Pantera
Linda recepì subito il messaggio. Sorrise compiaciuta e rispose il bigliettino in tasca.
Era un invito ad incontrarsi il giorno successivo, alle cinque (ossia l'orario di partenza del treno quattro per Genova) al fine di suonare insieme.
Si chiese se doveva rimettere il foglio di carta sul muretto, con la risposta.
Ma no.
Quel ragazzo era abbastanza arrogante per dare per scontato che lei avrebbe accettato.
Guardò l'orologio e decise di imitare i coraggiosi sportivi che correvano sul lungo mare Fabrizio De André.
La stazione era un bordello. L'ora dei pendolari somigliavaun po' ad un girone dell'inferno dantesco.
Il tunnel sotterraneo che stava per arrivare al binario 2, era pieno e Linda faticava ad avanzare: i lavoratori formavano una sorta di impenetrabile e sudaticcia barriera umana.
Le voci di quelle persone rimbombavano nel corridoio stretto e si potevano quasi vedere le onde sonore che rimbalazavano sulle pareti,per incombere sulla grande massa.
Raggiunse miracolosamente la piattaforma e saltò sul treno: l'atterraggio non fu strepitoso e rischiò di cadere a terra, sbilanciata dal peso della chitarra.
Fortunatamente non accadde.
Trovare uno scompartimento vuoto non fu difficile, a quell'ora i treni direzione sud erano praticamente deserti.
Osservò la sua figura riflessa nella porta trasparente.
I capelli castani e mossi, estramamente voluminosi, avevano assunto una forma strana, che sfidava qualsiasi legge fisica. Linda era affetta da eterocromia ed uno dei suoi occhi era per 3/4 verde e per 1/4 marrone. Ciò non le era mai dispiaciuto, le piaceva avere un tratto unico, che la distinguesse da tutti gli altri. Per il resto delle persone quello era un errore genetico, per lei invece rappresentava un dono di madre natura.
Le mancava il seno, ma compensava con il lato posteriore, perfettamente circolare e rotondo.
Linda non aveva mai avuto problemi di autostima, sapeva accettarsi e viveva bene nel suo corpo. La sicurezza era fondamentale per sopravvivere alla strada, per questo motivo si era sempre amata.
Solo una cosa avrebbe voluto cambiare: l'altezza.
Quel metro e sessantaquattro le stonava. Non la rendeva né alta e né bassa. Lei aveva il costante bisogno di identificarsi in qualcosa e quella via di mezzo glielo impediva. Non sapeva come definirsi: Linda Aguilar non conosceva grigio, solo il bianco e il nero.
Dal finestrino vedeva il litorale della costa ligure estendersi in lontananza. La giornata era così chiara che le isole dell'arcipelago sembravano ad un passo da lei. Poteva quasi sentire il profumo del mare e il suono delle onde.
Caro diario,
Non sappiamo esattamente di cosa ci innamoriamo.
Ci innamoriamo di una scorza perfetta. Di un bel viso, di un bel corpo. Di due begli occhi o due belle mani.
Ci innamoriamo di una voce. Capita che il suono di una determinata voce, non importa quanto oggettivamente bella possa essere, riesca a toccare la nostra anima.
Ci innamoriamo anche di un’ idea. Dell’idea che ci siamo fatti possa corrispondere alla nostra perfetta metà. A quella parte di noi persa alla nascita, che spesso combattiamo una vita per ritrovare.
Buon viaggio,
Linda.
"Come è andata, Mija?" Maria Aguilar teneva lo sguardo fisso sulla strada, con le mani saldate al volante della vecchia Fiat Punto 3P.
"Il professore ha detto che sono pronta per l'esame di riammissione" Rispose Linda, abbassando la testa.
Due anni prima era entrata in conservatorio con borsa di studio ma poco dopo iniziò il Medioevo della sua vita, così non riuscì a mantenerla. Solo da qualche settimana aveva ripreso le lezioni, dopo cinque mesi di lontananza dall'Istituto Puccini.
"Non mi importa quello che dice lui, tu lo passeresti ad occhi chiusi. Ti basta volerlo" Disse la madre.
"Già"
"Lo vuoi?" La incalzò.
"Si"
"Bien"
Linda notò che le mani di Maria tremavano leggermente. La fronte era madida di sudore e le occhiaie sul viso erano allucinanti: riusciva a stento a tenere gli occhi aperti.
La ragazza sapeva il perché e sentì improvvisamente il senso di colpa incombere su di lei. Le dispiacque essersi fatta venire a prendere e la vista della madre che lottava per non cedere la fece quasi piangere.
Maria lavorava giorno e notte per mantenere la figlia e, in passato, le erano capitate delle crisi dovute a stress eccessivo.
