Capitolo 59
Rikers Island era un isolotto nell'estremità settentrionale di Manhattan a cui si poteva accedere attraversando un ponte stradale o via mare. Era un pezzo di terra in mezzo al mare, quasi artificiale, che poteva ospitare una piccola città. Da lì, potevi avere una visuale frontale e in controluce di Manhattan.
Scesi dall'auto e chiusi la portiera, il vento mi scompigliava i capelli, coprendomi appena lo sguardo mentre l'odore pungente di salsedine mi avvolgeva. Nonostante i capelli, che limitavano la mia visibile, quel posto non riusciva ad apparire diversamente da ciò che era: grigio, vecchio e arrugginito.
Quando entrai, fui percorsa da un brivido che si propagò verso la schiena mentre un'attagliante sensazione mi investì. Alzai il capo su quei alti soffitti e rabbrividì pensando che fossero, per gran parte del tempo, l'unico 'cielo' che avresti mai visto. Si sentivano cigoli e mormori che si perdevano in quello spazio profondo. Il fiato mi si forzò quando percepì le porte chiudersi dietro le spalle. Un suono basso ma udibile che ti dava la nausea e una forte sensazione di soffocamento nell'immaginare che per te quelle porte non si sarebbero più aperte. Era un posto così angusto e spento, così incolore da sembrare un relitto. Una gabbia dove quasi non esisteva più la distinzione tra uomini e animali. Dove diventavi solo un numero. Il crimine più grande, però, era quando ti portavano via tutto ciò che rimaneva di te, la tua stessa identità, e a stento ti riconoscevi in quello stampo vuoto che aveva solo il tuo volto ma niente più di te. Niente di te più ti apparteneva e ogni traccia sembrava essersi dissolta, lasciando spazio a un intruso, un figlio della società deviata. Più avanzavo e più mi sentivo in suggestione, ogni sguardo ti era incollato addosso. Disprezzo e rancore impregnava l'aria, così densa da appesantire le spalle. Io, Ian e Nolan superammo ben presto il corridoio, preceduti da una guardia ed entrammo nell'aria visite. Il luogo, forse, più accogliente e colorato di tutta la prigione, nonostante i colori opachi come il marrone, il beige ed giallo flaccido.
"Nolan"Nicole si avvicinò, non appena ci vide. L'urgenza dei suoi passi riusciva a trasudare tutto il suo turbamento e la preoccupazione mi assalì, densa e feroce "Silvia, sta parlando con Lucas in questo momento, Ryan è andato a chiedere spiegazioni ma ancora non si hanno notizie. Abbiamo già compilato i moduli per le visite, può entrare una persona per volta, fino alle 6, poi non fanno più entrare"il suo sguardo nocciola era addolorato come quello di tutti "io non sono entrata e c'è tempo solo per un'altra visita"mancava mezz'ora alle sei, un tempo così ridotto per poter parlare con lui. Percepivo la gola così secca, al punto che le parole divennero aride e infeconde. Un bisogno impellente mi urlava di andare, perché non sarei riuscita a resistere una sola notte, sapendo che lui era lì tra quelle sbarre, ingiustamente e io ero dall'altra parte della città, desiderosa di sentire il suo calore. Quella situazione era così assurda, così surreale da essere snervante. Impellente era il desiderio di farlo uscire ma soprattutto di allontanarlo da tutta questa situazione. Farlo camminare a testa alta, far capire a tutti che fosse innocente. Volevo essere davanti a lui, per poter prendere il suo dolore, cancellare qualsiasi pensiero estraneo a noi, e trasportarlo in quell'infinito dove soltanto noi eravamo i padroni. Noi due, l'uno accanto all'altro, lontano da tutto, senza regole, nessuna costrizione. Avrei provveduto a raccogliere tutti i pezzi della sua sofferenza, con la dolcezza dei miei baci, cancellare la tristezza dal suo volto, con la profondità del mio sguardo, e stringerlo come se fosse l'unico fiore, in un letto piene di spine.
"Se per voi va bene, vorrei poter parlare con lui"il mio sguardo rimase fisso su quella porta, anche quando parlai, non riuscivo a distogliere l'attenzione. Non sapevo se fosse la speranza di vedere uscire mia nonna oppure la paura che potesse scomparire.
"penso che nessuno ha da ridere su questo"vari cenni del capo si susseguirono mentre con ansia aspettavo. Un'attesa lunga meno di qualche instante ma riuscì a percepire lo stesso, ogni più impercettibile spostamento, ogni nanosecondo passato.
La porta improvvisamente si aprì e si scorse il profilo di una guardia in divisa, blu notte, che lasciava passare i visitatori. Dal piccolo fiume di persone, individuai la figura di mia nonna, la postura era dritta ma le spalle erano tremanti e gli accenni delle lacrime erano ancora presenti sul suo viso. Si avvicinò, l'apprensione e lo sconforto erano inciso sul suo viso e il suo sguardo non mi era mai apparso così trasparente. Il dolore era così leggibile, così profondo e così vasto.
