Capitolo VI
Ognuno può padroneggiare un dolore, tranne chi ce l'ha.
-William Shakespeare
Sul mio viso nacque un'espressione inconsueta.
Odiavo essere tenuta sulle spine.
Ero una persona abbastanza ansiosa, non mi piaceva rimanere scossa o sorpresa, sia negativamente che positivamente.
Il tempo si fermò.
Lei era immobile dinnanzi a me mentre io continuavo a muovermi irrequieta. Mi ostinavo a mordicchiare le unghie o guardandomi intorno, nonostante conoscessi a memoria la casa.
Parla, accidenti!
Volevo urlare, ma avrei peggiorato il suo umore notevolmente già devastato.
Si voltò verso di me.
I suoi occhi brillavano.
Le sue mani tremavano,
le labbra pure.
« Megan... »
Espirai a lungo fingendo di sorridere.
« Cosa c'è mamma? »
Dissi con tono sgarbato.
« Io mi sono licenziata »
Disse balbettando.
Non era così che si faceva.
Il dolore non andava curato con altro dolore.
Perché avrebbe dovuto licenziarsi? I soldi ci mancavano, e come se non bastasse io ne avevo bisogno per i miei studi, il mio futuro.
Aveva distrutto tutto.
Tutto il mio mondo, i miei progetti.
Forse potrei sembrare egoista, ma era l'unica persona sulla quale potevo contare.
Perché accompagnarmi all'Università? Perché farmi illudere?
« Scherzi vero? »
Scosse la testa mentre con la mano sinistra asciugava le lacrime sul suo volto.
Ero devastata.
Un grosso vortice di dolore mi stava trascinando dentro sé, ed io non sapevo come uscirne.
Agitai la testa a mia volta.
Gli occhi mi bruciavano, sapevo che di lì a poco avrei pianto.
Solitamente non mostravo le mie emozioni in queste situazioni, così con passo veloce salii le scale per poi gettarmi sul letto.
Difatti, qualche secondo dopo, il cuscino iniziò a bagnarsi e a sporcarsi di mascara.
Era tutto buio, e tra il mal di testa e la confusione, mi addormentai piangendo, senza nemmeno mettere il pigiama.
Al mio risveglio le cose erano uguali alla sera prima.
Dalla finestra non entrava un filo di luce, siccome le tapparelle erano abbassate.
Mi alzai dal letto e tolsi le scarpe rimanendo scalza, mi diressi verso lo specchio e mi guardai:
Occhi rossi,
capelli in disordine,
trucco colato,
viso arrossato e stanco.
Avevo bisogno di una ripulita, ma soprattutto avevo bisogno di trovare un nuovo lavoro.
I soldi che guadagnavo erano troppo pochi per ciò che avevo da sostenere adesso.
E avrei dovuto dimenticare anche il viaggio.
Andai in bagno e feci una doccia, utilizzando i miei classici profumi.
Il mio viso migliorò all'instante.
Ero felice di ciò, tuttavia non riuscivo a ridere.
Mentre scendevo le scale intradevo già mia madre intenta a preparare la colazione.
« Buongiorno piccola! » Disse con entusiasmo.
Cosa c'era da sorridere? Proprio non la capisco negli ultimi giorni!
« Giorno » Risposi seccata mentre sbadigliavo.
Si volse a me appoggiando sul tavolo una tazza di cappuccino e dei biscotti al cioccolato.
Mentre versava quello che era rimasto nel suo bicchiere riprese a sorridere.
« Megan, ho trovato un nuovo lavoro. Non preoccuparti, vedrai che andrà tutto bene! Avevo pensato di vendere la casa, ma so quanto ci tieni a stare qui. Assisteró un'anziana signora, è abbastanza benestante e il guadagno ci basterà, te lo assicuro! »
« Mamma come pensi di farcela? Non sei più così giovane! Ti lamenti sempre dei dolori al collo o addirittura alla schiena! »
« Dovrò pur fare qualcosa! Sono stata una codarda, ti ho spezzato il cuore. Pensavo di aver fatto una cosa buona,
pensavo che saresti stata felice di passare più tempo con me, ma evidentemente ho combinato un casino »
Mi sentivo in colpa, non avrei mai immaginato che avesse fatto tutto questo solo per passare del tempo con me.
