2. 00:05
"Arriverà un momento in cui crederai che tutto sia finito. Questo sarà l'inizio." - Epicuro.
«Sicura che non vuoi restare?» Mia zia Bernice mi abbraccia e iniziando a lasciarmi i capelli mi culla proprio come faceva quando ero solo una bambina.
«Sì, ho bisogno delle mie cose e di casa mia.» Rispondo cercando di non crollare proprio adesso. «Ti prenderai cura di lei?» Le domando riferendomi a mia madre. Le lancio uno sguardo e la osservo mentre, distesa sul divano, osserva l'orologio di mio padre.
«Io mi prenderò sempre cura della mia sorellina.» Dice con le lacrime agli occhi. «Taylor non si meritava così tanto dolore. Non lo meritava proprio...» Mia zia solleva una mano e accarezzandomi il viso aggiunge: «E tu? Tu ce la farai?»
Se ce la farò? Non lo so, ma ci proverò.
«Devo andare o rischio di arrivare col buio.» Evito di rispondere alla sua domanda perché non voglio farmi vedere debole. Non dopo essere riuscita a trattenere le lacrime per quasi una settimana. Il funerale di mio padre è stato devastante ma anche vedere mia madre non mangiare e no riuscire ad alzarsi dal letto lo è stato.
So che mia zia Bernice riuscirà a farla stare meglio. Stare con i suoi nipoti e giocare con loro le renderà questo periodo un po' più leggero.
«Mamma allora io vado, ci sentiamo appena arrivo.» Le dico andandole incontro. Mi chino e le lascio un bacio sulla fronte. «Ti voglio bene.» Le dico piano. «Tanto.»
«Te ne voglio anche io.» Risponde per poi prendermi entrambe le mani. «Voglio che questo lo tenga tu.»
«No... io non....»
«Tuo padre avrebbe voluto così.» Insiste. I suoi occhi azzurri sono fissi sui miei. «Io non ho bisogno di questo per sentirlo vicino. Ma tu si, in questo momento più di chiunque altro hai bisogno di sentire che lui ci sarà sempre per te.»
«Ne sei sicura?» Le chiedo sentendomi sopraffatta dal momento. Osservo lei, poi l'orologio di papà e dopo ancora una volta lei.
«Sì.» Risponde e sollevandosi dal divano mi abbraccia. «Perdonami se non torno a casa con te ma quella casa... sai, io ho troppi ricordi e al momento non me la sento.»
Scuoto la testa. Le accarezzo la schiena. «Va tutto bene mamma. Qui con la zia starai meglio e poi, quando sarai pronta, verrò a prenderti, okay?»
«D'accordo.» Sussurra. E nello stesso momento in cui io mi allontano da lei, mia zia le va vicino. L'abbraccia e facendola sedere nuovamente sul divano, prende posto al suo fianco.
Mi prendo un attimo di tempo e le osservo. Due donne dagli occhi color cielo e capelli castani. Entrambe bellissime. Entrambe con la stessa crepa sul cuore.
Mia zia Bernice ha perso suo marito, lo zio Jack solo cinque anni fa, proprio un mese dopo aver dato alla luce il mio secondo cuginetto, Michael. Lei è una donna meravigliosa, la sorella maggiore che anche io avrei voluto.
Le osservo e mi rendo conto che lasciarla qui è la scelta giusta.
«Chiamaci appena arrivi a Kenmare, va bene?» Domanda mia madre attirando la mia attenzione con la sua voce rotta dal pianto.
«E vai piano, per favore. Piano.» Si aggiunge mia zia.
«Vi voglio bene.» Rispondo e un attimo prima di afferrare da terra la borsa con le mie cose, sento correre qualcuno in salotto.
«Te ne vai senza salutarci?» A parlare è mia cugina Marie, sedici anni. Bella come il sole. Alcuni dicono che ci assomigliamo tantissimo ma lei per me è davvero stupenda e assomiglia tantissimo a mia madre e alla sua. Lunghi capelli castani e occhi azzurri. Mentre io di loro ho preso solo gli occhi chiari, il colore dei capelli è uguale a quello di mio padre, biondi e sottili.