"Stai bene, per fortuna, è per il momento in una stanza singola, nessun l'ha importunato"perfino la voce era ancora un po' incrinata ma più di convincere noi sembrava volersi convincere lei "Ryan vi ha fatto sapere qualcosa?"Nolan e Ian scossero la testa. Il suo sguardo si posò su di me e accennò a un flebile sorriso, sul suo volto un po' pallido "ha chiesto di te, vuole vederti"mi afferrò il viso con le mani e mi poggiai alla morbidezza dei suoi palmi "non so per quanto tempo si prolungherà questa situazione ma non dimenticate mai chi siete l'uno per l'altra, è solo questo ciò che conta"annuì e mi diressi verso la porta.
La stanza aveva perso tutto i colori e la vivacità della prima, solo dalla finestra, il tramonto rifletteva dei colori accesi. Una fila di tavoli percorreva tutta la lunghezza, divisi a metà da un vetro che separava il lato dove c'erano i detenuti da quello dei visitatori. La mia attenzione si focalizzò su di lui, prima che potesse anche solo alzare il viso. I capelli erano spettinati, disordinati, un folto groviglio dorato come il miele mentre l'abito d'ufficio con cui era uscito stamattina, era stato sostituito da una orribile tuta arancione, con sopra, al lato destro, dei numeri. L'uniforme era identica a tutte le altre, l'unica cosa che cambiavano, erano i numeri, e in quello stato, sembrava essere un detenuto come tutti gli altri. Un detenuto condannato ingiustamente per un crimine che non aveva commesso. Ero sicura della sua innocenza, avrei potuto metterci la mano sul fuoco, Lucas non avrebbe mai potuto far questo. Amava quell'azienda e tutte le persone lì dentro, come un pezzo di sé. Era stata la prima cosa che era riuscito a costruire da solo, con le proprie mani. Un po' come un padre e il proprio figlio, l'aveva visto crescere, l'aveva aiutato a crescere e mai avrebbe voluto vedere il suo dolore. Mi avvicinai al bancone, tirai indietro la sedia e lui alzò il capo. L'intensità del suo sguardo mi bruciò le vene, le iridi percorsero il mio corpo, fugacemente ma soffermandosi su ogni centimetro. Il miele del suo sguardo brillava di una dolcezza infinita, quasi reverenziale che mi tolse il fiato. L'aria sembrò prosciugarsi intorno a noi, scivolando sulla mia pelle, in una sinfonia di respiri ansanti e battiti soffusi. Mi sedetti e lui prese la cornetta del telefono, sistemato di lato, la nostra l'unica fonte di comunicazione e feci lo stesso.
"Mi dispiace"un lento sospiro fuoriuscì dalle sue labbra, quanto avrei voluto far mio il suo respiro. Ispirare tutto il peso che si portava addosso, spazzarlo con via con un piccolo soffio, proprio come quando si esprimeva un desiderio "non volevo che tu lo scoprissi così e non volevo neanche tenertelo nascosto"la cornetta non riusciva a far trasparire tutta la profondità della sua voce "ma ti posso garantire che non c'entro niente con questa storia, cercano di incastrarmi" la sincerità plasmò il suo volto
"lo so, Lucas, come lo sanno tutti, crediamo nella tua innocenza ma voglio sentire tutta la storia dall'inizio alla fine da te e non notizie sparse per la televisione o da altri"non poteva toccarmi ma percepivo ogni suo piccolo movimento sulla mia pelle, come se l'aria trasportasse il calore dei suoi gesti
"io e Nick abbiamo scoperto che i libri contabili inerenti agli ultimi 4 mesi, sono stati alterati ma l'abbiamo saputo troppo tardi, i dati sono stati modificati da far credere di aver speso poco o niente per materiali non certificati e omologati, poi ci siamo trovati con ingenti somme che dai nostri conti sono passate a quelli di una società fittizia. A causa dello scandalo di compravendite illegali attorno alle Indianapolis, l'FBI ha tenuto sotto controllo tutte le società coinvolte e ha finito per trovare noi"spiegò, la rabbia gli fece contrasse la mascella che si indurì mentre un lampo di furia passò nei suoi occhi "Nick sta cercando i colpevoli, non può essere il lavoro di un'unica persona"i mormori, i pianti, le parole sussurrate sembravano così distanti, da dove eravamo, due cuori che battevano all'unisono, uno di fronte all'altro, ritmi uniti mentre cadevano a pezzi
"come stai?"era una situazione spinosa che non avrebbe trovato soluzione presto, n'ero cosciente e anche se si fosse risolta, sicuramente le conseguenze sarebbero state terribili
"bene, fisicamente, il posto non è dei miglior e devo ancora abituarmi a tutte queste regole ma per ora va tutto bene, anche se la parte più difficile è quella di immaginarmi lontano da te, soprattutto mentre affronterai tutte quelle cazzate che pioveranno su di te e sugli altri. Marianne, non so quanto potrò uscire ma tornerò da te, te lo prometto"da lontano si sentì la voce tuonante dalle guardie che avvisava che le visite sarebbero finite tra 5 minuti. Avevamo avuto così poco tempo e avrei voluto ancorarmi a quella sedia. Lucas distolse lo sguardo da me, verso la guardia che stava invitando i parenti ad uscire, per poi indirizzarlo di nuovo su di me. Appoggiò la mano sul vetro, guardandomi fisso negli occhi, avvicinai il mio palmo alla fredda superficie di vetro, proprio sulla sua. Fui percorsa da una brivido mentre le nostre dita si intrecciavano anche se non direttamente "ti amo, Marianne"fu un una carezza di sguardi, un tocco sottile, che partiva dalle dite, diffondendosi in tutto il corpo e giungendo al cuore. Ero piena di lui fino al midollo, come se avessimo fatto l'amore, solo con la mente e i nostri respiri.
