuori dalla porta e dobbiamo liberarci di questa roba" Ash inarcò un sopracciglio e sollevò le mani in segno di pace. Il mio diavolo custode in abito da avvocatessa, esultò sulla mia spalla mentre il mio coinquilino si alzava dal divano, fortunatamente privo di nastro adesivo.
In meno di cinque minuti, riuscimmo a liberare il salone, la cucina e il corridoio.
"Occupati delle stanze, io vado ad aprire e mi raccomando, niente stronzate" l'altra me esultò di nuovo, il lato dittatoriale che per anni avevo affinato, finalmente, stava dando i suoi frutti. Basta usarlo per convincere l'autista dell'autobus, per ottenere il posto migliore, o la segretaria della scuola per coprirti quando facevi tardi oppure quando svignavi nelle ore di punizione, era il momento di estendere i propri orizzonti.
"Ecco, adesso, potete entrare" aprii la porta "Papà, stavi spiando dallo spioncino?" Aggrottai la fronte, mio padre Owen, tossì e alzò il busto, sistemandosi la cravatta. Tra i due, era quello a possedere uno stile molto più elegante e curato, ci teneva molto al suo aspetto. Nonostante i suoi 50 anni, sembrava un trentenne e dopo anni, il biondo dorato dei suoi capelli brizzolati, non si era ancora sbiadito. Qualche ruga solcava la sua fronte alta e gli angoli delle sue labbra sottili ma lo sguardo azzurro era ancora luminoso e il profilo definito. Non per vantarmi, ma madre natura era stata incredibilmente generosa con loro e mi dispiaceva un po' per tutte quelle poverine che ai loro tempi, si erano prese una bella cotta per uno di loro. Patrick, invece, era sempre più robusto di spalle, con un fisico più muscoloso e definito e l'aspetto più trasandato e sportivo. Ancora oggi i suoi capelli castani, sembravano non avere pace e la cosa sembrava essere di famiglia. Purtroppo non ero riuscita ad ereditare i loro occhi chiari.
"Mi sembrava sporco" mio padre si giustificò debolmente, scossi la testa in segno di disapprovazione e li feci accomodare.
"Questo è l'appartamento, è piuttosto grande, dispone di diverse stanze e tutte molto ampie, è ben illuminato ed è anche vicino al college" spiegai mentre li conducevo in salone, mi sentivo un po' come un'agente immobiliare provetta. I miei genitori si guardarono intorno.
"Queste piante sono veramente belle, molto rigogliose" mio padre Owen si avvicinò ai fiori, chinandosi ad accarezzarli. Scrollai le spalle rassegnata, lui e la sua passione per fiori. In famiglia, era l'unico a possedere il pollice verde, quindi il solo a potersi occupare del giardino di casa nostra, soprannominato il più bello del quartiere. Da piccola l'adoravo, crescendo, avevo iniziando ad avere qualche problema, soprattutto quando dovevo tornare a casa senza farmi vedere, dopo aver superato il coprifuoco. Diventava sul serio un problema evitare di calpestare al buio prato o fiori. L'utilizzo della torcia era, purtroppo, adeguatamente ponderato e misurato per pochi secondi. Il cane dei vicini, per mia sfortuna, dormiva nella sua cuccia all'esterno ed aveva il sonno leggero.
"Anche l'arredo mi piace molto, è tutto molto armonioso, concordi Patrick?" Owen si rivolse a lui, già seduto comodamente sul divano.
"Uh...sì" come tipico di ogni poliziotto, l'unica cosa che riusciva a comprendere di una casa, era il divano o la poltrona, la qualità di una birra e di dolciumi.
"Tuo padre è un caso disperato, non pensa ad altro che al divano e alle partite, sono diventate persino più importanti della sua famiglia" lo stuzzicò.
"Non è vero, e nessuno è più importante di mia figlia" ora capivate cosa significava essere la cocca di famiglia? Ero sempre stata la reginetta della casa ma essere figlia unica non era sempre una buona cosa per alcuni motivi:
primo, i genitori erano più "protettivi", in un certo senso; secondo, erano meno permissivi ed accondiscendenti, diciamo che mi avevano fatto rigare dritto per molto tempo; terzo, potevano essere fin troppo presenti.
La vita da figlia unica non era tutta rosa e fiori come avreste pensato.