«Pensavo foste a scuola.» Dico sinceramente osservando anche il piccolo della casa. Michael che ha le mani dipinte di blu.
«Questo è per te,» mi porge un disegno, «ci siamo io, te e Marie che corriamo sul prato e poi... poi lì dove ci sono le nuvole, ci sono i nostri papà che ci salutano. Ti piace?»
Non so cosa dire. Le gambe iniziano a tremare e ringrazio Marie che con uno slancio mi stringe forte in un abbraccio. «Fa male,» dice piano affinché solo io possa sentirla, «ma non sei da sola.»
Il piccolo Michael si unisce a noi e io gli scompiglio i capelli dello stesso colore della sorella.
Sono due angeli custodi, i miei.
-
Kenmare dista un'ora di strada da Milltown, città d'origine di mia madre. Zia Bernice è rimasta nella vecchia casa dei miei nonni dopo il matrimonio, mentre i miei genitori si sono conosciuti a Kenmare. Entrambe piccole cittadine nella contea di Kerry, in Irlanda.
Kenmare non la conosce quasi nessuno, conta all'incirca tremila abitanti ma è un posto meraviglioso e apparentemente tranquillo. O almeno questo è quello che pensa chi non è del posto. Un luogo famoso per l'ottimo cibo gourmet e i scenari naturali da mozzare il fiato.
Mia madre aveva ventitré anni quando i suoi genitori decisero di portala in vacanza a Kenmare ed è stato in quel momento che mio padre la vide. Per loro fu un amore a prima vista. E così, dopo il fidanzamento, Taylor comunicò alla sua famiglia che sarebbe rimasta nella città del suo amore e insieme avrebbero costruito il loro posto sicuro. Ed effettivamente mio padre cercò in tutti i modi di accontentarla. Insieme trovarono casa, proprio come la volevano loro, solo alcuni mesi prima del matrimonio. Una villetta celeste e dagli infissi bianchi a due piani, attorniata da un bellissimo giardino pieno di fiori.
Per mia madre Taylor e mio padre Harold non è stato semplicissimo ma insieme sono sempre riusciti ad affrontare tutto. Ed è adesso che papà non è più con noi che io non so come farà mia madre. Se io sarò in grado di sostenerla. Non lo so.
Kenmare è un bel posto, sì, ma la verità è che questo luogo nasconde tanti segreti. Non è soltanto la città d'origine di mio padre ma anche il luogo in cui vivono i Luce e i Buio. Le due famiglie di angeli più potenti al mondo.
I Luce sono gli angeli bianchi, della vita, la parte che rappresenta i buoni, che puoi tranquillamente incontrare in giro per la città mentre fai shopping o passeggi al parco. I Buio, invece, sono gli angeli neri, della morte. Tutto quello che gli riesce meglio è creare panico e distruzione. I cattivi.
Se prima di questo pensavate che gli angeli potessero essere tutti buoni, be' mi dispiace tanto dovervi dire che non è così. In ogni cosa c'è il bene e il male. L'uno non può esistere senza l'altro. Proprio come gli angeli della vita non possono esistere senza quelli della morte.
I Buio non sono socievoli come i Luce, gli angeli neri non li incontri facilmente in giro per Kenmare. Se ne stanno in disparte e per lo più, potresti rischiare di incontrarli durante la notte. Per questo a Kenmare c'è una sola regola da dover rispettare: coprifuoco alle ore 00:00.
Il coprifuoco vale soltanto per quelli di 'mezzo', ovvero gli umani, ma da qualche anno ormai anche i Luce hanno preso l'abitudine di vivere la città solo di giorno. Perché è meglio tenersi alla larga dall'oscurità. Il rischio di incontrare un angelo del Buio è maggiore la sera e se non vuoi avere problemi, è meglio evitare.
