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Gotham

"Ciao Mirko" Disse Linda Maliziosamente, mangiandosi con lo sguardo da predatrice il confuso ragazzo che aveva davanti.
Era così disorientato, che la ragazza dovette mordersi la lingua per non scoppiare a ridere.
Sembrava che un lillipuziano gli avesse appena fatto la cacca nel tubetto del dentifricio.
Ma come biasimare il povero Mirko? Forse, capita spesso di aprire la porta ad una bellissima sconosiuta assetata di sangue? Ad una bellissima sconosciuta che, seppur non avesse fatto nulla, già ti metteva i brividi?
"Saresti?" Mirko inarcó il sopracciglio sinistro, tenendo istintivamente la porta con un braccio, per paura che questa potesse aprirsi più del dovuto.
"Una ragazza che si è fiondata da Genova per riavere ciò che le appartiene... Adesso, posso entrare?" La pantera mise la mano sopra alla porta, facendo indietreggiare il ragazzo. Era stata così veloce, che neanche era riuscito a captare il movimento.
"Non penso di avere un'altra scelta..." Osservò Mirko, scansandosi per farla passare.
Sapeva che era un gesto avventato, specialmente a Calvairate, ma già aveva capito che non voleva avere grane con quella ragazza.
Era tanto bella quanto terrificante.
"Ottimo! Umh, figo, avete la porta blindata... Temete qualche visita da Gotham City?" Lo schernì Linda, facendosi strada nell'umile appartamento.
"Z4 non è per i deboli di stomaco" Commentó piano Mirko.
La ragazza sogghignó, voltandosi improvvisamente verso di lui, divorandolo con lo sguardo "Io vengo da Genova: la Derry Italiana".

La pantera ispezionó il nuovo territorio, passandolo in rassegna come fa un soldato sul campo di battaglia. Sul lungo corridoio si affacciavano quattro camere e alla fine, in un ampio spazio, si apriva quella che doveva essere la cucina. Per essere una casa popolare, era molto spaziosa.
Tetra e squallida, ma pur sempre grande.
"Ci sono così tanti letti che sembra un motel" Osservò Linda, scavalcando un materasso buttato a casaccio nel centro del corridoio.
"Siamo 5 inquilini, ma in certe notti ospitiamo anche 10 persone. È la tana di Calvairate" Spiegó Mirko, seguendola nella sua esplorazione.
Non lo credevo possibile, eppure è proprio come l'ha descritta.
Pensó il ragazzo.
Mario gli aveva ripetuto molteplici volte che lei era la regina della giungla, la padrona delle periferie. Lui stesso aveva ammesso che certe volte poteva far paura.
Ma paura sul serio.
Da costringerti ad indietreggiare, da farti gelare il sangue nelle vene.
L'amico gli aveva raccontato che i suoi occhi erano come le mele del giardino dell' Eden: così succulenti da farti finire all'inferno.
Eppure, non aveva mai visto una persona così innamorata. Quando parlava di lei, tutto il suo corpo era preda di un fremito e chiunque gli stesse intorno poteva percepire quanto l'amasse.
Mirko si disse tra sé e sé: Ti ha fottuto, amico.
"Mi faresti un caffè?" La voce sensuale della ragazza lo riportó alla realtà, allontanandolo dal mondo dei ricordi. Realizzó che si trovavano nella piccola cucina arredata secondo la moda degli anni settanta, caratterizzata da mobili freddi e duri, così compatti tra di loro da sembrare blocchi di ghiaccio. Dall'avvolgibile della porta-finestra filtrava una tenue luce, che illuminava a cubetti la sala spoglia.
Linda sedeva al tavolo e lo guardava ansiosa di avere la sua bevanda, mettendolo terribilmente a disagio.
"Certo" Rispose lui piano, lanciandole uno sguardo sospetto.
"Grazie"

