14.La nascita della fine
"E non c'è nulla che nasca senza morire, nulla che non debba morire per dare spazio alla vita."— Orazio, "Odi"
Mi alzo dal letto con un sospiro, eppure la pesantezza che sento nello stomaco non accenna a diminuire. È Natale, ma non riesco a sentire la gioia che dovrei. La casa è troppo silenziosa, o forse sono io a essere troppo stanca per percepire qualsiasi suono che non sia il battito del mio cuore che rimbomba nelle orecchie.
Scivolo fuori dalla coperta, la stanza è fredda, ma il rumore dei miei passi sul pavimento in legno è l'unico suono che mi accompagna. Mi guardo allo specchio, gli occhi azzurri che non riconosco più. Il primo Natale senza di lui. Senza mio padre. Le cicatrici di questa perdita sembrano crescere, eppure nessuno sembra parlarne. Né mia madre, che sembra sempre più distante, né Marie, che si fa scudo con il suo sorriso forzato. Solo Michael, con la sua innocenza, sembra essere l'unico che non ha dimenticato quanto fosse bello essere bambini, anche in mezzo al dolore.
Esco dalla stanza senza fare rumore, sperando che nessuno mi noti. Raziel è in cucina, a sorvegliare ogni movimento che facciamo, ma oggi non ho voglia di parlare con lei. Non che sia mai stata una conversazione facile, ma oggi è diverso. Mi sembra di sentire il peso della sua presenza più di quanto non faccia di solito, come se fosse sempre lì, pronta a ricordarmi che, anche se sto cercando di allontanarmi, il mio passato non mi abbandonerà mai.
Nel corridoio, vedo la figura di Marie che spunta da dietro l'angolo, i suoi capelli castani che si muovono leggermente mentre cammina. Michael è nel soggiorno, intento a giocare con qualche giocattolo.
«Pronta per la messa?» mi chiede Marie con una smorfia di imbarazzo, ma il suo sorriso sembra più un gesto meccanico che qualcosa di sincero. So che anche lei sta cercando di mantenere una facciata, e che anche lei sente il dolore di questa festa senza luce.
«Sì, credo.» Mi prendo un attimo per sistemarmi i capelli, ma non ci riesco. Sembra che, non importa quanto cerchi di combatterlo, il mio aspetto rifletta ciò che sento dentro. Mi sento irriconoscibile.
Raziel ci raggiunge, con il suo solito passo silenzioso e un sorriso che non arriva mai agli occhi. La sua presenza mi irrita più del solito, ma cerco di mantenere la calma.
«Abbiamo poco tempo» dice con voce neutra, come se fosse tutto un gioco per lei. «Dobbiamo essere alla chiesa prima delle tre.»
«Lo sappiamo» risponde Marie senza guardarla, e io posso quasi sentire il gelo tra di loro. Non sono le parole, ma la tensione nell'aria che fa tutto. Raziel, che non riesce a trattenere nemmeno un minimo di pietà, e io, che non riesco a perdonarla. La sua esistenza nella nostra vita mi sembra una costante prova di resistenza. Non avrei mai pensato che un angelo potesse essere così insopportabile.
Michael, fortunatamente, non sembra avvertire la stessa tensione. Sta cercando di attirare l'attenzione di Raziel, senza sapere che, se non fosse per lei, sarebbe tutto più semplice. Si avvicina, lo sguardo luminoso di curiosità, come se non avesse idea di quello che sta succedendo. «Angelo Raziel, vuoi venire a giocare con me dopo la messa?» chiede con un sorriso che fa sembrare che nulla sia mai andato storto.
Raziel, che di solito è impassibile, sembra quasi commossa da quella domanda.
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Usciamo di casa, l'aria gelida di dicembre mi colpisce il volto come una frustata. Sento il mio respiro farsi visibile, un piccolo vapore che si dissolve nell'aria fredda. Michael è già fuori, saltellando mentre cerca di tenere il passo con Marie. Lei sembra un po' più allegra ora, ma anche a lei manca qualcuno, è lo zio Jack. Condividiamo lo stesso dolore.