"Comunque" mi rivolsi a entrambi, con il tempo, i ruoli si erano lievemente invertiti "avreste potuto avvertirmi, non potete sempre piombare all'improvviso" lanciai uno sguardo a mio padre Owen, solitamente era lui che orchestrava queste cose. All'età di 11 anni era piombato a scuola nel giorno del mio compleanno con uno spara coriandoli, vi risparmio il resto.
"Tesoro, avremmo dovuto aspettare sicuramente dei mesi e non dire di no" purtroppo era vero, non potevo obiettare. Sospirai "restate per cena?" Conoscevamo tutti e tre la risposta.
"Sì, siamo venuti qui per questo, per la deliziosa cucina di nostra figlia" mio padre aveva sempre un 'ottimo' senso dell'umorismo.
"Vada per la pizza, allora" tutti e tre annuimmo.
"Qualcuno ha detto pizza?" La voce di Dylan distrusse il mio quadretto famigliare, i miei genitori si girarono verso di lui.
"Papà, lui è Dylan, il mio coinquilino" lo presentai mentre mio padre Owen continuava a guardarlo attentamente. All'inizio avevo accennato al fatto che avessi un coinquilino di sesso maschile ma avevo sempre omesso dettagli o raccontato qualcosa, frenando la curiosità di mio padre.
"Piacere, io sono Owen e questo è il mio compagno Patrick" tutti e tre si strinsero la mano "allora rimani per cena?".
Ash
C'erano due genitori di sesso maschile, che mi sembravano uno il poliziotto buono, l'altra il cattivo. C'era la loro figlia, una donna isterica e snervante con manie dittatoriali. Poi c'ero io, completamente ignaro ed estraneo all'intera faccenda. Ora avevo soltanto una domanda, in tutta questa faccenda cosa c'entravo io? Anche perché quei due mi sembravano ancora più strambi della figlia mentre io apparivo come l'attrazione del circo. Quei due messi insieme mi provocavano un brivido dietro alla schiena, dovevo stare attento.
"Dylan, mia madre mi ha parlato di te" il padre, giusto per semplificare li avrei chiamati padre n. 1 e n.2. Owen, il biondino, esile, di altezza media, seduto a capofila, mi guardò. Aveva un'espressione piuttosto simpatica e bonaria, più del padre n.2, seduto alla sua destra. Padre n.2, ovvero Patrick aveva un aspetto molto più rude e lievemente aggressivo con uno sguardo piuttosto cinico. Erano una strana coppia."Ha steso un parere positivo su di te e non vedevamo l'ora di conoscere il coinquilino di Amber" assunsi una postura guardinga, non sapevo perché ma nonostante l'impressione bonaria, avevo il presentimento di non poterlo prendere alla leggera. Non era il momento di abbassare la guardia "anche perché lei non ci parla mai di te ed eravamo molto curiosi."
"Io e Ash non passiamo molto tempo insieme, ve l'ho detto, siamo sempre impegnati" ci tenne a precisare Amber, ma non chiudeva mai quella dannata bocca? Cosa pensava che non sapessi rispondere? Maledizione, era snervante, rispondeva e precisava ogni cosa, anche quando non era interpellata.
"Spero di aver soddisfatto i vostri desideri"
"lo vedremo" perché mi suonava tanto come una minaccia? Papà orso voleva giocare? Bene, nella mia mente ero già pronto a chiamare Smithers per liberare i cani. Il Signor Burns era sempre stato uno dei miei personaggi preferiti. Un uomo bicentenario eccellente.
"Come va con la convivenza?" Il mio sguardo incrociò quello di Amber, altrettanto perplesso, e sotto il tavolo sentivo la lieve punta del suo avvertimento. Suo padre ci guardò in attesa di una risposta. Avrei potuto usare centinaia di modi diversi e colorati per definirla ma nessuno al momento era adatto.
"Bene"
"Sì, molto bene" aggiunse la mia 'amabile' coinquilina.
"Amber, dice che non vi vedete spesso" si intromise anche padre n.2, il signor Patrick. Tutti temevano le madri ma c'era qualcosa di molto peggio, ragazzi, ovvero il padre. Il padre, l'uomo con il fucile, che ti avrebbe castrato se ti avesse visto non rispettare una distanza di 5 metri da sua figlia, era l'incubo di tutti gli uomini. Immaginate quando ce n'erano due.
"È vero, ma quando lo facciamo, la convivenza è pacifica e tranquilla" cercai di ricordare l'ultima volta che avessi avuto una conservazione del genere, ovvero tre mesi fa.