Nick Pov
L'aria era densa di nervosismo, la tensione era palpabile e la paura tagliente. Si poteva soffocare là dentro e neanche tutte le finestre aperte, avrebbero potuto aspirare tutto quel clima scomodo. Il lavoro era un po' come il gioco d'azzardo, prima familiarizzavi con le carte e l'ambiente, scambiavi qualche battuta spiritosa con gli altri, ti mostravi sicuro. Quando però, arrivava il momento cruciale, l'atmosfera diventava pesante, i visi, più pallidi e veri mentre i sensi erano sempre all'erta ma dovevi continuare a tener duro. Proprio come ora. Tutti si guardano intorno, erano stato diretto e conciso, niente sotterfugi, avevo semplicemente affermato che i registi erano stati alterati. La prima preoccupazione era stata lo scandalo che si sarebbe abbattuto e provai ad ignorare lo schiamazzo della folla di giornalisti già presenti all'uscita. La seconda preoccupazione era stata cercare una soluzione e tutti si erano già prodigati in piani che avrebbero potuto far andare l'azienda per qualche mese, in attesa che l'acqua si fosse calmata e avessimo potuto cercare un nuovo investitore. Tuttavia, ciò non ci avrebbe salvato dagli ingenti danni causati.
Quando li avevo interrotti, dichiarando che il responsabile o i responsabili provenivano dall'interno, quindi erano uno di noi, la stanza era caduta nel silenzio. Lo stupore e l'indignazione era passata in ognuno di quei visi. Avevo passato in rassegna ognuno di quelle facce, se c'era una cosa che avevo imparato dal gioco, era a osservare. Non guardare ma fermarsi su ogni più piccolo dettaglio, il corpo riusciva a dire molto più di quanto avreste voluto.
"Verranno analizzati i vostri conti correnti, qualunque investimento, vostro o della vostra famiglia, fatto negli ultimi 6 mesi"quella affermazione indignò ancora di più Bob Clark, una specie di veterano della agenzia. Socio di questa azienda prima della sua acquisizione da parte di Lucas, quando era in banca rotta, attuale socio. Un uomo tutto d'un pezzo, dalla tempra ferrea e con un grandissimo senso del lavoro, accoglieva le innovazioni ma era legato ancora alle tradizioni. Aveva appena passato la sessantina e portava tutta la sua età con orgoglio, dalle rughe sul viso, ai capelli bianchi. Lucas e io ci erano sempre fidati di lui ed era impossibile pensare che fosse coinvolto. Medesimo discorso valeva per gli altri ma purtroppo non potevo tralasciare nessuno. Una cosa potevo affermare con sicurezza, il colpevole non sarebbe stato impunito, a costo di agire da solo, l'avrei trovato e fatto piangere il momento in cui aveva pensato di farla franca. Quell'azienda era stata retta con il sudore mio e di Lucas ma sopratutto con quello di tutte le centinaia di persone che lavoravano, non potevo vederla cadere a pezzi così. "La riunione è finita, potete andare"Bob, Allan e gli altri si alzarono, uscendo. Non appena, la porta si chiuse, mi lasciai andare a un sospiro affranto, non avevo toccato cibo da questa mattina, non avevo sfiorato il cellulare, già intasato da scomode chiamate. Ciò di cui mi importava di più, non era il mio stomaco vuoto ma in che stato era Lucas. I notiziari non facevano altro che parlare del suo arresto e del suo arrivo a Rikers Island. Accusato e infangato per un crimine che non aveva commesso, di nuovo. C'erano poche persone che non meritavano un giro in galera, per qualsiasi loro sbaglio e uno di quelle era Lucas.