Raziel ci raggiunge, con il suo passo sempre perfetto, silenzioso, come se non stesse davvero camminando, ma galleggiando. Lo sento prima di vederlo: quel suo odore di incenso misto a qualcosa che non so definire. «Spero che la messa non duri troppo» dice con tono quasi annoiato, come se fosse un obbligo piuttosto che una tradizione. Eppure dovrebbe piacerle andare a messa, lei è... un angelo. «Ci sono cose più interessanti da fare, come... evitare che qualcuno faccia sciocchezze.» La frase è diretta a me, ovviamente.
Non posso fare a meno di rispondere con un sorriso sardonico. «Sì, immagino che tu abbia esperienza nel prevenire sciocchezze. Anche se... qualche anno fa mi pare che anche tu ne abbia commesso qualcuna, no?» Tipo rovinare la mia relazione.
Raziel mi fissa, gli occhi che brillano di una luce che non mi piace. Non risponde subito, ma vedo la sua mascella contrarsi. Cominciamo bene, penso tra me e me. Eppure, sento che non c'è nulla che mi faccia più rabbia di quella calma imperturbabile che riesce a mantenere, come se niente la scalfisse mai.
«Non dovresti parlare a caso, Eden.» risponde infine, in un tono che vorrebbe sembrare neutro, ma non lo è. «Non ti conviene.» Il suo sorriso è più una smorfia che altro, ma è un gesto che non mi sfugge. Mi ricorda che anche gli angeli hanno i loro difetti, e il suo è uno di quelli che mi irritano di più.
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Siamo arrivati alla chiesa, la grande porta in legno è già aperta, e un buon numero di persone si sta già radunando all'interno. Il clima è ovattato dalla musica di Natale che si diffonde nell'aria, eppure non riesco a sentire il calore che ci si aspetterebbe in una situazione del genere. La gente è sorridente, ma so che sono quasi tutti lì per le stesse ragioni: non per celebrare, ma per tenere a bada la propria solitudine.
Entriamo, e Raziel si piazza subito a un angolo, come se fosse una guardia del corpo, ma nessuno la nota. Non ha bisogno di essere vista per far sentire la sua presenza. Sono quasi contenta di non dover condividere una panca con lei, ma mi accorgo che in qualche modo, la sua attenzione è sempre su di me. Anche mentre io cerco di concentrarmi sul prete che inizia a parlare, posso sentire i suoi occhi su di me, in ogni momento. La sua tensione è quasi palpabile, e ogni parola che esce dalla sua bocca, anche se sussurrata, sembra un veleno che si infila dentro la mia pelle.
Durante il sermone, cerco di non guardarla, ma è inutile. A un certo punto, mi volto appena, e i suoi occhi sono fissi su di me.
«Sai,» mi sussurra mentre il prete parla della "pace e della speranza", «questo Natale non sarà come gli altri.»
Soffoco una risata amara. «Questo lo so bene.» Uno dei sue cugini dalle piume nere ha ucciso mio padre e mia madre sembra si stia lasciando andare e come se non bastasse, lei è la mia bodyguard con le ali.
Lei sorride, ma è una risata secca, quasi sarcastica. «Se solo tu sapessi cosa hai fatto... Ma tanto non te ne frega. Ti importa solo infrangere le regole.»
Scatto, e sento il mio cuore battere più forte. La verità, come sempre, è che non ho idea di come rispondere a una cosa del genere. Che cazzo sa lei? Respiro profondamente, ma quando giro la testa verso di lei per ribattere, la vedo appena trattenere un'espressione divertita. È come se mi stesse guardando con una specie di pietà.
Il prete sta parlando del "perdono" e di come dobbiamo trovare la luce anche nei momenti bui. Un altro concetto inutile, penso, mentre guardo la cera delle candele che si scioglie lentamente, scivolando giù dai supporti.
All'improvviso, una voce taglia l'aria, rotta e acuta. È mia madre.
«Raziel,» dice, e la sua voce ha un accento di gelo che non avevo mai sentito prima. «Non penso che tu abbia ancora guadagnato il mio perdono.»
La chiesa sembra farsi più piccola, e il colpo arriva dritto, come una freccia. Raziel, che si era distaccata da tutti noi per tutta la durata della cerimonia, ora si irrigidisce, come se il tono di mia madre avesse rotto una barriera invisibile che nessuno si era osato attraversare. «Cosa vuoi dire con questo?» chiede, ma la sua voce tradisce un po' di tensione.