"Sai Ash, io sono un editore mentre Patrick è un poliziotto, ci siamo conosciuti a un corso di yoga" interessante ma incredibilmente noiosa e non richiesta storia.
"Papà, non vorrai raccontare di nuovo quella storia?" Amber con mia grandissima gratitudine, lo interruppe e così mi permise di dedicarmi alla mia pizza, rimasta ad infreddolirsi.
"No, tesoro, è solo per dire che quando vieni a contatto con una persona per un tempo prolungato, possono crearsi certe situazioni" la situazione stava prendendo una brutta piega, soprattutto quando vidi rivolgere l'attenzione su di me.
"Vai a letto con mia figlia?" Amber sgranò gli occhi mentre io mi strozzai con il pezzo di pizza. Sentivo gli occhi pizzicare e un tappo che mi bloccava la gola mentre prendevo un bicchiere d'acqua. Tossii e sorseggiai. Non mi ero mai sentito così vicino alla morte come in quel momento.
"Assolutamente no!" Io e Amber rispondemmo all'unisono. Ero quasi sul punto di elencare tutti gli orrendi motivi per cui non l'avrei fatto. Andiamo, avevo standard parecchio alti.
Owen, o in questo caso Mr Domande Spinose, fece un largo sorriso "che brutta reazione, non vi ho mica minacciato a morte" scherzò, era davvero uno 'spasso' "poi perché? Mia figlia è una bella ragazza, ha un sacco di qualità, è single e..."
"Papà, smettila, subito" concordavo appieno, non ero ancora pronto a sistemarmi, soprattutto con una come lei
"Prima o poi ci fai l'abitudine con lui" Patrick ammiccò al suo compagno.
"Ash, sai che Amber a due anni ha vinto il concorso per il culetto più bello?" Cosa? Questa sì che era una bella notizia "era liscio e vellutato e lo è tutt'ora" scoppiai fragorosamente a ridere, ricevendo un'occhiata glaciale da una rossissima Amber con le guance più gonfie di un peperone "e a 7 anni è stata considerata l'incubo di Halloween, aveva sporcato tutte le case dei vicini con uova e carta igienica. Per non parlare di quella volta... Patrick ti ricordi?"
"Quando la potrai in ufficio con me?" Owen annuì "aveva liberato tutti i cani che usavamo nelle indagini facendoli scappare in città, ci abbiamo messo tutta la giornata per ritrovarli" Non riuscivo a smettere di ridere, era davvero troppo forte. Sarei potuto addirittura morire.
"Papà!" Amber alzò la voce, incenerendoli con lo sguardo.
"Fu davvero molto divertente, anche perché è riuscita a movimentare le cose, in ufficio tutti la ricordano ancora"
"È sempre stata una bambina molto estroversa e piena di energia"
"Immagino" provai a riprendermi.
"Abbiamo anche delle foto, da piccola adorava sporcarsi con la pittura e correre per tutta la casa, nuda e a pois" la piccola Amber doveva essere uno spasso, a differenza della ragazza al mio fianco.
"Niente foto, vi avverto"
"Certo, tesoro" il padre la rassicurò, ma Amber non sembrava molto convinta, suo padre mi fece l'occhiolino.
"Ma abbiamo parlato sempre noi" suo padre accavallò le gambe sotto il tavolo
"in realtà, più tu, caro" Patrick lo accusò.
"Sì, beh, sono un chiacchierone" a quanto pare, la megera aveva preso da qualcuno "tu invece cosa dici, Ash?"
"Niente corse nude e non ho mai avuto la fedina penale sporca" quasi. Il vostro caro Ash aveva rischiato più volte di avere una bella denuncia, soprattutto al college, per disturbo della quiete pubblica e per attività non proprio lecite alla confraternita, ma ero riuscito a uscirne pulito, sempre. Attenzione, non avevo mai pagato in cambio di favoritismi, sia chiaro, ero un uomo onesto, semplicemente non mi lasciavo prendere.
"Non so perché ma non riesco ad immaginarti come un santo, forse perché anch'io sono un uomo e sono stato un ragazzo, quindi so dove può arrivare la mente maschile alla tua età."
"È stato un membro della confraternita anche lei?" Owen fece un largo sorriso, oh, ora capivo molte cose.