Già, noi abitanti di questo posto siamo come una sorta di Cenerentola sfortunata. Da noi non ci sono fatine che ci proteggono. Ma demoni travestiti da angeli che portano solo guai.
-
Quando infilo la chiave nella serratura e accendo la luce, sono ormai le dieci di sera. Invio un messaggio a mia madre per comunicarle che sono a casa e poi vado al piano di sopra a farmi una doccia.
Gli ultimi giorni sono stati devastanti per me. Mi trovavo a Belfast quando mia madre mi ha chiamata piangendo.
«Tuo... tuo padre,» la voce spezzata dal dolore, «Eden devi tornare a casa.»
All'inizio non pensavo potesse essere così grave. Pensavo avesse avuto un problema a lavoro o al massimo un incidente e che si trovava in ospedale. Mi sbagliavo. Quella sera, la sera in cui è morto, mio padre stava tornando a casa. Un guasto alla macchina in mezzo al nulla ha arrestato il suo viaggio verso casa. E il destino ha voluto, che si imbattesse nei Buio. Che uno di questi lo prendesse di mira e lo uccidesse. Così, senza alcun motivo.
Gli angeli della morte presenziano alla luce del sole solo in poche occasioni, o per assistere a un funerale o per portarsi via qualcuno.
Il giorno in cui ho seppellito mio padre, tre di loro sono venuti a godersi lo spettacolo.
Sono loro che hanno ucciso e distrutto la mia famiglia e io questo non glielo perdonerò mai.
Scendo al piano di sotto e andando in cucina mi preparo un toast al formaggio. Ne riesco a mangiare solo metà, seduta sul divano a osservare lo schermo della televisione, quando decido di perdermi nei miei pensieri. Porto il mio sguardo sul polso. L'orologio di mio padre porta ancora il suo profumo.
Accarezzo la cinghiata di cuoio marrone e un sorriso nasce sul mio volto.
Sei sempre con me, penso. Mi manchi e mi dispiace. Mi dispiace che io non ti sia stata accanto negli ultimi anni.
Un altro mio errore è stato quello di diventare amica di Raziel. Se c'è una cosa che ho capito nei miei ventuno anni, è che non c'è da fidarsi degli angeli. Luce o Buio che siano.
E Raziel è uno di loro. Lei è una Luce che però ha portato solo tanto dolore e buio nella mia vita.
Quella che una volta era la mia migliore amica è anche l'angelo dei segreti. Li custodisce. Ma non pensavo potesse averne uno con quello che allora era il mio fidanzato del liceo. Stavamo insieme da tre anni quando ho scoperto che tra di loro c'era una relazione, segreta, appunto.
Pensavo davvero che Jack potesse essere l'uomo della mia vita. Avevamo programmato tutto. Saremmo andati a vivere insieme, avremmo comprato casa e mentre lui continuava a studiare per diventare avvocato, io mi sarei dedicata alla mia più grande passione, ovvero la danza.
Ma quando i miei hanno deciso di farmi trasferire a Belfast ho appeso le scarpette al muro e sono volata dai miei cugini. Avevo bisogno di cambiare aria. Di allontanarmi dalle persone che mi avevano tradita.
Ancora una volta osservo l'orologio di papà. La batteria è scarica. Si è fermata alle ore 00:05, l'ora che è stata dichiarata essere anche quella del decesso.
Alzo lo sguardo sull'orologio appeso alla parete. È tardi. Mancano due minuti alla mezzanotte.
Sposto la coperta da sopra le mie gambe e stropicciandomi gli occhi spengo la televisione. Ho bisogno di dormire. Ho bisogno del mio letto. Il divano di mia zia era comodo ma non per più di un paio di notti.
Sto per salire il primo scalino quando un rumore proveniente dal piano di sopra attira la mia attenzione.
Arresto i miei passi. Non sono mai stata una tipa coraggiosa e l'idea che qualcuno possa essere entrato per rapinare la mia casa mi fa tremare il cuore. Tutto ciò che mi resta di mio padre è in questo posto. Non permetterò a nessuno di portarmela via.
