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Black Mamba vs Calvairate

"Coglione" Commentó Stefano, mentre serviva le trofie al pesto nel piatto di Mario. "Questo è l'unico termine per definirti" Il ragazzo riccio si tolse la maglietta e la lanció sul pavimento; faceva sempre troppo caldo perfino per indossare dei vestiti. La notte era scesa su Calvairate, inonando con le tenebre un quartiere già abbastanza buio di giorno. Da quelle parti, il sole non brillavano mai.
"Sono stato sincero..." Mario si gettó sulla pasta, affamatissimo dopo il live. Gli capitava spetto di mangiare dopo un'esibizione, ma quella sera era particolarmente bisognoso di cibo (a lui il nervosismo faceva aumentare l'appetito, non diminuire).
"Credi che una che si è fatta ore di treno solo per vederti si faccia abbindolare dalle solite stronzate da minchione?!" Lo rimproveró l'amico.
"No, però ci ho provato."
"Non fare lo stronzetto con me, so che stai di merda. Ma è normale che tu stia così, perché hai appena allontanato una persona che ami. E per cosa poi, per paura di ferirla con la tua vita sregolata" Stefano pronunció l'ultima frase come se fosse l'autore di un film e l'accompagnó con una mimica teatrale e palesemente volta a schernire Mario. Quest'ultimo, si limitó a mandar giù un altro boccone di trofie.
"La conosco, so che lei è perfettamente consapevole di quello che fa. Tuttavia, quando ami una persona, la prima cosa a cui pensi è proteggerla. Non importa quando questa abbia gli artigli affilati..."
Il giovane rapper lanció la forchetta sul tavolo, facendo un gran baccano nel silenzio della notte. Si prese la testa tra le mani e pigió forte, come a volerla comprimere. Desiderava soltanto poter stare con lei, senza giochetti da ragazzini di strada, senza la terribile e soffocante pressione del blocco. Cosa c'era di sbagliato? Perché non era capace di allontanarsi dalla sua realtà?
Parli tanto di rivalsa, quando tu sei il primo a farti comandare dalla giungla
Pensó Mario, incapace di smettere di essere la vittima della sua stessa vita. Più cercava di tenersi le persone vicine, più le allontanava.
E ricordati che ti penso,
Che non lo sai ma ti vivo ogni giorno,
Che scrivo di te.

"Cazzo, Mario. È da mezz'ora che parlo e tu neanche ti sei reso conto che ho aperto bocca. Allontanati per una attimo dalla tua fottuta mente e cerca di ascoltarmi" Stefano lo aveva scosso per le spalle, facendolo estraniare temporaneamente dalla realtà dei suoi pensieri.
"Mi sento... Inesistente" Mormoró Mario, con le mani alzate, come se volesse assicurarsi che fosse una persona in carne ed ossa.
"È un periodo particolare, frè. Vivi lontano da Genova, quindi da tua madre, dalla tua famiglia adottiva e da tanti tuoi vecchi amici. Bisogna anche considerare che Milano non è provinciale quanto la tua città e anche questo influisce, perché ti disorienta ulteriormente. Non sei abituato a tutto questo, in un certo senso... sei stato soffocato dalla pesantezza della capitale del nord. " Il tono di Stefano erano calmo e dolce, come se dovesse spiegare ad un bambino che babbo natale non esiste. Intanto, il ragazzo riccioliuto, si sedette al tavolo, proprio davanti a Mario. Incontró così i suoi grandi ed espressivi occhi scuri, che in quel momento esprimevano soltanto tristezza.
"Poi, come un fulmine a ciel sereno, è arrivano il successo e le prime vittorie in campo musicale. Ti stai affermando sulla scena Italiana e, forse, questa cosa è più grande di te. È normale che tu abbia paura che questa cosa possa controllarti, ma non hai niente da temere: i tuoi amici di zona 4 sono pronti a prenderti a calci in culo se ti monti la testa" Scherzó Stefano, strappando un lieve sorriso al rapper.