"Il capo, per gli ultimi due anni della mia carriera università" congiunse le mani sulle gambe "un'esperienza piuttosto elettrizzante, oserei dire" tra di noi sembrò passare un sottile sguardo, tra membri delle confraternite ci si intendeva sempre.
Amber
Livello di simpatia: genitori 1, Amber 0
Livello di amicizia: genitori 1, Amber 0
Avrei dovuto smettere di segnare mentalmente queste cose, piuttosto infantili, anche perché segnare sempre le mie sconfitte stava iniziando a seccare. 'Gareggiare' con i propri genitori non era una buona scelta, soprattutto quando avresti voluto giocare in maniera pulita. Ma, quando riuscivano a conquistare anche il tuo coinquilino, l'uomo più odioso su questo mondo, capivi che sul serio, era giunto il momento di smetterla.
I miei genitori e Dylan stavano conversando animatamente ed era la cosa più strana a cui avessi mai assistito, peggio di quando Jessica Horton aveva staccato una gomma dal muro e se l'era ficcata in bocca. Non ho avuto il coraggio di guardarla in viso per una settimana.
Mio padre Patrick si stava prodigando in un'altra delle sue performance, ovvero una verticale, e a 55 anni non tutti sarebbero stati in grado di farlo.
"Il segreto è avere buona resistenza e bilanciare il peso, perché non provi?" Mi lasciai sfuggire una piccola risata beffarda, Dylan mi guardò con un ghigno e si preparò per quella che, per me, si annunciava come la più divertente tra le chiusure di serata. Si mise a terra, reggendosi con le gambe e le braccia, poi alzò prima una gamba e poi un'altra e successivamente si issò sulle braccia.
"Esatto, così" il mio coinquilino si alzò e mi lanciò un'occhiata carica di soddisfazione, mi sentii logorare da una bruciante invidia. Mio padre, Owen applaudì, lanciandomi sottili sguardi che ignorai. Si alzò e ci guardò
"penso sia arrivata l'ora di tornare" c'era una piccolissima parte di me che aveva sperato in queste parole, ero sfinita e stanca, la parte più grande però era davvero triste. Un po' come quando mi trasferii per la prima volta, ero rimasta sull'uscio di casa mia per mezz'ora prima di arrivare all'auto.
"Caro Ash, è stato un piacere, spero ci rivedremo presto".
"Anche per me, Owen e Patrick" si strinsero la mano e poi fu la volta dei miei ambiti abbracci.
"Ci sentiamo presto, tesoro" donna matura o non, un abbraccio dai tuoi genitori ti trasformava sempre in una bambina, avresti potuto rifiutare tutto ma non quello.
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"Comunque ti ringrazio" la brezza notturna era piacevole e mi sentivo quasi come le attrici nei film, se non fosse stato per il pigiama e il vento a spettinarti i capelli "è stata una bella serata e i miei si sono divertiti."
Dylan si girò verso di me, sorseggiando una lattina di birra "sono davvero molto simpatici, sembrano due ragazzini"
"Lo sono, davvero, a volte sembro la madre" lo raggiunsi.
"Sono davvero una coppia insolita" non immaginava quanto "non sono sposati?"
"No, un po' per diversi motivi, lo stato, poi la famiglia, non tutti l'hanno accettato e un po' perché a mio padre Patrick non piace molto il matrimonio" anche se mio padre Owen non faceva altro che parlare di quanto sarebbe stato bello organizzarne uno.
"Sei preoccupata per loro?"
"Non tanto, sono grandi, hanno imparato molto, però so quanto la gente possa sentirsi a disagio e ciò fa sentire a disagio anche loro. Le persone dovrebbero soltanto imparare a conoscere. Loro sono stati i migliori genitori che una bambina avrebbe mai potuto avere" nessuno avrebbe potuto protestare sull'amore dei genitori verso un figlio, uomo o donna che fossero.
"Immagino" sorrise "vuoi un sorso?" Mi allungò la sua lattina, lo guardai sospettosa "non c'è veleno, lo giuro" scherzò, la presi, Dylan Jones, continuava a stupirmi sempre di più.
"Sì, grazie, a chi brindiamo?"
"Brindiamo ai coglioni della nuova epoca" risi e sollevai la lattina.
"Ai coglioni della nuova epoca!" Urlammo all'unisono mentre qualcuno da sotto ci gridava di pulirci la bocca da questi termini.
Spero che il nuovo capitolo vi piaccia, buona lettura!Baci
-Astrad
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