"I tuoi coinquilini così sono tutti a lavoro, compreso Mario, che hai detto fa il cameriere in un locale di Porta Romana" La pantera bevve un sorso di caffè, lasciando divampare il calore nel suo corpo.
"Facciamo tutti dei lavori part-time, principalmente per avere abbastanza tempo per dedicarci alla musica" Spiegó Mirko, lisciando con i palmi delle mani la tovaglia. Lo faceva sempre quando si sentiva a disagio.
"Quando torna?" Il giovane milanese notó un piccola esitazione nella voce di Linda, probabilmente perché aveva toccato un argomento delicato.
"A regola, fra non molto. Ammesso che gli facciano staccare all'ora prestabilita..."
"Lavorare in nero è una merda, spesso ti fai più ore rispetto a chi ha il contratto normale" Sospiró la ragazza.
"Puoi aspettarlo qui... " Mirko era bravo a capire cosa provassero le persone, sapeva leggere nelle anime. E in quella di Linda vedeva tanta tristezza.
Lei si rifugiava sotto ad una dura corazza, cercando di affermare la sua persona solo perché temeva di essere ormai troppo debole per farsi realmente rispettare.
La lontananza da Mario l'aveva logorata, consumandola sempre di più ad ogni giorno che passava.
"Non so che cazzo dirgli, è una situazione così precaria. Sembra che nulla abbia più un senso." Confidó la ragazza, posando gli occhi sullo sconosciuto che l'aveva accolta nella sua casa. Non era bello, tuttavia aveva un qualcosa che lo rendeva attraente, costringendo ogni ragazza a prestargli attenzione.
Forse la voce profonda, forse gli occhi magnetici o forse l'aria da ragazzo della porta accanto (la copia cattiva però, quella riuscita male e con un tatuaggio sul collo).
"Magari, potresti darglielo... un senso" Osservò Mirko, ancora un po' imbarazzato da quella situazione.
Una sconosciuta gli piombava in casa e lui cominciava a farci discorsi filosofici sull'esistenza. Era un po' come dire: il fattorino mi consegna la pizza e io mi ci metto a cenare insieme.
"Con Mario?" Ridacchió la pantera.
Il ragazzo inarcó un sopracciglio, non capendo il motivo della sua reazione.
"No, giovane rapper, no. Niente potrà darlo, perché non esiste cosa in grandi di farlo. È tutta una distorsione della nostra mente,perché l'uomo ha bisogno di autoinganni: deve credere che la vita abbia un senso." Linda allontanó la tazzina del caffè per paura di romperla e si prese la testa tra le mani, sospirando.
Il caldo milanese era soffocante e l'aria di Calvairate opprimente.
Se non si fosse regolata, avrebbe rischiato di esplodere.
"Sei matta, completamente. Staresti bene in questa nostra banda di pischelli..." Mirko indugió sulla sedia e lanció uno sguardo verso l'avvolgibile, realizzando che anche lei si trovava sulla sua stessa barca. Non importava da dove venissi, la periferia ti avrebbe comunque segnato, marchiando a fuoco la tua anima.
"I figli della giungla restano tali indipendentemente da dove vivono" Linda abbozzó un sorriso.
"Come ti sembra 'sta zona 4? " La incalzó Mirko, abbandonandosi sulla sedia. Quel pomeriggio di luglio era particolarmente caldo ed afoso e ti impediva di mettere anche solo un dito fuori casa. Per questo motivo, il ragazzo non poteva rimanere indifferente all'atto di coraggio compiuto da Linda, che aveva attraversato mezza Calvairate sotto la torrida cappa.
