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La Legge Del Più Forte

"Ti ha vista qualcuna?" Disse Diego, facendole cenno di entrare in casa. Il ragazzo guardó il pianerottolo in modo circospetto e chiuse la porta, mettendo la catenina.
"Solo Mario, suppongo..." Rispose Linda, attraversando la soglia dell'umile abitazione di Diego.
"Abbiamo un solo vantaggio su Andrea Montagnani: non sa che io ti aiuto. Crede che tu sia da sola e noi dobbiamo continuare a farglielo credere." Il ragazzo era agitato e aveva i nervi a fior di pelle. Scorrazzava da un angolo all'altro della casa, raccogliendo oggetti da cassetti, mensole e perfino dal piano della cucina.
"Calma e riordina le idee" Linda non riusciva a seguirlo, era come un cavallo imbizzarrito.
"Siediti pure" Disse Diego, lanciando il materiale sul vecchio tavolo, scolorito e scheggiato.
La ragazza vide fogli, carte, registri, foto e tante altre cose molto interessanti, che avevano l'aria di essere state rubate. Linda si sedette titubante e cominciò a dare un'occhiata alle scartoffie, rendondosi conto che erano documenti molto pericolosi, contenenti informazioni importanti. "Che cazzo hai fatto?" Domandò la ragazza, rigirandosi una fattura tra le mani.

"Ora abbiamo gli strumenti per fottere La Serpe, importa solo questo!" Diego era in piedi davanti a lei, le braccia appoggiate sul tavolo. L'adrenalina gli scorreva nel corpo e non riusciva a calmarsi, era troppo eccitato. Rischiava la pelle, poteva quasi udire anche il colpo di pistola che gli avrebbe fatto esplodere il cranio e sentire l'odore del suo stesso sangue. Eppure se ne fregava, non aveva più paura.
Tra le mani avevano l'oro e lui voleva utilizzarlo, senza lasciare avanzi. Procurarsi quei documenti era stato come rubare le uova ad un grifone, si era sporcato di merda fino alle spalle.
"Diego, porca puttana. Ci sono indirizzi, numeri e perfino nomi! Guarda qui..." Linda indicó l'indirizzo di una fattura, che riportava ad un magazzino situato sull'estremità nord del porto di Genova.
"Indica la vendita di un quintale di pomodori. Sicuramente riciclaggio" Decretó Diego, prendendo finalmente posto su una sedia.
"Ripeto la domanda e adesso esigo una risposta. Che puta hai fatto per procurarti tutto questo?" La ragazza gli puntó addosso gli occhi da predatrice, scavando nel profondo della sua anima. Lei era capace di estorcere informazioni anche solo con lo sguardo.
" Ho scopato Agnese, contenta ora ?! Mi sono messo della polvere di sonnifero sulle labbra e l'ho baciata. Non hai idea di quanto sia stato difficile non deglutire! Poi, mentre lei dormiva, ho preso tutto quello che c'era e ho fotocopiato" Diego si passó la mano tra i ricci e allungó violentemente i piedi sul tavolo, accendendosi una sigaretta.
"Non sarà invano" Disse Linda, cercando di cacciare via dalla mente l'immagine del cervo e della vipera che facevano sesso.
"Magari dovrei essere contento di essere andato a letto con una figa come Agnese, ma in realtà mi faccio solo schifo. Lei è così raccapricciante..." Diego scosse la testa, evitando lo sguardo dell'amica.
"Sei stato molto coraggioso, ma anche maledettamente coglione. Se ti avesse scoperto sono sicura che non saresti qui per raccontarlo."
Linda si allungò sul tavolo, avvicinandosi al ragazzo. Gli mise l'indice sotto al mento e lo guardó, osservando quelle sofferenti iridi castane. Aveva gli occhi più tristi del mondo, eppure non piangevano. C'era il passato di chi ne ha vissute tante e lo sguardo di chi già sapeva come sarebbe finita.
La ragazza gli sorrise e lasció un leggero bacio sulla sua guancia.
"Vogliamo iniziare?"