"Così come è capibile che tu alterni momenti di gioia e di tristezza. Alla sei del pomeriggio potresti sentirti Dio, mentre alle cinque e mezza magari pensavi di valere meno dello sporco incrostato sul marciapiede. Non posso biasimaerti, l'avvento della notorietà gioca a tutti questi scheezi... L'importante è conservare la ragione, ma non sto a ripetertelo, perché tu sei più intelligente di tutti noi babbei messi insieme. " Mario ridacchió ancora, arrossendo un pochino. Si sentiva così fortunato ad avere degli amici come Stefano, loro erano gli unici a capire cosa ci fosse scritto nel suo libro.
"Frate, ti voglio bene, davvero. Tuttavia devo insegnarti a cucinare le trofie"
"Non cambiare argomento, stronzetto! Poi io sono un cuoco eccellente..." Stefano interruppe il discorso per bere un sorso d'acqua, ritornando poi all'attacco "Stavo dicendo? Umh, ecco! Allora, dopo tutta questa conversazione introduttiva, arriviamo all'occhio del ciclone, ossia Linda, la tua kriptonite e la tua anfetamina. Da quanto la conosci... Il tuo cervello si è spappolato come la carne di Bill dopo il trattamento di Black Mamba. " Mario lanció un'occhiataccia a Stefano; la cosa che aveva detto, gli aveva quasi messo i brividi.
"Scusami per il paragone inquietante, ma almeno ho centrato il punto. Comunque! Tu ami Linda, Linda ama te. Fino a qui è facile, giusto?"
"Si, ma fai schifo, sté" Commentó Mario, segretamente divertito. L'amico era davvero riuscito a tirarlo su di morale.
"Ti farò anche schifo, ma sono l'unico che ti sputa in faccia la verità" Gli fece notare il ragazzo, estraendo dalla tasca una bustina di plastica, contente il miglior fumo venduto a Calvairate. I ragazzi di z4 avevano proprio delle ottime conoscenze in quartieri...
"Quale verità?" Mario si protrasse istintivamente sul tavolo e infiló il gomito nel piatto, macchiandolo di pesto.
"Che sei così coglione che non riesci neanche a non sporcarti! Devo proprio farti da genitore, eh?" Stefano abbandonó la canna mezza rollata per pulire Mario con un tovagliolino di carta. Il giovane rapper rivolse all'amico uno sguardo riconoscente e affetuoso, come quelle occhiate che i bambini riservano a chi mostra loro dolcezza. "Potevo farlo da solo..." Mormoró l'ex pugile, la voce calda e profonda che riecheggió nella notte.
"Non abbiamo lo stesso sangue, Mariè, però noi due siamo fratelli. Non come fratelli. Proprio fratelli, nel vero senso della parola. L'ho capito quando ti sei lanciato contro quei tre figli di puttana che volevano fottermi, solo perché non avevo erba da vendergli. Però, sai quale è la cosa che mi ha colpito di più? Non il fatto che tu li abbia presi a calci nel il culo, ma che tu ti sia fatto rompere due costole solo per difendermi. Così, capii che saremmo stati lì, nella nostra realtà, che se anche faceva schifo, l’avremmo affrontata insieme." Stefano accese la canna e una nube di fumo denso invase la stanza, avvolgendola in una cappa che puzzava di Marijuana.
" Ti voglio bene, Stè" Rispose Mario commosso, cercando di non piangere per conservare un minimo della sua virilità.
"Per questo ti dico: basta. Non fare l'eroe che vuole proteggere la sua fanciulla. Tu non sei Filippo. Linda non è Aurora. Entrambi desiderate soltanto saltare insieme...e poi, siamo sinceri, hai priorio bisogno di una bella chiavata!"