Solo i pazzi l'avrebbero fatto.
Anche gli innamorati.
Beh, alla fine, gli innamorati sono pazzi.
E lei, aveva completamente perso la testa.
"Mi sta stretta come questo bracciale" Rispose lei prontamente, mostrandole la catenina che portava al polso.
"Mario mi ha intasato le orecchie a forza di parlarmi di te...a dire il vero, le ha intasate a tutti" Commentó Mirko.
"Prevedibile, non riesce mai a tenere la bocca chiusa"
"Senti Linda, io dovrei 'lavorare' però tu dovresti rimanere qui, hai fatto una strada talmente lunga... Non mi dai noia" Decretó il ragazzo, ancora un po' imbarazzo. Linda era così bella e sicura che lo metteva terribilmente a disagio. Le guance assunsero infatti una leggera tonalità rosea.
"Non per essere sfacciata, ma credo che in realtà sia tu ad avere bisogno di me" Linda lo disse dolcemente, protranedosi sul tavolo per avvicinarsi a Mirko, il quale le lanció un sguardo confuso.
"Non capisco"
"Allora...Tu fai musica, giusto?"
Il ragazzo annuì e lei continuó la sua spiegazione. "Tu stavi per andare verso la tua camera, per poi a chiave e scrivere i tuoi testi; attingendo all'ispirazione che io ti ho fornito".
"Ma che cazzo..." Il giovane rapper si allontanó piano dal tavolo, sempre più convinto che quella ragazza appartenesse ad una specie aliena, arrivata sulla terra per succhiare il cervello ai piccoli insetti di quartiere come lui. Tuttavia, in un piccolo cassettino, seppellito nel profondo della sua anima, sapeva che lei aveva perfettamente ragione. Quella strana pseudo genovese, con l'accento ligure segnato da un pizzico di spagnolo, gli aveva letteralmente svoltato la giornata. Cosa poteva svegliare meglio la sua vena artistica?
Linda proseguì imperterrita, divertita dalla reazione del compagno. "Quindi, un giorno tu mi ringraziarai per essere stata la tua 'musa' e io ti ringrazierò per avermi dato un tetto sotto al quale stare durante una giornata calda e greve"
***
Hai creduto nei miei sogni
Ma mi hai portato a Genova
Eravamo poveri ad Arenzano
Tolti da certa merda
Mi vedevan speciale ed insultavan fisso
Ora ti chiedon di tuo figlio e del suo disco
Canticchió Mario con le mani sul volante, alla disperata ricerca di un posto per la sua auto scassata. Vide un parcheggio davanti ad un bazaar di arabi e ringrazió silenziosamente la dea bendata: per una volta, lo aveva assistito.
Continuó a intonare Da Dove Provieni (tredicesima traccia del suo Mixtape Aspettando Orange County), infischiandosene di chi poteva sentirlo. Che male c'era in quello che stava facendo? Fare musica poteva forse danneggiare l'ordine pubblico di uno sporco quartiere della periferia milanese?
No.
Assolutamente no.
Mario aveva bisogno di cantare e, se necessario, avrebbe dato sfogo alla sua voce fino a consumarsi le corde vocali.
Avanzava sicuro sul marciapiede dissestato e, continuando la sua cantilena, passava sotto alle finestre delle case, sovrastando l'audio delle televisioni.