"È la quarta volta che trovo questo indirizzo, sono convinta che sia di loro proprietà" Linda mostró una ricevuta a Diego e lui la lesse, portando la sigaretta alla bocca.
"Sech terminal contenitori S. P. A" Mormoró il ragazzo.
"I conteiner sono i migliori amici dei trafficanti di droga e di armi. Potrebbe essere una sorta di... roccaforte" La ragazza sorseggió del caffè, abbandonandosi sulla sedia. Il sole stava tramontando alle loro spalle, colorando di arancione i tetti delle case popolari di Cogoleto.
"Molto bene" Il ragazzo si mise la cicca tra le labbra e appuntó su un foglio l'indirizzo della società.
"Guarda questa foto" Diego la mise davanti agli occhi di Linda, in modo che potesse vederla bene. L'immagine ritraeva due figure maschili ed una femminile, intente a sorridere davanti ad un portone.
"Li riconosci?" Il ragazzo buttó fuori il fumo dal naso.
"Agnese, Andrea e...Pietro?"
"Esatto. Sai in che posto si trovano?"
"Suppongo sia uno dei vicoli di Genova, probabilmente in centro"
"Questa, è la casa della madre di Andrea Montagnani. Lì ci abita il fratello, Michele" Ridacchió Diego, spegnendo la sigaretta nel posacenere.
"Cazzo!" Linda si prese la testa tra le mani, realizzando che avevano fatto scacco matto.
"Michele è il contabile dell'azienda, in casa avrà tutti i registri! Bastano quelli a dimostrare i movimenti di denaro sporco" La ragazza batté la mano sul tavolo, facendo saltare in aria tutte le scartoffie.
La pantera si sentiva gloriosa e potente, quasi invincibile. Aveva praticamente provato a se stessa di essere in grado di affrontare nemici spietati e potenti, apparentemente più forti di lei. La pantera si sarebbe divorata il serpente e l'avrebbe dilaniato lentamente, facendolo soffrire.
Diego e Linda si guardorono, consapevoli di trovarsi un passo avanti a La Serpe.
E risero, non come chi vince sempre, ma come chi non si arrende mai.
Perché anche quando la vita sembra una lotta contro i mulini a vento, eroe è colui che non si arrende, che ogni volta si rimette in piedi e prosegue il suo viaggio, incurante degli ostacoli, incurante della sconfitta. Invincibili sono tutti coloro che hanno ereditato l'ostinazione di don Chisciotte.
"Passami il telefono, faccio quella fottuta telefonata" Linda gli lanció il cellulare usa e getta che avevano comprato. L'apparecchio era intestato ad una persona inesistente e l'avrebbero bruciato non appena fosse stata fatta scoppiare la bomba.
Diego rivolse uno sguardo all'amica, la quale gli annui.
Quello era il suo momento.
Doveva dimostrare di avere le palle, provare a se stesso che non era più un bruco, ma una farfalla.
Attinse al coraggio di Izi e compose il numero della polizia.
Prese un bel respiro.
Poi espiró.
Chiuse gli occhi e premette il pulsante verde, sganciando l'ordigno nucleare.