«Voglio dire che,» continua Taylor, fissandola negli occhi con una durezza che non avevo mai visto prima, «non mi sono dimenticata di quello che hai fatto a mia figlia.»
C'è un istante di silenzio, e nonostante Raziel sembri indifferente, posso vedere il modo in cui il suo sguardo cambia, più freddo, più distante.
«Non avrei dovuto, Taylor, è comprensibile che tu non mi abbia ancora perdonata. E... forse non lo farai mai. Ma anche se per te ed Eden sarà difficile da credere, io tengo a voi. Ci tengo davvero.» dice infine, con la sua solita calma, ma c'è qualcosa di diverso nella sua voce. Un'ombra di risentimento, forse. «Ma adesso... io devo stare qui. Con voi.» Mi volto verso Raziel sperando che la smetta di parlare di questo con mia madre. Non voglio che anche lei, come Raley sappia di Adriel. Raziel annuisce impercettibilmente.
Mia madre non aggiunge altro. Torna concentrarsi sulle sue mani rovinate dal tempo, mentre Michael le porge una caramella. Questo gesto le strappa un debole sorriso.
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La messa sta finalmente per concludersi, e l'aria sembra più leggera, come se la pesantezza di quel momento fosse svanita insieme alle ultime parole del prete. La chiesa è piena di gente che si alza, alcuni si scambiano sorrisi, altri si avvicinano per un rapido saluto. Il coro smette di cantare, e la melodia dell'organo svanisce, lasciando dietro di sé il silenzio che precede la frenesia del prossimo momento.
La luce che entra dalle vetrate è ormai più debole, tingendo la navata di sfumature rossastre, eppure c'è un senso di fretta che permea l'aria. La gente si prepara a uscire in fretta, come se il senso di sacralità che ha attraversato la messa stesse già scivolando via, sostituito da un'altra esigenza: quella di non essere mai troppo lontani da ciò che è "giusto", da ciò che è stato promesso per il Natale.
«Pronti per la cena di beneficenza?» chiede Marie, con un sorriso che non nasconde del tutto la sua apprensione. Le sue mani sono un po' tremanti, probabilmente per l'idea di un altro incontro forzato con persone che conosce solo superficialmente. La sua voce è forte, ma c'è un filo di tensione che ne tradisce il tono. Michael, con la sua solita energia da bambino, è già pronto a scattare in avanti, annusando l'aria fredda con entusiasmo.
Raziel, al mio fianco, fa un passo indietro, lasciando che gli altri si preparino a uscire prima di lei. La sua presenza è quasi impercettibile, ma sento il suo sguardo come una colonna di gelo che mi perfora la schiena. Non c'è dubbio che stia osservando tutto con una sorta di distanza inquietante. Gli angeli, dopotutto, non hanno bisogno di mostrarsi. Non hanno bisogno di muoversi in mezzo agli altri per far sentire la loro forza.
«Ti stai divertendo?» le dico, in tono di sfida, mentre vedo il suo sguardo fissarsi su una figura che esce dalla chiesa, una delle tante che si accalcano verso l'uscita. Il suo viso rimane impassibile, ma il modo in cui stringe le labbra tradisce una certa irritazione.
«A fare la babysitter? Non sai quanto sia bello, Eden, davvero.»
Raziel incrocia le braccia al petto, il suo sguardo intenso fisso su di me, come se stesse aspettando che io dica qualcosa. O forse sperando che non lo faccia. La sua figura è elegante e straordinariamente distaccata, come sempre, ma oggi c'è qualcosa di diverso. Indossa un lungo cappotto bianco, il taglio sartoriale perfetto, e sotto il cappotto, una camicia bianca dai bottoni sottili che sembra quasi brillante, come se fosse fatta di luce. I capelli castani scivolano lisci sulle sue spalle, e i suoi occhi brillano in contrasto con il grigio del cielo di Natale. Se non fosse per quella sua aura glaciale, sarebbe quasi inquietante quanto bella appaia.
«Babysitter?» Ripeto, alzando un sopracciglio con un sorriso sardonico che non riesce a nascondere l'irritazione. La mia voce è dolce, ma c'è una vena di sarcasmo che riesce sempre a farla scattare.
Mi guarda dall'alto in basso, ma in modo non disprezzante, piuttosto come se stesse cercando di decifrare se io, in fondo, sia veramente così fuori luogo come appaio. Poi, con un movimento fluido, porta una mano alla tasca del cappotto, come se volesse sistemare qualcosa che non ha bisogno di essere sistemato.