Stavo per diventare un pugile di classe
Mentre avevi il tumore
Se non mi credi chiedilo a Simone
Mi hai insegnato a vivere
A come non vivere
Proseguì Mario, perdendosi nel flusso delle sue stesse parole.
Un vecchio gli passó vicino, investendolo con il vento derivante dal sua passaggio. Lo guardó storto, chiedendosi se quel ragazzo avesse del sale in zucca. Ai suoi tempi, i giovani non si mettevano a fare concerti per la strada. Bah, che mondo.
Gli anziani però non capiscono che i vecchi tempi non tornano più. Lo dice già il nome, sono vecchi. I nuovi tempi non possono mai essere come i vecchi. Quando tentano di farlo, risultano vecchi e logori, come le persone che li desiderano. Mai rimpiangere i vecchi tempi. Chi li rimpiange infatti è vecchio e triste.
Alla sua età, io ero in guerra
Pensó il vecchio, passando ancora più vicino al ragazzo, con le mani rigorosamente incrociate dietro alla schiena. Non riusciva proprio a capire. Perché lo stava facendo?
Certi anziani, andrebbero uccisi da giovani.

Il tuo punto forte è sempre stato mentire a te stessa
Con la stessa presunzione
Quasi a crederci di non essere in debiti
Di portarmi a Gardaland
E prendermi alle 16

Mario svoltó all'angolo, imboccando il viale che lo avrebbe condotto verso casa. La sua voce continuava ad infestare la tetra Calvairate e lui non riusciva a controllarsi: le parole sgorgavano dalla sua bocca come acqua alla sorgente.
Aveva la camicia appiccicata al torace e il caldo era tale da fargli morire certi suoni in gola, lasciandolo senza respiro per qualche secondo.
Ma a lui non importava. Riprendeva subito fiato e continuava a rappare.
Era uno di quei momenti nei quali si sentiva inarrestabile.
Avrebbe fatto un tour di live per tutta Milano.
La Thaurus Music si era offerta di produrgli il Mixtape e di farsi carico di tutte le spese.
Elena, la sua mamma, era in salute e riusciva finalmente a pagarsi l'affitto.
Insomma, doveva godersi ciò che aveva avuto, perché presto potevano portarglielo via.
Quindi, fanculo vecchi.
Fanculo pregiudizi.
Fanculo paura del nuovo.
Fanculo terrore del diverso.

Non ti chiamo mai ma
So che sei vicina
Tu mi hai insegnato sai a vivere la vita
E non puoi raggiungere i desideri
Se non ti ricordi da dove provieni

Concluse la canzone, ascoltando l'eco delle sue ultime parole invadere la grigia via nella quale abitava. Aveva catturato l'attenzione di un gruppo di ragazzi, nascosti nell'ombra di un garage. Il giovane rapper poteva sentire il pungente odore di erba mista a tabacco, e dedusse che stessero fumando dei blunt.
Ciò non lo soprese e gli fece venir voglia di tirare, solo per avvertire quel logorante bruciore alle sinapsi, che portava alla frittura del cervello e della razionalità.
Eppure cercó di seppellire quell'istinto animale che la maggior parte delle volte non riusciva a controllare e che lo comandava dai tempi delle scuole medie.
Spesso gli capitava di voler fumare così tanto per poi scomparire con il fumo, dissolvendosi nell'aria. Credeva che cannarsi fosse l'unico modo per seppellire i demoni che lo tormentavano, ancora troppo piccolo  per comprendere che i mostri si cibano delle debolezze, degli eccessi e dei peccati.
Queste, sono le tipiche fragilità dei ragazzi di strada, costretti a condurre una vita impossibile da vivere, una vinta al di fuori di ogni schema, una vita che fa paura a coloro che l'osservano dall'esterno.
Così, Mario pensó 'Vi serve gente come noi, cattivi esempi a cui puntare gli indici'.

Troppo immerso nel suo mondo, il ragazzo non si rese conto di trovarsi già al numero 7 di Piazza Insubri, casa popolare nell'inospitale quartiere di Calvairate.
Spinse la chiave nella serratura difettosa e prima di entrare, combattè qualche secondo con gli ingranaggi arrugginiti.
La borsa della palestra gli pesava sulle spalle e aveva sempre i postumi della faticaccia durata a lavoro la sera prima. Nonostante ciò, si era comunque allenato nella piccola palestra di pugilato che frequentava dal suo arrivo a Milano.
Tik tik
Questo era il rumore dei suoi passi sulle scale, bagnate a causa della perdita di acqua al quinto piano.
Già nell'androne del condominio sentiva un'aria diversa da quella respirata in Lombardia, un misto di salsedine e pesce fresco. Come se un pezzo di Genova l'avesse raggiunto nell'interland.
Trovó la porta di casa socchiusa e ciò lo fece andare su tutte le furie: in quei quartieri non potevi permetterti di esporti, nemmeno minimamente.
"Cosa fai, frè? Viviamo a Gotham, senza Batman però?" Urló Mario, varcando la soglia dell'umile appartamento comunale.
Mentre posó la felpa sull'attaccapanni fu assalito da una strana sensazione, come se tutti i ricordi passati gli piombassero addosso talmente violentemente da cessare di essere ricordi, diventando nuovamente parte del presente.
"Caro Tedua, hai visite dalla tua giungla."




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