***
Agnese Sforzi non avrebbe mai scordato la sera del quattro giugno, le sarebbe sempre rimasta impressa, incisa a fuoco nella mente.
Già mentre guidava aveva uno strano presentimento, come un terribile presagio. La notte incombeva su di lei e faticava a tenere le mani ferme sul volante. Sentiva una puzza strana, un misto di paura e giustizia.
Più si avvicinava all'appartamento di Michele Montagnani e più la brutta sensazione aumentava, come un eco degli sbagli commessi. Alla fine, il senso di colpa è un avvoltoio appollaiato sulla spalla che becca e lacera la coscienza mantenendo sempre vivo il ricordo degli errori commessi.
Ricordatevi, i colpevoli hanno veramente paura della giustizia.
La ragazza svoltó in una strada minore, allontanandosi dall'Aurelia. Il cielo era nuvoloso e le stelle sembrava che non ci fossero, esse erano completamente avvolte dalle nubi.
Le strade erano deserte e si sentiva solo il rumore prodotto dalla sua macchina, che si addentrava sempre più nell'oscurità.
Non mancava tanto alla destinazione, bastava trovare parcheggio e camminare fino a Vico Giannini.
Cambió la marcia e mise la freccia a sinistra, abbassando il finestrino per il caldo improvviso.
Aveva bisogno di fumare una sigaretta, ma in qualche modo aveva capito che quello non era il momento.
Poi vide cosa veramente turbava la sua serenità.
"Merda" Borbottó la ragazza, lasciando che la brezza notturna le scompigliasse i capelli.
Un posto di blocco, a soli venti metri da lei. Non poteva svoltare o cambiare strada, aveva le mani nel fango.
Sospiró, facendosi coraggio.
Magari era solo una coincidenza che si fossero piazzati vicino alla roccaforte della società. D'altronde, quella era una delle zone meno tranquille di Genova e aveva sempre dato problemi agli sbirri, specialmente per le continue risse.
Passó piano piano, sperando di non dare nell'occhio.
Una macchina davanti a lei era appena ripartita, magari non ne avrebbero immediatamente controllata un'altra.
Il poliziotto alzó la paletta, facendole cenno di accostare.
Cominció a sudare e la salivazione arrivó a livelli stellari.
La mani non riuscivano a rimanere ferme sul manubrio.
"Chiavi sopra al tettuccio, scenda lentamente e con le mani bene in vista" Disse lo sbirro, puntandole torcia e pistola contro.
Eseguì gli ordini, cercando di sembrare il più rilassata possibile.
Una poliziotta ispezionó l'auto, cercando qualcosa che non avrebbe mai trovato. Uscì poi dalla macchina e perquisì la ragazza, mettendole le mani su qualsiasi parte del corpo
Agnese guardó il cielo notturno, ma non vi trovó alcun conforto: perfino la luce della luna sembrava inesistente.
Gli altri due sbirri le puntarono la torcia sul viso, accecandola. Rivolesero poi lo sguardo verso una pratica e annuirono, lanciandosi un'occhiata complice.
La ragazza deglutì, i suoi nervi chiedevano pietà.
"Lei è in arresto per traffico di droga, commercio illegale di armi, riciclaggio di denaro e complicità in omicidi. Può avvalersi della presenza di un legale di fiducia"
La poliziotta la giró e la schiacció violentemente sulla macchina, infilandole prontamente le manette.
Successe tutto così in fretta, che Agnese non si era neanche accorta di trovarsi sulla volante della polizia.
"Ispettore, ho la signorina Sforzi. L'abbiamo beccata vicino all'abitazione di Michele Montagnani, adesso ci stiamo dirigendo in centrale. Confidiamo che i ragazzi siano riusciti a prendere altri pezzi grossi."