«Solitamente, noi angeli, a Natale,» dice con tono quasi solenne, come se stesse per rivelare un segreto di cui nessuno è a conoscenza, «facciamo... giochi di luce.» Il suo sorriso si allarga un po', ma è il tipo di sorriso che non ti fa mai sentire a tuo agio. È più uno di quei sorrisi che ti fa pensare a chissà cosa stia passando per la testa di un angelo quando dice una cosa del genere.
«Giochi di luce?» Ripeto. È più forte di me, quando parla in modo "angelico" non la capisco.
«Sì. Luci che danzano, riflessi che svaniscono nel cielo... chissà, magari un po' di scintille qua e là. Rendersi invisibili al mondo mortale per un po' è il nostro modo di 'celebrare', come dire.»
Lei mi lancia un'occhiata rapida, ma non replica subito. Piuttosto, con un movimento aggraziato che quasi non percepisco, si avvicina a una delle colonne vicino alla porta, osservando la gente che si sposta. È come se la sua mente fosse altrove, anche se il corpo è perfettamente a fuoco, come sempre.
Le porte della chiesa si aprono finalmente, e il freddo dell'aria invernale entra con una violenza che mi fa rabbrividire. La città di Milltown sembra immobile, i lampioni accesi proiettano lunghe ombre sulle strade deserte. La via principale si anima all'improvviso, con le persone che si affrettano verso i parcheggi, dirette alla sala parrocchiale dove si terrà la cena di beneficenza. La strada è ancora coperta di neve, ma sotto le scarpe il terreno è già un po' più scivoloso.
La sala della parrocchia non è molto lontana dalla chiesa, ma sembra appartenere a un'altra dimensione. Le grandi finestre della sala riflettono luci calde, un contrasto stridente con il gelo esterno. Le voci delle persone che si affrettano in quel percorso stretto e ghiacciato sono piene di entusiasmo, ma anche di una certa formalità: sono tutti lì per fare la cosa giusta, per mostrare di essere partecipi, ma non c'è mai quella spontaneità che uno si aspetterebbe in un incontro così.
Raziel rimane un passo indietro, e noto che non si affretta. Si muove con la sua solita grazia, ma non è mai parte di questa folla che si anima per la festa. Quando si ferma, il suo sguardo si fissa su qualcosa in lontananza. Potrebbe essere uno degli altri angeli, uno che non vedo, ma so che lei sa riconoscere anche le presenze invisibili, quelle che non appartengono a questo mondo. La sua postura è impeccabile, la figura alta e impassibile, come se tutto ciò che accade intorno a lei non la riguardasse.
«Vieni, Eden!» dice Michael, correndo verso di me, il viso illuminato da una gioia innocente. Non capisce cosa sta succedendo, non vede la tensione che cresce nell'aria. È solo entusiasta di andare alla cena, dove la tavola è già apparecchiata e tutti parlano di raccolte di fondi, beneficenza, e di quella strana solennità che accompagna ogni evento natalizio.
Mi stacco dalla porta della chiesa, facendo un respiro profondo. Il cielo si fa più scuro, ma le luci del centro città sembrano brillare più che mai. Ogni passo che faccio mi avvicina alla sala, ma qualcosa dentro di me mi fa sentire come se stessi camminando verso la direzione sbagliata. Non sono mai stata brava a fingere, eppure questa cena, questa "festa", sembra il perfetto contenitore di una menzogna. Cosa potrei mai donare io a un'altra persona? Non sono nemmeno in grado di occuparmi di me, figuriamoci di qualcun altro.
Arriviamo alla sala, che è più grande di quanto mi aspettassi. L'interno è decorato con luci scintillanti, ghirlande di agrifoglio ed enormi centri tavola con candele accese. L'odore di carne arrosto e vin brulé invade subito le narici.
Le persone sono già sistemate ai tavoli, molti sorridono. Mentre io guardo mia madre e so che questo Natale sarà diverso da tutti gli altri.