Indietreggiando lentamente e senza fare rumore, ritorno in cucina. Afferro un coltello.
Non amo la violenza, ma non amo nemmeno la violazione di domicilio.
Passo dopo passo mi avvicino alla prima camera che mi si presenta davanti, ovvero quella dei miei genitori. Ma non c'è nessuno. Poco dopo controllo anche il bagno. La porta finestra che conduce al terrazzino è chiusa dall'interno e questo mi fa tirare un sospiro di sollievo. Ma questo dura poco, perché un altro rumore fa eco nel silenzio della notte.
La mia stanza, penso. Le gambe che mi tremano.
Osservo la mia camera da letto da lontano, la porta è socchiusa e la luce sembra spenta. Ma io l'ho sentito. Non mi sono immaginata niente e a confermarmelo è lo schianto di qualcosa che cade per terra.
Deglutisco. Improvvisamente non so più come si faccia a respirare.
Con ancora più forza impugno il manico del coltello e mi avvio verso quello che mi aspetta.
Un istante dopo, senza alcune esitazione, spalanco la porta della mia camera da letto ed è in quel momento che lo vedo. Se ne sta lì, a osservare il portagioie ormai frantumato per terra. Tanti piccoli frammenti di vetro sono sul parquet in legno scuro. Il suo corpo mi dà le spalle ed è illuminato dalla sola luce della luna che entra dalla finestra.
«Perché sei qui?» Domando piano. Riconoscendo appena la mia voce. Non riesco a credere che lui sia qui. Improvvisamente sento l'aria mancarmi e le pareti mi opprimono. «Che cosa vuoi ancora dalla mia famiglia?» Non potrei fare né un passo indietro, né uno in avanti senza crollare per terra. Sento le gambe che stanno per cedere.
Lui non risponde ma lentamente si volta rivelandomi il suo volto.
Non ho mai visto un angelo della morte da così vicino. La sua pelle è bianca, sembra quasi porcellana. Il suo corpo è atletico, scattante, sembra come se qualcuno, o meglio dio, lo avesse modellato alla perfezione. I capelli neri, più scuri del buio - qualora fosse possibile- ricadono leggermente sulla sua fronte coprendo appena due occhi color ghiaccio. Abiti rigorosamente di nero come la sua anima. Attorno al suo collo una collana con un ciondolo a forma di croce. Anelli in entrambe le mani.
Guardandolo con attenzione sembrerebbe avere poco più della mia età, ma effettivamente non so quanti anni potrebbe realmente avere.
«Forse sei qui per completare il lavoro? La tua famiglia non è soddisfatta dell'anima di mio padre? Vuole anche la mia?» Sostengo il suo sguardo. Gli mancano soltanto le ali per completare l'immagine minacciosa che proietta.
«Tu devi essere Eden.» Improvvisamente diventa tutto fin troppo reale. Il suono della sua voce rimbomba nelle mie orecchie facendomi tremare il cuore.
«Sì,» rispondo, «e io con chi ho il dispiacere di parlare?» Sono tre gli angeli della morte che negli ultimi anni rappresentano la famiglia dei Buio a Kenmare. Ma io non li ho mai visti. A quanto pare però, uno di loro oggi ha deciso di farmi visita.
«Allora è vero. Sei umana.» Pronuncia come se stesse rispondendo a sé stesso. Riprende a parlare prima che io possa controbattere. «Non credevo ai miei fratelli eppure, adesso che ti ho vista da vicino, dovrò dargli ragione.» Non capisco. Vorrei chiedergli che cosa intende ma non riesco a pronunciare nessuna parola. È come se mi fossi improvvisamente congelata sul posto. Riesco soltanto a muore gli occhi. «Un terribile spreco.» Aggiunge quasi in un sussurro.
L'angelo fa un passo verso di me. Poi un altro ancora fino a lasciare che siano solo pochi i centimetri a separare il mio volto dal suo. Un intenso odore di rose e distruzione invade i miei sensi.