Il bar dove lavorava la sfruttava e lei non poteva fare niente, doveva subire in silenzio. Un'immigrata senza titoli di studio non trovava un posto di lavoro migliore e perderlo significava non avere più da mangiare. Ciò nonostante non si era mai pianta addosso, aveva sempre risparmiato le energie per dare a Linda tutto quello che meritava. Avrebbe voluto tanto vederla crescere in ambienti migliori e più sani, magari meno pericolosi: tuttavia la strada ti forma, ti prepara allo scontro con la realtà. Il problema sta nel saperla affrontare; ci sono modi e modi di vivere il degrado. La gente sbaglia a dire che tutto ciò che viene dal basso è marcio, perché da qualsiasi cosa si può imparare.
"Quanto hai lavorato oggi?" Domandò Linda mentre salivano le scale del condominio.
"Sono andata al bar alle sei del mattino" Rispose Maria facendo strada sul pavimento umido. Le pareti dell'androne avevano bisogno di una bella riverniciata.
"Quando sei tornata?" Insistette la figlia.
"Prima di venirti a prendere" Da quanto le tremavano le mani non riusciva ad inserire le chiavi nella serratura. Non voleva farsi vedere così , ma più si ostinava a combatterlo e più aumentava.
"Che schifo" Linda prese dolcemente le chiavi alla madre ed aprì la porta.
Appena entravi in casa Aguilar la prima cosa che vedevi era la bandiera Colombiana attaccata nell'ingresso. Attorno ad essa altri oggetti tipici del paese, che ricordavano a Maria la sua splendida patria. La cosa che desiderava più di tutte era portare Linda nella sua terra originale, per farle conoscere l'altro popolo a cui apparteneva.
"Sto mettendo da parte un po' di soldi e credo che presto riusciremo ad andare a casa" Linda stava apparecchiando e quando sentì le parole della madre si fermò subito.
"Dio mamma, non hai idea di quanto sia felice" Sorrise la ragazza, avvertendo la gioia espandersi come una macchia d'olio.
"Allora stasera dovremo preparare una cena Colombiana straordinaria per i tuoi amici " Ridacchiò Maria. La donna prese un cd di canzoni hispaniche e alzò il volume al massimo, per coinvolgere anche tutto il vicinato.
"Teresa e Mattia gusteranno cibi sublimi"
Madre e figlia ballavano e cantavano, comportandosi da tipiche latino americane. Facevano gara a chi muoveva meglio il sedere e, per un po' di tempo, riuscirono ad evadere da tutti i loro problemi. Mai affogare nelle complicazioni e mai lamentarsi, questo era il loro motto. Maria aveva insegnato a Linda che c'era sempre qualcuno che stava peggio di loro e per rispetto non potevano piangersi addosso.
Teresa e Mattia mangiavano come bambini che non vedevano il cibo da mesi. Il ragazzo aveva trangugiato così tanti Bunuelos che non riusciva più a togliersi il sapore di formaggio dalla bocca. Teresa aveva invece dichiarato il suo amore incondizionato per la Leccona, una specialità tipica di Bogotá a base di maiale.
Linda raccontò ai suoi due migliori amici delle cose successe in giornata, specialmente dell'incontro con La Serpe. Aveva difficoltà a parlare di Mario e ringraziò che la loro attenzione si fosse focalizzata sull'inquietante pseudo imprenditore. Sicuramente perché li faceva paura.
"Ma chi si crede di essere 'sto qui, Sherkan?" Capirono metà della parole dette da Mattia dato che non si può parlare quando si ha la bocca zeppa di Empanada.
"Credo che darà diversi problemi a Cogoleto" Spiegò Linda, cercando di comunicarli non verbalmente quanto fosse minaccioso quel tipo.
"Dipende" Disse Teresa distaccata.
"Da cosa?"
Intanto giunsero grida dalla strada sottostante.
Sembravano più di rabbia che di paura. Non potettero resistere all'impulso di affacciarsi immediatamente.
Inizialmente Linda non notò niente di particolare, se non un ragazzo che spacciava.
La notte a Cogoleto nasconde loschi affari e tra le sue braccia si rifugia la peggio feccia.
Proprio per questo motivo devi saper interpretare le ombre, conoscerle come te stesso, anzi... meglio.
Linda capì cosa gli sfuggiva, il segreto che Cogoleto non voleva rivelare.
Le urla strazianti provenivano dal garage del suo condominio.
L'oscurità può ingannare, ma se pensi come un animale notturno puoi aggirare il sotterfugio.
"Vado a controllare, non siete costretti a venire" La ragazza non degnò di uno sguardo gli amici e li superò.
Mostrarsi acida era l'unico modo per esortarli a rimanere al sicuro.
Quello non era il loro ambiente e non sapevano muoversi al suo interno. D'altronde un cervo non può sopravvivere nella giungla.
Le dissero qualcosa e tentarono di fermarla, ma era troppo tardi.
La pantera era diretta verso gli invasori.
Spazio autrice: Cosa ne pensate? Un bacio a tutti e grazie per i risultati che state facendo raggiungere alla mia storia❤️
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