                               ***
Dafne era una di quelle ragazze senza tempo, senza luogo; una di quelle che vive alla giornata, libera dai vincoli dello spazio e della vita quotidiana. Le piaceva il mare, quando si infrangeva sugli scogli, morendo in una spuma bianca.  O quando baciava la riva, ogni volta con la stessa passione, senza stancarsi. Le piaceva anche il caffè freddo e la limonata senza ghiaccio; perché lei era diversa dalle altre, il suo cervello funzionava al contrario. Le piaceva andare a correre quando il sole calava, così poteva osservare il sole morire sopra i grattacieli di Milano. Le piaceva sedersi sulla poltrona del suo ufficio, per sentire il materiale in ecopelle aderire sui suoi vestiti e per poter ammirare da dietro la scrivania il grande impero che si era costruita, a soli 26 anni. Le piaceva litigare con il padre, sentire la sua voce diventare tremolante a causa degli urli, le sue corde vocali consumate dal fumo sforzarsi per dirle 'senza di me non ce l'avresti fatta'. Adorava vedere quel viscido invidioso della sua stessa figlia, le dava una gioia immane.
A Dafne piaceva anche il profumo della torta di mele, il sapore del risotto di zucca, dei pancake e delle torte che cucinava la sua nonna. Però, la cosa che le piaceva di più, era affacciarsi alla alla grande finestra del suo appartamento in Brera, con la sigaretta alla mano e il libro sulle cosce, per osservare lui uscire dal negozio nel quale lavorava. Ogni tanto si beveva anche una bella tisana, specialmente nei mesi più freddi. Ma lui era sempre lì, estate ed inverno, entrava alla otto e usciva alle cinque; con il solito taglio di capelli e con la stessa andatura stanca ma soddisfatta. Da quando lavorava in quella pasticceria, niente era cambiato.
Purtroppo, Dafne era stata soltanto capace di osservarlo da lontano...

"Non mai messo piede in un teatro ed adesso ti ritrovi ad essere la protagonista di uno spettacolo molto, molto difficile. Incredibile!" Ridacchió Dafne, leccando scrupolosamente il corno pistacchio e amarena. Linda aveva constato che era una brava ragazza, un po' strana, ma comunqnue apposto. Forse era stata un po' avventata a raccontare la sua storia ad un sconosciuta, eppure era convinta di aver fatto la cosa giusta, quella ragazza aveva un qualcosa di... mistico.
"La cosa più assurda è questa: è tutta una bufala. Mio padre, terribile narcotrafficante, ha pagato un regista in decadenza per assecondare il piano più sciocco che potesse escogitare un'adolescente innamorata" Pure Linda rideva, anche se non era affatto divertente.
Attraversarono la strada, munite dei loro gelati, e si fermarono davanti ad una vetrina di un negozio dell'usato.
"Non è esilarante il fatto che il mio vecchio abbia paura della mia intelligenza?" Disse Dafne, tenendo lo sguardo fisso su una bambola di porcellana. Le dava i brividi, eppure non riusciva a non guardarla.
"Tu dagli motivo per continuare a temerti" Linda si avvicinó alla compagna, sentendo nell'aria qualcosa di dolce e familiare, che da qualche tempo non respirava più: amicizia. Certo, si conoscevano da due ore, eppure la complicità era evidente; come se le loro strade fossero destinate ad incontrarsi.
"Hai detto di aver avuto un ragazzo, come si chiama?" Dafne posó gli occhi ambrati su Linda, notando una strana reazione nella colombiana, sicuramente non positiva.
Intanto, sulla strada, una macchina suonó violentemente il clacson e seguì un forte rumore di metallo che sbatte su metallo. Il veicolo infatti si era schiantato su un cassonetto della spazzatura.
"Vedi, basta nominarlo per far casino..." Sospiró la pantera. "Comunque si, ho o avevo un ragazzo, non so. Stai sicura che lui è mio, se soltanto qualcuna si azzarda a..." Linda si interruppe, realizzando che stava diventando ridicola e patetica. La verità era che aveva paura; paura che la cosa migliore della sua vita le fosse scivolata via dalle dita, con la stessa facilità con cui l'acqua scorre nei fiumi, oppure della luce che si infrange sulla terra. Era così fottuta, che neanche riusciva ad immaginarsi un esistenza senza di lui.