« Mamma, lavorerò io al posto tuo! Tu fai quello che avresti dovuto fare se ci fosse stato papà, cucina, bada alla casa e stai tranquilla. Ti darò una mano, o almeno ci proverò. »
Sul suo viso nacque un sorriso, il più grosso che avessi mai visto.
Mi informai riguardo il lavoro.
La vecchietta era abbastanza antipatica e anche un po' sorda.
La sua abitazione era poco distante da casa nostra, cosa che mi permetteva di fare due passi a piedi.
Ero felice, ma mancava ancora qualcosa.
E quel qualcosa sembrava impossibile da riempire.
La casa pareva più piccola da quando mia madre era sempre presente, il ché non mi creava dispiacere. Quell'abitazione sembrava troppo spaziosa per una persona sola.
Decisi di godermi i lati positivi di quella situazione: finalmente potevo licenziarmi da quell'odioso lavoro!
Mi sentivo un pesce fuor d'acqua quando gli occhi di quell'orrendo panettiere erano puntati su di me.
Cambiai i miei abiti e sistemai i capelli, infine indossai la mia borsa preferita e uscii di casa.
Mia madre non aprii bocca, probabilmente immaginava dove io stessi andando.
Mentre mi dirigevo nella grotta dell'orco rimasi ad osservare la casa del mio prossimo capo.
Le pareti erano bianche, ma il giardino che contornava la villa la faceva sembrare tutt'altro che spoglia.
Era immenso, vivace e ordinato.
Mi ricordava quello visto nell'Università giurisprudenziale.
Dopo qualche minuto ripresi a camminare.
Finalmente ero fuori la panetteria, e ci rimasi per ben due minuti.
Pensai intensamente alle parole che avrei dovuto usare.
Entrai e lui, immediatamente, iniziò a borbottare qualcosa.
« Ma certo! Quando è il tuo turno sei in ritardo e quando non lo è ti presenti qui! » Disse mentre ordinava le pagnotte di pane.
« Non sono qui per lavorare! » Dissi con tono deciso e rabbioso.
« Beh, d'altronde non l'hai mai fatto nel modo giusto. Sai in città si parla di tua madre, vuoi fare la sua stessa fine? »
Sul suo viso nacque un sorriso provocatorio.
« Certo che voglio! Mia madre è una gran donna a differenza di un panettiere senza cuore! Mi licenzio, non mi vedrai mai più, stanne certo! »
Prese un'espressione meravigliata ed io mi compiacqui voltandomi verso l'uscita. Ma ancora una volta mi rivolsi a lui.
« Ah e...Quel pane fa schifo! »
Ormai era ora di andare, avevo realizzato ciò che avevo in mente.
Fiduciosa del lavoro che mi avrebbe aspettato il giorno dopo decisi di fermarmi al bar e bere una birra.
Per mia fortuna il barman dell'altra volta non era presente, anche se dubitavo si ricordasse di me.
Il locale produceva birra artigianale a basso costo e decisi di approffitarne.
Quella bevanda era davvero ottima. Non riuscivo a smettere di bere. Un bicchiere tirava l'altro, ed io faticavo a non barcollare.
Quel giorno in sala non sembrava esserci nessuno, se non qualche ragazzo ed alcune madri che accontentavano i capricci dei figli comprando bibite gasate o gelati.
Dopo circa dieci minuti un ragazzo alto e biondo si avvicinò al balcone chiedendo anch'esso un bicchiere di quella gustosa birra.
Aveva un accento strano, mai sentito.
Con molta probabilità era estero.
« Che fai stasera bella? »
Neanche due bicchieri di birra e già sembra morire. Ma cosa cazzo te ne frega di ciò che faccio?
« Esco col mio ragazzo, tu? »
Dissi ridacchiando scorbuticamente
« Pensavo volessi passare del tempo con me! »
Disse mentre guardava insistentemente le mie gambe.
Si alzò e cominciò ad avvicinarsi, molto velocemente...
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