Per un istante penso che non dirà più nulla e che andrà via ma così non è.
«A nome della mia famiglia, ti faccio le mie condoglianze.» Il suo respiro infrange sul mio orecchio. Ma la rabbia che scaturiscono quelle parole mi dà la forza necessaria per stringere il coltello nella mano e puntarglielo contro la gola. Lui però non ci muove di un solo millimetro. Sembra non spaventarsi di nulla. E infatti, in tutta risposta un sorrisetto compiaciuto nasce sulle sue labbra.
«Sai che quell'affare non mi ucciderà, vero?» Si sta prendendo gioco di me.
Lo so, ma non lo ricordavo fino a un attimo prima. Alcuni angeli meritano di morire ma non possono.
«Ti odio.» Dico mentre sul mio viso scendono le prime lacrime dopo giorni. «Odio te, i tuoi fratelli e tutta la tua famiglia.»
«Anche i cugini Luce?» Domanda come se quello che avessi detto fosse divertente.
«Tutti.» Ringhio. E all'improvviso non ho più paura. Lascio cadere il coltello per terra. Il rumore della lama che sbatte contro il pavimento e poi, entrambe le mie mani che afferrano il tessuto della sua maglietta. «Chi di voi è stato?» Trovo il coraggio di chiedere. «Chi di voi bastardi è stato a uccidere mio padre? Tu o uno dei tuoi fratelli?»
L'angelo dagli occhi ghiaccio non sembra sorpreso dalla mia domanda. Forse non sono il primo familiare di una sua vittima che gli pone la stessa.
«Non ti andrebbe di chiedermi qualcos'altro? Tipo quali poteri abbiamo noi angeli? Se sappiamo nascondere un coniglietto dentro a un cilindro o se riusciamo a piegare le posate con la sola forza della mente?»
Scuoto la testa. «So già abbastanza sul vostro conto.» Gli punto gli occhi contro e stringendo ancora di più la presa con il tessuto della sua maglietta provo a spingerlo via. Con tutte le mie forze. Ma non ci riesco. Perché lui non si sposta di un solo millimetro. La sua forza è disumana. Ma anche questo, come il fatto di ritrovarmi un angelo della morte in camera mia, non lo avevo previsto.
«Non sai un cazzo, angioletto.» Dice mostrandomi per la prima volta un'altra versione di sé. Adesso sembra arrabbiato. Come se lo avessi appena fatto incazzare.
Si sarà offeso? Be', che si fotta. «Non chiamarmi in quel modo,» gli punto il dito contro, «sarò della peggior specie, ma io non sono un malefico angelo della morte come te.»
Lui abbassa lo sguardo sulla sua maglietta stropicciata. Con le mani prova a stirare il tessuto. Poi, sorride. «Vai a letto angelo, e mi raccomando, non aprire agli sconosciuti.»
Non ci vedo più dalla rabbia. Mi chino per raccogliere il coltello e anche se sono consapevole che non riuscirò a ucciderlo, voglio almeno provarci. Ma quando mi fiondo verso di lui, due gigantesche ali nere che fino a un attimo prima non aveva, si dispiegano sulle sue spalle. Indietreggio spaventata e nel farlo, cado per terra.
Quando rialzo lo sguardo per osservalo, la finestra della mia camera è aperta e lui è già andato via.
Sul mio letto, una rosa rossa.
🤍🌹
Ciao lettori, anche il terzo capitolo di Agape è andato! Ma soprattutto, abbiamo appena incontrato un nuovo personaggio: occhi di ghiaccio, bello da mozzare il fiato, e ali nere. Chi sarà? Beh, lo scopriremo presto... Nel frattempo, se vi va, lasciate un commento e una stellina! Per me e per la mia storia, questi piccoli gesti sono davvero importanti. Un grazie di cuore a chi lo farà ❤️
Un abbraccio e al prossimo capitolo! ❤️
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