"Puoi dirmi come si chiama? Solo se ti fa voglia, so quanto i nomi siamo potenti" Disse dolcemente Dafne, poggiando goffamente una mano sulla spalla di Linda. Non era brava a consolare le persone e solo provarci la imbarazzava, temeva di fare la figura della pivella.
"Mario" Rispose piano la colombiana, concentrandosi sulla bambola in porcellana e sui suoi inquietanti occhietti azzurri, che sembravano seguirla nei movimenti. Le labbra avevano una terrificante incurvatura che voleva rappresentare un sorriso, purtroppo però, il disegnatore era riuscito solo a renderla terrificante.
"Allora i miei sospetti sono fondati" Dafne ridacchió mentre mosse un passo indietro, allontanandosi dalla vetrina del negozio. Linda si giró per gurdarla e le rivolse uno sguardo incuriosito "Come scusa?"
"Sei tu la ragazza della foto di Tedua, quella davanti scattata davanti a dei motorini in quartiere. Avevi un volto familiare..."
"Anda ya! Sono io, ma non pensavo di poter essere riconosciuta... Tantomeno, potevo immaginarmi che tu ascoltassi la musica che fa lui"
"Le persone sono simili alle cipolle, sono fatte di tanti strati e non puoi sapere come è lo strato successivo se prima non la sbucci tutta" Osservò Dafne, camminando piano, misurando i passi sul marciapiede macchiato e umido.
"Non so fatta per 'sta vita, Dà" Linda scosse la testa e diede un calcio ad una lattina, la quale atterró violentemente sulla strada. Tutto era silenzioso quando il rumore di metallo che si abatteva sull' asfalto, squarció la tranquillità della grigia via milanese.
"Umh... Allora perché reciti in un musical?" Dafne era astuta e discretamente brava ad ottenere la risposta che cercava. Quest'arte l'aveva ereditata dalla madre, nota attrice greca di teatro, la quale decise di affibbiarle un nome molto difficile da portare e altrettanto pericoloso. Dafne, infatti, in greco significa "alloro"; nella mitologia greca era una ninfa amata da Apollo e che, per sottrarglisi, ottenne dagli dei di essere mutata in alloro. Così, colei che viene chiamata Dafne, dovrebbe diventare una donna che ama farsi ammirare, inseguire, desiderare. Maliziosa, seducente, vivace, esuberante, tenera, alla quale si perdona ogni infedeltà, ogni capriccio, ogni indicisione e ogni tranello...
"Poco tempo fa ho compreso che l'attore crea con la sua carne e il suo sangue tutte quelle cose che le altre arti, in qualche modo, tentano di descrivere. Recitare va oltre, rompe ogni schema, trapassato qualsiasi barriera. Perché l'attore è se stesso solo quando non è se stesso... " La colombiana ripensò a quando aveva fatto per la prima volta l'amore con il suo fidanzato, fu proprio quello il momento in cui riuscì a leggere il quadro della propria vita. Tutte quelle emozioni le avevano fatto capire che lei non voleva soltanto fare musica, ma che aveva bisogno di molto di più; di qualcosa che le permettesse di conoscere il vero senso dell'esistenza.
"Che bell’idea fare l’attrice, ti prendi la storia che vuoi, i personaggi che vuoi, qualche volta fai finire la tua storia come vuoi. Ti fai amare, ti puoi far baciare e lasciare, puoi nascere e morire mille volte, ridere e piangere e poi torni a casa..." Linda pensó a voce alta, lasciando che le parole uscissero da sole, senza controllo.
"Così ho deciso di unire musica e recitazione, lasciando che queste due si muovessero in concomitanza. Recitare, suonare non è molto diverso da una malattia mentale: un attore (o un musicista) non fa altro che ripartire la propria persona con altre. È una specie di schizofrenia."

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