La Vipera era stata stanata, si era fatta sbranare dalla pantera.
Agnese accettó la sconfitta, lasciandosi inghiottire dall'aria ostile della volante. Ormai aveva perso ed era inutile continuare a combattere, prima o poi arriva per tutti il momento di deporre le armi.
Ma d'altronde è così che funziona, sopravvive soltanto il più spietato. Questa è la legge del più forte, vince chi lotta meglio.
Le regole della giungla sono vecchie, vere e rigide: nessuno potrà mai cambiarle.
***
La signora Montagnani andò ad aprire la porta, chiedendosi chi potesse venirle a farle visita alle nove di sera. Sospettó che si trattasse di Agnese, o almeno così il figlio le aveva accennato.
Attraversó il lungo corridoio ammobiliato e si fermó davanti alla pesante porta blindata, asciugandosi le mani bagnate sul grembiule. La signora adorava fare i dolci e quella sera, aveva deciso di fare un gustoso tiramisù.
Abbassó la maniglia ed aprì, lasciando che un sonaglio sbattesse sul legno.
"Buonasera, ci faccia entrare, abbiamo un mandato di perquisizione" Un poliziotto alto si paró davanti a lei, esibendo un foglietto timbrato.
La donna rimase immobile, a bocca aperta. Non sapeva che fare e non riuscì a proferire parola, tutto le sembrava così surreale.
Da quando i suoi figli si erano dati al crimine, non aveva mai veramente valutato l'idea che potessero arrivare le conseguenze. Forse, perché quando un potere malvagio è forte si crede che diventi incontrastabile e superiore a qualsiasi altra cosa.
"Signora, si scansi" Lo sbirro la spostó, togliendola di mezzo in maniera non troppo educata.
Erano una squadra di circa quattro poliziotti ed entrarono in casa sua, puntando le pistole verso il nulla.
Rivoltarono cassetti, mensole, tavolincini, lasciando che il contenuto si riversasse sul pavimento. Una ragazza aprì con un calcio il mobile situato sotto al televisore, per poi rufolare dentro al servizio di porcellana, rompendo con uno straziante rumore dei piatti.
La signora Montagnani sapeva che lo studio del figlio era in mansarda, l'entrata nascosta dietro al mobile del bagno.
Continuarono a mettere a soqquadro la casa, spaccando tutto quello che poteva contenere droga o altre cose sospette. La donna era rimasta immobile all'entrata, troppo sconvolta anche per fare solo un passo.
I poliziotti salirono le scale, guardandosi bene intorno . Si aspettavano di non trovare niente a piano terra, di solito i rifugi venivano posizionati in cantina o in corrispondenza della mansarda.
Due sbirri perlustravano le stanze cercando zone cave, sbattendo le mani sulla muratura per vedere se questa fosse vuota . I restanti invece cercavano tracce lasciate dai narcotrafficanti, concentrandosi principalmente su oggetti grandi e apparentemente innocui.
"Chi c'è fuori?" Domandò uno di loro.
"Tranquillo, le uscite sono tutte bloccate dai ragazzi" Rispose lei, puntando la torcia su delle foto.
Un poliziotto corse nel corridoio, lasciando meravigliati i colleghi per il suo gesto impulsivo. Egli però aveva sentito un rumore strano, come di un corpo che atterra sul pavimento.
Vide un'ombra alla fine del lungo corridoio e cominciò a correre, cercando di non inciampare sulla moquette. La figura oscura si diresse verso una camera, dove era probabilmente piazzata un'uscita segreta.
"Si fermi immediatamente e metta le mani dove si possono vedere" Urló il poliziotto, puntandogli contro pistola e torcia.
Questo non si fermó e si lanció nella stanza, chiudendosi rumorosamente la porta alle spalle.
"Merda!" Gli sbirri la buttarono giù con tre spallate, ma il delinquente era già sparito. La camera da letto era buia, vuota e silenziosa. L'unico rumore era il respiro dei poliziotti.
"Marco, il figlio di puttana è scappato! Perlustrate il perimetro" Disse la ragazza, portando la radiolina alla bocca.
"Voi due cercate il rifugio. Prendete tutto ciò che potete e scattate foto a qualsiasi cosa, anche ad una mosca appiccicata sul muro. Voglio prendere tutti quegli stronzi, chiaro?!" I due agenti annuirono e corsero via.
"Maresciallo, secondo me non è uscito..." Disse la ragazza, spalancando le ante degli armadi per infilarsi dentro. Tastó la superficie legnosa, ma non trovó nulla che potesse ricondurre ad un rifugio segreto.
"Credo che tu abbia ragione"
L'attenzione dell'uomo era stata catturata da una cassapanca grande e pesante, che stava proprio ai piedi del letto. Il maresciallo si avvicinó lentamente, lasciando che i piedi facessero scricchiolare il parquet.
Si chinó piano piano, passando la mano sopra al pavimento, per cercare una falla nell'attaccatura delle assi.
Notó uno strano rialzamento del legno, quasi impercettibile.
Sentiva l'odore di preda e sapeva che si trovavano tutti nella stessa stanza.
La giungla ti può nascondere, ma di sicuro non ti protegge.
L'uomo forzó la serratura della cassapanca e chiamó la collega, chiedendole di esaminarne il contenuto.
"Signore, c'è qualcosa di sospetto sul fondo, come una specie di piccola serratura."
Il maresciallo mise le mani dietro la schiena e attraversó la camera da parte a parte, battendola con i suoi passi.
"Sfondala" Ordinó deciso, notando lo sguardo sorpreso della ragazza.
Lei sospiró e gli rivolse un'altra occhiata, come per chiedergli conferma.
L'uomo annuì, dando il via libera per lo stanamento.