Mentre mi avvicino al tavolo, sento la tensione crescere. Non è solo l'atmosfera del luogo che mi fa sentire fuori posto, ma la consapevolezza che qualcosa sta per cambiare, che la verità su quello che sta per accadere, sulla presenza di Raziel e su ciò che sta per succedere tra noi, è ormai a un passo. Il coprifuoco sta per scendere, ma ciò che davvero mi spaventa è il fatto che, nonostante il Natale e la "benevolenza" di questa cena, nulla, davvero nulla, per me e mia madre sarà come prima.
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C'è un momento in cui la realtà sembra rallentare, un istante sospeso che non riesco a scacciare dalla mente. È quel momento che precede l'esplosione del caos, quando tutto, anche la più piccola distrazione, può far deragliare la rotta di un'intera giornata. È proprio in quel momento che Michael, con i suoi cinque anni e la sua energia inesauribile, riesce a scardinare l'ordine perfetto che Raziel ha cercato di mantenere.
Mi trovo nel cucinotto, il rumore della folla che ancora riecheggia nel corridoio, ma il mio pensiero è solo su di lui. Raziel è accanto a me, come sempre attenta, ma qualcosa non va. Michael, che non riesce mai a stare fermo un secondo, ha deciso che è giunto il momento di giocare, e quando il suo sguardo cade su una tazza rovesciata sul banco, qualcosa scatta. La sua mano piccola e veloce raggiunge l'oggetto, e, nel tentativo di rialzarlo, spinge con troppa forza. La tazza cade, il rumore dello schianto è come un colpo nella quiete.
Raziel si volta di scatto. La sua espressione, solitamente calma e controllata, ora tradisce un accenno di frustrazione. Ma non è solo la tazza a preoccupare. Michael, nell'impeto del gioco, ha iniziato a spingere anche altri oggetti sul banco. Con un sorriso che tradisce la sua innocenza, allunga la mano verso una bottiglia di vetro di un succo che aveva lasciato lì, ma il suo movimento è troppo rapido, troppo goffo per l'ambiente che lo circonda.
«Michael, fermati,» ordina Raziel, ma la sua voce è un filo di tensione che si perde nel rumore della confusione.
Il bambino non la ascolta. Semplicemente, spinge la bottiglia. Un colpo. Poi un altro. La bottiglia di vetro si rovescia, versando il succo sul piano, e in un istante un altro oggetto cade. La scena è caotica, ma il caos cresce a una velocità che nemmeno Raziel può anticipare.
«Michael!» Raziel si avvicina velocemente, ma quando si sposta verso il bambino per prenderlo in braccio, la sua attenzione viene completamente catturata dal piccolo disastro che si sta compiendo davanti a lei. Oggetti che cadono, succhi che si rovesciano, e il rumore frenetico del piccolo che scivola nel suo entusiasmo da bambino. Raziel cerca di rimediare, ma è troppo tardi. Le sue mani sono veloci, ma non abbastanza da fermare tutto.
Ed è in quel momento, proprio quando sta cercando di tenere Michael fermo, che la sua distrazione diventa fatale. Il piccolo, con il suo solito slancio, spinge una sedia indietro con troppa energia, e il metallo sbatte contro il lato del cucinotto. La sedia colpisce Raziel sul fianco, facendole perdere l'equilibrio. Per un istante, vedo il suo corpo che vacilla, la sua espressione che si fa più dura, ma anche più vulnerabile. Non è la solita Raziel, implacabile e in controllo, ma un angelo che sta cercando di recuperare tutto il caos che un bambino di cinque anni ha scatenato in un batter d'occhio.
Approfitto del momento ed esco dalla sala, senza guardarmi indietro. La confusione dentro di me è talmente forte che non riesco a respirare come dovrei. C'è una specie di tensione che mi stringe il petto, ma non so cosa sia, né da dove venga. La neve cade fitta, come se il cielo intero stesse cercando di nascondere tutto quello che sta accadendo.
Sento un rumore lontano, ma non mi giro. Non ho il coraggio. Non ora. Non posso. Continuo a camminare, quasi a trascinarmi fuori, tra i corridoi che sembrano allungarsi come tunnel senza fine. Poi arrivo al parcheggio.
Il freddo mi avvolge immediatamente, ma non mi importa. Mi rifugio tra due auto parcheggiate, schiacciandomi contro una delle fiancate. La neve mi accarezza il viso, ma sono troppo stanca per pensare a cosa stia succedendo attorno a me. Le lacrime scivolano sulle mie guance, mescolandosi ai fiocchi bianchi. Non riesco a fermarle. Pensieri di mio padre, il suo volto, la sua voce, mi assalgono con violenza. Il dolore è acuto, brutale. Mi manca da morire, più di quanto avrei mai potuto immaginare.