Mi sedetti sul divano, stringendo i pugni, sebbene avessi assunto temporaneamente il controllo della società, fin quando questa situazione non si fosse risolta, ancora non riuscivo a sedermi su quella sedia. Quell'azienda era di Lucas, in ogni luogo era impresso il suo nome e anche se sapevo che mi meritavo questo e altro, mi sentivo un traditore. Avevo gettato sangue e ogni mia briciola di energia per far decollare quel nome ma ancora oggi non percepivo mio quel posto. Mai però avrei lasciato che crollasse sotto il mio sguardo, glielo dovevo.
Lucas e io ci eravamo incontrati per la prima volta in prigione. Un luogo piuttosto insolito per fare conoscenze ma forse era proprio questo che ci aveva legati, due esperienze simili con una sola differenza, lui era lì per un crimine che non aveva commesso. Era solo un ragazzino di 17 anni, incastrato in una corsa clandestina che si incolpava per la morta di un uomo. Un peso troppo grande per qualcuno della sua età ma non per me. Un uomo sbattuto in galera per gare d'azzardo clandestine, rissa e traffico illegale di denaro, che aveva già famigliarità con una cella e che si era trovato ad essere l'unica cosa che potesse aiutare quel ragazzo a non disperarsi. Poi quel ragazzo era stato liberato mentre io avevo avevo dovuto scontare quasi un anno, uscendo per buona condotta. A quanto pare, la polizia di New York aveva le celle piene e per far spazio, rigettava le feci nella società. Una fece di cui tutti si erano dimenticati, tranne lui.
Digrignai i denti, chiunque fosse stato avrebbe pagato molto, molto il caro il prezzo.
La luce del telefono d'ufficio lampeggiò, mi alzai e accolsi la chiamata "signor Harvey, la NBC ha chiesto un appuntamento per un servizio, lei è d'accordo?"la voce di Maddie era ferma e assolutamente professionale, ciò di cui avevamo bisogno. Non potevamo avere una segretaria che provasse compassione per la situazione e non avesse il pugno di ferro.
"no, Maddie, rifiuta qualsiasi tipo di intervista"avevamo già rilasciato una dichiarazione ufficiale, in cui spiegavo che non eravamo disposti a rilasciare per il momento interviste. Alcuni giornalisti dopo un po' erano andati via ma altri erano rimasti qui fuori, in attesa di qualche succoso sviluppo. Il telefono era stato tartassato di telefonate, tutte gentilmente reclinate. La parte più difficile era essere diplomatico, anche quando ricevevi interviste ogni secondo, un tono burbero, una risposta scontrosa, avrebbe potuto ritorcersi contro. Su questo Lucas non era mai stato molto bravo, la sua impulsività a volte giocava brutti scherzi ed era la ragione per cui mi occupavo io di queste faccende.
"va bene"la chiamata finì proprio quando Darek Santiago, il nostro addetto alla sicurezza che avevo incaricato personalmente per occuparsi dell'indagine intern, entrò. Un metro e novanta per un ammasso di muscoli, un bestione da mettere paura a chiunque. Il naso rotto e la cicatrice sul labbro inferiore erano i segni lasciati dal suo passato di pugile da ragazzo. Si avvicinò, il pizzetto castano come i suoi occhi, in bella vista, il capo rasato e il computer in mano
"devi vedere una cosa"posò il pc sulla scrivania, sollevò lo schermo e sbloccò il display "è un video girato con le videocamere, risalente a una settimana fa"mi avvicinai mentre accendeva play. Lo sfondo ritraeva il corridoio e la porta dello studio di Lucas, i colori erano molti più scuri del solito grigiastro, segno che era sera. L'ombra oscura come un'opale assorbiva il pavimento e la parate, rendendo la nitidezza del video molto scarsa. Per alcuni minuti tutto rimase immutabile ma successivamente, si scorse un lieve movimento, la porta dell'ufficio di Lucas si aprì ed uscì dapprima un carrello poi un uomo, l'addetto alla pulizia. Richiuse la porta e Darek fece zoom sul suo volto, riconobbi il viso e potevo dire con certezza che non era un addetto.
Scusate gli errori ma per pubblicare prima, sto facendo i salti mortali, è un periodo molto frenetico, tra scuola e scuola guida, esatto la vostra Astrad sta imparando a guidare. Spero però potrete sempre seguirmi con entusiasmo in attesa di mie notizie. Il prossimo capitolo verrà pubblicato presto, nel frattempo andate a leggere anche l'altra mia storia, Amore in Affitto che trovate sul mio profilo, oppure visitate le mie pagine: "Le storie di Astrad"-fb- "le_storie_di__astrad"-instagram- "Astrad98-J.L.Hell"- twitter. Baci
-Astrad
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