"Era da mesi che vi inseguivo, sai? Siete proprio dei pezzi di merda. Oltre al commercio illegale, avete ucciso decine di persone. Ma giustizia è stata fatta e, per quanto sia vero Dio, combatterò per farvi marcire in carcere. Mancano ancora due di voi, ma stai certo che li troverò. " L'ispettore puntó la luce contro Michele Montagnani, accecandolo.
La stanza degli interrogatori era minuscola ma immensa, dalla scrivania non si poteva vedere la fine.
Il tavolo era bianco come la morte e brillava inquietantemente, come la luce della coscienza sporca.
"Non diró niente senza il mio avvocato" Disse Michele a denti stretti, cercando di mostrare forza.
Erano nel pieno del gioco della giungla e il narcotrafficante era consapevole di aver perso, di essersi fatto sottrarre il potere.
Voleva metter paura, dimostrare di essere ancora sicuro e spavaldo. Ma in realtà, stava facendo i conti con la propria anima, che bruciava come un fuoco. Essa era frammentata in tanti pezzi, imoossibili da ricongiungere.
L'anima è coscienza e per questo, quando la seconda brucia, la prima muore. Perciò vi dico che l'uomo è straordinariamente, appassionatamente innamorato della malvagità. La coscienza può urlare quanto vuole, ma se non viene ascoltata, le sue urla verranno soffocate dagli stessi sentimenti perversi che lei vuole combattere.
"La carissima Agnese Sforzi è già in cella e presto sarà raggiunta da tuo fratello e dall'altro collaboratore, Pietro Bonifacio. Nei registri, quelli dove tu tenevi la contabilità dei vostri sporchi affari, abbiamo trovato abbastanza prove per farvi rimanere al fresco per almeno vent'anni. Sarà difficile da smontare il Cartello Di Zena, ma intanto i suoi padri fondatori sono in gatta buia. Ci vediamo al processo, Lex Luthor"
***

Caro Mario,
Non so da dove iniziare, ci sarebbero troppe cose da dire. Cercherò di essere il più sintetico e chiaro possibile, anche perché ho veramente poco tempo: fra venti minuti parte il mio volo. Questa lettera ti arriverà quando io mi troverò in un'altra parte del mondo e, di conseguenza, non saprò mai con certezza se l'avrai letta...

Cazzo, la tua fidanzata è riuscita proprio a fottermi. Ha giocato bene ed è stata più furba di me, dimostrando alla giungla che doveva essere lei a conseguire la vittoria. La legge del più forte la conosciamo tutti e per questo riconosco la sua vincita, ammettendo che è proprio vera la frase che dici sempre: una tigre non ingerisce una serpe.
Come diceva Woodberry, la sconfitta non è il peggior fallimento. Non aver tentato è il peggior fallimento.
Io ho iniziato la guerra e non sono riuscito a vincerla, tuttavia sono fiero di averla scatenata. Se non l'avessi fatto non mi sarei potuto mettere in gioco e non avrei capito tante cose di me stesso, che prima mi erano oscure. La vita è bella proprio perché ti consente di conoscerti e di scoprire, grazie ad ogni esperienza, qualcosa di più.
Mi sto perdendo in chiacchere e ti chiedo scusa per questo, ma è difficile arrivare al punto quando di punti ce ne sono un'infinità...
Partiamo da questa domanda, che da tempo attraversa la tua testa: "Perché Andrea e Linda si contendono il trono della giungla"?
La risposta è semplice, più di quanto pensi. Ma può essere difficile, così difficile che potrai pensarci per anni senza mai capire. D'altronde,
la maggioranza dei problemi non deriva dalle risposte che ci diamo ma dalle domande che ci poniamo.
Infatti, il quesito che ti sei posto, mio caro Marietto, è molto pericoloso. Sia per te che per i diretti interessati.
Ti dirò che sono io ad aver sfidato la ragazza, per il semplice fatto di aver capito che cosa lei rappresentasse per te. Questa guerra è stata mossa da una sensazione da me avveritata e da un sentimento provato da tutti e tre.
Paride ti ha portato via da me e così io ho scatenato la guerra di troia, cercando di far affondare il prode guerriero che ti ha rapito. Purtroppo io, Menelao, re dei greci, non sono riuscito a vincere.
Io ti amo Mario. E ti amo troppo, lo dico con ardore, con fede, di sogno in sogno, ho cambiato universo, sono passato nel tuo.
Non posso averti ma, dato che t'amo, posso esserti.
Ti porterò sempre con me, fino alla morte e, se dopo c'è qualcosa, anche laggiù.
Non smetterò mai di ascoltare i tuoi testi, non importa quanto lontano possa essere. La tua voce è la mia canzone preferita e farò di tutto per poter ascoltare il suo eco.
Spero che la tua vita possa essere felice.

Andrea Montagnani, a.k.a La Serpe.

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