Chiudo gli occhi, stringo le mani contro il petto, cercando di respirare, ma il fiato mi manca. La solitudine mi soffoca, e in questa solitudine, la sensazione di essere completamente persa si fa sempre più forte. Vorrei sparire, svanire in un angolo del mondo dove nulla di tutto questo esista. Dove lui è ancora qui, dove le cose sono normali. Senza angeli ella luce o del buio.
Mi concentro sulla mia respirazione, cercando di calmarmi. Ma qualcosa non va. C'è qualcosa che non riesco a ignorare, un fremito che corre lungo la mia schiena. Un'ombra, una presenza. Non so come, ma so che non sono sola. E la paura mi gela ancora di più, mentre i passi si avvicinano.
Mi volto, e lo vedo.
Adriel.
Il mio cuore sobbalza nel petto. Lo riconosco subito. Non c'è bisogno di chiedermi chi sia, non c'è bisogno di spiegazioni. È lui. Quell'angelo della morte. Uno di quelli di cui mi hanno sempre parlato quando ero solo una bambina, ma che non avrei mai voluto incontrare davvero.
Il suo aspetto mi fa rabbrividire. La sua pelle è di una perfezione che fa paura. Il corpo scolpito da una mano divina, ma non è divinità a emanarne forza. I suoi capelli neri, più neri di quanto avrei mai pensato fosse possibile, ogni volta lo sembrano sempre di più e scivolano sul suo viso come una cascata di tenebre. Gli occhi, poi. Gli occhi. Ghiacciati, penetranti, eppure impossibili da distogliere, come se avessero il potere di guardare dentro di me, di strappare via ogni difesa, ogni speranza.
Si avvicina, passo dopo passo, con un'andatura lenta e precisa, sicuro che io non possa scappare. E io lo so che ha ragione. Non c'è scampo.
Adriel mi osserva con uno sguardo che rasenta la sufficienza, e il suo sorriso si allarga in modo inquietante, come se stesse assaporando il momento. «Beh,» dice, la voce morbida ma affilata come una lama, «oggi è una giornata speciale, vero? Natale, il giorno in cui il Salvatore è venuto al mondo. Una nascita che ha cambiato il destino di tutti... ma non quello di tutti, ovviamente.» La sua risata è sottile, quasi ironica, e il suono della neve che cade, leggera e silenziosa, sembra sfumare nell'aria fredda, mentre lui continua a guardarmi con quel sorriso che non promette nulla di buono.
«È curioso, non è vero?» riprende, la sua voce che fa eco al silenzio che ci circonda. «C'è chi festeggia un bambino che nasce per portare salvezza, e chi, come me, sa che la vera redenzione arriva solo attraverso la distruzione. È così che funziona, Eden.» Si avvicina di un passo, ma non mi tocca. «C'è chi è venuto a portare luce, e chi è qui per spegnerla. E io... io faccio parte della seconda schiera, ovviamente.»
Il suo tono cambia all'improvviso, e la temperatura sembra scendere di colpo, come se la sua voce stessa fosse fatta di ghiaccio. «Quindi non scappi solo da me, ma anche da ciò che resta della tua famiglia?» La domanda vibra nell'aria con una durezza che la rende quasi tangibile, come un colpo che mi attraversa senza pietà. La sua voce è lenta, carica di sarcasmo, e ogni parola sembra forgiata per farmi vacillare, per scuotermi nel profondo.
Le sue parole mi arrivano come un peso, e sento il mio respiro farsi più affannoso. Non posso rispondere. Non posso fare altro che stare lì, a fissarlo, mentre la sua figura, scolpita nell'ombra della neve che continua a cadere, sembra crescere in grandezza. E in quel momento, tutto ciò che mi circonda si dissolve, lasciando solo lui e la domanda che mi fa, penetrante come un coltello.
«Pensavi di potertene andare, vero?» riprende, il sorriso mai abbandonato, ma il suo volto ora è come una maschera di ghiaccio, freddo e senza emozioni. «Che lasciando dietro di te quello che è rimasto della tua famiglia, avresti potuto scappare in pace, come se la tua vita fosse ancora tua.» Si avvicina di un passo, e la sua presenza diventa ancora più opprimente, come una morsa invisibile che mi stringe il petto.
«Ma è troppo tardi, Eden. Non puoi fuggire dalla realtà. Non puoi scappare dal legame che ti tiene prigioniera, neanche se ti allontani da tutti. La tua famiglia non è solo quella che vedi, ma quella che ti accompagna nel sangue, nei ricordi, nelle cicatrici che non puoi nascondere. E io sono qui per ricordarti tutto questo.»
Il suo sguardo è gelido, ma c'è qualcosa di più nel suo tono, qualcosa che suona come una promessa oscura. «Pensi che allontanarti da loro ti salverà? O li salverà? Che ti darà la libertà che desideri? Sbagli. Più ti allontani, più il passato ti raggiungerà. Più cerchi di sfuggire, più ti verrà incontro. Non puoi scappare da ciò che è la tua vita, Eden. E non puoi scappare da me.»
Ogni parola è una lama che mi taglia, ogni frase affonda più a fondo, e io, paralizzata, non so come reagire. Il suo sorriso non è più divertito, ma qualcosa di crudele, di spietato. Non è solo un angelo della morte. È il figlio di Lucifero, e oggi, in questa notte di Natale, mi sta facendo capire che il mio destino è già scritto.
Le sue mani si infilano lentamente nelle tasche della giacca nera, e lo sguardo che mi lancia è come una promessa di tormento, qualcosa di inevitabile. «La tua esistenza è già un gioco per me» dice, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. «Non hai idea di quanto sia divertente vedere quanto ci metti a capire che la partita è già cominciata.»
«Mi diverti» dice, parlando di un gioco che solo lui conosce. «Vedere come reagisci, come pensi di poter correre via, ma in fondo lo sai, non è così. Sei già dentro a tutto questo, Eden. Ci sei dentro dal momento in cui sei nata e non hai modo di uscirne. La ruota gira e ti porta inevitabilmente al suo centro. Come una pecora che crede di sfuggire al lupo, ma non si accorge che è già nel suo ventre.» La sua risata è breve, acida.
Ed è in questo preciso momento in cui agisco. Uso l'unica arma che mi resta per colpirlo: le mie parole.
«Non giocare con me» sussurro, la voce tremante ma carica di rabbia, di una disperazione che non riesco più a nascondere. Mi sforzo di sembrare calma, ma dentro di me è come se una tempesta si stesse abbattendo. Il cuore mi batte forte, e ogni respiro sembra più pesante dell'ultimo. Adriel mi guarda, ma c'è una scintilla di curiosità nei suoi occhi, come se stesse aspettando questa reazione, come se fosse quello che si aspetta sempre da me.
La sua risata malefica echeggia nell'aria fredda, ma non mi fa più paura, o almeno è questo quello che voglio credere.
«Oh, Eden» dice, con un sorriso che si fa sempre più amaro. «Pensi davvero che una semplice frase possa fermarmi? O forse speri che la tua rabbia ti renda libera, che possa essere un'arma in un gioco che non hai ancora capito? Sei davvero ingenua.»
Mi sento piccola, impotente, ma c'è una parte di me che non riesco a spegnere. È la parte di me che ha visto troppe cose per arrendersi senza combattere. Il suo gioco è crudele, sì, ma questo non significa che io debba accettarlo. Non sono una pedina. Non posso esserlo.
«Sei tu a non capire,» dico, cercando di mantenere la voce ferma, «non sono parte del tuo gioco. Non ti permetterò di ridurmi così. Non sono tua.» Ogni parola esce con più forza, come se potessi forgiarle per diventare una barriera tra me e lui, un modo per darmi una parvenza di controllo, di potere. Ma so che è solo illusione. Lui è un angelo della morte, io... sono solo una ragazza intrappolata in un destino che non ho scelto.
Adriel non risponde subito. Mi guarda con quell'espressione ambigua, come se stesse studiando ogni mio movimento, ogni piccola sfumatura nelle mie parole. Poi, finalmente, il suo sorriso si allarga. «Ah, quindi hai capito, finalmente?» dice, la voce satura di sarcasmo. «Non sei mia, certo. Ma ti ricordo che non c'è bisogno che lo sia. Non devi essere niente di mio per essere intrappolata in questo. Tu e il tuo destino siete già una cosa sola, Eden.»
La neve intorno a noi continua a scendere in silenzio, come se il mondo stesse aspettando la fine, come se ogni fiocco fosse una piccola parte di questa fine che si sta avvicinando. Ogni passo che faccio, ogni parola che dico, sembra essere inutile. Ma qualcosa dentro di me scatta. Non mi arrendo. Non oggi. Non ora.
«Non voglio niente da te,» dico, e questa volta la mia voce è più forte, più sicura. «E tu non avrai niente da me. Non ti concederò di farmi credere che non c'è via di scampo, che il destino è già scritto per me. Non ti permetterò di scrivere la mia storia.»
Adriel rimane in silenzio per un istante, il suo sorriso sparisce e il suo sguardo si fa più intenso, quasi sorpreso dalla mia risposta. Forse si aspettava che avrei ceduto, che avrei avuto paura, che sarei caduta nel suo gioco come tutte le altre volte. Ma non stavolta. Stavolta non voglio essere la vittima.
«La tua ribellione è tanto affascinante quanto inutile» dice finalmente, la sua voce morbida, ma carica di una minaccia che aleggia nell'aria come una nuvola oscura. «Pensi di avere scelta, Eden? Pensi davvero che tu abbia il potere di cambiare qualcosa?»
«Non lo so,» rispondo con fermezza, «ma almeno ci provo. E finché non ci proverò, non sarò mai certa che non ci sia un altro modo.»
Un lampo di divertimento attraversa i suoi occhi, ma non è più una risata giocosa. È qualcosa di più profondo, di più sinistro. «Vedi,» dice, «questo è ciò che ti rende interessante, Eden. La tua capacità di illuderti che tu abbia il controllo, che tu possa cambiare qualcosa. Ma non puoi. Non oggi. Non... mai.»
Mi guarda come se fosse il suo diritto scoprire quanto ancora posso resistere, quanto durerà la mia ultima difesa. La neve continua a cadere, ma il suo sguardo mi brucia più di qualsiasi freddo. «La ruota gira, Eden» ripete, più lentamente, come se ogni parola fosse una pietra che sta gettando nel mio cuore. «E sei già nel suo centro.»
Ma io non mi arrendo. La rabbia che ho dentro è l'unica cosa che mi resta. La mia voce, seppur fragile, è l'unica arma che posso usare contro di lui. E mentre lo guardo, so che non posso permettergli di vincere, non ancora. «Vedremo.» Dico, con il coraggio che mi rimane. «Forse è la tua ruota a girare. Ma finché posso respirare, finché posso combattere, non farò altro che lottare contro di essa.»
La sua risata è un sussurro basso, come il fruscio del vento tra gli alberi spogli. «Vedremo, Eden.» Ripete. «Vedremo.»
Lui si avvicina ancora di un passo, e io so che è inutile fare qualsiasi cosa. So che la fuga è impossibile, che non c'è più nulla che io possa fare. La verità mi colpisce in pieno: sono intrappolata. E la mia prigione è questa, l'invisibile catena che lui ha messo attorno a me. Non posso più nascondermi, non posso più ignorarlo.
Adriel è il figlio del Diavolo, e oggi, con la neve che cade sul suo volto come una maledizione, lo capisco con una chiarezza che mi fa rabbrividire. Non è solo un angelo della morte. È l'incarnazione della fine di ogni speranza.
✨✨✨✨
Ciao Moonrisers❤️🔥
Benvenuti nel primo capitolo del 2025! 🎉 Questo nuovo anno porta con sé tante sorprese, e non vedo l'ora di farvele scoprire tutte.
Che ne pensate di questo capitolo? E soprattutto, cosa ne pensate di Adriel? 😏
Lo so, è un capitolo un po' più lungo del solito, ma l'ho voluto fare apposta. Sentivo che il primo aggiornamento dell'anno dovesse essere qualcosa di speciale, e questo capitolo, in un certo senso, lo è davvero. Ma non voglio spoilerarvi troppo... prestate attenzione, perché presto capirete il motivo!
Se vi va, seguitemi su Instagram e TikTok per rimanere sempre aggiornati sulle novità. Vi aspetto!
Un abbraccio grande,
Lu🌙
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